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       La vicenda architettonica delle ville e dei palazzi, a partire dall’età rinascimentale, ha caratterizzato anche a Cesena il paesaggio rurale e urbano. Per quanto riguarda l’agro cesenate, il trapasso dagli impianti rurali fortificati di età medioevale e tardo-medioevale alla villa, avviene gradualmente. Alcuni esempi sono il “castello” malatestiano di S. Giorgio (andato distrutto nell’ultimo conflitto mondiale, ma si conserva presso la Biblioteca malatestiana il bel bassorilievo con S. Giorgio che ornava l’ingresso alla torre), la villa-castello di Bulgarnò (forse dei Roverella), infine fra il nuovo tipo di dimora signorile rurale, caratterizzata dalla doppia funzione di luogo di villeggiatura e di raccordo delle attività agricole, possiamo ricordare la villa Neri già Martinelli e il Casino della Congrezione di S. Filippo, poi Almerici.   In ambito urbano invece dalla casa a corte tipicamente medioevale si giunge, attraverso fasi successive, al palazzo rinascimentale caratterizzato da un corpo centrale sulla strada con una facciata ben strutturata, da un atrio d’ingresso con scalone, da un vano (portico-loggia) che si apre su un cortile interno e da una o due ali laterali.   Questa fase è ben presente con alcuni notevoli palazzi patrizi cittadini di origine rinascimentale, ristrutturati per lo più tra il XVII e il XVIII secolo. E’ infatti soprattutto nel Settecento che Cesena muta radicalmente il suo volto dal punto di vista dell’immagine architettonica: i palazzi urbani, concentrati su alcune strade principali, abbelliscono scenograficamente la città con i loro prospetti. Anche in provincia dunque la classe dirigente si allineava ai gusti e alla nuova cultura dell’abitare che emanava dai grossi centri regionali e a livello nazionale. 
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       via Chiaramonti n.1 
 Facciata 
 Ubicato all'inizio di via
      Chiaramonti, fu costruito per i Ragazzini dall'architetto e pittore
      mantovano Leandro Marconi (1763-1837; attivo a Cesena dal 1791), ma,
      acquistato poi da F. Mazzoli, passò quindi alla famiglia Ghini. Leandro Marconi è noto a
      Cesena per la sua prima commissione, la ristrutturazione e decorazione
      della chiesa dell'Osservanza, però si occupò tra l'altro anche della
      realizzazione dei palazzi Ragazzini Mazzoli e Guerrini Bratti. La facciata è di proporzioni armoniose, ripartita in tre ordini di finestre dalle cornici marcapiano. Il portale centrale, a tutto sesto, focalizza la simmetria del prospetto. Uno scalone monumentale, dalle pareti e soffitto decorati con figure classiche di ascendenza rinascimentale, conduce al piano nobile: le pareti sono movimentate da pseudo-nicchie rettangolari inquadrate da pilastri ionici; nell'apertura ovale centrale della volta, che allude ad una cupola marmorea traforata, è dipinto il Trionfo di Venere. Il salone al primo piano presenta alle pareti complesse composizioni prospettiche, con balaustra illusiva, alternata a logge con volta a botte cassettonata, alla base del soffitto; nei raccordi angolari si inseriscono medaglioni con le rappresentazioni allegoriche di Poesia, Musica, Scultura e Pittura. Al centro della volta è
      affrescato il Trionfo della Virtù; 
      non mancano decorazioni talvolta squisite e originali anche nei
      soffitti delle alcove, affrescati con scene di soggetto
      classico-mitologico. 
