ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Arte fiamminga

I - II - III

Hieronymus Bosch, Incoronazione di spine, 1485, National Gallery Londra

Pieter Bruegel il vecchio, Grande torre di Babele, 1563, Kunsthistorisches Museum Vienna

Dario Lodi

Sicuramente sono due i grandi pittori “finali” della tradizione fiamminga pura: Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel il Vecchio. Il territorio dei Paesi Bassi perse una certa omogeneità per gli effetti delle prime guerre di religione europee. L’imperatore Carlo V lasciò in eredità al figlio, il re di Spagna Filippo II, la conquista dell’intera regione in parola, formata ufficialmente dalle Sette Province del nord, dalle Terre generali del centro, e dai Paesi Bassi spagnoli del sud (gli attuali Belgio e Lussemburgo).

Quando Filippo II inviò un esercito con l’ordine di sottomettere spietatamente chi non voleva cedere alle regole cattoliche, avvenne l’unica storica unione fra le parti del Paese e quindi una ribellione che, in breve, consentì un’affermazione da parte dei Protestanti. Nacque, infatti, la repubblica delle Province Unite (altrimenti Olanda; il Belgio rimase cattolico e in guerra con la Spagna per l’indipendenza), che durò dal 1581 al 1795, quando i Francesi la cambiarono in Repubblica Batava. L’Olanda visse un secolo d’oro, dal 1581 all’invasione, con pretesti dinastici e ragioni commerciali, da parte de Francesi avvenuta nel 1672 (guerra franco-olandese 1672-1678).

Storicamente, i Fiamminghi (in maggior parte cattolici) abitavano il Belgio settentrionale (Fiandre, la regione meglio esposta ai commerci internazionali). L’indipendenza olandese ne limitò l’influenza anche perché il Protestantesimo, molto forte in Olanda, premiò la nuova classe imprenditoriale, dando vita, di conseguenza, ad un fulgore artistico, di stampo laico, particolarmente vivace (e prestigioso). Lutero si rifaceva alla Bibbia (Antico Testamento) che proibiva la raffigurazione divina. Così la committenza privata, in Olanda, si sostituirà, massicciamente, a quella ecclesiastica.

Bosch e Bruegel il vecchio resistono all’influenza italiana dovuta, nelle Fiandre, all’invio di cartoni per la realizzazione di arazzi. Di grande impatto fu l’opera di Raffaello per la Cappella Sistina, i cui cartoni furono esposti a Bruxelles nei primi anni del ‘500. Molti pittori fiamminghi vi s’ispirarono, intervenendo poi nella produzione tradizionale. L’Umanesimo italiano condizionò certamente il clima culturale fiammingo, promuovendo la nascita di umanisti locali, come Erasmo da Rotterdam, fra i maggiori in assoluto del tempo. La risposta di Bosch e di Bruegel, ciascuno ovviamente a proprio modo, fu una sorta di difesa ad oltranza dell’atteggiamento cattolico, riservando al divino un trattamento più vicino alla mistica religiosa che all’elevazione irrazionale gotica.

L’insistenza mistica, alla ricerca di una certa oggettività spirituale, fu la prima risposta agli assalti contro la Chiesa romana organizzati dai Luterani, col pericolo della messa in discussione del potere morale ecclesiastico quanto, sostanzialmente, ritenuto di superiore eticità. Si paventava addirittura il suo oblio. Poteva l’uomo fare a meno di tanta sensibile ed esperta protezione?

La complessità del problema religioso, a fine ‘400, viene rappresentata da Hieronymus Bosch con notevole ricorso alla fantasia, sino alla deformazione della stessa per fini evidentemente moralistici in un ambiente che stava rischiando di perdere ogni morale. Così veniva interpretata la latente crisi romana a causa di una Roma papale divorata dalla corruzione.

