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Le risorse energetiche

La frase di Gambi si attaglia bene al concetto di risorsa in geografia. E più in particolare a quello di risorsa energetica. Le risorse sono una funzione della tecnologia disponibile. In altri termini, esse non hanno alcun significato economico fino a che non viene inventata una tecnologia che ne faccia uso.

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Possiamo così dire che per risorse energetiche si intendono i prodotti dell’ambiente fisico tecnicamente utilizzabili per la messa in atto dei processi di trasformazione e di sviluppo. Tali prodotti assumono valore di risorsa grazie all’innovazione tecnologica e allo sviluppo scientifico che creano le possibilità e le opportunità del loro utilizzo. Pertanto esse possono venir definiti anche come fenomeni che dipendono in larga misura dalle situazioni economiche, politiche e culturali di un determinato tipo di società. Ne consegue che il valore di ogni risorsa varia sia nel tempo che nello spazio. Un esempio nel tempo: il mondo antico e il petrolio; un esempio nello spazio: la foresta amazzonica per il contadino brasiliano e per noi, abitanti dei paesi industrializzati.

a) L’energia

Abbiamo fatto l’esempio di due risorse energetiche, ossia di due prodotti naturali che forniscono energia. Definiamo l’energia: essa (dal greco érgon=lavoro) costituisce la principale risorsa in grado di consentire lo sviluppo economico di una società. Esiste infatti una stretta corrispondenza tra crescita economica e incremento dei consumi energetici. Parlare di energia significa quindi parlare di uno dei grandi indicatori che vengono utilizzati per stabilire il livello di sviluppo economico di un paese. E dal momento che l’altro grande tema a cui accenneremo è quello dello sviluppo e del sottosviluppo, vale la pena soffermarsi sull’energia perché aiuta a comprendere alcuni aspetti di sviluppo e sottosviluppo.

Non è facile spiegare che cosa sia l’energia. Gli scienziati hanno tentato di farlo partendo dai suoi effetti visibili, o meglio dalle sue conseguenze e sono così arrivati a definirla come la capacità di compiere lavoro che un corpo o un sistema possiede. L’unità di misura dell’energia è infatti la stessa del lavoro: il joule. Ai fini pratici tuttavia ci si riferisce alla chilocaloria, meglio nota come caloria, e ai suoi multipli e sottomultipli (chilowattora, tec, tep e piccola caloria).

1 caloria (chilocaloria) = quantità di calore necessaria per innalzare di 1 grado centigrado la temperatura di 1 chilo di acqua

L’energia che utilizziamo deriva quasi interamente (99,98%) dall’energia solare, una potentissima fonte di calore che fluisce continuamente sulla superficie terrestre.

Che cosa avviene di questa fonte quando arriva sulla terra? Come viene utilizzata?

La maggior parte dell’energia solare dà origine al clima (luce e calore), mentre una quota piccolissima, pari allo 0,1%, viene trasformata in energia chimica attraverso la fotosintesi clorofilliana effettuata dai vegetali, gli unici convertitori in grado di intercettare l’energia solare e di trasformarla in cibo; gli animali e l’uomo, che invece non sono in grado di alimentarsi dalla materia inorganica, assumono energia sotto forma di cibo già trasformato, ogni volta che si nutrono di vegetali o di altri animali che si sono a loro volta nutriti di vegetali.

Infine, una parte minima di energia (0,02%) proviene dalle maree e dal calore interno della terra.

b) Le forme dell’energia

  • Energia cinetica che può essere trasformata in energia meccanica, ossia energia ordinata finalizzata a un lavoro.
  • Energia chimica. Essa consiste nell’energia immagazzinata negli alimenti e nei combustibili (legna, carbone, petrolio, gas naturale).
  • L’energia chimica si trasforma in energia termica attraverso cambiamenti nella struttura molecolare, determinati dal processo di combustione: quando brucio legna, carbone o petrolio provoco una reazione che trasforma l’energia chimica in energia termica; quando brucio all’interno del mio corpo un alimento, pongo in atto un processo analogo e il mio corpo si scalda.
  • L’energia termica si trasforma in energia meccanica attraverso le macchine (animate e inanimate).
  • Energia elettrica. All’inizio del secolo scorso risale la scoperta della possibilità di sfruttare l’energia elettrica posseduta da un corpo in virtù della posizione reciproca delle particelle cariche positivamente e di quelle cariche negativamente che lo compongono. Tale scoperta tuttavia non riuscì a trovare subito un’applicazione diffusa. E’stato solo a partire dalla fine dell’Ottocento che l’economia occidentale ha iniziato ad elettrificare il proprio sistema energetico e ha poi proseguito trasformando in energia elettrica una frazione sempre maggiore dell’energia meccanica originata dall’acqua e di quella termica originata dai combustibili, ottenendo nel primo caso energia idroelettrica, e nel secondo energia termoelettrica.

