Sulle spalle dei giganti: letterati filosofi politici scienziati

Sulle spalle dei giganti
letterati filosofi politici scienziati

Dario Lodi


L'Umanesimo quattrocentesco è sicuramente un periodo capitale per la formazione dell'uomo moderno. I "preparativi" risalgono per lo meno al grande Francesco Petrarca, cultore di studi classici, buon latinista e scrittore in volgare di rara eleganza. Gli incentivi umanistici si devono alla riscoperta del classicismo greco, grazie anche alle Crociate e ai filosofi arabi penetrati in Europa dalla Spagna.

Ecco due personaggi dell'Umanesimo:

Girolamo Savonarola (1452-1498), predicatore ferrarese, "servo di Dio", reggitore della repubblica fiorentina per qualche anno, sino alla reazione papale (Alessandro VI) e alla sua condanna al rogo, con relativo ritorno dei Medici a Firenze. Ecco l'incipit originale del suo "Trattato sul governo di Firenze":

L'onnipotente Dio, el quale regge tutto l'universo, in due modi infunde la virtú del suo governo nelle creature. Però che nelle creature, che non hanno intelletto e libero arbitrio, infunde certe virtú e perfezioni, per le quali sono inclinate naturalmente ad andare per li debiti mezzi al proprio fine, senza difetto, se già non sono impedite da qualche cosa contraria: il che accade rare volte. Onde tale creature non governano sé medesime, ma sono governate e menate alli fini proprii da Dio e dalla natura data da lui.

Pico della Mirandola (1463-1494) può essere considerato uno dei maggiori sostenitori della dignità umana. Per lui l'uomo non è, bensì diviene: è cioè libero di scegliere cosa fare, ma la sua ragione lo porterà ad agire secondo equilibrio e grandiosità d'intenti. La religione, per Pico, ha valori intellettuali e morali, non è fede "cieca. Segue il suo scritto forse maggiore (tratto da "La dignità umana"):

Perciò assunse l'uomo come opera di natura indefinita e postolo nel centro dell'universo così gli parlò: "Né determinata sede, né un aspetto tuo peculiare, né alcuna prerogativa tua propria ti diedi, o Adamo, affinché quella sede, quell'aspetto, quelle prerogative che tu stesso avrai desiderato, secondo il tuo volere e la tua libera persuasione tu abbia e possieda. La definita natura degli altri esseri è costretta entro leggi da me stabilite, immutabili; tu, non costretto da nessun limitato confine, definirai la tua stessa natura secondo la tua libera volontà, nel cui potere ti ho posto.

Ti ho collocato al centro dell'universo affinché più comodamente, guardandoti attorno, tu veda ciò che esiste in esso. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi libero e sovrano creatore di te stesso, ti plasmi secondo la forma che preferirai.

Potrai degenerare verso gli esseri inferiori, che sono i bruti, potrai, seguendo l'impulso dell'anima tua, rigenerarti nelle cose superiori, cioè in quelle divine".

Nello scritto del Savonarola prevale una preoccupazione medievale per le sorti umane, risolta con l'intervento religioso (paternalismo). In quello di Pico, c'è l'uomo che prende piena consapevolezza di sé, andando on fiducia e convinzione persino oltre se stesso: è una rivoluzione copernicana che avrà sviluppi intellettuali e pratici immensi.

Oltralpe, l'Umanesimo fu meno legato alle questioni religiose in senso filosofico.  Due, fra i tanti, sono i personaggi che caratterizzarono diversamente  il pensiero umanistico: Erasmo da Rotterdam e Michel de Montaigne.

Erasmo da Rotterdam (1466?-1536) introdusse una critica bonaria alle pretese umanistiche di perfezione del pensiero dell'uomo. Il suo "Elogio della follia" è una sorta di richiamo alla moderazione comportamentale per via dei limiti umani. Erasmo mostra ancora ossequio nei confronti della religione, ma per una questione di prudenza e modestia, non certo per sottomissione.

