PALAZZI STORICI

 

La vicenda architettonica delle ville e dei palazzi, a partire dall’età rinascimentale, ha caratterizzato anche a Cesena il paesaggio rurale e urbano.

Per quanto riguarda l’agro cesenate, il trapasso dagli impianti rurali fortificati di età medioevale e tardo-medioevale alla villa, avviene gradualmente. Alcuni esempi sono il “castello” malatestiano di S. Giorgio (andato distrutto nell’ultimo conflitto mondiale, ma si conserva presso la Biblioteca malatestiana il bel bassorilievo con S. Giorgio che ornava l’ingresso alla torre), la villa-castello di Bulgarnò (forse dei Roverella), infine fra il nuovo tipo di dimora signorile rurale, caratterizzata dalla doppia funzione di luogo di villeggiatura e di raccordo delle attività agricole, possiamo ricordare la villa Neri già Martinelli e il Casino della Congrezione di S. Filippo, poi Almerici.

 

In ambito urbano invece dalla casa a corte tipicamente medioevale si giunge, attraverso fasi successive, al palazzo rinascimentale caratterizzato da un corpo centrale sulla strada con una facciata ben strutturata, da un atrio d’ingresso con scalone, da un vano (portico-loggia) che si apre su un cortile interno e da una o due ali laterali.

 

Questa fase è ben presente con alcuni notevoli palazzi patrizi cittadini di origine rinascimentale,  ristrutturati per lo più tra il XVII e il XVIII secolo. E’ infatti soprattutto nel Settecento che  Cesena muta radicalmente il suo volto dal punto di vista dell’immagine architettonica: i palazzi urbani, concentrati su alcune strade principali, abbelliscono scenograficamente la città con i loro prospetti. Anche in provincia dunque la classe dirigente si allineava ai gusti e alla nuova cultura dell’abitare che emanava dai grossi centri regionali e a livello nazionale. 


 


 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PALAZZO GHINI (già Mazzoli),  

via Chiaramonti n.1

Facciata

 

Ubicato all'inizio di via Chiaramonti, fu costruito per i Ragazzini dall'architetto e pittore mantovano Leandro Marconi (1763-1837; attivo a Cesena dal 1791), ma, acquistato poi da F. Mazzoli, passò quindi alla famiglia Ghini.

Leandro Marconi è noto a Cesena per la sua prima commissione, la ristrutturazione e decorazione della chiesa dell'Osservanza, però si occupò tra l'altro anche della realizzazione dei palazzi Ragazzini Mazzoli e Guerrini Bratti.

La facciata è di proporzioni armoniose, ripartita in tre ordini di finestre dalle cornici marcapiano. Il portale centrale, a tutto sesto, focalizza la simmetria del prospetto.

Uno scalone monumentale, dalle pareti e soffitto decorati con figure classiche di ascendenza rinascimentale, conduce al piano nobile: le pareti sono movimentate da pseudo-nicchie rettangolari inquadrate da pilastri ionici;

nell'apertura ovale centrale della volta, che allude ad una cupola marmorea traforata, è dipinto il Trionfo di Venere.

Il salone al primo piano presenta alle pareti complesse composizioni prospettiche, con balaustra illusiva, alternata a logge con volta a botte cassettonata, alla base del soffitto;

nei raccordi angolari si inseriscono medaglioni con le rappresentazioni allegoriche di Poesia, Musica, Scultura e Pittura.

Al centro della volta è affrescato il Trionfo della Virtù;  non mancano decorazioni talvolta squisite e originali anche nei soffitti delle alcove, affrescati con scene di soggetto classico-mitologico.

 

PALAZZO GUERRINI BRATTI
(via Chiaramonti n 11)  

Guerrini-Bratti.jpg (180162 byte)

Facciata

Costruito su un nucleo abitativo forse di origini malatestiane, fu progettato dall'architetto Leandro Marconi (1763-1837)  e compiuto fra il 1792 e il 1796. Il palazzo è a pianta rettangolare con facciata a tre registri: un ordine inferiore bugnato e la restante ad intonaco decorato da fregi neocinquecenteschi; il portale in laterizio ad arco a sesto acuto (ai lati sono dipinti i blasoni dei nobili proprietari) non è stato ideato in asse con l'edificio.

All'interno il progettista ha pure realizzato, come suo solito, strutture architettoniche e decorazione pittorica; gli ambienti sono ridotti di dimensione, ma acquistano una maggiore funzionalità.

