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L'UOMO, SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE

Se l'uomo del Terzo Millennio non porrà un freno allo sfruttamento del pianeta e dell'ambiente, in 20 anni diventerà una specie in via di estinzione.

Non è allarmismo quello lanciato dal convegno "Un secolo tra innovazione e conservazione" organizzato dal Premio letterario Gambrinus Mazzotti di Treviso, è solo una constatazione dei fatti.

Inquinamento, distruzione ambientale, globalizzazione, supremazia di una civiltà che non si ferma di fronte a niente pur di conseguire un utile immediato.

Le motivazioni sono tante e tutte da ponderare. Ne ha parlato il noto etologo Danilo Mainardi, relatore al convegno e conosciuto al pubblico per il suo impegno ambientale e le numerose trasmissioni televisive, tra cui Quark.

"L'uomo è diventato un elemento sconvolgente per la natura e quindi, per ricaduta, per l'uomo stesso. Vuole la globalizzazione, senza capire che l'appiattimento delle diversità porterà alla banalità e distruggerà importanti patrimoni culturali - ha sostenuto Mainardi davanti ai molti studenti trevigiani - Non esagero nel dire che oggi siamo alla vigilia della sesta estinzione. Ci sono stati altri momenti nell'evoluzione umana con pericoli di annientamento per i generi viventi terrestri. Oggi però la situazione è totalmente nuova: potrebbe succedere non più in 100 mila anni ma in un solo anno".

Le tracce ci sono ovunque: la quasi totale scomparsa delle rondini, degli storioni nel Po e di molte altre specie animali. Il rischio di estinzione per oltre 50 culture umane, la supremazia di una specie, quella umana, che sta distruggendo l'ecosistema planetario. E l'incapacità di pensare soluzioni lungimiranti che salvaguardino il futuro dell'intero pianeta.

"Per un periodo lunghissimo l'uomo ha vissuto in completo equilibrio con la natura da cui proveniva - ha spiegato Mainardi. Raccoglieva, cacciava nei luoghi dove si trovava. La vera rivoluzione è arrivata 14 mila anni fa, con l'addomesticamento degli animali e delle piante.

Con la pastorizia e l'agricoltura sono cresciute le risorse, si sono formate le città. Ed è stato allora che sono nate le prime classi sociali totalmente estranee ai cicli della natura: i sacerdoti, i soldati... Il distacco dalla natura, dalla Terra è iniziato proprio da qui. Il genere umano ha pensato di potercela fare da solo, di non esserne più parte inscindibile ma dominante".

L'uomo ha cominciato così a comportarsi da 'opportunista', impadronendosi delle risorse intorno a lui senza dare nulla in cambio. "In natura - ha continuato Mainardi - esistono due strategie: la strategia K, in cui rientrano l'uomo cacciatore e la donna raccoglitrice. Si preleva dalla natura quanto serve secondo un trend programmato ed equilibrato.

Poi c'è la strategia R della quale fanno parte le specie fuggitrici e opportuniste come le cavallette: queste specie si riproducono massicciamente, fanno fuori tutto quello che trovano e scappano via incuranti delle conseguenze.

Oggi possiamo affermare con ragione che l'uomo del 2000 fa parte proprio di quest'ultima classe animale. Prende, distrugge e scappa via".

Sulla Terra vivono ora circa sei miliardi di uomini. Per tre miliardi di anni il pianeta si è evoluto secondo i ritmi biologici adeguati alla sua struttura. Poi è arrivato l'uomo che in diecimila anni si è evoluto in un modo tutto suo, con meccanismi totalmente diversi.

"Si parla di evoluzione culturale dell'uomo - ha affermato Mainardi. Ma finalizzata a cosa? Per lo più a profitti di breve durata e senza alcuna considerazione verso le ricadute negative a lungo termine. Certo, predatore e preda sono sempre esistiti, chi dice il contrario? Ma se il predatore si arma di auto, fucile, cellulare, la coevoluzione non sarà più possibile. La biologia insomma non tiene più il passo della cultura. E gli squilibri sono già enormi".

Ma c'è di peggio: con il diffondersi della cosiddetta 'globalizzazione' l'intero mondo umano si sentirà 'in dovere' di comportarsi così e di utilizzare lo stesso scriteriato modello. "La nostra cultura è troppo distruttiva - ha sottolineato Mainardi al convegno. Serve un nuovo pensiero, un pensiero che scivoli via dall'antropocentrismo per finire al biocentrismo dove non l'uomo ma la vita sta al centro di tutto. E non si tratta di un fine da conseguire per pura generosità.

Facciamo invece quattro conti: tolgo una foresta, ci guadagno ma muoio prima. Il pensiero biocentrico invece è lungimirante e difensore dell'equilibrio naturale di cui fa parte la vita di tutta la Terra, uomo compreso".

In natura nulla è nocivo all'ambiente. Tutto è stato creato per 'chiudere il cerchio' e tutto è esattamente al posto dove deve essere. In caso di aberrazioni ci pensa la Natura a rimettere i tasselli nella giusta collocazione.

"Diffidate di chi vi dice: uccidiamo i rapaci perché fanno danni. I danni forse li faranno ai cacciatori che si vedono portar via le tanto ambite prede da uccidere. Questo è dunque un concetto errato di nocivo.

