ECONOMIA E SOCIETA'
idee per il socialismo democratico


Riflessioni sulla moneta e i suoi misteri:
il signoraggio ed altre deceptions

Quadro storico sull'evoluzione delle economie monetarie. Da dove deriva il signoraggio?

Storicamente, da circa duemilacinquecento anni, la moneta viene utilizzata in un certo numero (progressivamente sempre più) di economie per favorire gli scambi, nelle modalità che in svariati altri articoli abbiamo preso in considerazione. L'autorità costituita, ossia il re, o lo stato, o la banca centrale, ha stabilito la bontà della composizione metallica presente nel conio, apponendo un sigillo, almeno fino a quando è rimasta in auge una tecnologia di pagamento prevalentemente strutturata attorno alla forma della moneta-merce, consentendo ai propri cittadini di evitare frodi. Essenzialmente, ciò che differenzia quel sistema da quello oggi adottato, quello della moneta-segno, risiede in due aspetti: la fiducia ed i costi.

La moneta-merce è caratterizzata dal contenuto "scarsamente specifico" della sua funzione. In altre parole, fino a quando è stato possibile fondere l'oro o l'argento contenuti nel dischetto di metallo, o convertire in quei metalli la banconota, è stata data la libertà agli utenti di disfarsi agevolmente del proprio patrimonio monetario senza per questo perderne completamente il valore. Questo comporta una fiducia elevata nei confronti della moneta, che viene scambiata con sicurezza nella vita economica di un paese anche in periodi di crisi.

Tuttavia per consentire tutto ciò si paga lo scotto di elevati costi di estrazione dei metalli preziosi, e soprattutto di espansione dell'offerta monetaria nel breve termine: in un sistema di questo tipo, evidentemente, non c'è spazio per interventi urgenti di politica monetaria. (Non considereremo in questa sede tutti gli altri problemi della moneta-merce, legati alla quotazione dei metalli di conio, al fino della moneta, e al bimetallismo).

Al confronto, la moneta-segno, quella priva di convertibilità metallica, gode di un'elevatissima flessibilità, pagando però sul fronte della fiducia, che diviene molto più difficile ottenere dai cittadini. L'esempio di sfiducia che portiamo è quello della Germania degli anni '20 del secolo scorso (ma ve ne sarebbero molti anche nella storia recente) in cui l'iperinflazione fece crollare il sistema di scambi monetario, che venne sostituito dal commercio di baratto, con tremende conseguenze sulla crescita economica del paese.

Tra le due tecnologie di pagamento, riassumendo, esiste un trade-off: la fiducia (e i suoi meccanismi di generazione) è inversamente proporzionale alla specificità dell'oggetto-moneta, ossia alla mancanza di usi alternativi.

I meccanismi generatori di di fiducia hanno subito grandi trasformazioni nel corso della storia, raffinandosi nel passaggio da una moneta-oggetto ad una fiat money: dall'autoregolazione, alla tutela giuridica dei titoli al portatore, ai controlli incrociati parlamento-banca centrale, alle clearing houses, alla reputazione. A fronte dei costi (crescenti) derivanti dalla creazione di questi meccanismi, l'autorità competente ritiene una tassa, detta signoraggio, che ora possiamo definire. Il signoraggio è l'insieme di redditi, derivante dall'emissione di moneta, che la banca centrale e lo Stato ottengono grazie alla possibilità di ricreare base monetaria in condizioni di monopolio. Dunque il signoraggio non è, come spesso appare in molti siti di "controinformazione" la differenza tra valore facciale e costi di fabbricazione della moneta. A questa affermazione daremo un senso completo nel prosieguo di questo articolo.