Ecco cosa scrive a pagina 69:

Non vedete, prima di tutto, con quanta preveggenza Madre Natura, artefice della specie umana, ha evitato che il pepe della follia venisse in qualche misura a mancare? Se infatti la sapienza consiste, secondo la definizione stoica, nell'essere guidati dalla ragione e la follia, invece, nell'essere in balia delle passioni, quanto più passione che ragione ha posto Giove nell'uomo, ad evitare che la sua vita fosse davvero cupa e tetra? più o meno come la mezza oncia sta all'asse. La ragione, per giunta, ha voluto relegarla in uno stretto angolino della testa, lasciando alle passioni tutto il resto del corpo. Per di più l'ha costretta a lottare da sola contro due violentissimi tiranni, l'ira che occupa la rocca della viscere e la stessa sorgente della vita, il cuore, e la brama, che dispone di un vastissimo impero giù fino al pube.

Michel de Montaigne (1533-1592) è un pensatore atipico nel periodo. Il francese è capace di un relativismo che sorprende e affascina. Il ridimensionamento dell'uomo segue quello di Erasmo, ma nel suo caso l'abbraccio religioso, sotto qualsivoglia forma, è scomparso. Ecco alcune citazioni dai suoi famosissimi "Saggi":

C'è altrettanta differenza tra noi e noi stessi che tra noi e gli altri. La calamità dell'uomo, è il creder di sapere. La cosa più importante al mondo è saper essere autosufficienti. La cosa più grande al mondo è sapere come appartenere a se stessi. La paura è la cosa di cui bisogna aver più paura.

La povertà di beni può essere curata facilmente; quella di spirito, è incurabile. La nuora di Pitagora disse che una donna che va a letto con un uomo dovrebbe riporre la propria modestia assieme alla gonna, ed indossarla di nuovo con la sottoveste. La superstizione reca in sé qualche immagine della pusillanimità. La vita è un sogno: quando dormiamo, siamo svegli e quando siamo svegli, dormiamo. Lasciateci dare una possibilità alla natura, perché sa il fatto suo meglio di noi. Le nature sanguinarie nei riguardi degli animali rivelano una naturale inclinazione alla crudeltà.

Si può dire che Erasmo inizia un discorso nuovo sui rapporti fra uomo e realtà e che Montaigne lo concluda secondo una visione realistica, finalmente libera da pregiudizi. L'Umanesimo si concretizza, quindi, con un sostegno deciso dato alla figura umana.

Il Concilio Tridentino (1545-1563) non conciliò affatto cattolici e protestanti. La chiesa comunque ne uscì mondata, rinnovata, come si dimostrerà negli anni seguenti.  Fu l'imperatore Carlo V, forse il migliore del Sacro Romano Impero, a pretendere il cambiamento..

Roberto Bellarmino (1542-1621), cardinale, santo, padre della chiesa, ebbe a che fare con Giordano Bruno, al quale cercò di salvare la vita, e con Galileo Galilei, nei cui confronti fu molto aperto. Bellarmino chiedeva a Galileo di dimostrare la sua teoria eliocentrica in modo inoppugnabile, tenendo per sé la convinzione che non avrebbe potuto farlo in quanto la Bibbia, parola di Dio, era considerata infallibile. Il cardinale fu più attento alla ricostruzione ecclesiastica, come si desume dall'inizio di questa sua relazione:

E', infatti, questa l'origine dei mali: alcuni vescovi... non vigilano sul comportamento del loro clero, ma o se ne stanno assenti lontano dalla loro chiesa... oppure vigilano certamente ma solo sui campi, i vigneti e gli orti, oppure su come raddoppiare le rendite ecclesiastiche od ornare il loro palazzo con suppellettile pregiata, o accrescere le ricchezze dei familiari o ascendere loro stessi a cariche più alte. Che meraviglia c'è dunque nel fatto che le loro chiese siano tutte piene di sterpi? Se si celebrano le lodi divine senza la dovuta attenzione e devozione? Se si celebrino i divini misteri con vasi e tovaglie indecenti? Se i sacramenti celesti vengano amministrati a chi non ne è degno o in forma indegna?''.

