ECONOMIA E SOCIETA'
idee per il socialismo democratico


La legge marxiana della caduta tendenziale del saggio del profitto capitalistico

Una descrizione sintetica

Si cercherà qui di seguito di fornire una spiegazione sintetica e chiara del punto centrale dell’interpretazione marxiana del capitalismo, ovvero della tendenza strutturale di tale organizzazione economica a procedere verso una sorta di autodistruzione, a causa della progressiva caduta del saggio dei profitti, motore ultimo o “benzina” (come si vedrà) del suo funzionamento.

Il rapporto marxiano tra la crescita delle spese organiche, quelle legate cioè all’utilizzo di sempre nuovi e più avanzati macchinari, e la caduta del saggio di profitto (cioè la diminuzione progressiva della percentuale di profitto in relazione alle spese produttive totali, organiche e variabili, mano a mano che la tecnologia avanza) si configura come segue:

1 – In primo luogo vi è la concorrenza tra imprenditori di uno stesso settore, che obbliga ciascuno di essi a cercare di produrre merci sempre meno costose al fine di non essere sopravanzati dalle aziende omologhe (le quali, ovviamente, cercano a loro volta di raggiungere il medesimo obiettivo).

2 – Come si può ottenere un simile abbassamento dei prezzi? Con l’impiego di macchinari capaci di produrre un maggior numero di merci in minor tempo, ovvero di merci caratterizzate singolarmente da un costo minore, ma numericamente superiori, in modo che la loro somma, seppure il loro prezzo singolare sia sceso, determini attraverso la vendita un guadagno maggiore per l’azienda produttrice.

In cosa consiste per le imprese il vantaggio di guadagnare di più? Consiste nel fatto di avere a disposizione maggiori fondi per l’implementazione dei propri macchinari, i quali a loro volta, come si è visto, abbassano il costo produttivo e quindi il prezzo di mercato delle merci, mantenendo dette aziende concorrenziali rispetto alle altre, permettendo loro così di sopravvivere.

Conclusione: la concorrenza di mercato è l’anima del capitalismo, essa infatti costringe le aziende ad abbassare il prezzo delle merci, cosa che esse fanno implementando la propria tecnologia e la propria produttività (maggior numero di merci prodotte nello stesso tempo di lavoro); ma il guadagno supplementare derivante dal vendere un maggior numero di merci (seppure ciascuna a un prezzo minore) non viene in prima istanza goduto dal capitalista o dai lavoratori: esso infatti dovrà per forza di cose essere reinvestito al fine di implementare nuovamente la tecnologia, tornando così al punto di inizio del processo.

Il moderno capitalismo concorrenziale e di mercato insomma, si basa sul continuo aumento della produttività e dei guadagni (e in particolare dei profitti, che significa del disavanzo tra spese di produzione e introiti commerciali, ovvero dei guadagni netti derivanti dalla vendita delle merci, che vengono appunto reinvestiti nell’implementazione tecnologica e della produttività). Questi due fattori si alimentano a vicenda, e sono posti in essere dal fatto essenziale della concorrenza di mercato, che spinge le aziende a cercare di ottenere un continuo abbassamento dei propri costi produttivi.

3 – Qual è il punto debole di questo meccanismo apparentemente perfetto e capace di replicarsi all’infinito?

Il punto debole, secondo Marx, consiste nel fatto che i nuovi macchinari, pur avendo rispetto ai macchinari precedenti una resa superiore in termini di produttività, hanno anche un costo superiore. E inoltre, che l’aumento del costo della produzione delle nuove merci è superiore all’aumento dei guadagni generato dalla loro vendita: in altri termini, effettivamente produco più merci e (anche se esse hanno singolarmente un prezzo minore) vendendole guadagno più di quanto guadagnassi quando usavo la precedente tecnologia; ma al tempo stesso i costi produttivi legati a questa nuova tecnologia sono cresciuti di più di quanto siano cresciuti i guadagni.

