ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


SUGHI - CALDARI - CAPPELLI
Il realismo nella pittura di Romagna

Sughi, Caldari, Cappelli (Cesena 1948)

Nei primi anni dell'ultimo dopoguerra, in un clima di risveglio democratico e di lotte sociali, si colloca il sodalizio di tre giovani artisti romagnoli: Giovanni Cappelli (Cesena, 1923-1994), Luciano Caldari (Savignano sul Rubicone, 1925) e Alberto Sughi (Cesena, 1928).

I primi due avevano studiato al liceo artistico di Bologna (Cappelli frequenterà nel contempo la scuola libera di nudo diretta da Virgilio Guidi), il terzo invece era autodidatta, sotto l'evidente suggestione del naturalismo lirico di Rosai, del realismo ottocentesco di Fattori e soprattutto dell’espressionismo di Alberto Viani.

Su tutti e tre, che lavoravano in uno stesso studio di Cesena, fecero presa inizialmente le suggestioni della cultura artistica francese, che li portò a vivere brevi ma illuminanti esperienze espressioniste, cubiste e astrattiste. Il 1948 segnò praticamente la fine degli esperimenti formalisti. Una tela di Fougeron, esposta alla Biennale Veneziana di quell'anno, li portò a riconoscere l'esigenza primaria di un'espressione realista.

Verso la fine del 1948 essi cominciarono a simpatizzare per il movimento neorealista, con una differenza, che mentre Sughi e Cappelli esercitarono il loro realismo sulle immagini della vita provinciale, prendendo a modello i personaggi romagnoli (uomini donne bambini in ogni loro gesto: dal lavoro quotidiano alle manifestazioni politiche, dalle fiere alle feste popolari), Caldari invece, anche per un'esperienza tentata tra i contadini meridionali, era interessato a un'enunciazione più drastica e ampia dell'immagine.

Tutti e tre partivano da un rapporto diretto e immediato con la realtà, senza travestirla di ideologismi aprioristici: ciò che distingueva le loro opere era l'assenza di enfasi, cioè il gusto di un raccontare piano, articolato.

L'opera di Cappelli si distinguerà per una più insistita introspezione, versata in tratti di sottile malinconia che trova corrispondenza in un segno grafico tormentato, fratto, "non facile". Dipinge scene di vita popolare e di lavoro bracciantile e contadino, in ambienti di valle e di mare. Tra i dipinti a sfondo sociale si distinguono quelli a soggetto resistenziale ("Rappresaglia nella Bassa", primo premio alla Mostra della Resistenza di Ferrara del ’55; "Eccidio di Marzabotto", dipinto nel 1960 per il "Premio Nazionale", indetto dalla città martire dell’Appennino bolognese).

La malinconia sarà un tratto distintivo anche di Sughi, che trova probabilmente le sue radici naturali nella grande tradizione grafica italiana del '600. Egli infatti sembra ricordare un Barocci o un Cantarini per l'estrema "facilità" esecutiva, anche se con una grafia fratta e nervosa.

La necessità d'allargare il proprio orizzonte culturale spinse ben presto i tre giovani artisti a uscire da Cesena, priva di una propria tradizione figurativa, e a dirigersi verso nord e sud (siamo negli anni 1948-50): Sughi e Cappelli a Torino, per saggiare una cultura nazionale indipendente dalla retorica fascista, ma con esiti poco felici; Caldari e Cappelli a Roma, per circa due anni, dove presero contatto con Guttuso, di cui accettarono in un primo momento la lezione, e dove poi li raggiunse Sughi, che vi resterà fino al 1953, collaborando, insieme agli altri due, con Vespignani e Muccini (del gruppo "Portonaccio") (1) e studiando i dipinti di Masaccio della Cappella Brancacci e le opere di Fattori: il che lo porterà a svolgere narrazioni antieroiche, situazioni di emarginazione, passando da un "realismo sociale" a uno "esistenziale".

Di nuovo Caldari e Cappelli a Milano; Caldari a Parigi e poi la sua discesa in Calabria. Quest'ultimo inizia la sua attività praticamente nel 1951, esponendo una serie di disegni a Roma nella Galleria Einaudi, in collettiva con De Pisis, Omiccioli, Melli, Vespignani; sempre in quell'anno espone alla Galleria Bergamini di Milano.

