TASSO: SQUARCI DI VITA
LA SUA PSICOLOGIA
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1. A Gerolamo Mercuriale, famoso medico del tempo: “Sono alcuni anni che io sono infermo, e l'infermità mia non è conosciuta da me: nondimeno io ho certa opinione di essere stato ammaliato... rodimenti d'intestino, con non poco di flusso di sangue; tintinnii negli orecchi e ne la testa... imaginazione continua di varie cose e tutte spiacevoli.” 2. Alla sorella Cornelia, a Sorrento: “Io sono arrivato a Roma tutto pieno d'ogni disperazione... Il corpo è infermo di molte infermità, tutte spiacevoli, tutte noiose; l'ingegno, offeso, la memoria indebolita, e quasi perduta; la fortuna, contraria più che mai fosse: amici non ho, o non conformi al mio desiderio; padrone non ho, né vorrei averne... s'egli non fosse tale, che volesse farmi un sicurissimo ozio da studiare: i parenti mi hanno rinnegato.... <Accoglietemi presso di voi> ed avrei grandissimo obbligo alla pietà di Dio, c'avesse riservata la mia morte più tosto fra le vostre braccia, che fra quelle de gli spedalieri.” 3. A fra Fabiano, a Sorrento:
“mi dorrebbe nondimeno di veder schernite, non dirò la mia presenza, ma la mia ragione e la mia fede e la mia buona volontà; ed essere costretto di partirmi povero, infermo, canuto, smemorato e quasi frenetico da quel paese dov'io son nato, dove fui allevato, dove solea veder mio padre in qualche buono stato ed in qualche reputazione, e mia madre similmente; per andar un'altra volta errando fra gente estranea... “; “io mi contento di stare a giudizio di coloro che giudicano senza passione. Questi, senza fallo, saranno i posteri; al giudizio de' quali soglio appellarmi.” PER IL SUO PROFILO PSICOLOGICO Per caratterizzare le componenti psicologiche di una personalità così tormentata (e i viaggi ne sono la evidente manifestazione esteriore) Getto indica due coppie di coordinate: CORTE/VIAGGI e ACCADEMIA/FOLLIA. La prima (CORTE) è il sognato luogo dello splendore e della magnificenza mondani e la sede 'alta' d'ogni magnanima virtù e d'ogni terrena grandezza. Ma dietro la cortina d'illusione e dietro le apparenze del fasto, Ferrara mostrava sia i segni dei vizi che infestavano ogni corte sia, in particolare, i segni d'una cautela mista ad ipocrisia, proprie di una città in sospetto d'eresia calvinista, nel bel mezzo dell'offensiva spagnola e controriformista. Donde circospezione, dissimulazione, delazioni e ricatti e una vena di sensualità che, non erompendo schietta, s'intorbida dietro la maschera dell'adesione alla religione-etichetta. Di qui, mescolato all'amore, l'odio per la corte e la fuga dalla delusione attraverso i VIAGGI. [Questo rapporto Tasso-corte, confrontato con quello Ariosto-corte è nel Caretti]. Il torbido, irrequieto girovagare, richiama l'immagine della mente che erra nel labirinto della follia. E siamo alla SECONDA COPPIA. L'ACCADEMIA è la norma, la regola, la certezza di adeguare l'opera ad un tono e ad un clima di grandezza e di decoro ufficialmente sanzionati. Per uno spirito irrequieto, l'Accademia è il 'genere letterario', cioè la certezza della perfezione e la garanzia del consenso. Come nell'opera, così nella coscienza, Tasso cerca certezze e va volontariamente di fronte all'autorità dell'Inquisitore, perché il suo tormento, il suo dubbio, siano sciolti, anche qui, da una sentenza, da un 'tribunale', dalla 'legge'. Eppure, questo bisogno di 'regole' e di 'autorità' esterne è il segno della mancanza di equilibrio e certezze interne. Quelle verità 'indiscutibili', imposte da fuori, ma che pure trovano in lui risonanza non superficiale, non coincidono poi con i moti più intimi della sua sensualità o del suo estro poetico o delle sue angosce: donde la lacerazione tra certezze volute (e non possedute) e destino di intima e invincibile irrequietudine sentimentale e morale. Di qui la follia. E la tenerezza del folle, che si riconosce tale e si compiange. Ma “occorrerà vedere in questo male non già un elemento negativo, che deturpa la figura e l'opera del poeta, ma semplicemente una fondamentale esperienza biografica.” GERUSALEMME LIBERATA
Certo, una radice autobiografica, di illusione / delusione, è innegabile, ma la solitudine dell'anima tassesca assurge al significato universale della contemplazione del tragico destino umano, nel quale s'illumina per un istante la vita, seguita presto dalla morte fatale e l'anima “resta sola, sola nel suo breve instabile sogno, e sola nel suo sconsolato rimpianto.” E' comprensibile che questo clima si intensifichi nelle grandi e dolenti storie d'amore, nei tormentati personaggi che le vivono: Tancredi, Erminia, Armida, Olindo. Mentre in Argante questo clima diventa il tema della forza bruta che si piega al destino e il Solimano la rinuncia fatale al sogno di riconquista, che tutto lo occupa.