 PALAZZO GUERRINI BRATTI  Facciata Costruito su un nucleo
      abitativo forse di origini malatestiane, fu progettato dall'architetto
      Leandro Marconi (1763-1837)  e
      compiuto fra il 1792 e il 1796. Il palazzo è a pianta rettangolare con
      facciata a tre registri: un ordine inferiore bugnato e la restante ad
      intonaco decorato da fregi neocinquecenteschi; il portale in laterizio ad
      arco a sesto acuto (ai lati sono dipinti i blasoni dei nobili proprietari)
      non è stato ideato in asse con l'edificio.  All'interno il
      progettista ha pure realizzato, come suo solito, strutture architettoniche
      e decorazione pittorica; gli ambienti sono ridotti di dimensione, ma
      acquistano una maggiore funzionalità.  Un ampio androne con
      soffitto a cassettoni lignei introduce alla grande scalinata a rampe
      parallele le cui pareti sono decorate ad architetture illusive e che
      conduce al piano nobile e, per una scala a spirale, dà accesso
      all’ariosa galleria  del
      secondo piano.  La luce di un ampio
      lucernaio fa risaltare le delicate tonalità degli affreschi e delle
      decorazioni : il vasto salone del
      piano nobile è decorato a motivi floreali ed allegorie mitologiche;
      nell'ultimo vano si segnala un Ercole
      monocromo entro un'edicola triangolare e, al centro del soffitto, Lucifero,
      delicata raffigurazione alata dell'anticipo dell'Aurora; in una nicchia
      della scala si ammira pure la scultura che raffigura la Libertà.
       L'ampia galleria del
      secondo piano, su cui si aprono le diverse alcove, è completamente
      decorata, a cominciare dalle pareti, con tutto il ricco repertorio
      classicistico proprio del Marconi. 
 
 PALAZZO SIROTTI
      GAUDENZI (già PASOLINI),  via Chiaramonti
      n.34 Facciata 
 Elegante palazzo di
      gusto neoclassico, sorto su un precedente nucleo abitativo seicentesco, fu
      abbellito dal faentino  Felice
      Giani (1758-1823) su incarico del proprietario conte Pietro Pasolini, alla
      cui morte passò alla famiglia patrizia Sirotti Gaudenzi.  La facciata è ornata
      da bassorilievi fittili  posti
      nella fascia marcapiano raffiguranti divinità mitologiche e dalle
      finestre del piano nobile a cornici mistilinee. Una semplice ma elegante
      balconata inquadra, in asse con la facciata, il portale ad arco a tutto
      sesto.  Il piano nobile
      conserva ancora le decorazioni del Giani: i riquadri a tempera
      dell'artista, posti al centro dei soffitti, sono stati abbelliti da
      eleganti affreschi e aggraziati stucchi dai suoi collaboratori (Gaetano 
      Bertolani, Pietro Piani e Giovan Battista 
      Ballanti Graziani).  Perfettamente
      conservati soprattutto nel salone d'angolo, ancora originale, sono i
      bassorilievi in stucco raffiguranti le Tre
      Grazie e un Sacrificio pagano,
      mentre al centro campeggia la tempera Partenza
      di Attilio Regolo, rivissuta intensamente in una rappresentazione
      squisitamente neoclassica.  La seconda sala ci
      restituisce (purtroppo in cattivo stato) decori con vedute paesaggistiche
      (fra i meglio conservati il Paesaggio
      con ponte e figure e il Paesaggio
      con ara e figure del  Piani).
       La più bella delle
      tre tele eseguite da Giani, l'ovale con Edipo davanti alla grotta delle Eumenidi, era in origine posta al
      centro della sala poligonale ed oggi è stato rimossa per motivi di tutela
      e conservazione (per gli stessi motivi è stato staccato anche l'ovale del
      medesimo autore, Putti in paesaggio
      classico). Si può ammirare invece nella vasta sala ottagonale, al
      centro, la bella tempera con  Venere
      che indica al pastore Enea il banchetto degli Dei, opera del Giani di
      estremo rigore formale. 
