STUDIO LEGALE CANESTRINI E CESCATTI - ROVERETO
GLI ASPETTI LEGALI DEL BOICOTTAGGIO
1) Aspetti penali
- L'art. 507 del Codice Penale, in relazione al reato di boicottaggio, recita:
"Chiunque, per uno degli scopi indicati negli art. 502, 503, 504 e 505, mediante
propaganda o valendosi della forza ed autorità di partiti, leghe o associazioni, induce
una o più persone a non stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o
strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o
industriali, è punito con la reclusione fino a tre anni".
- Il reato può essere commesso da chiunque, eventualmente da più soggetti
contemporaneamente, e quindi sia da datori di lavoro, sia da esercenti senza lavoratori,
sia da lavoratori, sia da persone non rispondenti a nessuna di queste categorie.
- La condotta diventa penalmente rilevante solamente qualora si usi la propaganda o ci si
avvalga dell'autorità e della forza di partiti, leghe o associazioni nei confronti di una
o più persone.
- Per quanto riguarda la propaganda, essa consiste in ogni attività tendente alla
diffusione di idee, programmi, teorie realizzata con qualsiasi mezzo, pubblico o privato,
clandestino o palese. E' però da escludersi la rilevanza della propaganda utilizzata
quale mezzo di concorrenza e di mercato (pubblicità), in quanto si tratterebbe
dell'esercizio di un diritto tutelato, la libertà di attività economica, e come tale non
costituirebbe, ex art.51 c.p., una condotta antigiuridica.
Parimenti si è ritenuto che non assurga a fattispecie di reato la propaganda negativa,
messa in atto ad esempio dalle associazioni dei consumatori, qualora si risolva nel
mettere in guardia i consumatori stessi ad esempio dagli svantaggi ricollegati
all'eccessivo prezzo - comparato ad altri prodotti similari, o alla loro scadente qualità
- o, addirittura, da conseguenze dannose. In tale caso ci si troverebbe
nell'ipotesi prevista dall'art.52 c.p. secondo il quale "non è punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto
proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa
sia proporzionata all'offesa".
- La Corte Costituzionale, con sentenza n. 84/1969, ha stabilito che l'articolo in esame
deve essere inteso nel senso di punire la condotta descritta solamente allorché la
propaganda investa ipotesi che assumono "dimensioni tali ed un grado di intensità
e di efficacia da risultare veramente notevole".
Si finirebbe altrimenti, infatti, con il punire "la propaganda di puro pensiero e di
pura opinione, ogni qualvolta possa comunque ad essa coordinarsi o semplicemente riferirsi
un comportamento singolo che sia causa dell'evento ivi considerato" ed anche "
in condizioni di insignificante rilievo", e ciò in palese contrasto con la libertà
di pensiero tutelata dall'art.21 della Costituzione (Corte Costituzionale, sentenza
citata. Nello specifico si trattava però di boicottaggio posto in atto da un solo
soggetto).
- Per quanto riguarda poi il ricorso alla forza ed all'autorità di partiti, leghe e
associazioni, si è ritenuto che raffiguri la fattispecie "qualsiasi entità
risultante dall'associazione di più persone, lecita o illecita, clandestina o palese,
nazionale o locale, purché dotata di "peso", effettivo o prospettato, "rilevante".
Per "autorità" si intende, comunque, influenza meramente morale. Si è detto
che "è irrilevante il modo come il colpevole si avvale della forza e dell'autorità
predette. Egli può stabilire o concorrere a stabilire sanzioni pecuniarie, divieti,
interdizioni, o altre persecuzioni, ovvero può semplicemente farle intravvedere, oppure
può invocare generiche proibizioni, o anche limitarsi a parlare in nome del partito,
della lega, o della associazione".
- L'articolo in esame tutela l'economia nazionale, e cioè l'interesse dello Stato
a che questa si svolga senza turbative. L'interesse delle singole persone boicottate è
quindi tutelato solo in via indiretta, qualora vi siano, appunto, condotte rilevanti per
l'economia nazionale. Ne consegue che, poiché tutelato è solo l'interesse nazionale, il
boicottato deve rappresentare una forza produttiva della Nazione e quindi deve svolgere la
sua attività economica - sia che egli sia straniero, sia che si tratti di cittadino - nel
territorio dello Stato o comunque, se all'estero, a favore della produzione italiana.
Si esclude perciò che possa assumere rilevanza il boicottaggio agito nei confronti di
industriale o commerciante, anche se italiano, che operi esclusivamente all'estero in modo
del tutto indipendente dalla produzione italiana.