Enti monetari e moneta come istituzione

È opportuno, ora, parlare più diffusamente del motivo per cui la moneta esiste e mantiene la propria importanza all'interno delle relazioni economico-sociali. Sin dalla fine del 1800, Karl Menger, noto economista della scuola austriaca marginalista, sostenne in un articolo edito sul "The Economic Journal", ed ancor prima nei suoi "Principles of Economics" (1871), che la scienza economica può spiegare l'esistenza del bene moneta facendo riferimento ad un mercato di baratto, in cui sarebbe estremamente complesso trovare un acquirente interessato ad acquistare un certo bene A in cambio di un altro B. Spesso lo scambio non potrà verificarsi poiché l'acquirente è in possesso di un bene C non desiderato. La difficoltosa "triangolarizzazione" degli scambi verrà districata attraverso una convergenza di interessi su una determinata commodity (una merce divisibile) particolarmente "vendibile" (saleability) ed intrinsecamente utile.

Dunque, stiamo parlando del caso di una moneta-merce, che diventa istituzione prima nella spontaneità del mercato, e poi nel perfezionamento tendenziale dello Stato. Sul tema della spontaneità, certamente, va posta una grande cautela, in quanto è oggettivamente difficile sia preconizzare il deus ex machina funzionalista dell'istituzione creata da sé in quanto utile, sia credere che esista un disegno pianificato da parte di una "lobby", che sostiene oneri per l'introduzione dell'istituzione pur essendo minacciata da gravi problemi di free-riding. In realtà, il motore del cambiamento sta nelle esigenze del mercato, gli agenti sono gli imprenditori ed i mercanti, ed i motivi sono le crisi ed i mutamenti nei prezzi relativi delle merci.

Effettivamente, esiste un gran numero di istituzioni volontarie e convenzioni tacite adottate dai privati (si pensi alle corporazioni mercantili, alle fiere dei cambi trecentesche di Lyons, alle clearinghouses negli USA pre-FED), che poi sono state appoggiate dallo Stato. Tuttavia, esse non hanno la capacità di creare da sé la fiducia necessaria alle varie tecnologie di pagamento, a causa delle economie di rete, che hanno un funzionamento ottimale solo in regimi monopolistici: se vi fosse concorrenza tra i produttori di moneta, quanto più esteso sarà il ricorso a questi mezzi nella società, tanto maggiore sarà la competizione tra gli emittenti.

Inoltre, al crescere del grado di astrattezza (ossia all'aumentare della fiducia richiesta agli utenti), cresceranno i problemi di riconoscimento della qualità di chi batte moneta, mettendo a rischio l'intero sistema. Lo Stato, invece, se è in grado di dimostrare la propria sostenibilità e credibilità, ha il grande vantaggio di avere il monopolio della forza e della giustizia.

Le evoluzioni – di norma riformistiche e quasi mai rivoluzionarie, in modo da preservare lo status quo – avvengono sotto la spinta di condizioni patologiche non assorbibili autonomamente dai mercati: crisi finanziarie, squilibri nelle bilance dei pagamenti, deprezzamenti valutari, possono spiegare l'osmosi tra sfera economica e sfera politica nella gestione dell'istituzione-moneta.

Possiamo concludere questa riflessione con due conclusioni che saranno indispensabili per il proseguimento della trattazione. Prima: la moneta non è una "convenzione", in quanto essa non è in grado di sostenersi da sola. Essa svolge le funzioni di unità di conto, mezzo di scambio e conduttore di valore nello spazio e nel tempo se e solo se è la società ad ammetterla in tale ruolo. Seconda: deve essere un'istituzione pubblicamente riconosciuta a gestire le politiche monetarie. A partire dal 1694, con la fondazione della Bank of England, le Banche Centrali hanno cominciato a ricoprire questo ruolo.

Le Banche Centrali. Basi di teoria monetaria

Il certificato costitutivo della Banca d'Inghilterra, il Bank Charter Act, che decretò il patto tra la Monarchia inglese ed un gruppo di prestatori privati, diede facoltà ad uno Stato nazionale europeo di sopportare un periodo di guerre – in quel caso, quelle ingaggiate con i francesi – senza vedere un tracollo dell'offerta di moneta (sino ad allora requisita dai regnanti per lo stipendio dei soldati e le spese militari) e quindi degli scambi economici interni. Ciò grazie alla concessione per i finanziatori privati del monopolio di stampa su una cartamoneta convertibile ed in grado di estinguere legalmente i rapporti debitori.