 G.B. Ballanti Graziani, Le tre Grazie 
   PALAZZO
      CHIARAMONTI,  Facciata 
 Quasi di fronte alla
      chiesa di S. Cristina, l'edificio sorse all'inizio del Settecento per
      volontà del nobile Giovanni Gaetano Carli che lo abbellì di stucchi e di
      affreschi realizzati l'ultimo ventennio del sec. XVIII da Giuseppe Milani
      (1716-1798). Nel 1807 fu acquistato dal papa cesenate Pio VII (Barnaba
      Chiaramonti) per donarlo al nipote Scipione Chiaramonti. Agli inizi
      dell'Ottocento fu ristrutturato secondo il gusto neoclassico
      dall'architetto Pietro Tomba (1774-1846) e nella seconda metà dello
      stesso secolo conobbe ulteriori modifiche con la creazione di una nuova
      facciata in via Sacchi e abbellimenti decorativi dei soffitti del secondo
      piano commissionati a Lucio Rossi (1821-1910). La famiglia Chiaramonti è
      tuttora proprietaria dell'immobile.  La facciata,
      sobriamente intonacata e divisa in tre ordini da cornici marcapiano in
      cotto, con al centro un austero portone voltato a tutto sesto, è diversa
      dal progetto originario di Pietro Tomba, mai realizzato. Egli però disegnò
      gli eleganti appartamenti del piano nobile con quel suo stile neoclassico
      misurato, basato sul ripensamento del classicismo 
      quattro-cinquecentesco.  Un ampio androne
      immette nel giardino interno a pianta rettangolare, delimitato dai corpi
      di fabbrica adibiti a servizi.  Ma 
      è lo scalone monumentale  il
      punto focale del corpo centrale del palazzo, che si apre in uno spazio
      modulato dalla luce, essa stessa decoro.  Al centro del soffitto
      si ammira l'Olimpo affrescato da
      Giuseppe Milani, indiscusso protagonista della pittura cesenate della metà
      del Settecento. Tutto l'apparato decorativo presente nella sala d'onore e
      nei soffitti di altri ambienti del piano nobile, si colloca nell'ultima
      fase d'attività del pittore (fra il 1780 e il 1790): si ammirano alle
      pareti i due affreschi I Galli in
      Campidoglio e Antonio e
      Cleopatra, mentre nel soffitto ciò che sopravvive di un altro grande
      affresco, Allegoria della vita e del
      giorno, andato parzialmente distrutto durante la seconda guerra
      mondiale.  
 Androne d'ingresso 
 Giardino interno 
 Scalone e loggia 
 PALAZZO
      ROMAGNOLI, Facciata, particolare 
 
 Loggia 
 Già palazzo Maraldi,
      nel 1711 passò di proprietà alla nobile famiglia Romagnoli nella persona
      del marchese Prospero, ma fu il figlio Michelangelo che fra il 1753 e il
      1765 lo ristrutturò sulla base di progetti elaborati personalmente. La chiusura del
      cortile sul lato delle mura sarebbe invece stata opera dell'architetto
      Pietro Carlo Borboni. Posteriore a questa fase edilizia è solo l'ala
      sinistra della fabbrica eretta dall'erede Melchiorre dopo il 1789,
      atterrando case già  proprietà
      Malvezzi.  Il Palazzo è a
      tutt'oggi una delle dimore storiche più splendide della città (di
      recente restaurato, è attualmente ripartito fra tre diversi proprietari).
      Ricco di decorazioni di alto livello artistico, non conosciamo però il
      nome degli  stuccatori e
      decoratori. Fu 
      chiamato Giuseppe Milani ad affrescare con pennello abilissimo le
      volte del piano nobile e della  galleria del secondo piano, mentre Francesco Callegari ornò
      logge e angoli del salone di dei e dee di terracotta; infine Giovanni
      Urbini realizzò porte e superfici lignee intagliate con moderato gusto
      rococò.  La facciata rivela una
      perfetta integrazione orizzontale e verticale, calcolata attraverso la
      sapiente sovrapposizione dei piani; il portone centrale monumentale, a
      tutto sesto, in simmetria col prospetto, è inquadrato da colonne in
      pietra d'Istria e sormontato da un balcone aggettante. La pianta
      dell'edificio è ad "U" con corpo centrale a tre piani e a
      fianco due ali più basse. Attraverso un profondo androne si raggiungono
      le scale laterali simmetriche, conducenti ai piani superiori ( il piano
      nobile è attualmente diviso in due parti non comunicanti).  Alle pareti del salone
      d'onore, oggi accessibile solo attraverso la scalinata laterale sinistra,
      campeggiano le tele Ancora Milani e la sua
      bottega sono gli artefici delle decorazioni pittoriche degli ambienti alla
      destra del salone: sono nove le sale affrescate con scene mitologiche (Venere
      che consegna le armi ad Enea; La caduta dei Giganti; Venere; Cerere;
      Apollo citaredo; Vittoria; Diana cacciatrice; Pittura; Aurora) secondo
      due diversi schemi compositivi.  Le sale a sinistra del
      salone furono invece abbellite nell'Ottocento con affreschi del cesenate
      Lucio Rossi, in stile neorococò.  
