ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


IL JAZZ

Cantanti e musicisti afroamericani in schiavitù in una piantagione del Sud degli USA (stampa del XVIII sec.)

Le origini storiche

Benché l'importazione forzata di schiavi africani nell'America centro-meridionale fosse già iniziata nel XVI sec. per opera degli spagnoli e dei portoghesi, solo quando altri schiavi africani (i cosiddetti "negri") andarono a lavorare nelle piantagioni degli Stati del sud dell'America settentrionale, si può parlare di nascita del jazz.

I primi negri africani (una ventina in tutto), in qualità di servi nella colonia inglese della Virginia, sbarcarono nel 1619. Quando poi nel 1661 fu riconosciuta ufficialmente la schiavitù, centinaia di migliaia di negri vennero catturati sulle coste orientali dell'Africa (Senegal, Guinea, Costa d'Avorio, Ghana, Dahomey, Nigeria, Camerun, Congo ecc.) e deportati nelle colonie della Virginia, Carolina, Georgia, Louisiana. Dal XVI al XIX secolo furono trasportati circa 20 milioni di africani.

Alla fine del Settecento la nascente industria tessile inglese presentava una sempre maggiore domanda di cotone alle ex-colonie americane, ma qui la manodopera era scarsa. E non era solo problema di cotone, ma anche di tabacco, riso e zucchero: le piantagioni erano sterminate e occorreva moltissima manodopera a buon mercato. E la difficoltà di reperimento della manodopera non riguardava solo le colonie inglesi ma anche quelle francesi e spagnole. Poi venne l'esigenza, una volta sterminati gli indiani e rinchiusi nelle riserve, di costruire imponenti reti ferroviarie che attraversassero l'intero paese.

Fu così che si cercò di sfruttare al massimo un commercio di schiavi ch'era già stato iniziato da portoghesi e spagnoli. Le navi delle colonie americane riempivano le stive con materiale pregiato che veniva portato in Europa; qui veniva imbarcata merce di scarsissimo valore che era scambiata in Africa con gli africani catturati e si riprendeva il viaggio verso l'America.

Gli africani, destinati ai lavori forzati, venivano separati non solo dalle loro tribù ma anche dalle loro stesse famiglie, dovevano adattarsi a condizioni di vita disumane, con orari lunghissimi di lavoro, costretti ad imparare l'inglese, senza alcuna protezione legale e in completa balia dei loro padroni, che li sfruttavano il più possibile.

Quando il loro numero raggiunse livelli imponenti, le rivolte si fecero sempre più frequenti, tanto da indurre i coloni a usare pene severissime anche per reati di scarsa entità. Nel 1860 i negri del sud degli Usa che lavoravano nelle piantagioni, come scaricatori di porto o addetti nei servizi nelle case dei loro padroni, erano circa quattro milioni.

Negli anni 1861-65 si scatenò la guerra di Secessione tra gli Stati industrializzati e antischiavisti del Nord e quelli agricoli e schiavisti del Sud: vinsero i nordisti e i negri furono resi giuridicamente liberi, anche se la loro condizione sociale restò sempre molto precaria.

Work Songs e Spirituals

I negri cercavano di alleviare la fatica intonando semplici canti nei quali una voce solista pronunciava una frase e il coro replicava: erano i nostalgici work songs (canti di lavoro), la cui scansione ritmica coincideva con la cadenza dello sforzo fisico. Probabilmente erano canti nati in Africa, in cui l'aria serena per i bei momenti di caccia, pesca, di festa era stata sostituita dal ricordo doloroso della patria lontana e della libertà perduta. Saranno questi canti a far nascere col tempo il jazz.

Fino al XIX sec. si potevano ancora udire e vedere canti e balli africani autentici negli Stati del Sud, ma in genere i padroni bianchi, non appena capirono di cosa si trattava, proibivano ogni riferimento a divinità o religioni africane, temendo che questo potesse indurre alla fuga. Anche l'uso di tamburi africani fu proibito quando i padroni compresero che questo strumento, mentre accompagnava le danze, poteva anche parlare di rivolta. Di qui l'esigenza di catechizzare lo schiavo a una nuova religione, insegnandogli soprattutto gli inni delle chiese protestanti e i canti e le marce dei colonizzatori.