Conclusione: dalla fase A (prima tecnologia) a quella B (tecnologia più moderna) sono aumentati sia i costi che i guadagni, ma i guadagni sono aumentati meno dei costi, il che significa che pur guadagnando di più in assoluto, dalla fase A a quella B i guadagni netti (o profitti) sono diminuiti. Ovvero, detto in termini marxiani, il saggio di profitto (la percentuale di guadagno netto, cioè quello che rimane una volta sottratte le spese di produzione) tende col tempo a diminuire e non a aumentare.

Perché questa caduta del saggio di profitto delle imprese dovrebbe costituire una debolezza per il meccanismo di replicazione del capitalismo? Perché se i guadagni netti diminuiscono, diminuisce la capacità della singola impresa di finanziare i propri avanzamenti tecnologici, pur essendo essi necessari alla sua sopravvivenza. Quindi sempre più aziende avranno difficoltà a stare al passo con le innovazioni del mercato e sempre più aziende chiuderanno.

Laddove infatti il margine o saggio di profitto è alto, cioè all’inizio di questo processo storico, è relativamente facile trovare i fondi per implementare tecnologicamente la propria produzione (anche considerando che inizialmente, cioè nelle prime fasi di tale sviluppo, i macchinari hanno dei costi più bassi, data la loro relatività semplicità, mentre col tempo, in coincidenza peraltro con l’avanzare della caduta del saggio di profitto, i macchinari si fanno sempre più complessi e costosi!) Ma più il processo va avanti e più aumentano i costi produttivi legati alla tecnologia, mentre parallelamente decrescono i profitti in relazione alle spese che le imprese devono sostenere per implementare la loro tecnologia.

Quindi, quando un’azienda chiude per mancanza di profitti sufficienti a replicare il meccanismo di aggiornamento necessario per fronteggiare la concorrenza, un’altra azienda finisce per acquisire la sua fetta di mercato (o meglio, per spartirla con le altre aziende concorrenti) aumentando così i propri guadagni. Ma ciò non vanifica il fatto che essa, col tempo, dovrà comunque usare macchinari sempre più complessi e costosi, che assottiglieranno quindi il margine di profitto derivante dalla vendita delle sue nuove merci, per quanto esse possano essere quantitativamente maggiori rispetto al passato.

Quindi, sintetizzando:

(A) le aziende producono e vendono nel corso del tempo sempre più merci, e a costi minori sul singolo pezzo, guadagnando sempre più in termini assoluti ma sempre meno in termini di saggio di profitto, e ciò per il fatto che le spese di produzione aumentano più di quanto aumentino i guadagni.

(B) Sempre più aziende falliscono per mancanza di profitti sufficienti a restare al passo con la concorrenza attraverso investimenti tecnologici adeguati alle esigenze di implementazione della produttività, mentre le aziende che sopravvivono ereditano dalle prime nuove fette di mercato, aumentando quindi i propri guadagni. Ciò non toglie però che l’avanzamento progressivo dei costi tecnologici tenda comunque a far decrescere ulteriormente i loro saggi di profitto, ovvero a rendere sempre più difficile la loro sopravvivenza, portando col tempo a un ulteriore snellimento del numero delle imprese e replicando ciclicamente il meccanismo di selezione appena descritto.

Le aziende quindi sono sempre meno, e ciò a scapito: sia della concorrenza e quindi della dinamicità del sistema capitalista (uno dei cui meriti era appunto in origine quello della pluralità degli agenti economici indipendenti e quindi della libertà individuale), sia di una distribuzione egualitaria della ricchezza in seno alla società (sempre meno capitalisti significa, tendenzialmente, un numero sempre minore di ricchi, la cui ricchezza è peraltro sempre maggiore).

Questa crescente contraddizione sfocerà prima o poi, secondo Marx, in una rivoluzione di popolo (il popolo operaio, ovvero l’insieme dei soggetti sociali che lavorano alle dipendenze di altri) contro le forze numericamente sempre più esigue dell’oppressione capitalista e borghese, il cui potere sarà ormai di natura meramente finanziaria.

4 – Nel punto precedente (3) abbiamo analizzato la parte centrale e portante, per così dire, della legge della caduta dei profitti capitalistici, quella legata cioè al lato della produzione (aumento dei costi produttivi e diminuzione dei profitti derivanti dalla vendita delle merci).