 F. Calligari, L'Abbondanza, particolare 
 
     PALAZZO GHINI, Facciata, particolare 
 Prospetto della loggia 
 L'antica famiglia
      patrizia dei Ghini, nelle persone dei fratelli Giacomo Francesco ed
      Alessandro Bruno, commissionò nel 1680 all'architetto cesenate Pier
      Mattia Angeloni (1627-1701) la costruzione del Palazzo all'incrocio fra
      l'antica strada Cervese e la contrada S. Zenone. La pianta in origine era
      ad "U" ma furono realizzati solo i corpi di fabbrica
      prospettanti su c.so Sozzi e, parzialmente, su via Uberti.  La facciata
      prospiciente c.so Sozzi è grandiosa ma incompiuta nelle finiture lapidee,
      caratterizzata da due ordini di finestre e dal bugnato in pietra d'Istria
      (con stemma gentilizio, a mezza altezza, di Papa Pio VI Braschi);  il portico sul lato
      interno è monumentale, con una loggia sovrastante che s'affaccia sul
      cortile, entrambi abbelliti da eleganti colonne in pietra d'Istria, binate
      nelle arcate centrali: la loggia è decorata inoltre da raffinati elementi
      ornamentali plastici e dalle quattro statue di Francesco Calligari 
      raffiguranti Cerere, Gloria, Marte
      e Minerva. nel piano nobile il
      vasto salone a doppio volume riscontra nelle proporzioni analogie con i
      modelli delle sale d'onore bolognesi. L'insieme infine è decorato dal
      ciclo di tredici (in origine erano 15) leggiadri affreschi con soggetti
      storico-mitologici e allegorici dipinti da Giacomo Bolognini (1664-1734)
      tra il  1719 e il 1721; fra
      questi si ricorda il Servio Tullio
      nella reggia di Tarquinio Prisco col capo avvolto da una fiamma ardente,
      con scena ricca di dettagli, su sfondo di architetture e di paesaggio.  Fra le pitture
      sovrapporta si ammirano La Terra, Il
      Fuoco e l'Acqua in cui le
      figure allegoriche campeggiano in primo piano; tra i grandi ovali
      ricordiamo Diana cacciatrice e la Lotta fra
      Ercole e Apollo, caratterizzati da scene concitate, tipiche di una
      composizione tardo-barocca. 
 PALAZZO MASINI
      , Facciata 
 L'impianto attuale,
      presumibilmente risalente al XVIII secolo, risulta dalla fusione di
      palazzi minori e l'edificio appartenne all'antica e illustre famiglia
      Masini.  Uno scalone a due
      rampe parallele, dotato di balaustra e soffittato con volta a botte,
      immette nel piano nobile organizzato intorno ad un grande salone, a doppio
      volume, con gli stemmi delle famiglie patrizie che si sono succedute nel
      possesso dell'edificio. La prima sala, alla
      sinistra del salone, ha il soffitto decorato a grottesche di stile
      pompeiano con rappresentati elementi apollinei e dionisiaci, nonché
      quadretti con divinità classiche affiancati da tondi con paesaggi
      idillici:  si può ammirare nel
      settore centrale, entro cornice di stucco, Il banchetto degli dei dell'Olimpo, attorniato da riquadri con teste
      bacchiche entro ghirlande. Nella sala successiva,
      con soffitto illusionisticamente dipinto a finti cassettoni, si possono
      ammirare delle belle sovrapporte raffiguranti paesaggi fantastici e
      idillici e, al centro della volta, due Amorini
      in volo.  Anche la terza sala
      presenta lo stesso tipo di decorazione. Le sovrapporte di questi due
      ambienti sono attribuibili a Francesco Masini (1735-1817).  
     PALAZZO
      LOCATELLI, Facciata 
 G.B. Romanino, inferriata 
 Scalone 
 Antica casa-torre,
      unica sopravvissuta nel contesto urbano benché profondamente trasformata,
      di epoca malatestiana, appartenne all'antica famiglia patrizia dei Tiberti. Alla fine del XVI
      secolo divenne di proprietà dell'illustre famiglia Locatelli, di cui
      alcuni rappresentanti intrapresero con successo la carriera ecclesiastica.