Galileo Galilei (1564-1642) è il padre indiscusso della scienza moderna. Dovette ritrattare di fronte al Sant'Uffizio la sua proposizione eliocentrica. Lo fece per paura di conseguenze corporali, ma forse anche per il timore di aver osato troppo. Ma Galileo sapeva, infine, d'essere nel giusto. Ecco l'incipit del capitolo sul pensiero umano (Galileo, pensieri, motti e sentenze):

Quello che il puro senso della vista manifesta è nulla in confronto di ciò che apprende la diligente osservazione - E credino pure gli idioti che, sì come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l'aspetto esterno di un corpo umano è piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l'uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, esaminando gli offizi del cuore e de gli altri membri principali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le meravigliose strutture de gli strumenti de' sensi e, senza finir mai .

Galileo è l'espressione ideale, conclusiva dell'Umanesimo originale, un movimento filosofico straordinariamente idealistico, il cui abbraccio la chiesa non accettò.

Si può ipotizzare una reazione umanistica culminata in una ricerca, quanto mai seria, di autonomia espressiva, da cui si formò la Scienza moderna, vale a dire una disciplina votata alla ricerca del vero, nemica di conoscenze aprioristiche, rese dogmatiche e vuote dalla chiesa per "comoda" sudditanza verso figure canoniche appartenenti all'antichità.

La caduta della chiesa romana, con Lutero, poneva fine ad una centralità storica dominata dalla religione. Questa caduta portò traumi spirituali ed intellettuali, da sistemare secondo una nuova realtà: quella del mondo materiale, ormai emancipato e puntellato dai primi successi della scienza moderna.

Cartesio (Renè Descartes, 1596-1650): il suo "cogito ergo sum" è un potente spartiacque fra credenza trascendentale e fiducia nella ragione umana.

Praticamente, il filosofo francese "deifica" l'uomo, nel senso che dà ad esso la capacità di raggiungere l'assoluto, ovvero una relatività "speciale".

Per farlo, l'uomo deve avere il metodo giusto. Cartesio lo precisa nel suo "Discorso sul metodo", ecco come:

Svegli o addormentati, non dobbiamo mai lasciarci persuadere se non dall'evidenza della nostra ragione.  Tutti gli uomini nascono con lo stesso strumento: la ragione "lume naturale", che è per natura uguale per tutti: però se tutti gli uomini dicono di avere la stessa ragione perché alcuni sbagliano e altri no? La ragione la hanno tutti allo stesso modo quindi il fatto che alcuni non sbagliano non dipende dal fatto che hanno più buon senso degli altri ma solo perché certi non usano il metodo giusto. Egli non ha una migliore ragione rispetto agli altri anzi, dice egli stesso, talvolta peggiore, ma la sua ragione ha trovato un metodo che funziona e che potrebbe valere per tutti come per lui. Potrebbe valere, ma di questo non c'è certezza, perché pur essendo lo strumento lo stesso (la ragione), pur avendo lo stesso metodo, poi bisogna vedere come lo si usa.

Blaise Pascal (1623-1662), matematico, fisico, filosofo, teologo francese: è l'esempio della tenuta religiosa, nel suo caso, tuttavia, in senso, per lo più, strettamente spirituale. Si oppose alla razionalità di Cartesio, insistendo sulla inadeguatezza umana a trattare l'assoluto e raccomandando quindi, di affidarsi alla divinità. Dai suoi pensieri:

Scommettere su Dio non implica conoscerlo; la conoscenza della natura di Dio resta comunque al di fuori delle capacità della ragione umana: Dio è Mistero. Gli uomini possono conoscere solo ciò che Lui ha comunicato di sé, rivelandosi in Gesù Cristo. Non posso perdonare a Descartes; avrebbe pur voluto, in tutta la sua filosofia, poter fare a meno di Dio; ma non ha potuto evitare di fargli dare una spintarella, per mettere in movimento il mondo; dopo di che, non sa cosa farsi di Dio. Lo scetticismo è nel vero.

