La Divina Commedia

di Dante Alighieri

Purgatorio

Canto I


  Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;

Canto II


  Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;

Canto III


  Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,

Canto IV


  Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda
l'anima bene ad essa si raccoglie,

Canto V


  Io era già da quell'ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando 'l dito,

Canto VI


  Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;

Canto VII


  Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».

Canto VIII


  Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

Canto IX


  La concubina di Titone antico
già s'imbiancava al balco d'oriente,
fuor de le braccia del suo dolce amico;

Canto X


  Poi fummo dentro al soglio de la porta
che 'l mal amor de l'anime disusa,
perché fa parer dritta la via torta,

Canto XI


  «O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,

Canto XII


  Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell'anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.

Canto XIII


  Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.

Canto XIV


  «Chi è costui che 'l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».

Canto XV


  Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
e 'l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,

Canto XVI


  Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant'esser può di nuvol tenebrata,

Canto XVII


  Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,

Canto XVIII


  Posto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, e attento guardava
ne la mia vista s'io parea contento;

Canto XIX


  Ne l'ora che non può 'l calor diurno
intepidar più 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno

Canto XX


  Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra 'l piacer mio, per piacerli,
trassi de l'acqua non sazia la spugna.

Canto XXI


  La sete natural che mai non sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,

Canto XXII


  Già era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;

Canto XXIII


  Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,

Canto XXIV


  Né 'l dir l'andar, né l'andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento;

Canto XXV


  Ora era onde 'l salir non volea storpio;
ché 'l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:

Canto XXVI


  Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: «Guarda: giovi ch'io ti scaltro»;

Canto XXVII


  Sì come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l'alta Libra,

Canto XXVIII


  Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno,

Canto XXIX


  Cantando come donna innamorata,
continuò col fin di sue parole:
'Beati quorum tecta sunt peccata!'.

Canto XXX


  Quando il settentrion del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d'altra nebbia che di colpa velo,

Canto XXXI


  «O tu che se' di là dal fiume sacro»,
volgendo suo parlare a me per punta,
che pur per taglio m'era paruto acro,

Canto XXXII


  Tant'eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eran tutti spenti.

Canto XXXIII


  'Deus, venerunt gentes', alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;


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