LETTURA DEL POEMA PROEMIO
CANTO VI (da Momigliano): Si snoda in un andirivieni di toni, dalle iattanze di Argante, che vuole battaglia e ottiene lo scontro con i campioni cristiani, allo smemoramento di Tancredi, incantato dalla splendida apparizione di Clorinda, nelle sue vesti bianche, alta, superba. Segue il crudele duello fra Tancredi e Argante, gara di abilità e virtù guerriera e si chiude, il canto, con la tenera malinconia e la trepidazione audace di Erminia, creatura tutta tassesca, di un petrarchismo rifatto dalla più molle sensibilità del Tasso, che dall'alba al tramonto guarda il campo cristiano “e co' pensieri suoi parla e sospira”. In questo canto spicca l'affascinante notturno: “Era la notte, e 'l suo stellato manto / chiaro spiegava e senza nube alcuna...”, da mettere accanto a Dante, a Leopardi, a Manzoni. Momigliano: Erminia vive del suo fantasticare. Questa situazione era già stata dipinta dal Petrarca (Di pensiero in pensier...). Ma Petrarca ha una malinconia più austera, più virile, dietro le sue fantasie trovi il pensiero. Dietro Erminia nulla c'è, nemmeno la stessa Erminia. Ella tutta si perde nel suo innamorato. Laura, invece, è quasi uno specchio, nel quale Petrarca, in fondo, riflette il suo spirito. “In questo femminilizzare la malinconia fantastica del Petrarca, consiste l'originalità del Tasso”. [Quindi, nell'annullarsi dell'amante nell'amato, come solo le donne sanno fare, mi par di capire]. CANTO VII Vedi il commento di Momigliano. “Dobbiamo dire che la figura di questa donzella spaurita è di una delicatezza sensitiva che fa di Erminia, con Silvia, Clorinda e Armida, Ermengarda e Laura morta, una delle grandi creazioni femminili della nostra lirica. Mai il Tasso è stato così morbido e lieve nella scelta delle parole come in questa descrizione, più che dell'immagine di Erminia, della sua anima palpitante fra le ombre paurose della selva, e sospirante nel mattino pastorale che tien dietro la fuga.”
L'enjambement interpreta tacitamente la lentezza trasognata dello sguardo - l'incontro col vecchio: è brano da tenere in conto per illuminare il rapporto Tasso-corte. Qui ci sono “le inique corti”, che, contrapposte all'ideal corte di Goffredo e dei suoi campioni, è radice di gran parte della perpetua scontentezza del Tasso. STILE MUSICALE
Anche qui - annota Momigliano - sento l'affinità del gusto poetico del Tasso con il gusto della pittura a ombre, luci e penombre, caratteristica del tempo. RELIGIOSITA' SEICENTESCA Quando Raimondo di Tolosa si appresta, pur anziano, ad affrontare Argante, Dio manda in suo aiuto l'angelo custode, il quale trae da un arsenale di armi del cielo (l'asta con cui fu ucciso il serpente, il tridente che provoca terremoti) uno scudo smisurato di lucidissimo diamante. E' una religiosità che mira al grandioso materiale (come enfatico e su di tono è tutto l'episodio del c.VII tra Goffredo e i cavalieri cristiani, e Raimondo ed Argante) perché l'autore difetta di autenticità e di intimità di sentire religioso.