Quando i missionari cristiani (Battisti, Metodisti ecc.) iniziarono la conversione degli schiavi, nacquero i Negro Spirituals, canti collettivi religiosi con testi tratti dalla Bibbia e adattati poeticamente alla loro misera condizione (i Gospel Songs si riferivano esclusivamente ai vangeli). Un classico esempio è quello del canto Go down Moses, ove i negri s'identificano con gli ebrei schiavi in Egitto, che vogliono trovare la libertà attraversando il mar Rosso. In tal senso il canto incoraggiava a ribellarsi quelli che erano abbastanza audaci dal farlo. Paradossalmente oggi è diventato uno degli inni non ufficiali persino del principale paese che opprime i palestinesi: Israele.

Gli Spirituals rappresentavano un'originale fusione di musica afro-americana: il loro repertorio si confonde con quello dei work songs, essendo identici i luoghi in cui venivano cantati (campi, miniere, cantieri). Gli africani avevano canzoni e danze per tutti gli eventi importanti della vita (dalla nascita alla morte) e la vera forza della loro musica, accompagnata da strumenti primitivi e soprattutto dai tamburi, stava nella qualità vocale dei cantanti. Infatti, mentre la musica europee, con le sue belle armonie e melodie, era fatta soprattutto per l'ascolto, quella africana invece, coi suoi ritmi forti, era fatta per muoversi, per ballare, per raccontare storie.

I ritmi raffinati e complessi costituiscono la più chiara sopravvivenza africana nella musica afro-americana. Sui tamburi si riproducevano foneticamente le parole e nelle lingue africane si era in grado di mutare il significato di una parola semplicemente alterandone l'intonazione o l'accento. La tecnica della voce un po' rauca era praticamente sconosciuta in America prima dell'arrivo dei neri. Invece la tecnica del canto antifonale era già praticata ma solo in ambito religioso, allorquando il sacerdote, cantato un versetto, attendeva che il coro intervenisse successivamente con un'altra frase cantata. Peraltro nel canto antifonale africano il coro rispondeva al solista con versi improvvisati, che potevano durare quanto si voleva. La stessa struttura del jazz, che consiste in una frase melodica seguita da un numero non definito di risposte o commenti improvvisati al tema iniziale, ha chiaramente radici africane.

Questo nuovo modo di cantare veniva usato anche per trasmettere messaggi nascosti, come i codici della cosiddetta "Underground Railroad" (ferrovia sotterranea), al fine di aiutare ad andare a nord agli schiavi che progettavano di scappare. P.es. un certo canto poteva segnalare a un fuggiasco che doveva attraversare soltanto un fiume prima che la ferrovia fosse ultimata e sarebbe stato libero.

La prima raccolta di Spirituals venne pubblicata nel 1867. Successivamente l'interprete più famosa di questi canti fu Mahalia Jackson (1911-1972).

Il Blues

Il blues invece, pur ereditando i temi sofferenti dei work songs e degli spirituals (che insieme venivano definiti Folk Songs), restava un canto individuale profano, in cui lo strumento utilizzato come accompagnamento inizialmente fu in Banjo (d'origine africana), sostituito in seguito dalla chitarra.

I primi blues risalgono alla seconda metà del XIX secolo, e si può in sostanza dire che il jazz nacque quando il blues da cantato e suonato divenne solo suonato: cosa che fu possibile dopo la guerra di Secessione, quando gli schiavi liberati poterono acquistare strumenti musicali.

Tipiche del blues sono le cosiddette "blue note" (note tristi), ovvero la "scala blues", ch'era un adattamento della scala maggiore degli europei con il III e VII grado abbassati, che però non escludono la presenza delle note naturali. Il motivo di questa alterazione delle due note verso il grave va ricercato nel fatto che gli africani, nella loro terra d'origine, utilizzavano una scala formata soltanto da cinque suoni (pentatonica).

L'effetto di questo turbamento, all'interno della chiarezza della scala europea, consisteva in una tensione ora dolce ora amara, un dondolio continuo che sospende e sfuma i normali collegamenti tra i gradi della scala. Di qui la sensazione di incertezza, di varietà, di eccitante ambiguità del blues e di tutto il jazz, che ha trovato appunto nel blues una inesauribile miniera di risorse armoniche e melodiche.

