ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA |
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Esiste una attitudine da coltivare: la scoperta dell’infraordinario, la rivalutazione di ciò che colpisce abitualmente il nostro sguardo e, per questo, tende a sfuggire allo spirito d’osservazione. Si tratta dunque di rileggere con propensione nuova le solite immagini, costellate nei luoghi di sempre: nella strada dove abitiamo, nel varco aperto della piazza, nell’incrociarsi delle traiettorie dei percorsi obbligati. Scoprire l’infraordinario equivale a recuperare la dimensione scontata del già visto, con leggerezza, senza dogmi, in assoluta libertà, avverso il timore dei sentimenti banali e con buona dose di immaginazione. L’utilità pratica delle cose concrete non pregiudica affatto questo arbitrio della fantasia, anzi la amplifica. La finestra, ad esempio, si rivela plasmabile agli effetti di luce e ai giochi d’aria e in tal modo rappresenta il segno di una sorprendente ricettività, adatta ad individuali esercizi di decifrazione, alla scoperta di possibili codici comunicativi. A Bologna l’avventura dello sguardo persegue itinerari davvero speciali, perché necessita di una deliberata premeditazione: per osservare le finestre che animano i prospetti dei palazzi artistici, il più delle volte, bisogna abbandonare il portico, in una sorta di ricerca mirata e consapevole, tuttavia non esente da sorprese. Se ne ricavano sensazioni d’intensità diversa. Le bifore del quattrocentesco palazzo Bolognini (piazza S. Stefano, 18) offrono, ad esempio, il segno del decoro altezzoso del quale gli antichi proprietari si sentivano insigniti, infatti sorreggono un apparato scultoreo di busti d’aspetto dignitoso e solenne, quasi una sorta di galleria di ideali ritratti di famiglia.
A poca distanza, il medesimo espediente delle protomi umane produce uno scenografico effetto di affacciamenti in un’altra dimora dei Bolognini (piazza S. Stefano, 9-11) edificata a partire dal 1525. La forma circolare dei lacunari simboleggia la comunicazione con una dimensione magica, dalla quale spiccano tredici teste dalle fisionomie singolari e dai ricercati copricapi: lineamenti di sibilla, tratti diabolici, fogge di turbanti, elmi guerreschi. La combinazione numerica, il tredici, e le valenze opposte, ordine/caos, espresse dalle sculture, possono suggerire una allusione ad un sistema in perenne evoluzione non esente da una componente connotata da un contenuto di fondo inquietante. Peraltro l’ambiguità del messaggio è replicata tra le finestre dei registri superiori, dove aggettano altre due sequenze di tredici sculture, tra le quali si riconoscono effigi di arpie. La finestra è dunque un elemento funzionale, che si presta al contempo ad interpretare un ruolo decorativo e tematico di rilevante importanza: il raggruppamento e la distribuzione delle aperture genera infatti i ritmi della parete ed esalta gli effetti dei toni cromatici, grazie alla ripartizione dei vuoti e dei pieni. Dalle asimmetrie associative degli elementi, peculiari degli edifici medievali e, ad esempio, ravvisabili nel palazzo re Enzo, si passa alle raffinate corrispondenze tra i partiti architettonici delle costruzioni tardogotiche e rinascimentali.
L’intento celebrativo è ancor più evidente in epoca rinascimentale, allorché la finestra assume la tipologia dell’edicola: sopra alla cornice si articola un frontone sorretto da paraste o pilastrini. Nei frontespizi si assiepano i motivi araldici e i trofei, così a palazzo Fantuzzi (via San Vitale, 23), oppure a palazzo Boncompagni (via Del Monte, 8). A prescindere dalle finalità simboliche, allusive e propiziatorie, in rispondenza ai repertori araldici delle famiglie, o alle insegne delle confraternite religiose oppure culturali, lo sfoggio iconografico sui frontespizi dà luogo ad alcuni modelli che segnano vere e proprie tendenze del gusto: ad esempio, le sirene nei palazzi dell’Archiginnasio, Fava (via Del Cane,9), De Buoi (via dei Poeti, 4), oppure le conchiglie nei palazzi Malvezzi-Campeggi (via Zamboni, 22) e Bonasoni (via Galliera, 21).
Apparire e nascondersi, guardare e non essere visti: la finestra è il territorio degli attraversamenti e dei riti di passaggio, sono pertanto immaginabili giochi molteplici di sguardi, lungo traiettorie silenziose, dallo spazio interno all’esterno e viceversa. E' soprattutto una macchina per vedere e quando la confortevole penombra del portico non è presente, si arricchisce di un sipario protettivo. Infatti, al piano terreno di palazzo Aldrovandi (via Galliera, 8) laddove il contatto con i passanti è più diretto e può dar luogo ad una comunicazione indiscreta, le grate intessono uno schermo rocaille in ferro battuto di sorprendente levità. Al piano nobile, invece, Alfonso Torreggiani recupera il tema della finestra in chiave di rappresentanza e progetta per quella centrale una balconata che richiama alla memoria le soluzioni architettoniche per i palchi teatrali destinati alle famiglie aristocratiche. Le mura dell’edificio costituiscono vere e proprie cinte protettive dell’intimità domestica, infatti inglobano un mondo e lo tutelano rispetto alle influenze esterne. Ma questo mondo sarebbe al contempo limitato e riduttivo, perché racchiuso in se stesso, se le pareti, simbolo della separazione, non recassero in sé anche le virtuali possibilità di comunicare offerte proprio dalle finestre. Simbolo della luce, secondo una interpretazione misterica medievale, la finestra alluderebbe infine all’individuale processo di apertura della coscienza nei riguardi dei messaggi che pervengono dalla realtà circostante. |