Oggi nel mondo circa il 30%-35% delle fonti primarie di energia (cadute d’acqua, combustibili fossili e uranio, che vedremo tra breve) viene trasformato in elettricità. Questa percentuale è destinata a crescere ancora in futuro, grazie ai miglioramenti tecnici che si prevede di poter apportare al processo di produzione dell’energia elettrica.

Un’elevata penetrazione elettrica è considerata dagli economisti un indice di benessere e di sviluppo; analogamente, la rete elettrica è ritenuta, al pari di quella dei trasporti, un indiscusso fattore di civiltà.

  • Agli anni Quaranta del nostro secolo appartiene infine la scoperta dell’energia nucleare. Essa deriva da cambiamenti nella struttura dei nuclei atomici (o per fissione di un nucleo di atomo pesante, o per fusione di due nuclei di atomi leggeri), così come quella chimica trae origine da cambiamenti nella struttura molecolare. La storia della produzione di energia nucleare iniziò nel dicembre del 1942 all’Università di Chicago con la messa a punto da parte dello scienziato italiano Enrico Fermi del primo reattore nucleare per la fabbricazione della bomba atomica.

La prima centrale costruita con lo scopo di produrre energia elettrica fu realizzata nell’ex Unione Sovietica nel 1954. Due anni dopo entrava in funzione la centrale di Calder Hall in Inghilterra. A partire da allora ne furono costruite molte altre (oggi ammontano a 415 e producono circa il 17% dell’energia elettrica totale utilizzata).

Negli anni Cinquanta e fino agli anni Settanta prevalse un clima di ottimismo sulle opportunità aperte dalla scoperta dell’energia nucleare, ritenuta in grado di fornire una quantità inesauribile di energia elettrica a prezzo estremamente basso. Ma a partire dal 1970 negli Stati Uniti cominciarono ad essere cancellati parecchi ordini e dieci anni dopo non si ebbero nuove commesse. Il rallentamento, dovuto al timore di un’eventuale proliferazione nucleare, all’incremento dei costi di costruzione e alla preoccupazione relativa alle spese per lo smantellamento delle centrali esaurite, si è poi diffuso gradatamente in tutta Europa.

c) Le risorse o fonti energetiche oggi

Convenzionalmente le risorse energetiche vengono ripartite in due grandi categorie: quelle rinnovabili (flussi) e quelle non rinnovabili (scorte).

Le fonti rinnovabili derivano direttamente dall’energia solare e sono sostanzialmente l’energia idrica, quella eolica, e quella delle biomasse (perlopiù legna e, in misura minima, altri vegetali e rifiuti animali).

L’acqua viene utilizzata per azionare le pale dei mulini e le turbine delle centrali idroelettriche. Essa genera, attraverso il movimento, energia idroelettrica. Quest’ultima costituisce oggi più del 5% di tutta l’energia prodotta nel mondo. Per ottenerla si usano impianti (centrali idroelettriche) formati in genere da un bacino per la raccolta dell’acqua, da un sistema per il convogliamento di tale acqua alle turbine, e infine da generatori per la trasformazione dell’energia cinetica dell’acqua in elettricità. I problemi relativi alla produzione di energia idroelettrica consistono essenzialmente nel crollo delle dighe.

A tale riguardo ricordiamo l’incidente occorso nel 1963 in Veneto alla diga del Vajont, dove lo slittamento di una parte della montagna nel bacino formato dalla diga provocò la tracimazione di un’enorme massa d’acqua, che causò la distruzione del sottostante centro di Longarone e la morte di 2.000 persone. Questo incidente è ritenuto il più grave della storia energetica del nostro secolo.

Le biomasse impiegate per la produzione di energia sono costituite in percentuale larghissima dal legname e in quantità minime da alcune piante tropicali (euforbiacee) e da escrementi animali (come il “cow dung” impiegato in India). Esse sono utilizzate soprattutto nei paesi in via di sviluppo come combustibile per produrre energia termica. L’energia proveniente dalle biomasse equivale oggi a circa il 10% del totale dell’energia prodotta nel mondo. Essa viene consumata sul posto ed è pertanto fuori dai circuiti commerciali dell’energia.

L’impiego delle biomasse per la produzione di energia comporta una serie di problemi. Il primo dei quali è costituito dalla riduzione della superficie delle foreste. Si ricorda a questo riguardo che la conservazione del patrimonio forestale può essere garantita soltanto dall’adozione di adeguate pratiche di gestione: esse consistono nel mantenimento dei tassi di utilizzazione al di sotto dei tassi di ricostituzione naturale, oppure in interventi tecnologici in grado di sostituire i processi naturali (es. rimboschimento artificiale).