Generalmente il blues è suddiviso in varie strofe, ognuna delle quali ha tre versi di quattro battute ciascuno, di cui due cantate, seguite da altre due di commento musicale improvvisato (break) come introduzione ai versi successivi. Questa tecnica di domanda e risposta, detta antifonale, dà la possibilità al cantante e all'accompagnatore (che spesso s'identificano) d'improvvisare con grande libertà.

La prima grande interprete di blues fu 'Ma' Rainey, ma fu Bessie Smith che diede a questo genere musicale la sua più grande notorietà.

Il Jazz

L'etimologia della parola jazz non è mai stata chiarita: si pensa provenga da un termine congolese, jass o jazz, che significa "eccitazione" e che doveva essere usato nei momenti ricreativi delle tribù africane. Paradossalmente invece pare che negli Usa venisse usato dagli schiavi neri per incitarsi nel duro lavoro delle piantagioni. Se prese il significato di "incitare", allora forse si può credere alla versione di chi lo fa provenire dalle grida di incitamento rivolte a un suonatore nero di trombone, il cui nome era Jess o Jasbo Brown. Altre versioni ritengono che invece derivi dal verbo francese jaser (vociare, rumoreggiare). Comunque il termine fu usato per la prima volta nel 1913.

Le origini più remote di questo genere musicale vanno ricercate nei villaggi delle foreste equatoriali, dove le tribù africane si ritrovavano attorno al fuoco, dopo una caccia o un qualsiasi altro evento che riguardasse la vita collettiva, e ciò avveniva ballando e intonando canti al ritmo frenetico dei tamburi.

Il jazz assume la caratteristica definitiva che oggi conosciamo dopo aver fatto sua tutta la tradizione dei work songs, degli spirituals e dei blues, quindi, sul piano tecnico, dopo aver fuso i seguenti elementi:

  • l'uso della "scala blues";
  • il tono malinconico dato dall'uso delle blue note;
  • la capacità di inventare e improvvisare su di un tema entro uno schema convenzionale (non esistono due versioni uguali dello stesso brano, anche se suonato dallo stesso musicista);
  • il ritmo basato sul sincopato (rag time) e sulla flessibilità di esecuzione, che origina quel particolare ritmo chiamato swing e anche beat, in cui la durata dei suoni viene liberamente dilatata o ristretta;
  • l'uso del vibrato (oscillazione rapida e lieve dell'altezza dei suoni);
  • il controllo assoluto della tecnica degli strumenti, specie quelli a fiato.

Lo sviluppo del jazz si può suddividere, con relativa approssimazione, in cinque periodi.

  1. Il primo va dalla fine dell'Ottocento sino al 1920 circa, quando dagli Stati del Sud i migliori jazzisti si trasferirono nelle grandi città del Nord in cerca di fortuna.

Di questo periodo la città più importante fu New Orleans, grande porto sul Golfo del Messico, alla foce del Mississippi, la più popolosa e prospera della Louisiana, colonia francese sino al 1803 e quindi punto di confluenza di civiltà diverse, particolarmente amante delle bande militari.

I numerosi neri che, dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù (1865) si erano stabiliti nella città, intrapresero i più diversi e umili mestieri. Non pochi di loro cominciarono a esibirsi, senza alcuna partitura e senza neppure una vera conoscenza della musica, come suonatori di strada (marching bands), usando percussioni con fustini di lamiera, banjos costruiti con scatole di formaggio, contrabbassi fatti con botti tagliate a metà, trombette imitate dai pettini avvolti in carta velina.

Siccome questa vitalità ritmica piaceva, i musicanti cominciarono ad acquistare gli strumenti a fiato scartati dai suonatori degli eserciti della guerra di Secessione (cornette, trombe e tromboni, tamburi, bassi tuba, clarinetti, chitarre) e cominciarono a costituire delle orchestrine o fanfare, chiamate Brass Bands, con cui, suonando a orecchio e variando le parti in maniera estemporanea, percorrevano le strade di New Orleans esibendosi in feste, sfilate pubblicitarie, matrimoni, funerali e anche nei balli sui battelli che risalivano il fiume. Questo stile New Orleans venne subito chiamato hot jazz (improvvisato).