Un ampio androne con soffitto a cassettoni lignei introduce alla grande scalinata a rampe parallele le cui pareti sono decorate ad architetture illusive e che conduce al piano nobile e, per una scala a spirale, dà accesso all’ariosa galleria  del secondo piano.

La luce di un ampio lucernaio fa risaltare le delicate tonalità degli affreschi e delle decorazioni :

il vasto salone del piano nobile è decorato a motivi floreali ed allegorie mitologiche; nell'ultimo vano si segnala un Ercole monocromo entro un'edicola triangolare e, al centro del soffitto, Lucifero, delicata raffigurazione alata dell'anticipo dell'Aurora; in una nicchia della scala si ammira pure la scultura che raffigura la Libertà.

L'ampia galleria del secondo piano, su cui si aprono le diverse alcove, è completamente decorata, a cominciare dalle pareti, con tutto il ricco repertorio classicistico proprio del Marconi.

Si ricorda infine, al centro di una balaustra mistilinea, la rappresentazione della  Allegoria di Pace e Giustizia.

 

PALAZZO SIROTTI GAUDENZI (già PASOLINI),  via Chiaramonti n.34  

Sirotti-Gaudenzi.jpg (188262 byte)

Facciata

 

Elegante palazzo di gusto neoclassico, sorto su un precedente nucleo abitativo seicentesco, fu abbellito dal faentino  Felice Giani (1758-1823) su incarico del proprietario conte Pietro Pasolini, alla cui morte passò alla famiglia patrizia Sirotti Gaudenzi.

La facciata è ornata da bassorilievi fittili  posti nella fascia marcapiano raffiguranti divinità mitologiche e dalle finestre del piano nobile a cornici mistilinee. Una semplice ma elegante balconata inquadra, in asse con la facciata, il portale ad arco a tutto sesto.

Il piano nobile conserva ancora le decorazioni del Giani: i riquadri a tempera dell'artista, posti al centro dei soffitti, sono stati abbelliti da eleganti affreschi e aggraziati stucchi dai suoi collaboratori (Gaetano  Bertolani, Pietro Piani e Giovan Battista  Ballanti Graziani).

Perfettamente conservati soprattutto nel salone d'angolo, ancora originale, sono i bassorilievi in stucco raffiguranti le Tre Grazie e un Sacrificio pagano, mentre al centro campeggia la tempera Partenza di Attilio Regolo, rivissuta intensamente in una rappresentazione squisitamente neoclassica.

La seconda sala ci restituisce (purtroppo in cattivo stato) decori con vedute paesaggistiche (fra i meglio conservati il Paesaggio con ponte e figure e il Paesaggio con ara e figure del  Piani).

La più bella delle tre tele eseguite da Giani, l'ovale con Edipo davanti alla grotta delle Eumenidi, era in origine posta al centro della sala poligonale ed oggi è stato rimossa per motivi di tutela e conservazione (per gli stessi motivi è stato staccato anche l'ovale del medesimo autore, Putti in paesaggio classico). Si può ammirare invece nella vasta sala ottagonale, al centro, la bella tempera con  Venere che indica al pastore Enea il banchetto degli Dei, opera del Giani di estremo rigore formale.

Le sale sono fiancheggiate da una serie di piccoli ambienti comunicanti tra loro e le pareti, ritmate da lesene e rilievi dorati, sostengono una bellissima volta a canniccio impaginata a vele alternate azzurre e bianche, incorniciate da decorazioni a candelabre e animali fantastici.

 

Tre Grazie.jpg (108854 byte)

G.B. Ballanti Graziani, Le tre Grazie

 

 

PALAZZO CHIARAMONTI,
via Chiaramonti n.52  

239.jpg (56764 byte)

Facciata

 

Quasi di fronte alla chiesa di S. Cristina, l'edificio sorse all'inizio del Settecento per volontà del nobile Giovanni Gaetano Carli che lo abbellì di stucchi e di affreschi realizzati l'ultimo ventennio del sec. XVIII da Giuseppe Milani (1716-1798). Nel 1807 fu acquistato dal papa cesenate Pio VII (Barnaba Chiaramonti) per donarlo al nipote Scipione Chiaramonti. Agli inizi dell'Ottocento fu ristrutturato secondo il gusto neoclassico dall'architetto Pietro Tomba (1774-1846) e nella seconda metà dello stesso secolo conobbe ulteriori modifiche con la creazione di una nuova facciata in via Sacchi e abbellimenti decorativi dei soffitti del secondo piano commissionati a Lucio Rossi (1821-1910). La famiglia Chiaramonti è tuttora proprietaria dell'immobile.