- Sebbene non sia necessario, perché si configuri il reato, dimostrare che il
comportamento dell'imputato abbia effettivamente prodotto un danno al boicottato o
all'economia nazionale il danno privato è assolutamente irrilevante per la configurazione
del reato, mentre il danno all'economia nazionale è presunto in via assoluta dalla legge
e non necessita di essere provato), la pressione deve aver determinato una delle
astensioni previste dall'articolo in esame. E' cioè necessario provare che l'astensione
sia effettivamente avvenuta e che una o più persone non abbaiano, ad es., acquistato i
prodotto altrui, indotte dalla propaganda del soggetto imputato. (E' necessario tener
presente però che, nel caso in cui gli atti idonei a indurre all'astensione non abbiano
raggiunto l'effettiva astensione, la condotta potrebbe ugualmente essere punibile
potendovisi ravvisare un delitto "tentato").
- Elemento essenziale, inoltre, perché la condotta sia punibile è che sia posta in atto
per una delle finalità di cui agli art. 502, 503, 504 e 505 del Codice Penale. Il
boicottaggio, per essere punibile, deve perciò essere commesso per uno dei seguenti
scopi:
a) scopo contrattuale (art.502);
b) scopo politico (art.503);
c) scopo di esercitare una coazione sull'Autorità (art.504);
d) scopo di solidarietà o di protesta (art.505).
A prescindere dal fatto che la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
dell'intero art.502 c.p., sancendo quindi la liceità delle condotte ivi descritte
compiute a scopo contrattuale, ai nostri fini rilevano soprattutto lo scopo politico e
quello di solidarietà e di protesta.
- L'art.503 richiamato prevede i reati di serrata e sciopero commessi per fine politico.
Si verifica questa ipotesi quando chi commette il delitto "si propone di attuare, col
mezzo di questo, una manifestazione politica che sia scopo a sé stessa, ovvero di
conseguire una modificazione nelle direttive politiche generali del Governo o nei criteri
che guidano il Governo stesso in un determinato campo di attività, oppure di ottenere
modificazioni nella disciplina giuridica di enti, funzioni, diritti o doveri politici. E'
comunque necessario che il fine politico sia il fine essenziale per il quale si commette
il delitto, non è sufficiente che il fatto possa avere anche qualche
"riflesso" politico.
La Corte Costituzionale con sent. n.290/1074 ha però ridotto la portata della norma
(art.503) richiamata dall'articolo in esame, dichiarandone l'illegittimità "nella
parte in cui punisce anche lo sciopero politico, che non sia diretto a sovvertire
l'ordinamento costituzionale, ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei
poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare".
Si deve perciò attualmente ritenere che sia ormai punibile in base all'art.503,
richiamato dalla norma sul boicottaggio, solo lo sciopero inteso a sovvertire la
Costituzione o volto ad ostacolare l'esercizio della sovranità popolare". Tale
riduzione di portata parrebbe estensibile anche alla norma sul boicottaggio che,
altrimenti interpretata, finirebbe per porre limiti illegittimi alle libertà
costituzionalmente tutelate.
- L'art.505 richiamato, invece, prevede i delitti di sciopero o serrata a scopo di
solidarietà o di protesta. Si ha perciò una condotta illecita qualora lo sciopero o
la serrata vengono posti in atto al solo scopo di aderire, rispettivamente, alla serrata
di altro datore di lavoro o allo sciopero di altri lavoratori.
Il fine di protesta si verifica invece quando la serrata o lo sciopero divengano
esclusivamente una manifestazione ideologica di principio contro provvedimenti o fatti che
colpiscano rispettivamente il datore di lavoro o i lavoratori.
Poiché però la Corte Costituzionale, con sent. n.123/1962, ha escluso l'illegittimità
dello sciopero compiuto per solidarietà con altri lavoratori, anche in questo caso
parrebbe che la norma sul boicottaggio abbia subito un indiretto ridimensionamento, la
portata del quale, comunque, non è stata ancora accertata per via giurisprudenziale.
- In ogni caso si è autorevolmente sostenuto che, perché ci si trova di fronte al reato
di boicottaggio, la condotta deve presentare il requisito della illegittimità.
Si è detto infatti in proposito: "Il fatto è illegittimo quando si tratti di
boicottare produttori o commercianti perché usano sistemi riprovevoli, o perché i
loro prodotti sono nocivi o sofisticati, o contrabbandati, o posti in commercio a
prezzi esorbitanti, ecc., ovvero perché la loro attività è altrimenti contraria agli
interessi politici, morali ed economici della Nazione" (Manzini, VII, p. 132).
Secondo detto orientamento, però, l'attività del boicottaggio deve essere
"manifestamente antigiuridica" per legittimare il boicottaggio, non bastando a
ciò il semplice sospetto di un comportamento illegittimo. Nel caso in cui si configuri il
reato di boicottaggio di cui all'art. 507 Co. Pen., sarà eventualmente possibile che il
boicottaggio ottenga il risarcimento dei danni conseguiti all'illecito e, trattandosi di
danni derivanti dal compimento di un reato, saranno risarcibili non solo quelli materiali,
ma anche quelli morali.