Vendendo i propri titoli di stato, la corona ricevette l'oro necessario a riorganizzare la flotta (e in seguito l'entourage burocratico del regno), pagando un tasso di interesse dell'8% annuo, mentre la banca poté svolgere attività di credito ai privati cittadini grazie al sistema che consentiva depositi aurei parziali a fronte di una certa quantità di moneta emessa (riserva frazionaria).

A questo proposito, bisogna chiarire alcuni punti fondamentali:

  • primo, la riserva si è mantenuta costantemente, anche durante questo primissimo periodo, frazionaria. Le percentuali di riserve sono necessariamente inferiori al 100% affinché una banca possa svolgere qualsiasi attività di finanziamento. Di fatto, ciò che ha distinto la Bank of England dalla Banca di Amsterdam, fondata pochi anni prima, fu proprio l'impossibilità, per la seconda, di essere qualcosa di diverso da una semplice "cassaforte", un fondo a cui un limitato pool di clienti poteva attingere per l'esatto importo concesso. Basti pensare che neanche nel contesto della finanza islamica è presente il precetto della riserva piena.
  • Secondo, a partire dalla riserva frazionaria è possibile capire quali siano i processi che consentono la moltiplicazione della base monetaria, nonché la sua parziale controllabilità.
  • Terzo, il debito inizialmente corrisposto dai privati poteva essere mantenuto a tempo indefinito, e nell'interesse di entrambe le parti: la corona avrebbe risparmiato un salasso da 1.2 milioni di sterline, mentre la Banca d'Inghilterra, che si mantenne privata fino al 1946, godette di un rapporto privilegiato con l'apparato governativo, e non corse il rischio - allora molto alto - di una dichiarazione di insolvenza da parte del re, che avrebbe fatto fallire la banca.

In generale, le Banche Centrali moderne hanno principalmente il compito di gestire il più basilare dei tre aggregati monetari (chiamato appunto Base Monetaria, o moneta ad alto potenziale, o M0). Da qui parte il primo impulso che andrà a determinare l'offerta di moneta di un sistema economico. I successivi saranno influenzati dal sistema di intermediazione e dalla risposta dell'economia reale (famiglie, imprese e Stato). Quest'ultima determina, di converso, la domanda di moneta. La domanda di moneta, nell'interpretazione keynesiana, è il riflesso degli impieghi che gli utenti desiderano farne: essi intendono spenderla per accedere a beni o servizi, o investirla ad un certo tasso di interesse (il c.d. "movente speculativo", minacciato dal rischio di credito e da quello di mercato), o ancora decidono di trattenerne una parte per "scopi precauzionali", ossia per fronteggiare spese impreviste. Tendenzialmente, la preferenza per la liquidità è una funzione inversamente proporzionale al tasso di interesse prevalente del mercato. Introduciamo al lettore alcune formule di base:

Equazione degli scambi di Fisher:

MV=PT

(la quantità di moneta in circolazione M, moltiplicata per la velocità V con cui essa viene scambiata, è una misura del valore monetario del numero di transazioni T moltiplicate per il prezzo medio P)

La domanda di moneta (derivante da Fisher e frutto essenziale dell'impostazione cambridgeana):

M=kPY

(la domanda di moneta è il prodotto tra k – l'inverso della velocità, ossia la tendenza degli agenti a trattenere moneta – Y – reddito – ed il prezzo medio P)

Le componenti della domanda di moneta keynesiana. Quella dedicata a transazioni e riserva precauzionale (L1) e quella a scopi speculativi (L2):

M=L1(Y)+L2(r)

da cui

L1=kPY

Perché citare Keynes? Semplicemente, perché egli riteneva che la quantità di moneta in circolazione influenzasse gli animal spirits degli imprenditori, e conseguentemente le sorti dell'economia reale (non neutralità della moneta). In un ambiente di teoria economica classica, speculare sulle quantità di massa monetaria non avrebbe alcun senso. L'economista inglese, invece, trovò nel tasso di interesse il collegamento tra mercati monetari e reali. Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo all'articolo sulle teorie macroeconomiche del XX secolo.