Perché, dopo tutto, gli uomini, prima di Gesù Cristo, non sapevano che cosa fossero, né se fossero grandi o miseri. (432). Non solo noi non conosciamo Dio che per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi che per mezzo di Gesù Cristo; non conosciamo la vita, la morte che per mezzo di Gesù Cristo.

Dei due convince maggiormente Cartesio, anche se la sua idea comporta un impegno personale eccezionale. La spiritualità di Pascal è in tutti gli uomini e la sua natura va rispettata, meno gli eccessi e le dilatazioni relative che, infine, paralizzano il pensiero.

Nel '600 si cerca un'affermazione umana al di là del condizionamento religioso. Il secolo si apre con la continuazione delle  lotte fra cattolici e protestanti, culminate con la terribile Guerra dei Trent'anni (1618-1648).

Si tratta di mettere le mani sui possedimenti della chiesa e quindi di annullare il potere religioso eccedente il governo spirituale.

Baruch Spinoza (1632-1677) è il filosofo che considera l'umanità più di quanto essa sia per la religione. La sua tesi ha carattere panteistico, ma il suo dio tende a risolversi nell'animus, vale a dire in una "molla"

perfetta dentro ogni organismo. Per quanto sia legato ancora ad una visione arcaica, Spinoza tenta un discorso nuovo basato su un'etica rigorosa da assumere con la sola oggettività. Un estratto:

Quando dico che qualcuno passa da una minore ad una maggiore perfezione, e viceversa, non intendo che da una essenza o forma sia mutato in un'altra.

Non possiamo immaginare Dio, ma soltanto  comprenderlo. (E' una frase chiave.) Né ridere, né piangere. Ma capire. Gli uomini non nascono civili, lo diventano. Penso che non soltanto le cose vere, ma che le chimere e le bazzecole possano risultarmi utili in qualche modo. Ogni cosa, sia essa più perfetta o meno perfetta, potrà perseverare sempre nell'esistere con la stessa forza con la quale comincia a esistere, così ch, sotto questo aspetto, tutte le cose sono uguali.  Non dubitiamo dell'esistenza di Dio e di conseguenza di tutto, finché abbiamo di Dio non un'idea chiara e distinta, ma un'idea confusa.

Thomas Hobbes (1588-1679), filosofo inglese, sostiene l'importanza dello Stato autoritario, quale soluzione sociale ideale. Lo Stato autoritario è per Hobbes un freno e un correttivo alle intemperanze umane. Il suo "Leviatano" è un organismo retto da un potere forte e temporale. Hobbes è materialista e realista, soprattutto come reazione alla passività della chiesa. Taglienti le sue frasi, eccone un campionario (dal "Leviatano" e da "Il cittadino"):

Il Papato non è altro che lo spettro del defunto impero romano assiso sulla sua tomba con corona in mano. L'interesse e la paura sono i principi della società. Senza spada i patti non sono che parole. L'autorità non la verità fa la legge. La guerra non consiste solo in battaglie, in atti di combattimento, ma di un periodo di tempo in cui la volontà di contendere in battaglia è abbastanza nota. L'errore di un uomo non diventa legge, né lo obbliga a persistere in esso. Le parole sono i gettoni dei saggi, che non fanno i conti con essi, ma sono i soldi degli sciocchi.