Particolarmente efficaci questi musicisti erano nei cortei funebri: tutti i loro brani erano in 4/4, suonati a tempo molto lento, in modo da far camminare molto lentamente anche il seguito. Quando però la funzione era terminata, gli astanti si mettevano in fila dietro di loro, ascoltando solo la grancassa e, dopo un certo percorso al di fuori del cimitero, la musica diventava ragtime o swing e diventava così coinvolgente che si mettevano tutti a ballare, persino la gente che s'incontrava casualmente, al punto che divenne un'abitudine per tantissime persone aspettare che la band jazzistica uscisse dal cimitero.

Il ragtime era una musica di carattere allegro per pianoforte, che si avvicinava come forma alla musica europea (rondò e minuetto) e non era affatto soggetto all'improvvisazione: ebbene sotto l'influenza dei neri subì una vera e propria trasformazione.

Molte di queste orchestrine, composte da sei, sette elementi, trovarono facilmente impiego nei locali notturni di Storyville, il centro di divertimento di New Orleans. La band nera più famosa fu quella guidata dal cornettista Charles Buddy Bolden (1868-1931), attivo a New Orleans nel 1904, ben presto imitata da bands di musicisti bianchi, fra le quali l'Original Dixieland Jazz Band, composta da cinque musicisti, di cui due di origine italiana, che aveva debuttato a Chicago nel 1916 e che l'anno dopo incise per la prima volta un brano jazz Livery Stable Blues: senza rendersi conto di quel che scrivevano, i giornalisti dell'epoca le attribuirono il titolo di "inventori del jazz".

In ogni caso da queste band emersero ben presto i primi solisti del jazz: il pianista Jelly Roll Morton, che nel 1906 compose il brano King Porter Stomp, uno dei primi brani jazz a godere di vasta notorietà, i trombettisti Joe "King" Oliver (1885-1938) e l'esordiente Louis Armstrong e il clarinettista Johnny Dodds. Con Amstrong e il clarinettista e sassofonista Sidney Bechet il jazz passò dall'improvvisazione collettiva a quella solistica: a ogni strumentista venivano riservate alcune battute per la sua personale improvvisazione; i solisti si alternavano secondo schemi prestabiliti, in un gioco sempre più fitto e stringente di botta e risposta.

Quando nel 1917, per le frequenti risse, i traffici illegali, le ruberie fu decretata la chiusura di Storyville, molti musicisti rimasti improvvisamente senza lavoro decisero di lasciare la città per recarsi al Nord.

  1. Il secondo periodo, che va dal 1920 al 1935 circa, è considerato il periodo di maggior successo del jazz e interessa soprattutto le città di Chicago, New York e Kansas City.

Negli anni Venti, col cornettista Oliver, la patria del jazz si trasferì da New Orleans a Chicago Qui nacquero lo stile Chicago, espresso soprattutto da musicisti bianchi, l'Hot Music (musica calda), ove la parte dell'improvvisazione doveva essere suonata a tutto volume, e il boogie-woogie, uno stile pianistico basato su un ritmo eseguito dalla mano sinistra su un tema blues (da cui poi nascerà l'omonima e popolarissima danza). Si afferma clamorosamente anche il Charleston, un ballo vivace e spensierato.

In questi anni l'organico strumentale jazzistico tendeva a specializzarsi in due sezioni, diventando una vera e propria big band con tendenza alla commercializzazione, perdendo quindi la natura essenzialmente "negra" e la carica protestataria del jazz primitivo: quella ritmica era composta da batteria, banjo o chitarra, contrabbasso (suonato a pizzico) e pianoforte; quella melodica comprendeva invece cornetta, clarinetto, tromba, trombone e, più tardi, la famiglia dei sassofoni.

Queste band, agli antipodi dell'improvvisazione solistica, avevano bisogno di un direttore e di arrangiamenti per i brani da eseguire. L'improvvisazione esisteva quando, nella partitura musicale, era previsto che un musicista potesse dialogare con l'orchestra o una sua parte. Famosissima fu l'orchestra condotta dal pianista, compositore e arrangiatore Duke Ellington (1899-1974). Ma vanno ricordati anche Louis Armstrong (1900-1971, cornettista e trombettista), Bix Beiderbecke (cornettista e pianista), Jo Jones (batterista), Tommy Dorsey (trombonista), Sidney Bechet (1897-1959, clarinettista e sassofonista), Bessie Smith (1894-1937, cantante Blues). Incredibilmente suggestive apparivano le cosiddette "note rauche" della tromba. Inoltre il sax soprano, nato in questo periodo, verrà soprattutto usato negli anni Sessanta da John Coltrane, affermandosi nel jazz moderna e nella musica leggera.