La condizione umana dei contadini e pescatori di Calabria è restituita da Caldari con una pittura scarna, dura, cromaticamente aspra, tesa a manifestare il volto di una realtà di sofferenza ma anche di lotta. Successivamente questa istanza sociale trova in Caldari uno sviluppo in senso intimista-esistenziale, in un'analisi profonda delle angosce della condizione umana contemporanea, recuperando aspetti che la drasticità del realismo sociale aveva in precedenza escluso.

Il contatto con la Galleria Bergamini, presso la quale Cappelli allestisce la prima mostra nel 1953, indurrà quest'ultimo a trasferirsi definitivamente a Milano, nel 1959, dove avvierà i suoi rapporti più costruttivi col gruppo formato da Ceretti, Banchieri, Vaglieri, Guerreschi, Ferroni, Luporini, Romagnoni (i cosiddetti pittori del "realismo esistenziale"). Caldari arriverà a Milano nel 1961, mantenendosi però slegato da un gruppo preciso.

A Milano Cappelli affronta nuove tematiche sociali connesse alla vita metropolitana, alla degradante condizione delle masse urbanizzate. L’artista guarda con trepidazione e intensa partecipazione alla realtà dei bisognosi, di quanti vivono ai margini della società del benessere, figure che sulle tele appaiono immerse in atmosfere cupe, dense, fumose, ossessivamente opprimenti.

Anche nel corso degli anni ’70 persistono nella pittura di Cappelli immagini iconiche di una civiltà dei consumi, fino alla fase di lavoro più recente, quando affiora pure un bisogno contemplativo, come dimostrano taluni paesaggi, sia quelli gardigiani dipinti dal vero che quelli tratti dalle giovanili memorie adriatiche.

Nel 1956 Cappelli è invitato alla Biennale di Venezia; nel '59 alla Mostra della Resistenza, Ferrara; nel '63 alla Rassegna di 40 pittori italiani organizzata dalla Quadriennale a Sidney; nel '70 alla Biennale di Alessandra di Egitto; nel '72 alla Biennale di Milano; nel '73 a Pittura lombarda dal '45 ad oggi. Numerosi anche i riconoscimenti e i premi. Sue opere si trovano in raccolte italiane e a Berna, Budapest, New York, Mosca (Museo Puskin), Leningrado (Ermitage).

Il '56 è anche l'anno della prima personale di Sughi presso la Galleria del Pincio a Roma; egli è poi presente alla Biennale di Venezia (anche nel 1961) e vince il Premio Suzzara; nel '50, '63, '73 partecipa all'edizioni della Quadriennale romana.

Senza ripercorrere le tappe scandite dalle numerosissime personali di Sughi, ricordiamo la serie dei cicli pittorici, che hanno il sapore della sequenza cinematografica e ai quali egli lavora a partire da "Il quotidiano della felicità" (1959 - 1964), il più consistente, nel quale si evidenzia a pieno spettro l'incontro con la pittura di Francis Bacon.

Nel 1975 inizia il ciclo "La Cena", vera e propria metafora della borghesia italiana consumistica e onnivora; tra '80 e '81 "Immaginazione e memorie della famiglia", in cui ripropone l'importanza della solidarietà umana (presentato per la prima volta alla Gradiva di Roma) e ancora il ciclo "Il Teatro d'Italia" (1983 - 1984), in cui denuncia l'arroganza e lo squallore del potere, e "La Sera o della Riflessione" (1985 - 1986), che rappresenta una riflessione dell'artista intorno al proprio ruolo e al valore dell'esistenza nel contesto del mondo contemporaneo. L'ultimo ciclo degli anni Novanta s'intitola significativamente "Andare dove?".

Nel 1986 il Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo di Roma allestisce una sua mostra antologica, trasferita in seguito al Museo delle Belle Arti di Budapest e alla Galleria Nazionale di Praga. Nel corso del 1994 una sua mostra itinerante è stata ospitata dal Museu de Arte di San Paolo del Brasile (MASP), dal Museu Hìstorico Nacional di Rio de Janeiro (MHN) e presso la sala espositiva del Teatro Nacional di Brasilia.

Non meno numerose sono anche le personali di Caldari e la partecipazioni a collettive: Rimini (Biennale del Mare) (1952); Bucarest, Pittori Italiani (1953); Macerata, Premio Scipione (1955); Venezia, Biennale Internazionale (1956); poi Mosca, Praga, Budapest, Bucarest, Sofia.