In Italia, il 600 è il secolo del Barocco (tentativo di recupero del potere della chiesa, anche in buona fede). In Europa, invece, si copre il vuoto romano con l'esaltazione del pensiero. Nel passaggio, non mancano incertezze ed esitazioni (la religione continua a condizionare), ma la decisione di procedere razionalmente è ferma e determinata.

Nel '600, gli Inglesi, privi di forti condizionamenti religiosi, furono in prima linea nel sostegno alla razionalità, preparando il terreno al successivo Illuminismo. Altrove i dubbi su questo valore persistono, (specie in Italia, dove la chiesa di Roma ancora incide).

John Locke (1632-1704) è il padre dell'empirismo (non esistono conoscenze innate). Egli sostiene che sono i sensi e l'esperienza a guidare l'uomo, nient'altro. Il filosofo nega la reminiscenza platoniana e dunque toglie il concetto di finalismo. Con chiarezza, Locke è il primo relativista: ne esce un uomo nuovo, responsabile del proprio destino, indipendente dalla religione.

Da "Saggio sull'intelletto umano":

Il fatto che gli uomini abbiano trovato alcune proposizioni generali che, una volta comprese, non possono essere sottoposte a dubbio, fu, io ritengo una breve via per concludere che erano innate. Una volta accettata tale conclusione liberò i pigri dalle fatiche della ricerca e impedì a chi aveva dubbi concernenti tutto ciò che una volta per tutte era stato considerato come innato di condurre avanti la propria ricerca. Ed era un vantaggio non piccolo per quelli che si presentavano come maestri ed insegnanti considerare questo come il principio di tutti i principi: i principi non devono essere messi in discussione.

Infatti una volta stabilita la tesi che esistono principi innati poneva i suoi seguaci nella necessità di accogliere alcune dottrine appunto come innate: il che voleva dire privarli dell'uso della propria ragione e del proprio giudizio e porli nella condizione di credere ed accettare quelle dottrine sulla base della fiducia, senza ulteriore esame.

Messi in questa posizione di cieca credulità, potevano essere più facilmente governati e diventavano più utili per una certa specie di uomini, che avevano l'abilità e il compito di dettar loro i principi e di guidarli.

Giambattista Vico (1668-1744) sembra ammonire i razionalisti dall'alto di un sapere appassionato quanto convenzionale, dove, contrariamente ai veri dettati cristiani, la partecipazione umana è subordinata al volere divino (non al principio relativo, vale a dire la sapienza profonda). Per Vico, se l'uomo si allontana dalla divinità, si perde .

Da "De Antiquissima ." e "Scienza Nuova":

La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio conosco la mia propria mente.  Il primo vero è in Dio, perché Dio è il primo facitore (primus Factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi a Dio, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Gli uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza.

E' molto gratificante per la personalità umana la posizione degli empiristi, mentre i conservatori religiosi tendono a perdersi in tesi esangui per la mancanza di sviluppo dei principi relativi.

Il '700 si apre con nuove speculazioni intellettuali indirizzate verso l'autonomia operativa. Davvero notevole la figura di Kant, teorizzatore di un comportamento laico rigorosamente morale come quello religioso (una cosa dell'uomo, tuttavia, che non ha niente a che vedere con la divinità). Il secolo si chiude con la rivoluzione francese e con la maturità di Hegel, sostenitore di una spiritualità, o animus di tipo panteistico, alla quale affidarsi per raggiungere l'assoluto. L'Illuminismo incisivo è francese.

Charles-Louis de Montesquieu (1689-1755) predica l'abbandono di ogni forma di condizionamento, sia regale sia religioso. Ammira la costituzione inglese, esempio di libertà a quei tempi. Insiste per un sistema garantito da pesi e contrappesi legali. Sollecita così l'emancipazione. Ecco cosa scrive nel suo "Spirito delle leggi":

Siccome tutte le cose umane hanno una fine, lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo.

Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?

Denis Diderot (1713-1784) è forse il più significativo fra gli Illuministi.

