ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Il Discobolo di Mirone

Discobolo Lancellotti.
Copia di marmo del II secolo d.C. (provenienza: scavi dell'Esquilino, 1871), da originale bronzeo di Mirone datato al 450 a.C. circa.
Roma, Museo nazionale romano, Palazzo Massimo, Collezione Lancellotti.

Dario Lodi

Mirone era un nome molto diffuso nell’Antica Grecia. Quello dello scultore è menzionato da Plinio il Vecchio, da Cicerone, da Lucano. Non esistono originali delle sue opere. Il Discobolo pare fosse in bronzo; si data verso il 450 a.C. .

Secondo taluni sarebbe un dono di Atene a Sparta, oppure l’invio della prima alla seconda di una propria testimonianza partecipativa a una manifestazione sportiva. Il Mirone che ci interessa, di cui Lucano parla diffusamente, era nativo di Eleutere, al confine fra la Beozia e l’Attica. La sua arte non era amata particolarmente dai romani: Cicerone lo definisce un artista di passaggio fra lo stile arcaico e quello classico.

Anche grazie alla sua opinione (e a studi geometrici che dimostrano alcune pur lievissime imperfezioni anatomiche: le braccia più lunghe del normale, ad esempio) si fissò, quasi apposta per lo scultore, la definizione di “stile severo”. I romani, generalmente assai poco sensibili a sottigliezze intellettuali, a tutti gli stili greci preferirono quello ellenistico (manieristico) per la spettacolarità delle opere (si pensi, come esempio massimo, al “Gruppo del Laocoonte”) di cui fecero infinite copie.

Stile severo o stile classico, va detto che probabilmente nessuna scultura dell’antichità ha raggiunto una tale, equilibrata, capacità espressiva (le piccole imperfezioni anatomiche rilevate sono funzionali alla sottintesa dinamicità dell’opera). Il Discobolo è il paradigma dell’uomo ideale:

Mirone ha scolpito la potenza in atto, cioè il volere umano oltre le presunte limitazioni dell’uomo. Diventa inevitabile pensare che l’opera risponda a un preciso clima intellettuale e al suo culmine: non per niente, Atene, all’epoca, espresse le personalità straordinarie di Socrate, dei Sofisti, quella di Parmenide. Mai la civiltà umana era stata e sarà attraversata da tanta speculazione mentale, da tanto rispetto per il pensiero, da tanto amore per la comprensione delle cose.

La partecipazione diretta agli eventi, e addirittura la loro preparazione, sono adombrate dalla figura del Demiurgo: una sorta di “eone” che sta fra terra e cielo sotto le cui vesti si rivela la figura umana. Platone poco più tardi affermerà che il Demiurgo regola la realtà secondo un preciso disegno mutuato da un progetto divino (spirituale, in altre parole lo spirito che ha ragione della materia).

Tutto questo è colto alla perfezione dal nostro scultore, il quale è come se si prestasse a fare da testimone affidabile a un momento culturale così intenso e così profondo, senza per questo perdersi in pompe e addobbi come sarà per l’Ellenismo. La scultura è essenziale, è fatta d’idee esaltanti, ma “alla portata”: il grande scultore ateniese lo rivela con l’abbandono, cosciente, dell’opera alla magia possibile dell’Idealismo.

Il salto fra arte greca arcaica e arte classica rimane un mistero. La trasformazione è prodigiosa ed avvenuta in poco tempo. Soprattutto è la storia del movimento potenziale ad affascinare. I greci, che molto appresero da altri popoli e specialmente dagli egiziani, questa storia se la crearono da soli, in perfetta solitudine.

Il movimento potenziale è una raffinatezza intellettuale rarissima che richiede conoscenza a monte e capacità speculative particolari a valle. Di sicuro il fenomeno non uscì dalle porte di Atene. All’interno di questa grande città si verificò, insomma, la creazione di un laboratorio mentale che in pochi anni portò a meraviglie speculative.

Nulla di simile nel mondo antico. Atene si ritrovò ad indicare la strada per eccellenza della cultura e della civiltà umane e determinò, di conseguenza, le regole artistiche di base.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019