Hieronymus Bosch (1450?-1516) si chiamava in realtà Jeroen Anthoniszoon van Aken, era di origine tedesca e proveniva da una famiglia di artisti. Il padre Anton, prima che sbocciasse la bravura del figlio, era il più famoso pittore della città di ‘s – Hertogenbosch (bosco ducale in italiano). Il nostro artista firmò diverse opere “Bosch” in onore della città natale e come Bosch è ormai individuato.

Il dipinto proposto, ritenuto sino a non molto tempo fa dei primi del ‘500, è stato datato 1485 circa sulla base di studi del legno da cui è stata ricavata la tavola. Si tratta di una dimostrazione del modo di procedere di Bosch: rispettoso formalmente nei confronti della figura divina e caricaturale in quella degli uomini che assistono, increduli, ignoranti e presuntuosi alla rivelazione sacra.

La stima che Bosch ha degli uomini è piuttosto scarsa. Li vede come peccatori incalliti, pronti a truffare e a incrudelire fra loro e tutti insieme a svilire il mondo intero. Non ci fosse la longa manus della Chiesa, il disastro civile sarebbe totale. Ecco perché il nostro pittore dà sfogo al proprio risentimento nei confronti di una perdita che sente prossima grazie alla brutalità dei principi tedeschi che sorreggono Lutero.

Il dipinto in questione è una sorta di esercizio preparatorio a ciò che molti ritengono il suo capolavoro, il “Giardino delle delizie”, un trittico del 1503-4 dove Bosch esibisce una fantasia inarrestabile al servizio d’invenzioni visive le più bizzarre possibili. Lo stesso è stato al centro di discussioni sulla personalità dell’artista, con ricorso alla psicanalisi, dato l’incredibile susseguirsi, nel trittico, d’immagini grottesche, composte di simbologie indecifrabili, sardoniche e sarcastiche al calor bianco.

Bosch sembra vittima di queste visioni. La sua opposizione è un’incredulità di fondo per l’auto-trascinamento dell’uomo nell’inferno, luogo che si merita, peraltro, a causa del suo allontanamento dalla fede (così l’artista vedeva la possibile caduta della Chiesa romana per mano tedesca).

Pieter Bruegel il Vecchio (1525?-1569) è l’ideale continuatore dell’opera di Bosch. Del resto, i due entrarono in contatto (indiretto ovviamente) grazie a Hieronymus Coeck, stampatore, che per ragioni commerciali fece passare alcune potere del nostro per opere di Bosch. Di Bruegel quel poco che si sa si deve a Karel van Mander (una specie di Vasari) e a Lodovico Guicciardini, intellettuale e mercante, discendente del grande umanista Francesco, che visse per lungo tempo ad Anversa. Il nostro pittore fu tra i preferiti dell’epoca, pur avendo operato principalmente nel mondo laico, per la bellezza del disegno (egli proveniva dalla cartografia) e per la freschezza delle sue immagini: contadini, feste, campagna, uomini persi in grandi spazi, fustigazione, diretta ed indiretta, in definitiva bonaria, delle pretese umane.

La famosa Torre di Babele, ispiratagli quasi certamente dalla vista del Colosseo durante un suo viaggio in Italia, è l’esempio della morale fondamentale di Bruegel, dove, ad un distacco fra mondo medievale e mondo moderno, egli risponde ammonendo sull’abbandono religioso per un “salto nel buio”.

Bruegel non appare contrario all’avanzare della razionalità, ma sembra ritenere opportuno il richiamo ad un’attenzione profonda verso la sostituzione di valori consolidati, quelli religiosi, con valori ipotetici, ovvero non sufficientemente formati e già perseguiti. In particolare, la Torre è un ripercorso biblico fatto con gli strumenti straordinari messi a disposizione dall’Umanesimo.

Il nostro pittore sapeva di cabala e di alchimia, ma non ne era condizionato, dimostrando, nei suoi dipinti, una grande e originale sensibilità “positiva”: egli vuole capire, vuole rendersi conto delle reali capacità umane. Al cospetto di perplessità, Bruegel reagisce con un lirismo commosso senza sdolcinature, raffigurando uomini e situazioni in un contrasto per così dire armonioso.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019