Quando queste pratiche non sono rispettate la foresta arretra dando luogo a un a serie di conseguenze negative, le più note delle quali sono l’erosione del suolo, la desertificazione e l’accelerazione dell’effetto serra.

Un’altra fonte di energia rinnovabile, anzi praticamente inesauribile dal momento che non richiede alcun tipo di intervento per la sua conservazione, è quella eolica. L’utilizzo su larga scala di quest’energia è però reso problematico dall’irregolarità della forza e della direzione dei venti, e inoltre dalle difficoltà relative all’accumulazione di essa. I paesi e le regioni più adatte allo sfruttamento di questo tipo di energia sono quelle dove il vento soffia a velocità e direzione costanti: tra esse la Danimarca, l’Olanda, la California e la Patagonia.

La ricerca tecnologica per rendere vantaggiosa l’energia eolica è indirizzata agli studi su nuovi materiali e alla sperimentazione di forme di controllo sempre più avanzate. La percentuale di energia eolica oggi prodotta nel mondo è irrilevante.

Le fonti energetiche non rinnovabili, cosiddette perché la velocità con cui i processi geologici le producono è infinitamente minore di quella con cui le civiltà le utilizzano, sono quelle destinate prima o poi ad esaurirsi, in quanto si consumano con l’uso. Il loro impiego non può continuare per sempre e alla fine, se non si trovano i sostituti, subentrerà la scarsità.

Esse sono costituite soprattutto dai combustibili fossili (che cosa significhi fossile do per scontato che lo sappiate): carbone, petrolio e gas naturale, che sono le fonti primarie di gran lunga più utilizzate per la produzione di energia elettrica (termoelettrica), meccanica e termica. La percentuale di energia proveniente dai giacimenti fossili è pari a circa l’80% del totale dell’energia prodotta nel mondo e si suddivide all’incirca nel modo seguente: 24% deriva dal carbone, 35% dal petrolio, 21% dal gas naturale.

Nel breve e medio termine non è prevista scarsità fisica di queste risorse. I problemi relativi al loro utilizzo sono piuttosto legati al fatto che esse costituiscono una minaccia per la stabilità del clima globale per via del riscaldamento dell’atmosfera causato dall’effetto serra. Anche se vi sono incertezze relativamente alla gravità del fenomeno, il problema tuttavia sussiste ed è tale da porsi al centro delle riflessioni sul futuro del genere umano.

Alle possibili conseguenze negative derivanti dall’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera, si aggiungono i danni alla salute umana causati dalle emissioni di cancerogeni, quali piombo, ossido di carbonio e ossidi di azoto. Infine esistono i rischi di incidenti o catastrofi, con vittime immediate e dispersioni di sostanze tossiche ad effetto differito, delle quali è difficile misurare la concentrazione a distanza.

Nel 1978 in Spagna esplosero serbatoi di propilene che causarono la morte di 216 persone e ne ferirono quasi altrettante. Nel 1981 a Tacoa in Venezuela l’esplosione di un complesso di serbatoi di petrolio causò 145 morti e 1000 feriti. A San Paolo in Brasile vi fu nel 1984 l’esplosione di un oleodotto che fece 508 morti. Anche per il gas naturale il rischio di incidenti esiste in forma grave. Si ricorda a questo riguardo l’esplosione dei serbatoi di gas liquido avvenuta nel 1984 a Ixhuatepec nel Messico con la morte di 550 persone, il ferimento di 7000 e l’evacuazione di 300.000, e inoltre l’immissione nell’atmosfera di grandi quantità di sostanze cancerogene.

Un’altra fonte energetica non rinnovabile e che tuttavia non pone problemi di scarsità per il futuro prossimo è l’uranio, i cui giacimenti si trovano principalmente in Canada, Stati Uniti, Australia, Sudafrica e Brasile.

L’uranio si trova sotto tre diverse varietà, o isotopi: l’uranio 234, l’uranio 238 e l’uranio 235. Quest’ultimo è l’unico con nucleo fissile esistente in natura. Ciò significa che il nucleo di uranio 235, quando è colpito da un neutrone, si spezza (fissione) in due; nel corso della fissione si generano in media anche due o tre neutroni, i quali a loro volta vanno a colpire altri nuclei; questi si spezzano e il processo continua. Si ha in questo modo una reazione nucleare a catena. La fissione dei nuclei di uranio produce energia termica. Il calore originato dall’energia nucleare viene utilizzato esclusivamente per la produzione di elettricità.