Ora, tralasciando le speculazioni sul comportamento degli agenti di fronte ai tassi critici che ne determineranno una preferenza più o meno marcata verso portafogli speculativi o di ritenzione monetaria, vogliamo osservare cosa accade sul lato dell'offerta di moneta.

La Base Monetaria (BM) a cui si accennava prima, viene assorbita dalla composizione di tre addendi: il circolante, ossia banconote e monete dette moneta legale (CIRC), le riserve obbligatorie (RO) e le riserve libere (RL) dette moneta bancaria. A loro volta, le riserve obbligatorie sono un vincolo per le banche dato da una percentuale β dei depositi bancari (DB); quelle libere, sono una somma autovincolata che si ricava dalla moltiplicazione di una seconda percentuale γ, liberamente determinata dalle banche, per i depositi. Infine, il circolante sarà determinato da una terza percentuale, α (assimilabile alla avversione al rischio), decisa dagli agenti non bancari. Dunque:

BM = CIRC + RO + RL

RO = β · DB

RL = γ · DB

CIRC = α· DB

Dunque si può risolvere questo sistema di equazioni:

M = BM (1 + γ) / α + β + γ

M è il moltiplicatore della base monetaria, e ci permette di dimostrare quanto poco corretto sia endogeneizzare nelle decisioni della Banca Centrale l'offerta di moneta: il risultato varia molto, infatti, al variare delle percentuali in questione e, ad esempio alla somma della componente a denominatore α+β+γ, che tendendo ad 1 rallenta la moltiplicazione e mette a rischio il sistema.

I fattori di creazione, le contropartite della nuova moneta, invece, sono dati:

1. dalla posizione verso l'estero della Banca Centrale, strettamente dipendente dal tasso di cambio e dal saldo della bilancia dei pagamenti (PEBC). Questo è il famoso "tesoro" aureo e monetario della sede della Banca d'Italia in via Nazionale a Roma, ad esempio.

2. Dai crediti verso le banche ordinarie (OFBC) derivanti dalle operazioni di rifinanziamento, che come vedremo sono parte essenziale della sommatoria.

3. Dalle operazioni di sconto (TBC), ossia l'acquisizione di titoli con scadenza futura in cambio di un finanziamento anticipato, funzione ormai ceduta quasi totalmente alle banche ordinarie.

4. Dalla posizione finale delle operazioni di finanziamento delle o dalle Pubbliche Amministrazioni (NAPBC).

Cioè:

BM = PEBC + OFBC + TBC + NAPBC

Su tale equazione torneremo in seguito.

Le Banche Centrali non svolgono soltanto questo compito: sta ad esse, infatti, agire nel contesto di una politica monetaria incerta attraverso un insieme di strumenti (tassi di rifinanziamento bancario, coefficiente di riserve vincolate β, tassi di sconto, ed altri vincoli) per raggiungere obiettivi di diversa caratura (di controllo, di medio e di lungo termine). Le due scuole di pensiero alternative sono quelle che perseguono l'inflation targeting(tipicamente la BCE) e di contro il monetary targeting (FED style) i cui pro e contro sono stati analizzati efficacemente da Poole in Optimal Choice of Monetary Policy Instruments in a Simple Stochastic Macro Model, QJE 1970.

A partire dalla metà degli anni '70, ad ogni modo, le scelte di policy si sono complicate parecchio per i governatori: le innovazioni finanziarie hanno reso fortemente instabili gli aggregati monetari M1 ed M2, a causa dell'incertezza e dei repentini cambiamenti di forma dei nuovi strumenti.

