ECONOMIA E SOCIETA'
idee per il socialismo democratico


Elementi per un'ecologia socialista

I - II - III - IV

"Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l’applicazione della chimica all’industria e all’agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento di interi continenti, la navigabilità dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo: quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive? La società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate." (Karl Marx)

Capitolo 1

Crisi ecologica, scienza e strategie ambientaliste

1.1. La questione dell’unificazione delle lotte e delle conoscenze

Il buco nell’ozono, l’effetto serra, la deforestazione, lo sconvolgimento idrogeologico e la desertificazione cui sono soggette vaste aree, sono soltanto una parziale rappresentazione della degenerazione ambientale e della tremenda crisi ecologica che interessa il pianeta. Sono la conseguenza diretta della pressione antropica sull’ambiente naturale e la testimonianza evidente, per la complessità delle questioni sollevate, di come la crisi ecologica sia una questione aperta di tipo multidisciplinare, che coinvolge, cioè, competenze tecniche differenti e consapevolezze precise, in grado di misurare gli eventi disarmanti di crescita del degrado ambientale dando ad essi risposte concrete.

Gli interventi per un rientro dalla crisi ecologica, fondati sulle metodologie di un corretto approccio scientifico multidisciplinare se con crescente evidenza non sono più rinviabili, trovano nella loro applicazione una moltitudine di ostacoli ideologici. E tra questi l'insopportabile edonismo dei troppi studiosi della questione ambientale - o presunti tali -, più coinvolti nella competizione tra le varie discipline scientifiche, alla ricerca di un ruolo di scienza regina per la propria, che in un serio percorso di unificazione delle conoscenze. Un atteggiamento così inqualificabilmente ottuso da lasciare poco spazio all'idea di una presunta buona fede di certi scienziati e certo più realisticamente vicino a dare un'idea di un'"ottusità" ben finanziata. Di converso, la lettura del disastro ambientale non può permettersi le inconsistenze delle ipotesi atomistiche di separazione netta tra modo di produzione, ambiente, società, economia, politica, cosa peraltro già chiara da molto tempo prima che la crisi ecologica del pianeta si venisse a trovare così prossima al suo punto di non ritorno: "Noi conosciamo un’unica scienza, la scienza della storia. La storia può essere considerata da due lati, distinta nella storia della natura e nella scienza degli uomini. Tuttavia i due lati non possono essere separati: finché esistono gli uomini e la storia della natura, la cosiddetta scienza naturale e la storia degli uomini si condizionano a vicenda". (Marx ed Engels).

Coordinare le discipline, all'interno di un corretto rigore metodologico e scientifico, è allora una condizione necessaria per unificare le conoscenze e per potere, sulla base di queste, elaborare le strategie efficaci ad affrontare le questioni aperte. Ma questo non è certo ancora sufficiente. Difatti, in presenza di un modo di produzione che determina sia la crisi ecologica, sia la forma della sovrastruttura, altra condizione necessaria va ricercata nel lavoro organizzativo per far nascere, crescere e radicare il movimento unitario in grado di trasferire la dialettica scientifica in determinazione politica.

La costruzione di un movimento che riunisca, in un insieme comune di obiettivi strategici ferrei, l'arcipelago ambientalista, il movimento operaio, internazionalista ed antimilitarista, rappresenta uno dei problemi forse meno sentiti dall’insieme dei soggetti in campo. Ma la mancata articolazione di questo nuovo soggetto unitario è una delle cause principali delle troppe tendenze al collateralismo e della ricerca esasperata di compatibilità e convergenze con interessi diversi dagli obiettivi da conseguire.

La questione dell’iperspecializzazione, sia dei responsabili della sovrastruttura, sia di coloro i quali - almeno sulla carta - si oppongono alle loro scelte politiche, ha creato e crea infatti conflitti in ambiti asfittici e codificati di compatibilità, sempre più distanti dalla ricerca delle necessarie discontinuità e delle dinamiche di scontro tra progetti e modi di concepire il sistema nel suo complesso. La dimensione parcellizzata della lotta ambientalista, permanendo le attuali condizioni, lungi dall'avere la dimensione del conflitto sociale, si è cristallizzata nell’apologia della via legislativa e nella ricerca di sistemi di prezzi funzionali alla gestione economico-mercantile del degrado ambientale, in definitiva occultando i nodi centrali della crisi. Ed è proprio questa incapacità di cogliere gli aspetti salienti della questione che riduce la vertenza a mera elencazione di richieste da sottoporre al vaglio degli stessi protagonisti del disastro ecologico affinché concedano l’elemosina di interventi che prendano corpo dalle stesse dinamiche politiche ed economiche responsabili del sistematico saccheggio dell’ambiente e del territorio. In altre parole, l’estremismo infantile ha lasciato il posto al più decadente dei cretinismi parlamentari.