      Il palazzo fu ampliato e trasformato alla fine del Seicento (forse ad
      opera dell'architetto Pietro Mattia Angeloni), ma perse definitivamente la
      torre solo nel 1797, in seguito ad un incendio.  Le decorazioni degli
      ambienti interni hanno conosciuto numerosi interventi, fino agli inizi del
      sec. XX. Di recente è stato nuovamente restaurato.  L'alta base a scarpa,
      delimitata per tutto il perimetro dell'edificio da una cornice marcapiano
      in laterizio, tradisce la sua antica origine. Preziose inferriate in ferro
      battuto (firmate e datate Giovan Battista Romanino 1658), con rosette
      entro volute laterali, ornano le finestre del pianterreno.  Due corpi di fabbrica
      rettangolari disposti a "L" e delimitanti un cortile interno,
      costituiscono la pianta dei due corpi di fabbrica, che presentano due
      accessi: su via Tiberti un imponente portale secentesco in laterizio; su
      via Isei un portale principale semplice che immette in un androne a volte
      a crociera e a botte alternate e che conduce allo scalone monumentale a
      pianta quadrilatera con  pilastri a sostegno delle rampe sovrastanti.
       Le ricche decorazioni
      del piano nobile risalgono per la maggior parte al Settecento. Il salone
      d'onore è stato affrescato da un artista della scuola di Leandro Marconi
      (attivo in palazzo Guidi e in altri edifici cittadini): s'ammirano sul
      soffitto, agli angoli, le Allegorie
      dei Continenti, mentre al centro la Glorificazione
      della città di Cesena; campiscono la restante parte del grande
      soffitto le personificazioni del Fiume
      Savio  e del Rubicone.
       A sinistra dello
      scalone si aprono due sale prospicienti via Isei  i cui soffitti ottocenteschi furono affrescati forse da
      Angelo Masini. Nella prima, abbellita da numerose decorazioni, si può
      ammirare anche un bellissimo camino.  
     PALAZZO
      GUIDI, 
 Commissionato da
      Francesco Carli agli inizi del Settecento, di fronte al luogo ove sorgeva
      un convento delle Cappuccine, passò ben presto di proprietà ai marchesi
      Guidi di Bagno.  Originariamente il
      prospetto del palazzo presentava  un
      corpo centrale rientrante, con portico e scarsi elementi decorativi. Le
      epigrafi conservate presso l'atrio dell'edificio testimoniano i soggiorni
      nella dimora patrizia di personaggi illustri, tra cui Napoleone Bonaparte
      nel febbraio del 1797, e le parentele nobili acquisite mediante matrimoni.
       Nell'Ottocento
      Costantino Guidi, ultimo discendente della famiglia, affrescò
      personalmente un'ampia sala del palazzo. Agli inizi del Novecento lo
      stabile fu acquisito dal Comune e fu trasformato in scuola. Oggi ospita
      nell'ala sinistra del piano nobile il Conservatorio Statale "Bruno
      Maderna".  Un'elegante balconata,
      che insiste sopra il porticato, con arcate a tutto sesto e pilastri
      quadrangolari, unisce il corpo centrale alle ali laterali del palazzo, la
      cui pianta è a doppia "H" affiancata.  Il pesante decoro che
      incornicia  i finestroni, le
      portafinestre e gli ovali, che coronano la facciata, risalgono ai
      rifacimenti del primo Novecento.  Un androne a quattro
      campate introduce al cortile lastricato interno, da cui si può accedere
      al piano nobile attraverso due rampe di scale opposte.  Le decorazioni interne
      si sono aggiunte progressivamente a partire dal Settecento fino alla metà
      dell'Ottocento: una sala  del
      piano nobile ha un elegante soffitto abbellito dall'affresco del pittore
      Giuseppe Milani, Allegoria
      dell'aria,  in una
      composizione leggera, circondata da cesti di fiori e ghirlande, con
      effetti di sfondato prospettico.  I restanti anbienti
      dell'ala sinistra, benché conservino ancora soffitti riccamente decorati
      (ma in attesa di restauro scientifico) risentono dell'uso improprio che il
      palazzo ha subito nel corso dell'ultimo secolo: il recente restauro del
      soffitto tardo-settecentesco della sala a pianta rettangolare, affacciata
      sulla strada, ci ha restituito la bella Venere
      circondata da Amorini , attribuibile ad un artista allievo di Leandro
      Marconi, forse anche autore del tondo con Putti
      danzanti (oggi per motivi di conservazione staccato dal soffitto del
      corridoio).  Nell'ala destra
      dell'edificio sono meglio conservate le strutture originarie ed anche i
      motivi decorativi, attribuibili almeno in parte ad Angelo Masini. La vasta sala fu
      invece dipinta a tempera dal marchese Costantino Guidi con scene che
      ricordano i matrimoni di casa Guidi e la nobiltà dell'antico casato.  La seconda sala che
      s'affaccia sul corridoio, a destra, ci conserva uno dei soffitti più
      belli con l'affresco Offerte votive
      alla dea Cerere, raffigurata con falce e messi di fronte ad un'ara.  