Nelle centrali nucleari si usa l’energia di fissione dell’uranio per riscaldare acqua che, sotto forma di vapore, aziona una turbina per la produzione di energia elettrica. Da questo punto in avanti nulla distingue una centrale nucleare da una centrale termoelettrica a carbone, a gasolio o a gas naturale. I problemi relativi all’utilizzo di uranio sono, al pari di quelli causati dall’impiego dei combustibili fossili, di due ordini. Da un lato, essi si riferiscono ai pericoli che sono intrinseci all’utilizzo stesso della risorsa, e dall’altro ai rischi che possono sorgere a seguito di incidenti o catastrofi.

I primi consistono nella difficoltà di smaltimento delle scorie, ossia di quelle sostanze radioattive chi si producono nel corso delle reazioni di fissione e che però non possono più essere utilizzate come combustibile. Alla luce del grave pericolo di queste sostanze, gli scienziati ipotizzano che la miglior soluzione di lungo periodo per renderle inoffensive sia lo stoccaggio in strutture geologiche profonde e stabili. Ma tali idee sono ancora speculative, mentre le normative a tutt’oggi vigenti non garantiscono l’assenza di rischi per coloro che abitano nelle vicinanze di un deposito.

Per quanto riguarda i pericoli di incidenti, i più gravi finora occorsi sono quelli dei reattori di Three Mile Island negli Stati Uniti (1979) e di Chernobyl (1986) in Ucraina. Essi hanno suscitato in tutto il mondo una preoccupazione diffusa. Il primo fu in incidente grave dal punto di vista tecnico, ma non provocò danni alla popolazione, mentre il secondo, da imputarsi a scelte errate compiute nel corso di un test di sicurezza, causò la morte immediata di 32 persone e l’irradiazione acuta di 300, mentre i danni futuri sono di difficile valutazione.

L’incidente di Chernobyl ha confermato definitivamente la sovranazionalità delle problematiche ambientali e ha pertanto contribuito a rafforzare l’attenzione nei confronti di esse. A questo riguardo va tuttavia tenuto presente che gli scienziati concordano nel sostenere che i pericoli legati alla dispersione di sostanze radioattive vanno considerati non diversi da quelli che caratterizzano altre modalità di produzione di energia (crolli di dighe, incidenti in miniera, esplosioni di serbatoi) e non sembrano pertanto giustificare la scelta, compiuta da alcuni paesi, tra i quali l’Italia, di rinunciare all’energia nucleare.

LE RESE ENERGETICHE

legna 1 Kg 3.600 calorie
carbon fossile 1 kg 6.000-9.000 calorie
petrolio 1 kg 10.000 calorie
gas naturale 1 Kg 8.000 calorie
uranio 1 kg 20 miliardi di calorie

Oggi il consumo di energia nel mondo è pari a circa 40.000 calorie pro capite al giorno, corrispondenti ad un totale di 9 miliardi di tep; esso raggiunge le 110.000 calorie pro capite al giorno nei paesi industrializzati (che comprendono il 25% della popolazione mondiale), mentre è quasi dieci volte più basso in quelli in via di sviluppo, dove in parecchi casi gli individui sono così poveri da non avere neppure accesso al mercato dell’energia e da trovarsi quindi costretti a vivere delle fonti energetiche tradizionali (cibo, animali, legna).

La differenza nei consumi energetici tra paesi ricchi e poveri è uno degli indicatori principali del divario di benessere.

L’obiettivo di ridurre questa disparità, implica dunque anzitutto un incremento delle disponibilità energetiche nei paesi in via di sviluppo (che comprendono all’incirca il 75% della popolazione mondiale). Tale incremento, che a parere di alcuni studiosi potrebbe realizzarsi attraverso nuovi e continui perfezionamenti tecnologici finalizzati a diminuire i costi della produzione dell’energia, è però ostacolato dalla consapevolezza dei danni di carattere ambientale che ogni aumento nell’uso globale delle risorse energetiche rischia di portare con sé.

Ne consegue pertanto che le decisioni relative agli investimenti necessari per incrementare la crescita economica dei paesi in via di sviluppo si presentano in maniera estremamente complessa e problematica.

Di tale complessità sono indici i contrasti e le opposizioni che hanno caratterizzato finora le conferenze internazionali (Stoccolma 1987, Rio de Janeiro 1992, Roma 1995, Kyoto 1997), intese a conciliare lo sviluppo economico e il relativo fabbisogno energetico da un lato, con la salvaguardia dell’ambiente dall’altro. L’introduzione di normative, leggi e regolamenti è infatti subordinata alla realizzazione di accordi fra nazioni con interessi diversi, sistemi politici differenti, gradi di industrializzazione dissimili, priorità disomogenee nella scelta tra profitto immediato e conseguenze a lungo termine.

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I contenuti di questo ipertesto sono della docente
Agnese Visconti - SILSIS - Università di Pavia
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Questo ipertesto si trova nella sezione di Economia del sito Homolaicus
Ultimo aggiornamento: 25-giu-2005