Consacrazione dell’abbassamento degli orizzonti sono state le "grandi" Conferenze sull’ambiente di Rio e in Giappone dove si sono potute misurare le condizioni di arretramento culturale, probabilmente senza precedenti, che suonano come un pericolosissimo campanello d’allarme per ciò che in futuro sarà determinante per le battaglie ambientaliste. Per queste manifestazioni - e probabilmente per quelle che seguiranno - è possibile un’unica valutazione effettivamente e ragionevolmente condivisibile: la sanzione della loro spaventosa inutilità, del loro vuoto materiale; la presa di coscienza definitiva e senza appello dell’essenza di "Re nudo" dei responsabili della sovrastruttura, vittime inconsapevoli della loro stessa mediocrità, intrisa di miserabili appetiti mercantili e depravazioni affaristiche. I governi da "tavolo", si riuniscono, scandendo i loro slogan inverosimili, solo, quindi, per zittire l’allarmistico, spregiudicato, impudente ed assillante gracchiare di "cornacchie" neo-Cassandre "illiberali" che, "senza alcun ritegno", si ostinano a definire la natura di "finitezza" della terra.

Al peggiorare costante della situazione si viaggia grottescamente da un "festival" all’altro, contabilizzando sui registri di cassa degli stati i costi di gestione del danno ambientale, e sviscerando risoluzioni finali, ricche di "buoni propositi", cui soltanto un demente può dar credito: risoluzioni che sono talvolta riuscite a far rabbrividire persino i "guru" superideologizzati dell’ultima frontiera sviluppista, i fautori dello "sviluppo sostenibile".

1.2. Origine storica della crisi ecologica e strategie ambientaliste

Partendo da un assunto essenziale, si può dire che la questione ambientale si sia manifestata in misura di drammaticità crescente, sin dall’abbandono della nicchia ecologica da parte dei primi uomini che iniziarono lo sfruttamento dell’ambiente, alla ricerca della liberazione dallo stato di necessità. Come afferma Engels: "I primi uomini che si separarono dal regno degli animali erano tanto privi di libertà in tutto quello che è essenziale, quanto gli stessi animali, ma ogni progresso nella civiltà era un passo avanti verso la libertà". Il progresso è ovviamente tutt’altro che compiuto e le contraddizioni sociali, politiche, economiche ed ambientali, mostrando continuamente tutta la loro spaventosa virulenza, sono lontane dall’essere risolte, al di là della stessa volontà degli uomini e delle donne. Donne e uomini, è vero, "fanno la storia benché non in condizioni di loro propria scelta" (Marx), spinti dalla necessità di liberarsi dal bisogno, scatenando una serie complessa di avvenimenti incontrollabili con cui la sovrastruttura democratico-borghese non è più in grado di relazionarsi.

Ma se l’origine storica del disastro ambientale è ben evidente, è però venuta meno la capacità di lettura delle linee di tendenza storico-evolutive delle società umane e dell’evoluzione dell’uomo come specie dotata di una propria struttura biologica, non avulsa cioè dal contesto ambientale, con cui interagisce come un qualsiasi fattore ecologico. Ed altrettanto si sono disintegrate le elaborazioni strategiche e la definizione del luogo fisico e dei soggetti di coordinamento delle lotte.

La questione ambientale, come già detto, non è un elemento scisso da altri fattori di crisi, ma anzi si lega ad essi tanto da divenire una parte soltanto di una crisi e di una tal sistema di contraddizioni la cui origine è unicamente riconducibile al modo con cui, negli ultimi duecento anni, è stato imbrigliato l’insieme delle forze produttive. Quindi, saranno necessariamente i soggetti maggiormente interessati alla contraddizione esplosa nei sistemi economici mercantili, gli sfruttati del pianeta, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo, ad avere il compito storico di concentrare le proprie lotte intorno ad un progetto strategico di cui una parte essenziale è rappresentata dalla questione ambientale.

1.3. Il quadro politico-evolutivo dentro le linee di tendenza

Il crollo dei sistemi politici dell’Europa dell’Est non coincide certo con il crollo del "muro", ma con il precedente fallimento di un’esperienza che, iniziata in modo esaltante con la Rivoluzione d’Ottobre, ha visto il non concretizzarsi del processo di transizione, il fallimento del passaggio dalla nazionalizzazione alla socializzazione dei mezzi di produzione, la mancata trasformazione della struttura e della sovrastruttura e, in definitiva, la tendenziale trasformazione del gruppo dirigente in gruppo dominante con caratteristiche borghesi. Fattori come la mancata penetrazione del processo rivoluzionario in occidente ed altri ancora da comprendere ed analizzare, hanno fatto il resto.