CANTO VIII
CANTO X
dove si può sentire “l'alta e amara poesia del vinto non rassegnato”. (Caretti) CANTO XII
Clorinda, quando esce da Gerusalemme, non è più l'indomita guerriera di prima... e appare per la prima volta smarrita e spaventata, sì che quando abbraccia la nuova fede... essa compie... l'ultimo atto di un processo di chiarificazione interiore... “
Il Tasso, poeta d'amore, ha di queste intuizioni che colgono il sentimento nel momento stesso che nasce e si traduce irresistibilmente in un gesto.”
Dopo la morte di Clorinda Tancredi è ingiustamente rimproverato da Pietro l'Eremita e, purtroppo, continua a piangere e a tormentarsi, con eloquenza e sottigliezza da secentista (“se io mi uccido ucciderò il mio dolore... la tomba non contiene cose morte, ma ceneri vive, perché ancora spiranti amore ecc.”) fino alla fine del canto. CANTO XIV Vanità umane: Ugone, in sogno a Goffredo: “Quanto è vil la cagion ch'a la virtute / umana è colà giù premio e contrasto! / in che piccolo cerchio, e fra che nude / solitudini è stretto il vostro fasto!” I due versi - dice Momigliano - sono la sintesi poetica dell'ertà della Controriforma, età di etichetta, di pompa, di fasto, e perciò abbandonata coscienza della vanità della vita. LA SCIENZA DEL RINASCIMENTO Il mago di Ascalona mostra a Carlo e Ubaldo, che cercano Rinaldo, cosa si cela nelle viscere della terra . Il serbatoio di tutti i corsi d'acqua e la fonte delle pietre e dei metalli preziodi. “Questo non è più il meraviglioso dei poemi cavallereschi, né il diabolico o divino di altri paesi; è il meraviglioso leonardesco, degli uomini del Rinascimento, intenti a scoprire i segreti della natura e a scrutare “il grembo immenso / della Terra, che tutto in sé produce.” IL GIARDINO DI ARMIDA: Quando Rinaldo giunge al giardino incantato, una fanciulla nuda, che è sorta dall'acqua canta un rifacimento del coro dell'Atto I dell'Aminta. Un invito a godere della giovinezza, un invito, un po' brutal, a far godere il corpo, a trascurare “ciò che pregio e valore il mondo appella” e a lasciar perdere la paura, che è “un'eco, un sogno, anzi del sogno un'ombra”. C'è qui il Tasso, che è incantato dalla voluttà e deluso dai piaceri. Nella struttura del poema quel canto è “empio”, ma troppo diretta e scoperta è la suggestione del canto, per non convenire con il Momigliano, che queste ottave sono “il più sintetico spunto autobiografico di tutta l'opera del Tasso.” SECENTISMO: Armida, ventilando col velo attenua a Rinaldo “gli ardori de l'estivo cielo”, ma gli ardori degli occhi di Rinaldo, benché chiusi, sciolgono il gelo del suo cuore e “di nemica ella diviene amante”. CANTO XV TASSO CRISTIANO: Carlo e Ubaldo trapassano il Mediterraneo guidati dalla Fortuna, sfiorano Cartagine: “Muoiono le città, muoiono i regni; / coprono i fasti, le pompe arena ed erba; / e l'uom d'esser mortal par che si sdegni.”