La facciata, sobriamente intonacata e divisa in tre ordini da cornici marcapiano in cotto, con al centro un austero portone voltato a tutto sesto, è diversa dal progetto originario di Pietro Tomba, mai realizzato. Egli però disegnò gli eleganti appartamenti del piano nobile con quel suo stile neoclassico misurato, basato sul ripensamento del classicismo  quattro-cinquecentesco.

Un ampio androne immette nel giardino interno a pianta rettangolare, delimitato dai corpi di fabbrica adibiti a servizi.

Ma  è lo scalone monumentale  il punto focale del corpo centrale del palazzo, che si apre in uno spazio modulato dalla luce, essa stessa decoro.

Al centro del soffitto si ammira l'Olimpo affrescato da Giuseppe Milani, indiscusso protagonista della pittura cesenate della metà del Settecento. Tutto l'apparato decorativo presente nella sala d'onore e nei soffitti di altri ambienti del piano nobile, si colloca nell'ultima fase d'attività del pittore (fra il 1780 e il 1790): si ammirano alle pareti i due affreschi I Galli in Campidoglio e Antonio e Cleopatra, mentre nel soffitto ciò che sopravvive di un altro grande affresco, Allegoria della vita e del giorno, andato parzialmente distrutto durante la seconda guerra mondiale.

Il secondo piano del palazzo fu decorato intorno al 1866 da Lucio Rossi con gusti eclettici e neorococò: si ammirano alcune scene bucoliche, come la  Pastorella.

 

Chia-11.jpg (178106 byte)

Androne d'ingresso

 

Chia-12.jpg (95781 byte)

Giardino interno

 

Chia-13.jpg (114227 byte)

Scalone e loggia

 

PALAZZO ROMAGNOLI,
Via Uberti 30

Romagnoli.jpg (224805 byte)

Facciata, particolare

 

 

Roma-15.jpg (177374 byte)

Loggia

 

Già palazzo Maraldi, nel 1711 passò di proprietà alla nobile famiglia Romagnoli nella persona del marchese Prospero, ma fu il figlio Michelangelo che fra il 1753 e il 1765 lo ristrutturò sulla base di progetti elaborati personalmente.

La chiusura del cortile sul lato delle mura sarebbe invece stata opera dell'architetto Pietro Carlo Borboni. Posteriore a questa fase edilizia è solo l'ala sinistra della fabbrica eretta dall'erede Melchiorre dopo il 1789, atterrando case già  proprietà Malvezzi.

Il Palazzo è a tutt'oggi una delle dimore storiche più splendide della città (di recente restaurato, è attualmente ripartito fra tre diversi proprietari). Ricco di decorazioni di alto livello artistico, non conosciamo però il nome degli  stuccatori e decoratori.

Fu  chiamato Giuseppe Milani ad affrescare con pennello abilissimo le volte del piano nobile e della  galleria del secondo piano, mentre Francesco Callegari ornò logge e angoli del salone di dei e dee di terracotta; infine Giovanni Urbini realizzò porte e superfici lignee intagliate con moderato gusto rococò.

La facciata rivela una perfetta integrazione orizzontale e verticale, calcolata attraverso la sapiente sovrapposizione dei piani; il portone centrale monumentale, a tutto sesto, in simmetria col prospetto, è inquadrato da colonne in pietra d'Istria e sormontato da un balcone aggettante.

La pianta dell'edificio è ad "U" con corpo centrale a tre piani e a fianco due ali più basse. Attraverso un profondo androne si raggiungono le scale laterali simmetriche, conducenti ai piani superiori ( il piano nobile è attualmente diviso in due parti non comunicanti).

Alle pareti del salone d'onore, oggi accessibile solo attraverso la scalinata laterale sinistra, campeggiano le tele
Il passaggio del Rubicone
e L'uccisione di Cesare, di Milani, già neoclassiche nell'impostazione; dello stesso autore sono pure  i grandiosi affreschi del soffitto con l'Apoteosi di Giulio Cesare (motivi storico-allegorici cari al mondo accademico cesenate dell'epoca).

Ancora Milani e la sua bottega sono gli artefici delle decorazioni pittoriche degli ambienti alla destra del salone: sono nove le sale affrescate con scene mitologiche (Venere che consegna le armi ad Enea; La caduta dei Giganti; Venere; Cerere; Apollo citaredo; Vittoria; Diana cacciatrice; Pittura; Aurora) secondo due diversi schemi compositivi.

