I lucidi deliri di Charles Bukowski

I lucidi deliri di Charles Bukowski

Charles Bukowski

Dario Lodi

La religione va bene negli ospedali. Dio gode di una certa popolarità in posti del genere (Charles Bukowski).


La letteratura di Charles Bukowski non è per stomaci delicati.

Ma non è neppure per spiriti morbosi. Lo scrittore era nato in Germania nel 1920, con gli inizi della depressione tedesca dopo la Prima guerra mondiale. Poco dopo sarebbe emigrato con la famiglia in America, a Baltimora prima a Los Angeles (nei sobborghi) poi. E a Los Angeles rimase sino alla morte, avvenuta nel 1994 per leucemia fulminante.

Bukowski giocò a fare l’anticonformista per tutta la vita, cambiando donne come si cambiano i vestiti, imbottendosi di alcol a dismisura (superò persino la “sete” di Hemingway, mitico bevitore di vino e rhum conditi con whisky e gin).

Il suo anticonformismo veniva da lontano. Bukowski non era un improvvisato, conosceva bene la letteratura europea e amava il filone “maudit” (il “maledettismo”) inaugurato a suo tempo dal grande Baudelaire. Ammirava anche la letteratura elegante di Cechov, nonché quella tenebrosa di Kafka.

La scrittura del Nostro è di tipo giornalistico: è fatta di frasi breve, secche e non risparmia nulla al lettore. Bukowski adora “èpater le bourgeois” (sorprendere e scandalizzare il lettore borghese) in un tempo in cui le buone maniere erano ancora considerate e praticate con quasi consapevole ipocrisia.

Il suo sarcasmo, la sua ossessione per il sesso, la sua semplicità di vita (donne, alcol e brutalità), sono modi estremi di raffigurare un malessere di fondo per la ben maggiore brutalità nascosta nella vita corrente. Il sistema funziona in un certo modo, tritura le personalità, azzera le coscienze, umilia l’uomo, però crea ricchezza materiale e quindi non lo si critica a dovere. Lo stesso Bukowski se vuole sopravvivere scrivendo deve piegarsi alle leggi del mercato, leggi che lui sfrutta al massimo raddoppiando la produzione di volgarità.

Ma non c’è trascuratezza né compiacimento in questa sua produzione, semmai c’è una dilatazione della protesta e dello sberleffo verso un conservatorismo – quello decretato dal puritanesimo americano – che robotizza l’uomo, decerebrandolo.

Dio è l’ultima preoccupazione di Bukowski: la sua figura è estremamente sfumata nella mente dello scrittore, perde ogni importanza, persino ogni senso. Piuttosto in certi suoi libri (Donne, Pulp, Compagno di sbronze, Taccuino di un vecchio porco, Storie di ordinaria follia) è presente un rifiuto netto della stasi dominante la società in cui vive, la falsa civiltà che lui è costretto a frequentare. L’uomo in questa civiltà è un manichino, un manichino penoso. Non ha iniziative qualificate perché è abituato ad ubbidire, ubbidire al re, al papa. Oggi ubbidisce al sistema che gli promette benessere: il sistema è un nuovo idolo, ricalcato su quelli vecchi. Dov’è dunque la personalità dell’uomo moderno? Dov’è il progresso civile, laico nel senso più completo del termine? Ebbene, non c’è. Allora che l’uomo si ribelli deridendo questo sistema. Cada, dice Bukowski, ogni stima nei confronti del mondo inchiodato al perbenismo di facciata e quindi muoia, fra mille risate sardoniche e grossolane, uno storico atteggiamento codino e subordinato a miti e consuetudini pigre. Nel cuore di tutto questo c’è una realtà metafisica (con quella religiosa preminente) che, morto l’idealismo classico, diventa clamorosamente e fortunatamente inutile, assumendo persino connotati poco dignitosi agli occhi dell’orgoglio umano. C’è come un’incredulità per aver accolto certi cedimenti sentimentali senza un minimo di razionalità. Il mondo continua ad essere piccolo, i cambiamenti, col progresso materiale, sono stati di tipo involutivo.

Bukowski si agita in questa specie di bicchiere d’acqua e viene in qual modo beffato dalla coscienza di essere costretto in un luogo tanto stretto, quindi urla il suo sdegno senza riuscire a  prenderlo sul serio (peraltro, avverte inutile il tentativo o gioca in questo senso in modo snobistico). Come dire che la vita così contenuta non merita alcuna considerazione: venga l’anarchia a salvare capra e cavoli. O a non salvare nulla, purché lasci l’interessato in pace. E il sistema che vada in malora. D’altra parte se l’umanità ha concepito un modo di vivere del genere – senza vera possibilità di progresso esistenziale – non è un’umanità di grande spessore. Le licenze, anche devastanti nei confronti del proprio corpo (ma non della propria essenza), sono prove di una indignazione cosmica che non va a caso e che non è fine a se stessa: non è un’invenzione di comodo per sottrarsi al tran tran generale, non è una bizzarria surdimensionata. E’ una rabbia che esplode a seguito di una provata impotenza ad incidere nel tessuto del sistema. Bukowski sente di essere un emarginato e si emargina ancora di più. Ma da lì, che è un posto privilegiato di osservazione, lo scrittore lancia di tutto contro la società che di fatto non lo vuole, che non vuole turbamenti, non vuole ribaltamenti, teme l’ignoto, è attaccata alle convenzioni, alle tradizioni: pensa dentro questo spazio e non ne desidera altro.

Questo non desiderio, questa pavidità, questo chiudersi in se stessi, ebbene sono cose che fanno montare su tutte le furie il nostro scrittore. Ad esse egli risponde con l’anarchia, l’improvvisazione, il sarcasmo, il rutto e l’ira funesta a capocchia, secondo l’estro del momento. Si tratta di atteggiamenti e di comportamenti pur sempre allineati ad una volontà seria di uscire dal gregge per andare ala ricerca di qualche valore nuovo che sta sicuramente dietro la nebbia dionisiaca. Dopo la sbronza c’è il duro e triste risveglio. Aprendo gli occhi sarebbe bello non rivedere il mondo di cartapesta, con tutte le figurine al loro posto, messe lì da una mano tremante. Utopia, ma tanto vale avanzare la pretesa: meglio sarebbe vedere un mondo sgangherato, però vero, palpitante. Il mondo dell’uomo con scarpe da montagna, non dell’uomo in pantofole. Quest’ultimo guarda Bukowski come un animale raro. Non guarda se stesso come un animale estinto.

Dello stesso autore:

Testi di Charles Bukowski

it.wikipedia.org/wiki/Charles_Bukowski


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019