<< E' importante che troviamo, in questo brano, le parole 'fasti' e 'pompe', che richiamano ideali perseguiti tenacemente dal Tasso e che emanarono sempre fascino per lui. Anche la pompa del rito cattolico. Qui si scopre l'altro Tasso, sgomento e malinonico di fronte al destino umano. >> TASSO E DANTE: << Sono frequentissimi gli echi danteschi, talvolta i versi della Commedia, trapiantati disarmonicamente nella Gerusalemme. E' evidente che Tasso mirava ad una continuazione / emulazione del grande poema cattolico - medievale. Le spie linguistiche e stilistiche che confermano che egli voleva essere il Dante del suo tempo (ma anche l'Omero, il Virgilio: insomma, il poeta di un'epoca>>. COLOMBO: la Fortuna preannuncia a Carlo e Ubaldo i viaggi transoceanici e l'impresa di Colombo. Senza retorica, con vero entusiasmo e quasi ingenua accensione fantastica, Tasso riecheggia lo stupore <e l'orgoglio> che invase le menti rinascimentali all'annunzio del viaggio straordinario. UN'IMMAGINE FEMMINILE: Carlo e Ubaldo sono giunti al regno di Armida e dall'acqua emerge una fanciulla bella e ignuda: “Ridea insieme, e insieme ella arrosìa; / ed era nel rossor più bello il riso, / e nel riso il rossor che la coprìa / in sino al mento il delicato viso. “ C'è tutta la tassiana ammirazione della bellezza femminile, non disgiunta da una sfumatura madrigalesca. Più giù, la fanciulla dice ai due: “Questo è il porto del mondo... “ e in quest'espressione... così abbandonata, il Tasso ha infuso tutta la sua nostalgia d'una voluttà senza contrasti, d'una felicità senza risvegli.”(Momigliano) <<Ma va ricordato ancora che quest'isola felice è inganno e vizio nella struttura ideologica del poema e che Rinaldo dovrà liberarsene come da un carcere>>. La situazione diventa ppoi simbolo del contrasto (ricorrente sempre, nell'intimo almeno, fra tentazioni del senso e doveri della coscienza. I due guerrieri non accolgono l'invito delle due fanciulle. “E se di tal dolcezza entro trasfusa / parte penétra, onde il disìo germoglie, / tosto ragion, ne l'armi sue rinchiusa, / sterpa e riseca le nascenti voglie.” CANTO XVI MARINISMO: nelle ottave del giardino di Armida, Tasso esprime una vena di sensualità e di edonismo e con certi toni stilistici, che già dentro vi presentiamo la morbida sensibilità del Seicento e in particolare del Marino. Si veda l'ottava degli augelletti 'vezzosi', per esempio; o l'aggettivo 'lascivette' detto delle note e la musicalità che arieggia la danza e ha una “carnalità ornata e galeotta “ (Momigliano). La rosa, verginella: “Ecco poi nudo il sen già baldanzosa / dispiega... “ oppure: “Cogliàm la rosa in su 'l mattino adorno / di questo dì, che tosto il seren perde; / cogliàm d'amor la rosa...”. I versi del Poliziano, di simile tono, sono una delicata descrizione della bellezza, questi hanno più del carnale, del voluttuoso, e sono più cantati a voce spiegata. “C'è l'esteriorità e la corposità della lirica del Seicento piuttosto che l'amorosa malinconia del cantore di Erminia... “(Momigliano). ARMIDA E LA CORTE: il canto di Armida è la materializzazione di cose incorporee “Teneri sogni, e placide e tranquille / re- pulse, e cari vezzi, e liete paci / sorrise parolette, e dolci stille / di pianto e sospir tronchi, e molli baci.” Siamo veramente dentro il clima civettuolo di una corte. ARMIDA ABBANDONATA: si veda il commento di Momigliano: Armida è il più ricco personaggio della Gerusalemme, morbida, insinuante nel campo cristiano (C.IV), luminosa dominatrice nel suo giardino, tragica donna, disperata furia nell'ora dell'abbandono: implacabile vendicatrice quando ogni tentativo di trattenere l'amante è vano < .... > La psicologia amorosa della nostra letteratura era quasi unicamente maschile, e discendeva in massima parte dal Petrarca: la psicologia amorosa femminile, con le sue morbidezze sentimentali, e le sue insidie, le sue complicazioni d'istinto e di scaltrezza, le sue ingenuità e le sue arti, è creazione del poeta che ha inventato Silvia, Erminia... < ... > La sensibilità del Petrarca è una sensibilità meditativa, quella del Tasso è più drammatica, più aderente alla vita, e può commuovere di più: “Volea gridar... / ... Ma il varco al suon chiuse il dolore; / sì che tornò la flebile parola / più amara in dietro a rimbombar su 'l cuore.” Si