A Venezia i colombi muoiono di malattia proprio perché non ci sono più rapaci che ne eliminano gli esemplari deboli. Così continuano a riprodursi a dismisura e a creare squilibri.

Così succede quando si inseriscono specie non autoctone. E' successo nel Po, con il 'siluro del Danubio'. Ce lo hanno messo dentro, sta creando crisi e distruzione tra i pesci presenti, ma non importa: l'uomo voleva nuovo pesce da pescare. Ecco come agisce. Gli organismi viventi evolutisi per milioni di anni devono essere protetti nella loro biodiversità".

L'uomo 'globalizzato e globalizzante' però non sembra avvedersene: diffonde il suo credo ovunque, anche tra le specie animali. Come certe forme di addomesticamento che stanno sconvolgendo gli habitat naturali. Pesci d'acquario, piante tropicali, piccoli animali, scoiattoli volanti, alligatori, tutti immessi in ambienti diversi e inadatti ad accoglierli con danni irreparabili all'intero sistema. Animali il più delle volte allevati in stalle che sembrano laboratori e rimpinzati di mangimi fino a scoppiare.

"La globalizzazione e l'economia odierna - ha ripreso Mainardi - ci stanno facendo perdere veri patrimoni culturali, con conseguenze inimmaginabili. La vongola filippina, immessa a forza nella laguna veneta, sta distruggendo l'intero ecosistema: mangia i pesci tradizionali e tutto quello che trova intorno. Che importa, dice l'uomo del 2000? Mi rende in denaro e ci guadagno bene, non ne facciamo un dramma, è solo un pescetto. Questo è l'uomo, la peggiore specie 'fuggitiva'".

Il futuro dell'uomo del Terzo Millennio è dunque incerto. Non è disfattismo, terrorismo o pessimismo. I segnali sono evidenti. Lo attendono disastri naturali, squilibri culturali che già sono iniziati in tutto il mondo, nonché banalizzazione, tendenza all'uniformità, sovrappopolamento, povertà, scelte miopi.

"Risolviamoli con la globalizzazione" dice l'uomo contemporaneo. E vediamola questa globalizzazione. Avrebbe dovuto evitare il razzismo. Invece è anche peggio di prima. Mainardi lo conferma: "Purtroppo ha introdotto invece il nuovo termine di pulizia etnica, dove razze che prima convivevano pacificamente sembrano ora non tollerarsi più. E intanto qualcuno manovra sopra di loro fili invisibili che portano solo a denaro e profitto. Razze intere scomparse solo perché per sfamarsi rubavano pecore ai bianchi, cinquanta culture nel mondo a rischio di estinzione perché non sanno 'adattarsi' alla globalizzazione.

L'unica cultura predominante a qualsiasi latitudine e longitudine sta diventando solo quella degli hamburger e della Coca Cola. Alle nuove generazioni insomma non lasceremo altro che questa 'ricchezza'. La Terra è bellissima e noi lasceremo hamburger e Coca Cola ai nostri figli? Bisogna tutelare le differenze genetiche e culturali, valorizzarle a tutti i costi perché sono l'uomo stesso, rappresentano la sua crescita nel futuro. L'uomo morirà senza di esse, l'uomo e le sue imprese spaziali. Ha dimenticato che le sue radici affondano nelle foreste e che la scomparsa anche di uno solo di quei piccoli popoli rimasti sarà una drammatica amputazione nell'equilibrio planetario?".

L'uomo del Terzo Millennio deve allora fermare la sua sfrenata corsa verso l'autodistruzione, contare umilmente i danni provocati e porvi subito rimedio, progettando il futuro. Per Mainardi è l'unico modo per salvare quanto ancora si può salvare: "La nostra cultura si è sempre imposta come la migliore. Per questo le conseguenze delle sue azioni non avevano alcuna importanza. I risultati invece sono evidenti: perdite irreparabili di patrimoni consolidatisi per milioni di anni. Non resta molto tempo, ma si può fare ancora qualcosa: la cultura ecologica deve divenire centrale, entrare nelle scienze economiche e politiche e dare il giusto scossone all'umanità che decide.

Per avere governanti migliori, bisogna avere una popolazione preparata. E' questa la sfida del Terzo Millennio".

I responsabili dell'ambiente in cui viviamo insomma non sono 'gli altri', siamo noi: noi con le nostre scelte che devono essere lungimiranti, con le nostre azioni che buone o cattive devono sempre essere consapevoli delle ricadute che avranno sugli altri e sull'ambiente, con la nostra capacità critica che nessuno deve toglierci, con il nostro coraggio di essere coerenti e di andare fino in fondo a quello in cui crediamo, ma soprattutto con la nostra capacità di ragionare per conto nostro, impedendo a chiunque di prepararci già preconfezionato il nostro destino, il nostro cibo, la nostra giornata, il nostro pensiero. Uno per tutti, tutti per uno, questa è la strada da seguire.

(Riflessioni sul convegno "Un secolo tra innovazione e conservazione" organizzato dal Premio letterario Gambrinus Mazzotti di Treviso)

Fonti

Paola Fantin - www.tg0.it


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/02/2019