A lui si deve soprattutto la famosa enciclopedia: una finestra spalancata sulla realtà, contro l'ignoranza e la superstizione. Mente acuta, brillantissima, Diderot si batté per il trionfo della logica. Ecco alcuni suoi pensieri:

Se un misantropo si fosse proposto di fare l'infelicità del genere umano, che avrebbe potuto inventare di meglio che la credenza in un essere incomprensibile, sul quale gli uomini non avrebbero potuto mai mettersi d'accordo e al quale avrebbero attribuito maggior importanza che alla loro stessa vita? Finché le cose rimangono esclusivamente nel nostro intelletto, sono nostre opinioni, sono nozioni che possono esser vere o false, accettate o contraddette. Esse acquisiscono consistenza soltanto legandosi agli enti esterni. Se la ragione ci è stata donata dal Cielo, proprio come la fede, allora il Cielo ci ha offerto due doni incompatibili e contraddittorî.

In questo secolo, la questione religiosa è ancora temuta, ma viene tenuta a bada da fitte argomentazioni  prive, o semiprive, di coinvolgimenti metafisici. La novità è che l'uomo tende ad eliminare con forza l'influenza della religione nella sua esistenza pratica. La vita non richiede più affidamenti straordinari. L'esistenza, intanto, va alla ricerca di nuovi riferimenti: tutti umani, però. Assunti responsabilmente.

La rivoluzione industriale cambia il mondo. A metà '800, il filosofo Comte ratifica questo cambiamento con la dottrina positivista. Il suo Positivismo si basa sul senso di responsabilità (ne verrà il paternalismo moderno), ma il nuovo fenomeno produttivo si limita al possesso individuale. Marx si opporrà con forza ai relativi disastri sociali (verrà travisato e manipolato). Intanto, le conoscenze scientifiche si moltiplicano. Darwin sosterrà una tesi rivoluzionaria, evolutiva e non creativa, mentre Freud proporrà, indirettamente, una nuova visione della realtà. Anche l'arte si rinnova.

Soren Kierkegaard (1813-1855) è il padre, involontario, dell'Esistenzialismo.

Visse drammaticamente, tormentato dall'idea religiosa, incerto sulla correttezza della propria libertà. Questa incertezza lo sconfisse. Resta il suo impegno intellettuale e sentimentale al calor bianco. Esemplare in sé, come da scritto che segue.

Ciò di cui ho veramente bisogno è di chiarire nella mia mente ciò che devo fare, non ciò che devo conoscere, pur considerando che il conoscere deve precedere ogni azione. La cosa importante è capire a che cosa sono destinato. Scorgere ciò che la Divinità vuole che io faccia; il punto è trovare la verità che è vera per me, trovare l'idea per la quale sono pronto a vivere e morire. - Quello che ciascun uomo può compiere è il movimento della infinita rassegnazione; e, per conto mio, non esiterò ad accusare di viltà chiunque si immagini di esserne capace. - Voglio ricordare la mia definizione dell'etica: essa è ciò per cui l'uomo diventa quello che diventa.

Claude Monet (1840-1926) è, a tre quarti dell'800, il creatore dell'Impressionismo: la sudditanza nei confronti della figura viene sostituita dal protagonismo.

Monet dipinge ciò che sente. La realtà è così piegata alla personalità umana. Tutto ciò è la conseguenza del protagonismo materiale derivato dalla rivoluzione industriale, ma l'artista vi pone anche elementi di riflessione dovuti al Romanticismo, sorto in contrapposizione al materialismo e intellettualmente molto più ricco. Straordinario questo suo pensiero:

Non dormo più per colpa loro. Di notte sono ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo al mattino piegato dalla fatica. L'alba mi ridona coraggio, ma l'ansia torna non appena varco la soglia dello studio.