D’altro canto, anche se sommersi da responsabilità pesanti, questi sistemi hanno consentito ad organizzazioni e partiti occidentali di godere di un punto di riferimento definito, anche se osservato criticamente. In assenza di tutto questo, i partiti comunisti occidentali hanno continuato a perdere una propria identità antagonista, accettando di mediare con le istituzioni borghesi dei propri paesi e di partecipare a governi di matrice fortemente classista. I partiti comunisti e, più in generale quelli della sinistra storica, mostrano tutto il fiato corto delle loro politiche neo-riformiste ed una selvaggia destrutturazione organizzativa che ne determina una condizione di coincidenza con un gruppo dirigente autoreferenziale. Hanno perso la capacità di sintesi, di trasferimento della dialettica sociale ai livelli più alti, ma accettano passivamente gli unici livelli di scontro concessi dalle forze borghesi. Hanno smesso da tempo di preoccuparsi di radicamento sociale sul territorio, di formare quadri militanti e dirigenti e hanno progressivamente perduto la capacità di unificare e guidare le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori.

La crisi dei grandi movimenti di massa, determinata dall’incapacità di ricomporre le contraddizioni al proprio interno, prima ancora che da cause esterne, ha indebolito unilateralmente il fronte antagonista anche per ciò che concerne la sua capacità di proposizione strategica.

La società nel suo complesso, dunque, in presenza di questi elementi, è stata privata di punti di riferimento culturali chiari e definibili, venendo intrisa di idealismi borghesi e di analfabetismi di ritorno. Per tutti gli anni ’80 e ’90 la condizione è stata questa. In questo contesto degradato, la borghesia ha gioco facile nell’imporre la propria tattica del dividi et impera, che contrappone le lavoratrici ed i lavoratori agli ambientalisti, gli uomini e le donne della città a quelli della campagna, le maggioranze sociali, politiche, culturali ed etniche alle minoranze, il Nord del mondo al Sud.

Non si può però non valutare come le controffensive capitalistiche abbiano perduto efficacia e risolutezza, anche in assenza di un antagonismo sociale consistente. "D’altra parte il sistema capitalistico mondiale, se ha vinto qualche battaglia sul socialismo, è penetrato in una crisi senza ritorno, perché, proprio come dicevano Marx ed Engels, i suoi rapporti di produzione frenano lo sviluppo delle forze produttive. Senza contare che di quello che una volta si definiva ‘campo socialista’ sono rimasti in Asia, Africa e America Latina dei paesi che, seppur con un processo contraddittorio e con fasi di ripiegamento, esprimono ancora oggettivamente un ostacolo all’espansione dell’imperialismo" (Giuseppe Amata, Socialismo come formazione sociale, CUECM, Catania 1991). Se a questo aggiungiamo che, oltre a stati con organizzazioni strutturali e sovrastrutturali con forti contraddizioni interne ma ancora dotati di elementi - anche se spesso soltanto residuali - di socialismo, in alcuni paesi del Sud del mondo, pur in presenza di enormi difficoltà teoriche ed organizzative, comincia a riformarsi quel livello di conflittualità sociale intorno al quale si può ipotizzare di far ripartire le lotte e l’analisi internazionalista. Tuttavia questi elementi positivi di ripresa della conflittualità, non sembrano avere un loro corrispettivo nei paesi occidentali dove, comunque, per quanto concerne la crisi ecologica, sembra accresciuta - paradossalmente nel momento più basso delle dinamiche internazionaliste - la consapevolezza collettiva di una crisi complessiva del sistema.

La questione ambientale può quindi essere l’elemento da cui ripartire per aggregare e rilanciare il movimento reale che modifichi lo stato di cose preesistente e per creare, ad ogni passo avanti in questa direzione, la "situazione" perché non si ritorni indietro.

1.4. La crisi del capitale. Pensare localmente ed agire globalmente

Il modo di produzione capitalistico è in una crisi senza ritorno. Marx aveva evidenziato che in esso esistono tre condizioni di produzione, le "condizioni fisiche esterne", la "forza lavoro", e "le condizioni comunitarie". La prima di queste tre condizioni riguarda specificamente gli elementi naturali che entrano nel sistema produttivo, allocandosi sia nell’ambito del capitale costante, sia in quello variabile. "Oggi, le 'condizioni fisiche esterne' emergono sotto forma di variabilità degli ecosistemi, adeguatezza dei livelli atmosferici di ozono, stabilità delle linee costiere e degli spartiacque; qualità del suolo, dell’aria e dell’acqua; e così via. La 'forza lavoro' emerge sotto forma di benessere fisico e mentale dei lavoratori; tipo e livello di socializzazione; tossicità dei rapporti di lavoro e capacità dei lavoratori a farvi fronte; di lavoratori come 'esseri umani' e cioè intesi quali forze sociali produttive e organismi biologici in genere. Le 'condizioni comunitarie' emergono sotto forma di 'capitale sociale', infrastrutture e cose simili". (James O’Connor, L’ecomarxismo, Datanews, Roma 1989). Se anche uno solo di questi elementi entra in crisi - e complessivamente lo sono tutti - entra in crisi il sistema produttivo mercantile.

