IL MODO DI PRODUZIONE ASIATICO (M.P.A.)
UNA CATEGORIA ECONOMICA


ALCUNI CARATTERI DELL'M.P.O.

Caratterizzeremo qui l'M.P.O. essenzialmente in contrapposizione all'M.P.A., vero oggetto di questo breve scritto.

Abbiamo visto come, base dell'M.P.A. sia la natura comunitaria e condivisa delle terre e in generale dei mezzi di produzione (che si traduce poi, sul piano giuridico, nell'assenza di proprietà privata, tanto dei mezzi quanto dei prodotti del lavoro). Nell'M.P.O. invece, la prospettiva è diametralmente rovesciata: il lavoratore è qui infatti, proprietario (quantomeno in linea di massima, dal momento che possono sussistere delle eccezioni, quali ad esempio le proprietà di stato o demaniali…) sia di ciò che produce sia di ciò attraverso cui produce!

Ci si potrebbe chiedere inoltre perché questi due tipi di organizzazione - comunitaria l'una, privatistica l'altra - si sviluppino in alcune zone ma non in altre. Non appare infatti del tutto soddisfacente dire che, poiché così stabiliscono le leggi - e, prima di esse, le consuetudini - così debba accadere anche nei fatti; al contrario, ci sembra più preciso dire che, dal momento così si tende da sempre a operare, un tale stato di cose viene successivamente fissato anche sul piano giuridico!

D'altronde, i motivi concreti alla base dei due diversi tipi di organizzazione (senza con questo ovviamente voler escludere del tutto il ruolo delle consuetudini e delle leggi, e più in generale della comune 'mentalità operativa') debbono di solito essere ricercati in una diversa conformazione dei territori su cui tali modalità si instaurano.

Il modo di produzione occidentale è difatti solitamente favorito da territori geograficamente frastagliati e di dimensioni abbastanza ristrette (e ciò essenzialmente in ragione del fatto che essi favoriscono in qualche modo la divisione delle terre in differenti lotti, e quindi tra differenti proprietari, sulla base di confini di tipo 'naturale'), mentre il modo di produzione asiatico o di casta si innesta più facilmente e più frequentemente su territori maggiormente ampi e continui, nei quali inoltre la cooperazione sociale (a causa magari della siccità, o di altre calamità naturali costanti) tende a porsi come una necessità difficilmente eludibile (un tale stato di cose, infatti, favorirebbe lo sviluppo di una concezione federativa e comunitaria dell'organizzazione socio-produttiva.)

Tornando all'argomento sollevato all'inizio del paragrafo, osserviamo subito come il fatto di possedere a titolo privato i prodotti del proprio lavoro, permetta ai singoli lavoratori di disporre liberamente (fatte chiaramente - come al solito - le sporadiche ma dovute eccezioni) di essi, sfuggendo così, se non all'autorità pubblica come tale, quantomeno a un controllo troppo oppressivo da parte di quest'ultima.

Se quindi, nell'M.P.A., il controllo della sfera politica su quella economica impedisce a quest'ultima di svilupparsi liberamente, nell'M.P.O. avviene in certo senso l'esatto contrario : qui è infatti la sfera produttiva (intrinsecamente individuale, come si è già più volte detto) a infiltrarsi, seppure - come vedremo - gradualmente, in quella politica, dirigistica e comunitaria, influenzandone le decisioni e la stessa natura.

Certo, non si deve dimenticare che ambito politico e ambito economico sono due cose essenzialmente distinte tra loro (l'uno essendo un qualcosa che riguarda l'intera comunità, e l'altro invece un fatto fondamentalmente individuale - seppure non sempre privato - sul piano dell'azione, e riguardante inoltre la produzione dei mezzi alla base della riproduzione sociale, anziché le attività 'gestionali' di essa). Ma è pur tuttavia vero che nell'M.P.O. la sfera delle attività economiche acquista un valore sempre crescente come variabile autonoma nei confronti della prima, rispetto alla quale infatti è sin dall'inizio qualcosa di logicamente distinto o autonomo.

Né è un caso che proprio all'interno degli stati privatistici occidentali si sia sviluppata quella disciplina, la cosiddetta "politica economica", che studia le attività di governo dal punto di vista proprio degli interessi privati, vedendo appunto nello sviluppo economico-produttivo della società la base stessa del benessere complessivo di essa - una disciplina che identifica quindi nel favorire lo sviluppo di tali interessi il compito fondamentale della politica!

Se dunque, anche dottrinalmente, in Oriente è stata soprattutto la politica a dirigere l'economia (sulla base come si è visto - quantomeno in teoria… - dell'idea di dover interpretare le esigenze di consumo dell'intera comunità), in Occidente - e più in generale negli stati privatistici, cioè nell'M.P.O. - è stata invece molto spesso l'economia (ovvero il complesso degli interessi economici particolari) a condizionare, o addirittura a dirigere, la politica!