Dipingere è così difficile e torturante. Lo scorso autunno ho bruciato sei tele insieme alle foglie morte del mio giardino. Ce n'è abbastanza per far perdere la speranza. Ciò nonostante non vorrei morire prima di aver detto tutto quello che avevo da dire o, almeno, di aver tentato di dirlo.

L'800 si chiude con Nietzsche, a cui si deve il concetto di superuomo: un essere che vuole vivere senza timori reverenziali di sorta. Non dominare la realtà, bensì conviverci a testa alta. Nietzsche è il prodotto finale del Romanticismo teorico. La traduzione pratica dell'impegno romantico verrà garantita dalla scienza attraverso speculazioni appassionate e rigorose e dalla filosofia rinnovata, adogmatica: una salvezza per la dignità umana.

Il XX secolo ha visto due mondi: quello reale e quello ideale. Il primo caratterizzato dall'affarismo individualista, che ha causato due guerre mondiali, i lager, i gulag, la bomba atomica .. Il secondo intento alla ricerca pacifica e qualificante l'umanità.

Il confronto è stato vinto largamente dal primo. Ma il mondo ideale ha fatto risorgere l'umanità dalle ceneri. Campioni di esso sono stati gli scienziati con le loro scoperte spregiudicate, tali da cancellare le vecchie certezze.

Si è giunti ad una concezione relativistica della realtà: tutto avviene per caso, intendendo caso come circostanza imprevedibile alla quale il fenomeno si adatta. Un mondo diverso, più complesso, si apre così all'uomo.

Max Planck (1858-1947) formulò la teoria dei quanti e ne dimostrò il valore (imprevedibile il comportamento del mondo infinitesimale e quindi dei fenomeni maggiori). Con Einstein, Heisenberg e Goedel fece crollare le vecchie convinzioni sul funzionamento delle cose. Rispettò la fede, trattandola come fatto a sé. Fu sorpreso e forse amareggiato dalla conseguenza delle sue scoperte: la casualità del mondo. Poi corretta dal relativismo moderno con una casualità non cieca.

Dal suo "La conoscenza del mondo fisico":

non ci fu più dubbio: o il quanto di azione era una grandezza fittizia, ed allora tutta la deduzione della legge di irradiazione era illusoria in linea di principio e non rappresentava altro che un giochetto di formule senza contenuto, oppure la deduzione della legge di irradiazione poggiava su un reale pensiero fisico, ed allora il quanto di azione doveva avere un'importanza fondamentale in fisica, ed annunciava qualche cosa completamente nuova ed inaudita che pareva intenzionata a rivoluzionare il nostro pensiero fisico basato, fin da quando Leibniz e Newton avevano fondato il calcolo infinitesimale sulla ipotesi della continuità di tutti i rapporti causali.

Jean-François Lyotard (1924-1998) è il filosofo del "postmodernismo":

fenomenologia aperta, nessun finalismo classico, considerazione del relativismo quale momento in sé assoluto. Lyotard invita alla riflessione incontaminata, riducendo definitivamente le verità cristallizzate (o ritenute cristallizzabili) ad assurdità.

Ecco un estratto da una sua famosa intervista:

Secondo me noi siamo abitati, senza saperlo, da quella che Lacan chiamava la "cosa", che non è mai soddisfatta. Siamo abitati, nelle produzioni simboliche, dal mercato culturale, dal sistema, da ciò che esige comunicazione e circolazione. Il sistema non è mai soddisfatto dei nostri scambi comunicativi con gli altri: probabilmente non ci domanda niente, ma verso di esso ci sentiamo in debito. In realtà dovremmo tentare, non direi di esprimere, ma almeno di dare forma a ciò che esso rifiuta. E' un atto di resistenza: e solo questo atto può essere all'origine delle opere culturali, comprese le opere inutili.

Il XXI secolo si apre con nuovi orizzonti speculativi, tutti da valorizzare, con una novità clamorosa: l'umanità ne è consapevole in maniera diretta.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019