La capacità della borghesia di gestire ancora la contraddizione, seppure ridotta, rimane forte, quindi, solo per l’inconsistenza dei suoi avversari, incapaci di cogliere il senso profondo di alleanze a tutto campo con le altre forze sociali antagoniste e rinchiusi nella consuetudine borghese di confrontarsi con le questioni in ordine sparso.

In questo quadro l’agire localmente ed il pensare globalmente divengono fattori indispensabili per l’agire politico dei movimenti antagonisti, per strappare un’egemonia culturale a quei gruppi che fondano la propria identità su principi generici e superficiali, mutuati da soggetti politici borghesi con concezioni economiche mercantili.

l’"agire localmente" diviene essenziale, perché attraverso questa pratica di lotta, non soltanto si ottengono nell'immediato risultati che possono migliorare la qualità della vita, ma si innesca quel processo di formazione sociale e politica del quale non si può ulteriormente fare a meno. Ogni azione locale, nel rispetto delle prerogative dei "luoghi", non può però essere scissa da un "pensare globalmente" che ridefinisce e chiarisce il quadro internazionale che produce i suoi effetti anche localmente.

1.5. L’internazionalizzazione delle lotte ambientaliste

Ripartire dall’internazionalismo diviene un'ipotesi irrinunciabile perché, come dice Gramsci, "lo sviluppo è verso l’internazionalismo, ma il punto di partenza è ‘nazionale’ ed è da questo punto di partenza che occorre prendere le mosse. Ma la prospettiva è internazionale e non può essere che tale. Occorre pertanto studiare esattamente la combinazione di forze nazionali che la classe internazionale dovrà dirigere e sviluppare secondo la prospettiva e le direttive internazionali".

Trasferendo questo ragionamento sul piano della sfida ambientalista, la struttura ecologica del pianeta è forse l’elemento che più di qualsiasi altro si presta ad un’analisi globale. Non esistono in natura ecosistemi chiusi, e questa definizione, quando viene data, ha solo ed esclusivamente validità didattica. Ciò che avviene in un ecosistema lontano da noi ci riguarda in prima persona almeno quanto ciò che avviene sotto casa nostra. Se cioè la Foresta Amazzonica viene estirpata, bruciata e distrutta per far posto a strade, pascoli, città o per ricavare legna e altre materie prime, se il deserto africano avanza rapidamente a causa dell’uso estensivo della monocoltura che inaridisce il suolo fertile, o, ancora, se una petroliera scarica petrolio nel Pacifico in seguito ad un incidente, tutto questo, che ci piaccia o no, avrà un effetto, anche se a lungo termine, sul nostro vissuto quotidiano. I rapporti tra gli ecosistemi sono infatti assolutamente inscindibili, ad esempio, perché hanno effetti sul clima o perché l'impoverimento del suolo fertile nel Sud del mondo produce vasti flussi migratori umani. Ma il punto non sta semplicemente nell’occuparsi che non si distrugga una foresta da qualche parte del mondo, ma piuttosto nell’avere una visione globale del problema che ci consenta, anche a livello locale, di interagire con le questioni aperte da altre parti.

Paradossalmente la questione ambientale sta divenendo oggi centrale più nei paesi del Sud del mondo che non in quelli occidentali industrializzati che, sulla spinta dell’opinione pubblica, si stanno faticosamente e lentamente attrezzando per limitare l’impatto ambientale di fabbriche inquinanti. In primo luogo, trasferendo attività produttive dannose per l’ambiente nei paesi del Sud del mondo dove, oltre a trovare una scarsa resistenza nell’installazione degli impianti industriali - interpretati come un’occasione per colmare il gap di sviluppo con i paesi più ricchi - è facile reperire manodopera a basso costo e materie prime. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura ha quindi, oggi, una sua ubicazione preferenziale nei paesi del Sud del mondo anche per l’accondiscendente complicità di borghesie locali e regimi militari subalterni all’occidente. Non che non vi siano condizioni di marginalizzazione e sfruttamento in occidente, ma le sacche di povertà crescente nei paesi industrializzati hanno la stessa origine di quelli del Sud del mondo. Quindi, mentre al Nord vi sono sempre più poveri, nel Sud i poveri di ieri diventano ancor più poveri, non soltanto perché non dispongono ancora dei fattori di soddisfacimento dei loro bisogni essenziali (medicine, vestiti, acqua, cibo, istruzione...) ma anche perché, per sopperire a queste carenze, sono costretti a saccheggiare la natura, cioè a consumare la loro risorsa primaria.