Sul signoraggio

Dopo questa lunga digressione, ci concentriamo sullo scottante tema dell'articolo: quanto è reale la minaccia del signoraggio? Quali proporzioni raggiunge quella che con tanta sicumera molti complottisti denunciano come "truffa"? Divideremo la risposta in due parti, seguendo il tracciato già percorso da alcuni siti guidati da economisti di professione che hanno già trattato il tema.

Che cos'è: il signoraggio è "la differenza tra i costi di stampa e gli interessi ricavati dai titoli acquistati in contropartita all'emissione di moneta" (fonte: Banca d'Italia).

Elencheremo in prima battuta i problemi legati ad alcune definizioni di base, che sembrano fuorviare una parte del pubblico.

Uno: il concetto di moneta fiduciaria, di cui si è diffusamente parlato all'inizio della nostra analisi.

Due: il ruolo delle banche ordinarie nel processo di creazione della moneta, che abbiamo chiarito nel paragrafo precedente.

Tre: signoraggio nominale e reale. Il primo consiste nel mero aumento della base monetaria, che avviene in tutti i paesi in una misura trascurabile, se paragonata alla spesa pubblica. Esso viene a crearsi quando il Governo desidera finanziare il proprio deficit o spesa pubblica tramite signoraggio. Ordina dunque al Tesoro di vendere titoli di stato per un ammontare pari alla spesa. I titoli emessi vengono sottoscritti dalla Banca Centrale, solo se essa lo ritiene opportuno (infatti esiste una netta separazione tra governo e BC, per evitare manovre governative eccessivamente lassiste sull'inflazione). Se l'esito è positivo, la BC stamperà denaro per acquistare questi titoli. Dunque, oltre alla parte di bond destinati al pubblico, ve n'è un'altra che va ad accrescere la BM. Il secondo, è uguale al primo, al netto dell'inflazione. Poiché c'è un collegamento diretto tra le due grandezze, BM e inflazione, se ne deduce che il risultato reale raggiunge un massimo, per poi decrescere (tipica curva di Laffer), per cui esiste un limite anche in questo senso all'ordine di grandezza di questa voce di bilancio.

Guardando poi al caso pratico della Banca d'Italia, i numeri, che è possibile trarre dalla lettura dei bilanci (di cui l'equazione delle contropartite è un'efficace sintesi), parlano chiaro. Su un totale (dati 2008) di ricavi corrispondente a circa 500 milioni di euro, a cui viene esercitata una pressione fiscale di circa il 65%. Sul residuo (175 mln), un ulteriore 60% viene stornato al Tesoro, e ciò che rimane viene quasi interamente suddiviso tra le riserve. L'insignificante scarto finale va a sommarsi ad una quota dello 0.5% dei ritorni complessivi delle riserve (58.8 mln) e suddiviso tra gli azionisti privati della Banca d'Italia. Un'inezia, di fronte ai fatturati di qualsiasi banca. Se ciò non fosse abbastanza il funzionamento del Consiglio di Amministrazione non segue il criterio di proporzionalità proprietaria, né consente manovre rilevanti, oltre che l'approvazione del bilancio e l'elezione di un Consiglio Superiore (il quale ha funzioni amministrative e di concorso all'elezione del governatore), mantenendosi perciò distinto da un ente privato. Le partecipazioni, ergo, sono formali, più che sostanziali.

Fonti:

  • C. Giannini, L'età delle banche centrali, Bologna: Il Mulino, 2004, pp. 53-88
  • K. Menger, The origin of moneyEconomic Journal, 1892
  • AA.VV., Lezioni di Teoria Monetaria, non pubblicato, 2006
  • W. Poole, Optimal Choice of Monetary Policy Instruments in a Simple Stochastic Macro Model, Quarterly Journal of Economics, 1970
  • www.epistemes.org
  • www.bancaditalia.it

Fonte: economistiinvisibili.splinder.com


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/02/2019