2) Aspetti civili
Il Codice Civile prevede, agli artt.2598 e ss., alcune disposizioni relative alla
cosiddetta "concorrenza sleale, collegandovi delle conseguenze di ordine risarcitorio
rilevanti anche per le associazioni che si prefiggono di porre in atto campagne di
boicottaggio.
Innanzitutto è necessario individuare in che modo le norme sulla concorrenza sleale
possono interferire con l'attività di cui sopra delle associazioni.
- L'art.2598 c.c. prevede che compia atti di concorrenza sleale chiunque: " (...)
2) diffonde notizie e apprezzamenti sul prodotto e sull'attività di un concorrente,
idonei a determinarne il discredito (...);
3) si vale direttamente e indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi
della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda".
- Nel nostro caso il comportamento delle associazioni boicottanti potrebbe essere
considerato alla stregua del compimento di atti "denigratori"; fra questi si
ritiene debba rientrare anche la diffusione di notizie vere operata però in modo subdolo
o tendenzioso o comunque scorretto, così da produrre discredito per l'attività del
concorrente.
- Parimenti atti di concorrenza sleale sono definiti quelli "contrari alla
correttezza professionale", i quali sono tali o in relazione al fine perseguito (es.
boicottaggio nei confronti dei terzi) o in relazione al mezzo impiegato (es. storno di
dipendenti). Per "correttezza professionale" si è comunque inteso il
"buoncostume mercantile".
- E' in ogni caso elemento indispensabile, affinché un risarcimento possa essere
richiesto, che il soggetto agente sia un imprenditore impegnato in un campo
effettivamente in concorrenza con quello di chi chiede l'eventuale risarcimento ex
art. 2598. Non sembrerebbe che si possa perciò agire, in base all'articolo del Codice
Civile ora in esame, nei confronti di singoli o enti ed associazioni impegnate in
attività di boicottaggio, qualora non possano definirsi imprenditori, o che, pur
imprenditori, siano attivi in settori produttivi non concorrenziali.
- E' stata però adombrata l'ipotesi che, qualora si tratti di atti di concorrenza sleale,
e cioè non leciti, si possa agire in via risarcitoria anche nei confronti di non
imprenditori (forse anche di imprenditori impegnati in settori non concorrenti?), sulla
base dell'art. 2043 del Codice Civile ("Risarcimento per fatto illecito",
relativo a fatti dolosi o colposi che cagionano ad altri un danno ingiusto), fattispecie
giuridica generale della quale l'art. 2598 sarebbe solo una specificazione. In tal senso
un terzo estraneo al rapporto di concorrenza, che non sia imprenditore e che non sia
collegato a d imprese concorrenti, il quale abbia posto in essere ai danni di un
imprenditore un atto vietato dall'art. 2598, può rispondere dello stesso ex art.2043,
ravvisandosi il diritto soggettivo leso nel diritto di libertà economica.
- Si ritiene altresì che la differenza fra lecita concorrenza e concorrenza sleale sia
determinato non tanto dallo scopo, che può essere il medesimo, ma piuttosto dai mezzi
utilizzati. La Convenzione Internazionale per la Tutela della Proprietà Industriale di
Parigi (20 marzo 1883 e successive revisioni) all'art.19 bis definisce infatti atti di
concorrenza sleale quegli atti di concorrenza "contrari agli usi onesti in materia
industriale e commerciale". Si tratterebbe quindi di atti che configurano un fatto
illecito.
- Nel nostro caso l'illiceità del fatto potrebbe venire comunque esclusa in quanto, a
fronte dell'interesse dell'imprenditore di non vedere illecitamente turbata la propria
attività economica, si contrappone l'interesse, parimenti tutelato dalla Costituzione,
della collettività a che, nell'esercizio delle attività produttive e di quelle ad esse
connesse, gli imprenditori non violino il fondamentale diritto alla vita ed alla salute
dei destinatari dei loro prodotti.
Per altro verso le attività informative poste in sito dalle associazioni impegnate nelle
campagne di boicottaggio sono una declinazione dell'altrettanto fondamentale libertà di
pensiero e di opinione. Vi sarebbe quindi una giustificazione, e non solo di carattere
umanitario, in grado di purgare, nel necessario contemperamento degli interessi -
costituzionalmente protetti - contrapposti, di ogni illiceità di comportamenti altrimenti
suscettibili di essere ritenuti illegittimi.
- L'art. 2600 Cod.Civ. stabilisce altresì che, se gli atti di concorrenza sleale sono
compiuti con dolo o colpa, l'autore è tenuto a risarcire il danno. La colpa, a fronte di
detti atti, è presunta. Spetta quindi all'eventuale autore dimostrare di non aver agito
colpevolmente.
- Per quanto riguarda i danni risarcibili, questi sono esclusivamente quelli materiali di
cui si sia potuto dar prova o che il giudice ha ritenuto sussistenti in via equitativa.
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Last update: 22 aprile 2015