DANTE E PETRARCA Dialogo surreale

DANTE E PETRARCA
Dialogo surreale

Francesco PetrarcaDante Alighieri


- Mi spiace d'averti conosciuto solo quando scrivevi di poesia stilnovistica. Il mio amico Boccaccio parlava tanto bene di te, soprattutto per la tua Commedia. Ma quando ho iniziato a leggere l'Inferno vi ho trovato molte volgarità per me inaccettabili.
- Lo so, Francesco, tu sei sempre stato un purista, un perfezionista assoluto dello stile.
- Non si tratta solo di forma. La purezza dev'essere anche nei contenuti, a prescindere dall'argomento trattato. E tu nella Commedia lo sei stato solo quando hai scritto il Paradiso e lo saresti stato ancor più se avessi usato il latino.
- Io ho cercato di dare dignità alla lingua che il popolo parlava e non potevo prescindere dal fatto che il popolo, a volte, può essere anche una grandissima bestia. Tu invece, nonostante il tuo Canzoniere, hai voluto dare più importanza alla lingua dei dotti.
- Il bello è che hanno considerato me più moderno di te.
- Sì, questa cosa in effetti non l'ho mai capita. Io mi sono sforzato di mettere per iscritto il parlato della gente comune e ho dovuto aspettare la rivalutazione romantica del Medioevo prima d'essere veramente apprezzato. Tu invece hai dettato legge per non pochi secoli sia col tuo latino che col tuo volgare d'élite, rivolto agli intellettuali.
- Non è stato solo questo, ma anche il fatto che le mie idee erano più moderne delle tue, più "borghesi" e meno "medievali".
- Anche questa cosa non l'ho mai capita. Se io e te oggi tornassimo sulla terra e chiedessimo alla gente comune chi di noi due preferisce, son convinto che non avremmo dubbi: il più moderno sono io, proprio per come ho trattato la natura umana.
- Perché, le mie lacerazioni interiori non hanno forse anticipato i tempi? E non ho forse odiato la corruzione della chiesa come hai fatto tu? Spiegami tu perché non sono passato alla storia per le mie critiche.
- La differenza fra te e me, caro Francesco, non sta nel diverso grado di anticlericalismo, ma nel fatto che io non mi sono piegato a quei compromessi che avrebbero potuto darmi lustro e onore. Tu ci hai messo vent'anni prima di rompere con quei filibustieri di Avignone.
- Abbiamo avuto entrambi bisogno della protezione dei signori di quel tempo: tu perché costretto dall'esilio, io perché mi sentivo cosmopolita, senza radici di tipo comunale.
- Sì, ma tu hai potuto ridurre al minimo i loro condizionamenti grazie alle tue risorse materiali, che hai sempre cercato con molto interesse. Io invece ho dovuto fare affidamento solo al mio ingegno. Mi avevano privato di tutto e per poter riavere le mie cose m'imposero condizioni vergognose. Tu hai potuto dedicarti tutta la vita, senza alcun assillo, alle lettere e allo studio dei classici.
- Ti sbagli. Io non sono mai stato un Pier delle Vigne: ho sempre rifiutato incarichi troppo impegnativi, che avrebbero ridotto la mia libertà. Diciamo che avevo capito meglio di te come andavano i tempi e ho dato più fiducia alla borghesia di quanto avessi fatto tu, che la bollavi continuamente d'essere avara ed egoista.
- Detto da te, che leggevi continuamente le Confessioni di sant'Agostino, fa un po' sorridere. Se per te sentirsi più vicini alla borghesia significava pensare una cosa e farne un'altra, volerla e pentirsi d'averla cercata, allora sicuramente io non sono stato un moderno.
- Veramente ho cercato di espormi appoggiando il tentativo repubblicano di Cola di Rienzo, ma io non ero tagliato per la politica, e quando quello cominciò a scantonare, non ebbi il coraggio di aiutarlo come avrei dovuto.
- Io invece ero nato per svolgere un ruolo politico, ma mi tarparono le ali subito dopo aver appreso a volare.
- Ricordi quando tu ti appellasti a Enrico VII di Lussemburgo e io a Carlo IV di Boemia perché scendessero in Italia a ripristinare l'autorità imperiale? Che ingenui eravamo! Io però smisi presto di credere in quelle utopie; tu invece hai continuato a parlarne fino alla Commedia.
- Sì, in questo sta in fondo la nostra vera differenza, che io m'ero intestardito sul meglio dei valori cristiani medievali, mentre tu pensavi che quegli ideali fossero già morti, anche se non riuscivi a seppellirli definitivamente nella tua coscienza.
- Però devi ammettere che su una cosa eravamo simili: l'ammirazione sconfinata per Virgilio.
- Sì, solo che tu l'avresti messo nel mio Paradiso, io invece non lo feci uscire dal limbo. Per te i teologi cristiani erano un di meno dei grandi intellettuali pagani; per me un di più. Sarà la storia a decidere chi di noi due merita maggiormente d'essere ricordato.
- Mi sa che la storia l'abbia già deciso: amano più te ma vivono come me. Anzi, di te non hanno più alcun ideale religioso, e di me non hanno più gli scrupoli di non averne realizzato neanche uno.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 10-02-2019