Le sale a sinistra del salone furono invece abbellite nell'Ottocento con affreschi del cesenate Lucio Rossi, in stile neorococò.

Sempre di Milani sono invece i notevoli affreschi che si ammirano nel soffitto della "galleria dell'Orologio" al piano superiore, con le personificazioni dei Quattro continenti e l'Allegoria della vita e del giorno.

 

Roma-16.jpg (76606 byte)

F. Calligari, L'Abbondanza, particolare

 

 

 

PALAZZO GHINI,
c.so Sozzi n.39

Ghini-17.jpg (135743 byte)

Facciata, particolare

 

Ghini-18.jpg (73418 byte)

Prospetto della loggia

 

L'antica famiglia patrizia dei Ghini, nelle persone dei fratelli Giacomo Francesco ed Alessandro Bruno, commissionò nel 1680 all'architetto cesenate Pier Mattia Angeloni (1627-1701) la costruzione del Palazzo all'incrocio fra l'antica strada Cervese e la contrada S. Zenone. La pianta in origine era ad "U" ma furono realizzati solo i corpi di fabbrica prospettanti su c.so Sozzi e, parzialmente, su via Uberti.

La facciata prospiciente c.so Sozzi è grandiosa ma incompiuta nelle finiture lapidee, caratterizzata da due ordini di finestre e dal bugnato in pietra d'Istria (con stemma gentilizio, a mezza altezza, di Papa Pio VI Braschi);

il portico sul lato interno è monumentale, con una loggia sovrastante che s'affaccia sul cortile, entrambi abbelliti da eleganti colonne in pietra d'Istria, binate nelle arcate centrali: la loggia è decorata inoltre da raffinati elementi ornamentali plastici e dalle quattro statue di Francesco Calligari  raffiguranti Cerere, Gloria, Marte e Minerva.

nel piano nobile il vasto salone a doppio volume riscontra nelle proporzioni analogie con i modelli delle sale d'onore bolognesi. L'insieme infine è decorato dal ciclo di tredici (in origine erano 15) leggiadri affreschi con soggetti storico-mitologici e allegorici dipinti da Giacomo Bolognini (1664-1734) tra il  1719 e il 1721; fra questi si ricorda il Servio Tullio nella reggia di Tarquinio Prisco col capo avvolto da una fiamma ardente, con scena ricca di dettagli, su sfondo di architetture e di paesaggio.

Fra le pitture sovrapporta si ammirano La Terra, Il Fuoco e l'Acqua in cui le figure allegoriche campeggiano in primo piano; tra i grandi ovali ricordiamo Diana cacciatrice e la Lotta fra Ercole e Apollo, caratterizzati da scene concitate, tipiche di una composizione tardo-barocca.

Il grande ciclo pittorico del salone necessiterebbe di un auspicabile restauro.

PALAZZO MASINI ,
c.so Sozzi n.5

PALMASINI 1.jpg (546532 byte)

Facciata

 

L'impianto attuale, presumibilmente risalente al XVIII secolo, risulta dalla fusione di palazzi minori e l'edificio appartenne all'antica e illustre famiglia Masini.

Uno scalone a due rampe parallele, dotato di balaustra e soffittato con volta a botte, immette nel piano nobile organizzato intorno ad un grande salone, a doppio volume, con gli stemmi delle famiglie patrizie che si sono succedute nel possesso dell'edificio.

La prima sala, alla sinistra del salone, ha il soffitto decorato a grottesche di stile pompeiano con rappresentati elementi apollinei e dionisiaci, nonché quadretti con divinità classiche affiancati da tondi con paesaggi idillici:

si può ammirare nel settore centrale, entro cornice di stucco, Il banchetto degli dei dell'Olimpo, attorniato da riquadri con teste bacchiche entro ghirlande.

Nella sala successiva, con soffitto illusionisticamente dipinto a finti cassettoni, si possono ammirare delle belle sovrapporte raffiguranti paesaggi fantastici e idillici e, al centro della volta, due Amorini in volo.

Anche la terza sala presenta lo stesso tipo di decorazione. Le sovrapporte di questi due ambienti sono attribuibili a Francesco Masini (1735-1817).

Le decorazioni dell'ultima stanza alla sinistra del salone, con soffitto a cassettoni dipinti, putti alati al centro, finti bassorilievi alle pareti, sono invece attribuibili a Lucio Rossi, così come gli ornati negli ambienti a destra del salone.  