Hanno inizio anche le prime trasmissioni radiofoniche di jazz, che fanno diventare questo genere musicale un successo nazionale. Nel 1924 un giovane musicista, George Gershwin, fa diventare Rhapsody in blue il primo connubio di musica classica coi ritmi e le inflessioni melodiche e armoniche del jazz.

Tuttavia, a seguito della crisi di borsa dell'ottobre 1929 l'intrattenimento musicale negli Stati Uniti subì un drammatico azzeramento e negli anni immediatamente successivi, passati alla storia come "la grande depressione", pochi musicisti riuscirono a lavorare: i migliori iniziarono fortunate esibizioni in Europa. La rinascita musicale è legata all'intuizione di un giovane musicista di origine ebrea, Benny Goodman, il più importante protagonista dello swing.

  1. Il terzo periodo, che va dal 1935 al 1945, è chiamato Swing Era (Era dello Swing), genere di jazz che doveva servire anzitutto per ballare. Lo swing (dondolamento) infatti è caratterizzato da una grande incisività ritmica, fatta di leggere anticipazioni e ritardi sul ritmo di base, che dà alla musica un senso ondeggiante che si presta facilmente al ballo.

In questo periodo, grazie al clarinettista Benny Goodman e alla sua orchestra, il jazz diventa un genere musicale conosciuto il tutto il mondo, in grado di influenzare tutta la musica leggera. Gli scopi sono essenzialmente commerciali.

Goodman mise a punto un'originale formula musicale utilizzando un tempo costante, rendendo perciò "ballabile" il nuovo stile, e un'accelerazione progressiva nei toni, nei timbri, nei contrappunti. La musica che ne derivò prese il nome di swing. Ogni brano comincia con tranquillità per scatenarsi progressivamente, mantenendo però rigorosamente lo stesso ritmo. Per rendere ancora più gradito ai ballerini il nuovo stile, Goodman utilizzò una grande orchestra, con una ricca sezione di strumenti a fiato e una sezione ritmica.

Si affermano intanto le grandi orchestre (Swing Bands) come quella di Louis Armstrong, di Duke Ellington, Glenn Miller (1904-44), Count Basie (1904-84), Benny Goodman (1909-86), che comprendevano da 13 a 18 elementi (trombe, tromboni, saxofoni, pianoforte, chitarra, contrabbasso e batteria) e a volte anche dei cantanti (la più famosa era Ella Fitzgerald).

Col pianista e compositore George Gershwin continua ad affermarsi il jazz sinfonico, in cui elementi jazzistici si fondono col linguaggio della musica classica. Famosissimi restano Un americano a Parigi e Porgy and Bess.

Si fa concludere la fine della Swing Era quando Glenn Miller, direttore dell'Orchestra dell'Aeronautica degli Usa, precipitò nella Manica con l'aereo nel dicembre 1944. I famosissimi boogie-woogie di Miller (In the Mood, Moonlight Serenade, America Patrol) accompagnarono l'ingresso in Italia delle truppe americane.

  1. Il quarto periodo, che va dal 1945 alla fine degli anni Sessanta, è caratterizzato da una nuova presa di coscienza da parte della popolazione nera contro la discriminazione razziale. I jazzisti neri reagirono alla graduale infiltrazione dei musicisti bianchi nel loro genere musicale, alla stessa creazione delle grandi orchestre, aventi fini meramente commerciali, nonché alla progressiva riduzione dell'improvvisazione: insomma si vollero recuperare le ragioni protestatarie che il jazz aveva avuto all'inizio.