Si è già accennato prima, a come negli stati caratterizzati dall'M.P.O. il peso della dimensione privatistica ed economica tenda solitamente a crescere col tempo, e ciò nella misura in cui cresce la quantità stessa di un tale tipo di attività, nonché di conseguenza la capacità di esse di permeare e plasmare tutti gli altri aspetti dell'esistenza sociale.

Dapprima infatti, le attività economiche rimangono solo una parte - seppure fondamentale - di quelle sociali, lasciando così un certo spazio e una certa autonomia non solo a quelle politiche, ma anche quelle ludiche, religiose… che rimangono così fondamentalmente autonome rispetto alle prime!

Solo in un secondo momento, queste ultime finiscono in tutti i loro aspetti - molti dei quali peraltro, non direttamente produttivi - per estendere alle altre la propria influenza. Lo si vede bene oggi, nelle società occidentali avanzate (comunemente chiamate "capitalistiche"), in cui tutto o quasi diviene un'occasione di guadagno. A misura ovviamente in cui questo processo di 'economicizzazione' progredisce, anche la sfera politica e quella giuridica finiscono per venire sempre più influenzate, se non addirittura inglobate, in quella degli interessi economici privati.

(Né è un caso che, a partire all'incirca dal 16° secolo, ovvero con il primo sviluppo di un'economia di tipo capitalistico, seppure in un senso non ancora propriamente tecnologico, inizino in occidente a svilupparsi le prime dottrine di politica economica, nella forma delle cosiddette "dottrine mercantilistiche".)

Volendo tratteggiare la linea di sviluppo di un tale processo, possiamo parlare (molto in sintesi) di una fase degli 'ordini' e di una, a essa logicamente consecutiva, delle classi.

Con "ordini" si intende una forma di classificazione sociale intermedia tra le classi (la cui natura è interamente o, in ogni caso, innanzitutto economica - e in base alla quale, ad esempio, un ricco apparterrà sempre ai ceti alti, un povero a quelli più bassi, ecc.) e le caste (per le quali il ruolo sociale di un individuo deriva dalla funzione che questi svolge all'interno del contesto sociale - ex: lo scriba, cioè il funzionario amministrativo, il soldato, il contadino ecc. - prescindendo così totalmente dall'idea stessa di proprietà patrimoniale privata).

Gli ordini sono infatti essenzialmente delle classificazioni miste rispetto alle prime. Per essi, per esempio, il nobile in quanto tale (cioè in quanto appartenente a una fascia privilegiata della popolazione) deve essere ricco, mentre il plebeo, se anche riesce ad accumulare grandi ricchezze, non avrà mai il privilegio di divenire nobile (…insomma, in una società di ordini, l'appartenenza a una determinata sfera sociale dipende essenzialmente dalla funzione che vi si ricopre, influenzando al tempo stesso la quantità di beni posseduti a titolo privato e personale dai singoli soggetti).

Caratteristica degli ordini (un esempio di questa forma di categorizzazione sociale ce lo fornisce la società romana antica…), in contrasto sia con le caste che con le classi, è poi l'elezione: difficilmente il nobile diventerà plebeo, o a sua volta il plebeo (soprattutto, almeno nella società romana, qualora abbia origini servili) potrà divenire nobile.

Al contrario, sia nei sistemi di casta che in quelli di classe l'appartenenza sociale del singolo individuo dipende essenzialmente dall'abilità di cui questi dà prova: se ad esempio il figlio di un alto funzionario non si dimostrerà capace di svolgere il ruolo del padre, difficilmente potrà ricoprirlo a sua volta; così come - d'altro canto - se il figlio di un ricco borghese sperpererà la sua ricchezza, altrettanto difficilmente rimarrà un ricco borghese.

La società degli ordini, al contrario, è basata sull'idea della stirpe o del sangue: vi sono infatti per essa discendenze nobili e meno nobili… ragion per cui, colui che appartiene all'una o all'altra di esse dovrà godere di un rango o di un tenore di vita appropriato alla propria origine, rivestendo inoltre agli occhi della società un ruolo (ad esempio quello del nobile, che si astiene dalle attività manuali e si dedica a quelle spirituali o politiche; oppure, all'opposto, quello dell'umile lavoratore manuale…) a sua volta confacente a essa, e per lui già scritto in partenza.

Certo, nelle fasi più avanzate di un tale tipo di società - detta "degli ordini", appunto -, anche il merito e la capacità personali finiscono per acquistare un ruolo importante nella considerazione sociale della persona, ma con alcune riserve. Ad esempio, ancora nella Roma tardo repubblicana e in tutta la Roma imperiale, uno schiavo che avesse 'fatto i soldi' restava pur sempre qualcosa di meno di un ricco nobile e di un ricco equestre! (Ne fa fede ad esempio la storia di Trimalcione, lo schiavo liberato e arricchito, descritto mirabilmente da Petronio).