Vi è però un secondo aspetto complementare a quello appena descritto e da esso derivato, che aumenta ulteriormente l’effetto del primo, ovvero la contrazione dei profitti medi delle aziende.

Questo secondo aspetto è senza dubbio molto più semplice del precedente, riguardando inoltre il lato della domanda o della spesa. Esso si esplica nel fatto che il capitalista, al fine di compensare la caduta tendenziale del saggio dei propri profitti di impresa, ovvero della propria capacità di implementare la propria produzione, tenda ad aumentare lo sfruttamento dei lavoratori. Egli insomma, chiederà loro una maggiore quantità di lavoro (…da essi attuato chiaramente sempre in sinergia con i macchinari) senza però pagar loro questo “di più” di prestazione. In tal modo, risparmiando cioè sui salari, egli può aumentare il saggio di profitto della propria impresa, ovvero cercare di compensare – seppure solo in parte (!!!) – la perdita di profitto generata dai meccanismi di decrescita degli utili sul lato produzione.

Cosa implica questo maggiore sfruttamento? Semplicemente una decrescita del potere di spesa delle masse lavoratrici (le quali, oltre a tutto, col tempo tendo a aumentare) e quindi della domanda complessiva delle merci prodotte, e quindi di nuovo una diminuzione dei guadagni delle imprese e, per logica conseguenza, dei loro saggi di profitto.

In conclusione, il capitalista aumenta il saggio di sfruttamento dei lavoratori al fine di risparmiare sui propri costi produttivi, cioè nello specifico sui salari. Ma salari minori significano minore capacità di spesa e questa significa a sua volta un aggravamento della crisi dei profitti già strutturale sul lato della produzione.

5 – Alcune precisazioni:

- La legge qui descritta ha per Marx un carattere solo tendenziale, ovvero può conoscere rallentamenti o addirittura periodi di interruzione legati a ragioni storiche contingenti (ad esempio, direbbe Schumpeter, l’invenzione e l’“esplosione” sui mercati di nuovi tipi di merci, capaci di creare, in un mercato essenzialmente privo di concorrenza o in ogni caso con pochissimi concorrenti, enormi saggi di profitto, data appunto la sproporzione esistente tra un’altissima domanda e una bassissima offerta).

Tuttavia, Marx postula (e si sottolinea il termine “postula”, poiché il suo ragionamento, pur perfetto e conseguente in se stesso, è da lui descritto come vero in relazione alla realtà dei fatti presenti, passati e futuri, in modo sostanzialmente aprioristico, ovvero prescindendo da solide prove di carattere empirico, in ragione per così dire di una naturale e innegabile evidenza intrinseca) che tale legge abbia una validità di fondo, che rifletta cioè le trasformazioni di lungo corso del sistema economico capitalistico.

- Per completezza infine, si deve notare che, anche laddove si intenda accettare per buona una simile visione “catastrofista” del capitalismo e delle sue sorti, non si può omettere di osservare come, nonostante una simile tendenza alla crescita dello sfruttamento del lavoro umano da parte del capitale, il tenore di vita dell’operaio (e del cittadino) medio sia aumentato notevolmente nel corso del tempo!

Come si spiega questo fatto? Semplicemente con l’aumento della produttività: produrre una merce in quantità maggiore significa difatti necessariamente anche abbassarne il prezzo (il quale difatti, come noto, dipende in massima parte dal rapporto tra domanda e offerta) rendendola così più accessibile sul piano dei prezzi. L’aumento della quantità disponibile per la maggior parte delle merci ha dunque reso più facile (anche considerando un presunto aumento dello sfruttamento del lavoro) l’approvvigionamento di esse da parte dell’utenza finale, compresa ed anzi in primo luogo quella “proletaria” o lavoratrice.

Risiede senza dubbio anche in ciò la ragione per cui, malgrado un tale aumento del loro saggio di sfruttamento, le masse dei paesi capitalistici avanzati non si siano mai ribellate con eccessiva decisione contro il sistema capitalista oppressore (secondo la prospettiva rivoluzionaria marxista), limitandosi piuttosto ad avanzare rivendicazioni di carattere salariale o di garanzie sociali.

Adriano Torricelli

Fonte: adrianotorricelli.wordpress.com


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/02/2019