 

 

PALAZZO LOCATELLI,
incrocio tra via Tiberti e via Isei

Locatelli.jpg (42649 byte)

Facciata

 

Loca-21.jpg (159978 byte)

G.B. Romanino, inferriata

 

Loca-22.jpg (170459 byte)

Scalone

 

Antica casa-torre, unica sopravvissuta nel contesto urbano benché profondamente trasformata, di epoca malatestiana, appartenne all'antica famiglia patrizia dei Tiberti.

Alla fine del XVI secolo divenne di proprietà dell'illustre famiglia Locatelli, di cui alcuni rappresentanti intrapresero con successo la carriera ecclesiastica. Il palazzo fu ampliato e trasformato alla fine del Seicento (forse ad opera dell'architetto Pietro Mattia Angeloni), ma perse definitivamente la torre solo nel 1797, in seguito ad un incendio.

Le decorazioni degli ambienti interni hanno conosciuto numerosi interventi, fino agli inizi del sec. XX. Di recente è stato nuovamente restaurato.

L'alta base a scarpa, delimitata per tutto il perimetro dell'edificio da una cornice marcapiano in laterizio, tradisce la sua antica origine. Preziose inferriate in ferro battuto (firmate e datate Giovan Battista Romanino 1658), con rosette entro volute laterali, ornano le finestre del pianterreno.

Due corpi di fabbrica rettangolari disposti a "L" e delimitanti un cortile interno, costituiscono la pianta dei due corpi di fabbrica, che presentano due accessi: su via Tiberti un imponente portale secentesco in laterizio; su via Isei un portale principale semplice che immette in un androne a volte a crociera e a botte alternate e che conduce allo scalone monumentale a pianta quadrilatera con  pilastri a sostegno delle rampe sovrastanti.

Le ricche decorazioni del piano nobile risalgono per la maggior parte al Settecento. Il salone d'onore è stato affrescato da un artista della scuola di Leandro Marconi (attivo in palazzo Guidi e in altri edifici cittadini): s'ammirano sul soffitto, agli angoli, le Allegorie dei Continenti, mentre al centro la Glorificazione della città di Cesena; campiscono la restante parte del grande soffitto le personificazioni del Fiume Savio  e del Rubicone.

A sinistra dello scalone si aprono due sale prospicienti via Isei  i cui soffitti ottocenteschi furono affrescati forse da Angelo Masini. Nella prima, abbellita da numerose decorazioni, si può ammirare anche un bellissimo camino.

E' infine Giuseppe Milani l'esecutore dell'affresco di notevole pregio Leda e il cigno che nel piano nobile decora un soffitto.

 

 

PALAZZO GUIDI,
c.so Comandini n.1  

 

Commissionato da Francesco Carli agli inizi del Settecento, di fronte al luogo ove sorgeva un convento delle Cappuccine, passò ben presto di proprietà ai marchesi Guidi di Bagno.

Originariamente il prospetto del palazzo presentava  un corpo centrale rientrante, con portico e scarsi elementi decorativi. Le epigrafi conservate presso l'atrio dell'edificio testimoniano i soggiorni nella dimora patrizia di personaggi illustri, tra cui Napoleone Bonaparte nel febbraio del 1797, e le parentele nobili acquisite mediante matrimoni.

Nell'Ottocento Costantino Guidi, ultimo discendente della famiglia, affrescò personalmente un'ampia sala del palazzo. Agli inizi del Novecento lo stabile fu acquisito dal Comune e fu trasformato in scuola. Oggi ospita nell'ala sinistra del piano nobile il Conservatorio Statale "Bruno Maderna".

Un'elegante balconata, che insiste sopra il porticato, con arcate a tutto sesto e pilastri quadrangolari, unisce il corpo centrale alle ali laterali del palazzo, la cui pianta è a doppia "H" affiancata.

Il pesante decoro che incornicia  i finestroni, le portafinestre e gli ovali, che coronano la facciata, risalgono ai rifacimenti del primo Novecento.

Un androne a quattro campate introduce al cortile lastricato interno, da cui si può accedere al piano nobile attraverso due rampe di scale opposte.

Le decorazioni interne si sono aggiunte progressivamente a partire dal Settecento fino alla metà dell'Ottocento: una sala  del piano nobile ha un elegante soffitto abbellito dall'affresco del pittore Giuseppe Milani, Allegoria dell'aria,  in una composizione leggera, circondata da cesti di fiori e ghirlande, con effetti di sfondato prospettico.