 Facciata 
 
 Cortile interno 
 Atrio 
 
 IL (cosiddetto) PALAZZO DELL'UNIVERSITA'
      E L'ANTICO STUDIO CITTADINO Il palazzo, sito in v.le
      Mazzoni, risale al sec. XVIII, ma si contraddistingue per l’ampio
      portale risalente al sec. XVI, riccamente ornato: due eleganti colonne su
      alto piedistallo sostengono la trabeazione in cui campeggia
      un’iscrizione latina; nel timpano un bassorilievo con al centro, entro
      clipeo, il monogramma bernardiniano I.H.S. affiancato da due animali
      marini fantastici (corpo da delfino con coda da tritone). E’ probabile
      che il monumentale portale  sia
      stato qui riutilizzato, ma provenisse da altra costruzione. Il portale
      immette in un ampio e arioso corridoio su cui s’affacciano 
      soglie che recano scolpite sulla trabeazione motti in latino. Di
      recente l’edificio è stato sottoposto a restauro conservativo.   Non è certo però che sia
      stato sede nel XVIII secolo dell'Università cesenate, la cui attività fu 
      interrotta unilateralmente nel 1800 con decreto del governo
      francese: la sede dello Studio cittadino in origine era infatti presso i
      locali di S. Tobia, di fronte all'ospedale del SS. Mo Crocifisso. Dopo il
      1722 si trasferì presso il Palazzo della Comunità; ma la tradizione,
      seppur al momento non confortata da fonti documentarie, vuole che 
      abbia avuto sede, almeno nell'ultimo periodo della sua vita, presso
      il Palazzo di v.le Mazzoni, denominato anche Ospizio dei Gesuiti.    L'Università di Cesena fu a
      lungo la sola esistente in Romagna, tuttavia la sua storia 
      plurisecolare presenta ancor oggi lati poco conosciuti ed inoltre
      non ebbe una vita molto illustre, benché abbia annoverato fra i suoi
      maestri personalità quali Jacopo Mazzoni, Scipione Chiaramonti, il
      matematico Giuseppe Verzaglia e il fisico Bonaventura Gazòla. Sorse attraverso un lungo
      processo evolutivo che vide a Cesena già dal sec. XIV la presenza di
      fiorenti scholae, fra cui una comunale, incentivate poi dal fervido lavorio
      intellettuale promosso dallo  Studio
      sorto all'interno della Biblioteca malatestiana. Gli antefatti della
      creazione di uno Studio cittadino sono però la costituzione del Collegio dei giuristi (1504) e il privilegio ad esso concesso da
      papa Clemente VII nel 1524 di addottorare. Il pieno riconoscimento
      giuridico si ottenne solo nel 1570 con patente legatizia del cardinale
      Alessandro Sforza e successivamente Clemente X nel 1675 toglierà ogni
      vincolo al numero degli addottoramenti. Il Collegio dei giuristi, che
      reggeva l'università cesenate, era costituito a maggioranza da laici
      (perciò lo Studio era controllato dalla comunità e non dal vescovo),
      fatto unico nel contesto romagnolo, fino alla riforma di Benedetto XIII
      del 1725 che, costituendo un Collegio dei teologi, ne ridefiniva la
      composizione a favore di quest'ultimo. Dopo il periodo napoleonico
      inutilmente si tentò da parte di illustri cittadini di ridare vita
      all'antica università cesenate e solo dal 1989 Cesena è di nuovo sede di
      facoltà universitarie. 
 
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