In ogni caso, troviamo nella società degli ordini una via per molti versi intermedia rispetto alle altre due: da una parte vi è già difatti la proprietà privata delle terre e in generale dei mezzi produttivi, nonché quella dei prodotti da esse ricavati; dall'altra invece vediamo sussistere una divisione funzionale della popolazione, nella quale cioè i nobili governano (ovvero svolgono, di diritto, attività di natura politica), mentre i plebei svolgono attività pratiche e manuali, ovvero produttive e economiche (e ciò, nonostante essi - come noto - riescano col tempo, attraverso la lotta sociale, a conquistare crescenti diritti politici…).

Così nella società degli ordini, i ceti alti, per diritto di nascita ricchi e dediti a attività dirigistiche e politiche, contrastano nettamente con quelli bassi, economicamente poveri e incapaci di elevarsi oltre il lavoro manuale, e di svolgere quindi attività di carattere politico (cioè gestionale).

In una seconda fase di sviluppo dell'M.P.O., la dipendenza della sfera politica da quella economica diviene però totale (o quasi). Ed è in questa fase, che si crea una società di classe, nella quale - ad esempio - si è nobili solo in quanto si è ricchi (avendo guadagnato o, quantomeno, non avendo sperperato le proprie ricchezze!), e si appartiene invece al popolo qualora non si sia capaci di elevarsi economicamente (o, quantomeno, di conservare le ricchezze ricevute).

In questa seconda fase dunque, la dipendenza della sfera politica/giuridica/ideologica da quella economica (in senso ovviamente privatistico, legato cioè alla ricchezza posseduta o guadagnata individualmente), si fa ancora più accentuata rispetto alla fase degli "ordini". E ciò dal momento che, se prima era in sostanza l'appartenenza sociale e politica a 'fare' la ricchezza personale - ora invece, accade esattamente l'inverso!

Sin dall'inizio dunque, all'interno dell'M.P.O., la variabile economica detiene un ruolo parallelo e tendenzialmente autonomo rispetto alla variabile politica - ma col tempo, e con la crescita della sfera di tali attività, essa finisce addirittura per assumere un valore totalizzante, speculare peraltro a quello assunto all'interno dell'M.P.A. dalle attività di carattere politico, cui è delegata la gestione e la pianificazione delle mansioni svolte dai sudditi-funzionari dentro i confini dello Stato.

Ma la preponderanza, nell'M.P.O., della sfera produttiva e economica su quella politica - cioè appunto dello Stato - non significa automaticamente la scomparsa di quest'ultimo, né una sua perdita di significato!

Al contrario, lo Stato continua a svolgere un ruolo assolutamente primario e indispensabile in tali società (anche, e prima di tutto, per ciò che concerne la sfera economica).

Fondamentalmente sono due le funzioni che lo Stato, vale a dire il complesso delle istituzioni che tengono unita la comunità, può svolgere nei confronti dell'economia : A) da una parte infatti (ed è il caso più comune) si può avere uno 'Stato di classe', che tende a favorire con le sue scelte una determinata classe o un determinato ordine sociale, a scapito sostanzialmente delle altre/i classi/ordini; B) dall'altra invece, esso può svolgere un ruolo di mediazione tra le proprie parti e componenti sociali - senza in sostanza privilegiarne alcuna, al fine di favorirne l'integrazione in un organismo politico condiviso e rafforzando in tal modo il senso dello Stato stesso (si parla a questo proposito, di "Stato bonapartista"!)

Abbiamo delineato dunque i tratti salienti dei sistemi socio-produttivi tipicamente occidentali (M.P.O.), in contrapposizione a quelli - già descritti nel paragrafo precedente - dell'M.P.A.

E' emerso chiaramente come la sfera politica e dirigistica (di livello comunitario) sia qui - in virtù prima di tutto del diritto alla libera proprietà dei beni, che non permette un eccessivo controllo di questi ultimi da parte della comunità - essenzialmente separata, seppure al tempo stesso interagente, rispetto a quella economica, relativa alla produzione e distribuzione della ricchezza.

Proprio per questo motivo tali società, anziché essere basate su una divisione di carattere funzionale (le caste), sono fondate invece su gruppi sociali che - o in parte (ordini), o del tutto (classi) - hanno carattere economico: cioè dipendono dalla proprietà patrimoniale posseduta a titolo individuale dai singoli cittadini.

La sfera politica, attraverso la quale la società si costituisce come un tutto organizzato, è qui sin dall'inizio essenzialmente complementare rispetto a quella produttiva, per sua natura invece tendenzialmente anarchica e individualistica. Col tempo inoltre, il rapporto tra le due si sviluppa, almeno in linea di massima, decisamente a favore della seconda - e non certo della prima!

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Adriano Torricelli - Homolaicus - Contatto - Sezione Economia


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Aggiornamento: 12/09/2014