Su scala mondiale sono in pericolo i beni collettivi, gli oceani, i ghiacciai, le foreste. Chi, nell’immediato, paga le conseguenze di questo degrado sono le popolazioni che risiedono in questi ambienti che, spinte dalla necessità, contribuiscono alla loro devastazione. In un quadro di sofferenza generalizzata si inseriscono così elementi di ulteriore ricatto, cinicamente sfruttati dalle grandi imprese multinazionali.

Riprendere e rilanciare le battaglie ambientaliste in una dimensione internazionalista nuova ed in relazione diretta con le altre forze sociali ed antagoniste vuol dire, quindi, occuparsi della povertà, della fame, della sete, dell’analfabetismo dei popoli del Sud; vuol dire occuparsi di preservare la loro diversità culturale che aveva consentito un rapporto organico ed equilibrato di millenni con l’ambiente; vuol dire promuovere iniziative di lotta contro lo sfruttamento di questi popoli e perché, nell’immediato, le merci di provenienza extranazionale abbiano un valore sociale aggiunto che sia a tutela dei diritti di chi le lavora e dell’ambiente in cui vive; vuol dire, nel lungo periodo, mettere in campo strategie internazionaliste per ribaltare i rapporti di forza a livello mondiale e per determinare un’inversione di rotta nel processo.

1.6. Le lotte ambientaliste, lotte di classe

Sono le lavoratrici e i lavoratori ad avere il compito di modificare i rapporti di produzione e liberare le forze produttive nella direzione storicamente predeterminata del soddisfacimento dei bisogni collettivi. Ma è necessaria l’acquisizione della consapevolezza del loro ruolo di attori protagonisti dei rapporti di produzione, cui deve seguire l’innalzamento del livello di scontro con lo spostamento delle contraddizioni sistemiche sul tavolo della borghesia e su un piano più alto. Tale consapevolezza può nascere innanzitutto dalla comprensione che il proprio lavoro è funzionale, così come si realizza, alla produzione energivora di merci, all'interno di un modello di sviluppo dotato della capacità intrinseca di creare consumatori attraverso processi violenti di mercificazione del linguaggio. Questo aspetto della crisi è quindi determinato da due fattori che così possono essere espressi in sintesi:

a) "La produzione produce perciò non soltanto un oggetto per il soggetto, ma anche un soggetto per l’oggetto. La produzione produce quindi il consumo 1) creandogli il materiale; 2) determinando il modo di consumo, 3) producendo come bisogno nel consumatore i prodotti che essa ha originariamente posto come oggetti. Essa produce perciò l’oggetto del consumo, il modo di consumo e l’impulso al consumo; allo stesso modo, il consumo produce la disposizione del produttore, sollecitandolo in veste di bisogno che determina lo scopo della produzione". (K. Marx)

b) Il linguaggio diviene merce, una merce assolutamente insostituibile per il dominio di classe della borghesia perché è capace di modificare l’atteggiamento delle masse nei confronti delle altre merci. "Ogni uomo si ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno per costringerlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi alla rovina economica" (Marx, dal III dei Manoscritti economico-filosofici). Tutto, nell’economia mercantile, è finalizzato ad un unico scopo, che è quello di produrre qualcosa da vendere, anche se assolutamente inutile, ed anzi, come scrive Marx nel Capitale, "Uno dei progressi della produzione civilizzata consiste che gli oggetti di prima utilità si scambino in maggiore proporzione contro oggetti d’una utilità minore". Persino il richiamo cattolico alla ripresa della crescita demografica, il "crescete e moltiplicatevi", può essere interpretato come un invito alle donne a mettere al mondo consumatori. La maternità diventa, cioè, un processo produttivo, particolarissimo, se vogliamo, perché tiene in vita il mercato, rinfoltendo anche la folta schiera dei "reietti" dell'armata industriale di riserva da cui prelevare manodopera a basso costo.

La questione ambientale attraversa trasversalmente le classi ma è evidente la sua matrice classista. Le lotte ambientaliste hanno quindi una dimensione di classe, e relazionarsi con esse ha il significato di rimettere in discussione i rapporti di produzione a partire dal significato stesso di questione ambientale. Gli apologeti dell’ideologia neoclassica hanno invece spostato il problema, dal modo storico con cui si sono realizzati i rapporti di produzione, alla finitezza delle risorse, introducendo il concetto di scarsità ed i relativi palliativi legati all’uso di un sistema di prezzi che fosse da argine alla natura "finibile" della terra. Questa posizione ideologica, che trova radici e consacrazioni nel pensiero di Malthus (vedi capitolo 2 Lo sviluppo sostenibile, ideologia borghese), ha finito per divenire egemone ed inquinare il piano delle lotte ambientaliste, cui ha sottratto ampi spazi di analisi.