Egli ha dedicato alcune opere anche alle tematiche resistenziali (nel 1960, ottiene un importante riconoscimento al "Premio Marzabotto" con l'opera intitolata "Dolore per il figlio caduto", del '54; "L’eccidio di partigiani" viene premiata alla Mostra di Pittura della Resistenza di Ferrara del ’55; molto importante è anche il "Condannato a morte", dipinto nel 1961 in ricordo dell’eccidio di Marzabotto). Nell'ultima parte della sua vita si dedica prevalentemente all'insegnamento artistico presso l'Accademia di Belle Arti di Ravenna.

Sughi Caldari Cappelli (Bologna, Circolo di cultura, 1954)

Sughi scrisse nel 1954 che la loro formazione era maturata a contatto di altri artisti, giovani e indipendenti come loro, al di fuori della cultura ufficiale.

A volte si rammaricavano di non essere riusciti a trovare in Emilia artisti realisti come loro. Infatti la breve parentesi dell'esperienza del 1951 (in occasione del XXX del Pci) non fu determinante, pur avendo essi incontrato pittori del calibro di Borgonzoni, Nocera, Ravenda, Contini.

Era proprio sul concetto di "realismo" che l'opinione dei tre cesenati divergeva da quella degli artisti chiaramente schierati su posizioni di "sinistra".

La loro arte voleva sì essere "realista", ma non esplicitamente "politicizzata". Inoltre voleva essere "realista" non solo nel senso "culturale" del termine (quale può essere uno stile e un oggetto di pittura adottato da un artista), ma anche nel senso "sociale". Cioè il pittore è "realista" non tanto o non solo perché dipinge la "realtà", inclusa quella dei soggetti più poveri e sfruttati, quanto perché egli stesso vive in una dimensione precaria, la sua stessa esistenza è vicina ai soggetti che tratta, che certamente possono essere l'operaio o il contadino che lavorano, ma anche una donna che si lava o un bambino che gioca o piange, una folla anonima o il volto di un individuo.

Ecco perché questi tre pittori non riuscirono mai ad accettare l'adesione formale, astratta, di maniera degli artisti emiliani al realismo, e non avvertirono mai Bologna come punto di riferimento culturale.

Ecco perché ben presto ruppero col realismo ufficiale, politicamente schierato, della rivista "Realismo", criticando nettamente l'indicazione di considerare Picasso un maestro del nuovo realismo. Secondo loro tutta l'opera di Picasso restava legata al formalismo, anche "Guernica" e "Massacro in Corea", nei cui confronti risultava molto più realistica -secondo loro- "La fucilazione del 13 maggio" di Goya.

Insomma, pareva loro assurdo che per definirsi "realisti" si dovesse per forza dipingere braccianti e mondine, cioè soggetti chiaramente evocativi di un impegno civile e politico, o trattare soggetti tragici (come p.es. la guerra) in maniera così soggettiva da stravolgere completamente la realtà (alla Picasso, per intenderci). Era sufficiente trattare figure e corpi che si trovano a disagio negli ambienti urbani, costretti in spazi innaturali, tesi a conservare con dignità una propria diversità, che è poi quella mutuata da radici preborghesi.

Questa forma di indipendenza dai canoni ufficiali del realismo, permise ai tre artisti di superare la crisi di questa corrente, molto netta nel 1956, e di approdare a nuovi moduli espressivi, restando comunque legati all'impostazione originaria, che si può definire "realista esistenziale", in quanto priva di concessioni al surrealismo e senza essere politicamente schierato.

In sostanza ciò che accomuna questi tre pittori è una concezione antiretorica del mondo, il senso di un'analisi che scava dentro, lontanissima da cliché meccanicamente ripetuti: l'analisi a volte può apparire dura, ma non si arresta mai in superficie. Non sono certo artisti che possono piacere a chi ama le illusioni sulla società contemporanea. D'altra parte in loro le radici di origine rurale non sono mai state negate.

(1) La città vista come isola alienata, come strumento di vita conflittuale. L'esperienza del "Portonaccio" voleva superare la tradizione del "paesismo urbano", che s'era affermata dagli anni '20 sino alla fine della guerra. (torna su)

L'ultima intervista di Cappelli - Ritratti disegnati da Caldari


FontiSiti:

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019