Musicisti come Charlie Parker (1920-55, sassofonista), Kenny Clarke (1914-85, batterista), Dizzy Gillespie (1917-93, trombettista), Thelonius Monk (1917-82, pianista), Max Roach (1924-2007, batterista) diedero vita a un rivoluzionario stile jazzistico, spesso difficile, ricercato e talvolta astruso, che gettò, almeno nei primi tempi, lo scompiglio tra le schiere degli appassionati, irritati anche per l'atteggiamento scostante degli esecutori, i quali, muniti di grossi occhiali neri e di barba più o meno folta, parevano disinteressarsi del pubblico, girando le spalle appena finito un pezzo e attaccando il successivo senza badare agli applausi.

Il nuovo stile venne detto bebop (così chiamato dai due suoni sillabici con cui veniva riprodotto vocalmente un ritmo della batteria). L'improvvisazione era totale, con un veloce fraseggio ritmico, asimmetrico e spigoloso, e un tessuto armonico complesso e aspro, che recuperava la tradizione del blues.

I musicisti neri che, pur non accettando l'ingerenza dei bianchi, vollero comunque continuare a comporre musica da ballo, per divertirsi, inventarono il rhythm and blues, in cui il ritmo veloce era scandito dalla batteria, mentre i fiati erano impegnati in assoli virtuosistici e gli artisti ripetevano continuamente le stesse frasi.

La risposta a questi stili, da parte prevalentemente di musicisti bianchi, fu il cool jazz (jazz freddo, calmo), fatto di atmosfere armonicamente composte, eleganti, rarefatte, ritmicamente diradate e assai poco aggressive. Fu sviluppato dal sax tenore di Stan Getz (1927-91), dal sax baritono di Gerry Mulligan (1927-96) e dal pianista nero John Lewis (1920-2001), che col suo gruppo "Modern Jazz Quartet" propose un'originale e sofisticata fusione tra jazz e musica classica. Esponente particolarmente significativo di questa corrente fu anche il pianista di origine italiana Lennie Tristano (1919-78).

Ma già negli anni Cinquanta all'esperienza del bebop si riallacciò lo stile hard bop, con sonorità accese e ritmi accentuati, che trovò la sua voce nel sax tenore di Sonny Rollins (1930). Un'originale fusione delle esperienze del bepop, del cool e dell'hard bop fu attuata dal trombettista Miles Davis (1926-91).

L'esigenza di voler creare una cultura nera afroamericana indipendente da quella bianca portò anche alla nascita, negli anni Sessanta, del free jazz, con la voce del sax tenore e soprano di John Coltrane (1926-67) e col sax contralto, tromba e violino di Ornette Coleman (1930): quest'ultimo parte da presupposti politici desunti dal leader nero Malcolm X per affermare la protesta dei neri americani contro la discriminazione razziale e il problema dei ghetti. Il free jazz fu caratterizzato anche dalla musica aggressiva del batterista Max Roach, con la sua Freedom Now Suite, e da quella del contrabbassista e compositore Charles Mingus (1922-79), che esprimeva grande tensione.

Lo stile esecutivo qui diventa arrabbiato, aggressivo; si spingono all'estremo le esplorazioni armoniche, ritmiche, melodiche e timbriche, per arrivare a un linguaggio musicale in cui il solista cerca di recuperare le radici più profonde della cultura africana. Alcuni musicisti rifiutano persino il termine "jazz" e preferiscono parlare di "black music".

In Italia il jazz inizia a diffondersi col chitarrista Franco Cerri (1926), il pianista Giorgio Gaslini (1929). Molto importante è la rivista "Musica Jazz".

  1. Il quinto periodo è quello degli anni Settanta fino ad oggi.

Con gli anni Settanta un settore del jazz inizia ad adottare i moduli del rock e le nuove tecniche elettroniche, dando vita al jazz-rock o fusion, che raggiunge notevoli risultati musicali con Miles Davis e con il gruppo Weather Report.

Nel 1973 si dà inizio al primo festival del jazz italiano: "Umbria Jazz".  Dal 1972 sino agli inizi degli anni Ottanta si esibisce il gruppo jazz-rock Perigeo, guidato da Giovanni Tommaso (1941).

Non dimentichiamo inoltre che diversi compositori classici hanno utilizzato il jazz all'interno del loro linguaggio. L'esempio più interessante resta quello del russo Igor Stravinski, autore di un Ragtime per undici strumenti. Accanto a lui sono da porre i francesi Darius Milhaud e Maurice Ravel, il tedesco Kurt Weill e l'austriaco Ernst Krenek.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019