1.7. La centralità della scienza; i nuovi idealismi

Non può essere trascurato che alla base del modo di produzione capitalistico, da cui è generata la drammaticità della questione ambientale, vi è l’uso irrazionale di tecnologie mutuate dall’evoluzione scientifica. In questa prospettiva appare quanto mai evidente come un movimento ambientalista possa generarsi solo dalla riacquisizione di una prassi in cui divenga centrale lo studio e la conoscenza delle scienze ed in particolare delle scienze naturali. Ogni ipotesi conflittuale nella direzione del ribaltamento dei rapporti di forza è destinata a naufragare se non si comprende, ad esempio, che alla base dei protocolli di ingegneria genetica vi è la trasformazione del substrato della materia vivente e quindi una modificazione delle materie prime, non soltanto con ricadute devastanti sull’ambiente, ma anche con una pesante ristratificazione delle classi sociali.

Riappropriarsi del pensiero scientifico diviene, quindi, il passo fondamentale per dare risposte alla questione ambientale ed a tutte le altre forme di crisi collegate con il modo di produzione ad organizzazione mercantile. Nell’attuale fase le difficoltà in questo senso divengono terribili. Gli stessi protagonisti della degenerazione capitalistica, la borghesia che soggioga ed opprime le forze produttive per esaudire i propri interessi d’accumulazione, posta dinnanzi alle laceranti contraddizioni che essa stessa ha generato, incapace della loro gestione, elabora contromisure di tipo idealista, scivolamenti mistici, e l’ipotesi dell’"ineluttabilità" della crisi. Un disegno concretizzato nel ricorso sistematico al nuovo misticismo, nell’estraniarsi dalle "faccende" materiali di pezzi consistenti della popolazione e nell’utilizzo spregiudicato di strumenti di puro idealismo.

L’inebetimento sociale diffuso rende libera la borghesia di continuare a perpetuare il saccheggio delle teorie scientifiche che, dall’abbandono delle concezioni aristoteliche, nutrono il modo di produzione capitalistico. L’obiettivo malcelato è razionalmente quello di mantenere alto il livello dello sfruttamento creando falsi anticorpi di natura idealistica e morale, incancreniti dall’evolversi vertiginoso della situazione. La contraddizione scatenata dall’uso opportunistico dell’evoluzione tecnologica ed il pragmatismo individualista, persino perverso, con cui il mercato fagocita le nuove scoperte scientifiche, mostrano i tratti paranoidi del Capitano Achab che, nel Moby Dick di Melville, espone così la propria teoria: "I miei scopi sono assolutamente insani, ma i miei metodi per raggiungerli sono razionali".

Dinnanzi al degrado, la società borghese non ha trovato di meglio che introdurre l’etica per mitigare gli effetti imprevedibili dell’imbrigliamento delle forze produttive. E come filiazione della scienza della morale ha coniato il termine "bioetica" la cui applicazione diventa dogma, religione, ideologia, perversione immutabile ed eterna, dinnanzi ad una società che invece si evolve a velocità vertiginosa sotto la spinta delle nuove acquisizioni scientifiche.

1.8. Riconquistare spazi al materialismo scientifico

Quali allora gli strumenti di cui si avverte la necessità? Quelli della scienza sono adeguati, oppure anch’essi devono essere sottoposti ad una seria critica materialista che ne qualifichi l’essenza?

Che la scienza sia in grado di fornire strumenti oggettivi per la valutazione della realtà è fuor di dubbio. Ogni conquista scientifica rappresenta una parte di verità che si aggiunge alle conoscenze umane. Una verità che può essere considerata più o meno parziale, ma che rimane pur sempre una verità.

L’approccio nei confronti della scienza si presenta spesso secondo due modelli diametralmente opposti. Il primo, il cosiddetto "scientismo", spinge a considerare la scienza più che come entità in perenne movimento, come una struttura a sua volta dogmatica, in grado di risolvere per sua stessa natura ogni questione aperta. La scienza in questo caso si trasforma in "chiesa", senza tener conto di un elemento fondamentale e cioè il rapidissimo evolversi della realtà anche sotto spinte di natura soggettiva, individualistica - come è nel caso del modo di produzione capitalistico -, mistica ed idealistica. Non vi è dubbio che con questo approccio vengano colti elementi di oggettività, senza di essi, d’altro canto, non vi sarebbe una realtà da studiare e conoscere. Ma ciò che viene descritto dalla scienza degli "scientisti" come oggettivo contiene elementi di soggettività che non vengono tenuti in considerazione come tali. In questa accezione la scienza diviene inadeguata a mostrare ed a spiegare la complessità.