veda, pure, come il dramma dell'episodio è contaminato (poeticamente) dal proposito edificante dell'ottava 41.a: Ubaldo a Rinaldo: férmati, perché devi ascoltarla e resistere, diverrai più forte. IDILLIO: per una linea dell'idillio: vi campeggia questo giardino di Armida (dopo la casa d'Amore di Petrarca, la reggia di Venere di Poliziano) “in un rigoglio perenne e in un clima senza tempo, entro questo regno delle delizie voluttuose e dell'oblìo immemore, su cui aleggia tuttavia... un senso occulto di artificio caduco, di illusione effimera”(Caretti). CANTO XVII GOFFREDO STILIZZATO: ultima ottava del canto: la Fama, al giungere di Rinaldo nel campo cristiano, vola a portare la notizia a Goffredo: “e inanzi ad essi al pio Goffredo corse / per raccorli dal suo seggio sorse“. Momigliano riporta un commento del Varese: Goffredo è immaginato sempre attento alla sua funzione di duce, come stilizzato, con lo scettro, sopra il suo seggio... “. CANTO XVIII RINALDO: Da leggere sia l'ascesa al monte Oliveto, nell'indefinibile incanto di un'alba interiore, cui fa corona l'alba esteriore, sia (e più attentamente) la lotta interiore, e poi esteriore e fisia, tra Rinaldo e gli incanti della selva. Ancora idillio, lusinghe sensuali e, di fronte, la virtù di Rinaldo, attratto dal mistero, ma risoluto a vincere. Ancora Armida (o un suo fantasma) che lo tenta. Leggi Momigliano, che giudica le ottave 1-38 “le pagine di più indefinita e più nuova poesia dell'intero poema” e in esse ritrova “i due stremi della poesia romantica: l'esaltazione del senso e lo stanco silenzio interiore, questa indefinita religiosità che vapora dalla delusione del senso. CANTO III I crociati sotto Gerusalemme Si può cominciare non dall'inizio, ma dal momento in cui compare Tancredi (“Porta sì salda la gran lancia..."). Nell'episodio appariranno due temi essenziali:
Questo secondo tema [il primo sarà affrontato in un secondo tempo] è svolto su due versanti:
Sono amori infelici anche perché non può l'amante svelarsi all'amata; una barriera insormontabile (la guerra, la fede) li divide e perciò il sentimento si nutre di silenzio e si consuma nell'impotenza. Queste due condizioni ne generano un'altra, in Erminia: la finzione, l'inganno, la parola che significa altro da quello che sembra, al limite siamo di fronte ad un gioco crudele tra una maschera (quello che la parola sembra dire) e un volto (quello che la parola esprimerebbe se intesa nel suo vero senso). Entriamo così nel regno dell'ambiguo. Già questi elementi tematici ci portano al cuore dell'ispirazione del Tasso, la quale poggia su una visione del mondo in cui non c'è posto per la felicità, per lo slancio spontaneo e lieto del sentimento (se non quando nessuno ascolta, se non nel silenzio); è una visione del mondo in cui ha largo posto il chiaroscuro dell'essere e del sembrare, il gioco crudele di realtà e finzione: così Erminia sarà scambiata per Clorinda; così la selva sarà in- cantata magicamente. Insomma il personaggio è in balìa del destino e di un caso che è più forte di lui. Può vincere la lotta solo appellandosi alle forze eltraterrene, come Rinaldo nella selva. Ma accanto a Rinaldo (peccatore e pentito) e a Goffredo (guida militare e morale) restano le storie d'amore infelici, nelle quali non meno che nei personaggi “virtuosi” e “vittoriosi” si effonde la poesia lirico-autobiografica dell'autore. Senza dire che il tema: realtà / finzione, essere / apparire, il tema della parola ambigua, del gioco verbale, anticipano il seicentismo. Vedi anche il madrigale tassiano analizzato in Forme e storia (Bellini Mazzoni, Paradigma) RIME E SECENTISMO da Forme e storia, p.30 e ss. L'esame di alcuni madrigali del Tasso consente di far emergere certi caratteri dello stile e del contenuto, che sono tutti tassiani, ma anche già secentisti (vedi commento alla Gerusalemme, dove si nomina il marinismo e il secentismo):
Dai madrigali il mondo appare un gioco di specchi: non detto così ideologicamente, ma “cantato” così nei modi stilistici, formali. Il madrigale dice anche che l'arte diviene - seicentescamente - gioco; serio sì, sigillo di un'epoca pure. Ma gioco. Che qualche volta riesce e qualche altra no. Andrea de Lisio a.delisio@aliseo.it direttore@altromolise.it |
Scheda sul Tasso - Rinaldo e Armida
Opere del Tasso
La critica