I restanti anbienti dell'ala sinistra, benché conservino ancora soffitti riccamente decorati (ma in attesa di restauro scientifico) risentono dell'uso improprio che il palazzo ha subito nel corso dell'ultimo secolo: il recente restauro del soffitto tardo-settecentesco della sala a pianta rettangolare, affacciata sulla strada, ci ha restituito la bella Venere circondata da Amorini , attribuibile ad un artista allievo di Leandro Marconi, forse anche autore del tondo con Putti danzanti (oggi per motivi di conservazione staccato dal soffitto del corridoio).

Nell'ala destra dell'edificio sono meglio conservate le strutture originarie ed anche i motivi decorativi, attribuibili almeno in parte ad Angelo Masini.

La vasta sala fu invece dipinta a tempera dal marchese Costantino Guidi con scene che ricordano i matrimoni di casa Guidi e la nobiltà dell'antico casato.

La seconda sala che s'affaccia sul corridoio, a destra, ci conserva uno dei soffitti più belli con l'affresco Offerte votive alla dea Cerere, raffigurata con falce e messi di fronte ad un'ara.

Il palazzo in origine non era solo abbellito da un ricchissimo apparato decorativo, ma conservava pure una notevole collezione d'arte, oggi purtroppo dispersa.

Guidi.jpg (121615 byte)

Facciata

 

 

Guidi-24.jpg (123287 byte)

Cortile interno

 

Guidi-25.jpg (208641 byte)

Atrio

 

 

IL (cosiddetto) PALAZZO DELL'UNIVERSITA' E L'ANTICO STUDIO CITTADINO

Il palazzo, sito in v.le Mazzoni, risale al sec. XVIII, ma si contraddistingue per l’ampio portale risalente al sec. XVI, riccamente ornato: due eleganti colonne su alto piedistallo sostengono la trabeazione in cui campeggia un’iscrizione latina; nel timpano un bassorilievo con al centro, entro clipeo, il monogramma bernardiniano I.H.S. affiancato da due animali marini fantastici (corpo da delfino con coda da tritone). E’ probabile che il monumentale portale  sia stato qui riutilizzato, ma provenisse da altra costruzione. Il portale immette in un ampio e arioso corridoio su cui s’affacciano  soglie che recano scolpite sulla trabeazione motti in latino. Di recente l’edificio è stato sottoposto a restauro conservativo.

 

Non è certo però che sia stato sede nel XVIII secolo dell'Università cesenate, la cui attività fu  interrotta unilateralmente nel 1800 con decreto del governo francese: la sede dello Studio cittadino in origine era infatti presso i locali di S. Tobia, di fronte all'ospedale del SS. Mo Crocifisso. Dopo il 1722 si trasferì presso il Palazzo della Comunità; ma la tradizione, seppur al momento non confortata da fonti documentarie, vuole che  abbia avuto sede, almeno nell'ultimo periodo della sua vita, presso il Palazzo di v.le Mazzoni, denominato anche Ospizio dei Gesuiti.

 

L'Università di Cesena fu a lungo la sola esistente in Romagna, tuttavia la sua storia  plurisecolare presenta ancor oggi lati poco conosciuti ed inoltre non ebbe una vita molto illustre, benché abbia annoverato fra i suoi maestri personalità quali Jacopo Mazzoni, Scipione Chiaramonti, il matematico Giuseppe Verzaglia e il fisico Bonaventura Gazòla.

Sorse attraverso un lungo processo evolutivo che vide a Cesena già dal sec. XIV la presenza di fiorenti scholae, fra cui una comunale, incentivate poi dal fervido lavorio intellettuale promosso dallo  Studio sorto all'interno della Biblioteca malatestiana. Gli antefatti della creazione di uno Studio cittadino sono però la costituzione del Collegio dei giuristi (1504) e il privilegio ad esso concesso da papa Clemente VII nel 1524 di addottorare. Il pieno riconoscimento giuridico si ottenne solo nel 1570 con patente legatizia del cardinale Alessandro Sforza e successivamente Clemente X nel 1675 toglierà ogni vincolo al numero degli addottoramenti. Il Collegio dei giuristi, che reggeva l'università cesenate, era costituito a maggioranza da laici (perciò lo Studio era controllato dalla comunità e non dal vescovo), fatto unico nel contesto romagnolo, fino alla riforma di Benedetto XIII del 1725 che, costituendo un Collegio dei teologi, ne ridefiniva la composizione a favore di quest'ultimo. Dopo il periodo napoleonico inutilmente si tentò da parte di illustri cittadini di ridare vita all'antica università cesenate e solo dal 1989 Cesena è di nuovo sede di facoltà universitarie.