All’altro capo vi è un’altro modo di approcciarsi alla scienza che parte dal presupposto che le degenerazioni politiche, sociali, economiche ed in genere le contraddizioni della società capitalistica e le crisi aperte, sono il frutto dell’evoluzione scientifica, per cui la scienza, lungi dall’essere lo strumento per superare l’attuale stato di cose, ne è essa stessa la causa ed occorre quindi riavvicinarsi alla natura in forme mistiche ed idealistiche, rifiutando lo strumento dell’indagine scientifica. Si determina, cioè, uno scivolamento di tipo "romantico" che è quello che, oggi, condiziona maggiormente gli ambientalisti.

In realtà entrambe le forme divengono - in modo diverso, certamente - idealismo, rifiuto di una dialettica materialista ed incapacità, in un senso o nell’altro, di un approccio oggettivo critico nei confronti anche delle conquiste scientifiche. Si pone, in altre parole, il problema di comprendere cosa occorre studiare e perché, non per indirizzare la sperimentazione scientifica o castrare la creatività indispensabile allo scienziato, ma piuttosto per eliminare le discontinuità che il mercato ha prodotto tra scienziati e lavoratori, fagocitando, imbrigliando e sottomettendo la ricerca scientifica nella direzione dell’incremento del semplice tasso di accumulazione, producendo quelle stesse contraddizioni che la società borghese non è più in grado di gestire.

"Mi pare giusto insistere sulla necessità di orientare la nostra attività culturale nel senso di integrare, al nostro pensiero dialettico, le acquisizioni della scienza (...) non è neppure giusto che noi si lasci giacere senza sfruttarla una miniera di conferma del pensiero materialista dialettico quale è potenzialmente il pensiero scientifico nel suo perenne accrescimento e approfondimento. In questo campo, noi siamo ancora fermi alla Dialettica della natura di Engels (...) Ma dopo Engels, chi ha cercato di applicare il medesimo metodo di studio al territorio di una nuova conquista, di cui tutte le scienze da allora ci hanno arricchito? Esistono gli appassionati a questo ordine di cose: ma i loro sforzi non sono pianificati o collegati. Ne risulta la diffusione di una concezione banalmente utilitaria del progresso scientifico (...) Queste persone, nella misura in cui ammirano le acquisizioni del progresso scientifico, partecipano ad una visione del mondo che, se pure non ha - ma poi ce li ha! - oggi dei teorici ufficiali, tuttavia si diffonde capillarmente, e può venir riconosciuta in alcuni suoi lineamenti fondamentali, che vanno con diverse accentuazioni, dal materialismo volgare, al pragmatismo utilitaristico, al sociologismo, alla certezza che i problemi umani si potranno risolvere tutti con il progresso tecnico ed il produttivismo, e magari con il controllo delle nascite. E ci si ricollega quindi ad una pseudo ideologia tecnocratica, tipica di certi strati piccoli-medi borghesi. Il prestigio della superiorità economica americana poi contribuisce a diffondere questo "modernismo" in cui la mancanza di un sistema di pensiero è addirittura sistematica. Non si creda che questa mentalità (non vogliamo dire "questo pensiero") sia immune dai rischi di un possibile occasionale ritorno allo spiritualismo cristiano, e magari nelle forme di un vero e proprio misticismo! Ed in realtà la cosa non è strana. In realtà quel materialismo volgare, quel pragmatismo, quel sociologismo, quell’ingenua fiducia nell’onnipresenza della tecnica esauriscono affatto tutta la problematica della vita. Anche la persona colta se ne sente in fondo insoddisfatta: sente che, oltre "i complessi", l’igiene o il produttivismo dev’esserci pure "qualcosa d’altro". Ed a questa domanda può cercare risposta nella fede religiosa. E anche se tra il caotico bagaglio delle diverse "selezioni" tecnico-scientifiche e la fede religiosa c’è uno iato di pensiero, un vero e proprio salto di incongruità, non importa: è caratteristica comunemente accettata, nell’atto di fede, proprio questo "salto", questa accettazione anche dell’assurdo, anche dell’incoerenza inspiegabile". (Cfr. Laura Conti, in Rinascita-Contemporaneo, n. 16, 1956).

Tuttavia non si può non considerare il diverso concetto di scienza in una società di classi in cui essa assume necessariamente valore diverso soggettivo, pur riferendosi a realtà oggettive. La scienza emerge cioè dal contesto storico e sociale che la genera e che a sua volta ne è generato.

