ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


I Graffiti Australiani

Arte rupestre australiana. Caverne di Kimberley e Terra di Arnhem, al nord estremo del Paese.

Dario Lodi

I graffiti australiani di Kimberley e Terra di Arnhem, regioni situati all’estremo nord dell’Australia, sono delle opere straordinarie. Generalmente, i graffiti rappresentano immagini di animali per avvertire di un pericolo vicino, oppure per segnalare che è disponibile del cibo. Le dimensioni degli animali sono tali da rendere l’idea dell’una e dell’altra cosa.

La funzione dei graffiti in genere ha fini prettamente utilitaristici, materiali, pur non disdegnando, i graffitari di allora, raffigurazioni con intenti apotropaici, dove è tuttavia palese una certa forzatura, un certo timore vago e profondo rimosso con dei segni conclusi.

Altro discorso è proposto da questi graffiti australiani riproducenti i volti approssimativi di esseri misteriosi, creatori del mondo, secondo gli aborigeni, denominati “Wongina”: sono volti dagli sguardi inquietanti, dall’aspetto spettrale che parlano più all’anima (o all’animus) dell’uomo che al suo corpo.

L’Australia aveva vissuto una vita a sé per circa 40.000 anni. Le cose cambieranno drammaticamente dal 1606 data della scoperta del continente da parte del navigatore olandese Willem Janzsoon e soprattutto dal 1770 con la spedizione inglese di James Cook. Cook fu catturato, ucciso, il suo corpo smembrato e cucinato sulla spiaggia su una delle isolette e lì mangiato. L’Inghilterra passò all’occupazione dell’isola, che voleva destinare a colonia penale.

L’occupazione dei “bianchi” comportò l’eliminazione cruenta degli aborigeni (da 700.000 a 100.000 in pochi anni). E’ ben nota la costituzione, nel 1830, di volontari cui fu consentito di sparare a vista sui nativi, cosa che fecero senza alcuno scrupolo.

L’Australia, poi nel Commonwealth, divenne del tutto indipendente nel 1986.

Parlare di arte a proposito dei graffiti australiani per eccellenza, quelli relativi ai Wongina, può apparire eccessivo. L’arte richiede anche consapevolezza razionale che il segno immediato non è detto rispetti, né è tenuto a farlo. Ma nel caso in questione la definizione “arte” appare appropriata perché quei graffitari erano dotati di un timor panico che avrebbe potuto impedir loro un’espressione controllata.

I Wongina – un’autentica novità nel mondo dei graffiti – dimostrano che il timore panico è stato domato e non esattamente in qualche modo, anzi con una cura per la loro “persona” che non si trova nell’arte preistorica.

Quei graffitari australiani avevano già scoperto il valore della speculazione disgiunta dall’utilità alimentare, concentrata sul mondo interiore dell’uomo, orientata sulle grandi domande esistenziali, pur nella certezza di non avere una risposta.

La mancanza della risposta non porta alla disperazione, ma conduce a un disagio intellettuale, a uno stupore senza parole – cose non dissimili da oggi – che viene intelligentemente risolto con immagini inquietanti e inquiete a loro volta. Diverse caverne sono letteralmente tappezzate di queste immagini: questo può fare pensare a un’ossessione negativa.

Manca, invece, la negatività in quanto le immagini in questione differiscono fra loro di particolari insignificanti, come se il graffitaro di turno fosse determinato a inseguire la perfezione esecutiva e non avesse alcuna intenzione di lasciarsi vincere dalla paura.

Il graffitaro addetto ai Wongina era ben saldo sulle proprie posizioni e sicuro della missione da compiere: esprimere l’esprimile con un certo ordine, con una certa padronanza e n on secondo il disagio dovuto al silenzio intorno alla sua animazione.

I Wongina hanno occhi aperti e sguardi penetranti, non sono demoni invasati. E sono contornati da una specie di aureola che li fa sacri, intoccabili eppure prodotti con lucidità dalla mente umana. Si meraviglia il graffitaro di tutto questo, ma continua la sua opera, instancabilmente.

E’ il suo sentimento che lo spinge a continuare. Ma non si tratta di un sentimento informe, ha miracolosamente una dinamica speciale che porta il graffitaro a ripetere il suo piccolo capolavoro di espressione genuina, di cui è consapevole.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019