Nella concezione socialistica delle società borghesi la scienza acquista peso economico, ma anche quello della costruzione della molteplicità delle funzioni paradigmatiche di formazione sociale e politica. Ha peso economico perché assume per se l’obiettivo di formare conoscenze oggettive sulla natura, allo scopo di massimizzare e rendere efficiente il prelievo di risorse, sottomettendo la natura stessa ai principi mercantili. L’indagine scientifica politica e sociale si rivolge piuttosto alla conoscenza del rapporto tra gli uomini nella direzione della comprensione dei livelli di aggregazione, per attingere alla risorsa forza lavoro. In entrambi i casi la scienza, nella sua accezione borghese della società di classe, diviene strumento di dominio per amplificare l’efficienza dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.

Gli operatori della scienza, non sono quindi "liberi" ma i loro obiettivi sono definiti, ed eventualmente ridefiniti, dai loro "datori di lavoro", che ne indirizzano la sperimentazione in una direzione che non è quella del soddisfacimento dei bisogni collettivi, ma piuttosto quella del soddisfacimento di volontà individuali ed opportunistiche. Il metodo scientifico, il suo rapporto con la conoscenza della natura, non è quindi soltanto il risultato delle lotte di classe nella società, ma diviene esso stesso terreno di scontro di classe. La categoria dell’alienazione è parte integrante dei processi produttivi scientifici e ne riguarda gli operatori proprio come - e forse anche più per le dimensioni del plusvalore che scaturisce dalle risultanze della ricerca scientifica - il proletariato. In questo senso, la separazione schizofrenica che si è determinata tra movimento operaio, intellettuali e scienza, ha prodotto la frantumazione sistematica del fronte che doveva e poteva occuparsi direttamente, come elemento per far sopravvivere una dinamica conflittuale tra le classi, delle lotte ambientaliste e in tutti gli altri ambiti di disfacimento della società borghese.

Questo tanto più si manifesta in un paese capitalista, ma anche in un paese socialistico in cui il processo di transizione non era stato completato, soffrendo le fasi di alterne di frenate e ripiegamenti, qualcuno riteneva utile sottolineare la necessità di un rapporto più stretto tra scienziati e popolazione. "Il compito fondamentale della scienza sovietica è quello di mettere nelle mani dei lavoratori un potente strumento di progresso culturale, spirituale e materiale. Per questo è necessario che ogni studioso, fin dai primi passi della sua attività scientifica, ricordi costantemente quali sono gli scopi che si prefigge la nostra scienza. Ma può accadere che questo scopo sia dimenticato; e purtroppo accade spesso. Lo scienziato, distaccato dal mondo esterno, nel suo laboratorio o nel suo studio, può cominciare a vedere uno scopo nel suo stesso lavoro. Il distacco dalla vita è il pericolo più grande per lo scienziato.

Egli, più di ogni altro lavoratore deve avere coscienza delle esigenze del paese e del popolo. Egli deve ricordare che, qui da noi, il distacco dello scienziato dalla vita ha lo stesso valore di una morte prematura. Viceversa, il pegno del successo della sua attività sta nel sentire il pulsare della vita che lo circonda. Allora creerà coerentemente a vantaggio del paese e troverà nel paese tutto quanto è necessario per dare pieno slancio al suo lavoro.

Non bisogna intendere questa utilità a favore del paese come un angusto pragmatismo scientifico; non bisogna cioè pensare che ogni conquista scientifica possa immediatamente trasformarsi in un ritrovato o in un processo che comporti un certo risparmio di certi mezzi. Questo rapporto immediato naturalmente è uno dei più semplici sistemi per mettere in connessione la scienza con la vita.

Ma questo legame può essere più prezioso e profondo. Una grande scoperta scientifica, che apre nuove prospettive, che permette una nuova comprensione dei fenomeni naturali, anche se non porta immediatamente ad una sua utilizzazione pratica può nei modi più svariati esercitare un’eccezionale e multiforme influenza sulla nostra cultura sia materiale che spirituale; questa influenza spesso non è riducibile ad un rozzo apprezzamento numerico. Le opere di Darwin sull’origine della specie sono preziose non tanto perché ci aiutano a creare bestiame di razza, ma perché ci hanno permesso di approfondire le nostre conoscenze sulla teoria dell’evoluzione ed hanno fornito potenti strumenti a coloro che si battono per la cultura progressiva" (P. L. Kapitsa, La scienza come impresa mondiale, Editori Riuniti, Roma 1979).

Fonte: ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI Karl Marx - Friedrich Engels - Contatto - www.istcom.it

Altre fonti


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/02/2019