L'Infinito di Leopardi

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La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e dell'indefinito, in luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli uomini dell'età antica.


D'in su la vetta della torre antica...

Questa sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della sensazione-esperienza di un "oltre" rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che non esiste, che è solo prodotto dell'immaginazione umana, anche se l'uomo desidera perdersi in esso, lo trova una cosa dolce. In questo idillio è aperta una via verso la dolcezza di queste sensazioni: ma esse rimangono semplicemente constatate e cantate dal poeta, non vengono interpretate.

Il seguito della sua opera sarà un progressivo muoversi verso la convinzione dell'impossibilità di questo "infinito-oltre" per l'uomo.


L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo escude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Nota metrica: endecasillabi sciolti.


NOTE

1. quest'ermo colle: secondo la tradizione, il colle solitario (ermo) sarebbe il monte Tabor, un'altura nei pressi di casa Leopardi; ma la determinazione concreta del luogo è assolutamente irrilevante. Quanto ad "ermo", va rilevato che <<è la prima di tutta una serie di parole indefinite che costituiscono uno degli aspetti più caratteristici del linguaggio del canto>> (Fubini-Bigi).

2-3. che da tanta... esclude: che sottrae allo sguardo (il guardo esclude) così gran parte dell'estremo (ultimo latinismo) orizzonte.

4. sedendo e mirando: fermandosi a guardare (dando così al verbo sedere il significato generico di "stare"); secondo Citati, invece, Leopardi <<stava seduto per terra, ... a ridosso della siepe>>, poiché il limite era voluto:<<mentre passava l'infinito aveva bisogno di avere attorno a sé un limite, una siepe, un muro>>.

4. interminati: senza fine, senza termine; <<le parole che indicano moltitudine, copia, grandezza, lunghezza, larghezza, altezza, vastità, ecc. sia in estensione, o in forza, intensità ecc. sono pure poeticissime, e così pure le immagini corrispondenti>> (Zibaldone, p.1825); cfr. sovrumani (v.5) e profondissima (v. 6).

5. quella: la siepe.

7. mi fingo: mi costruisco, mi immagino; <<l'anima s'immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre ci nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario>> (Zibaldone, p. 171).

7. ove: <<usato nel delicato duplice senso di collocazione spaziale e di consecuzione temporale ('dove' e 'per cui')>> (Solmi).

8. come: quando.

9-10. tra queste... voce: il gioco dei rimandi tra realtà/immaginazione/realtà è sostenuto dal deitico dimostrativo queste/quello/questa; questa voce: quella del vento che stormisce fra le pietre.

11. Vo comparando: vado paragonando, confronto.

11. l'eterno: <<dopo l'infinito dello spazio, l'infinito del tempo>> (Fubini-Bigi).

12. le morte stagioni: tutte le età passate, tutta la storia; cfr. La sera del dì di festa, vv. 33-39: <<infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch'io paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco>> (Zibaldone, pp. 50-51).

12-13. e la presente...di lei: e il tempo presente che ancora vive, attraverso il rumore del vento.

14. immensità: <<l'immensità dello spazio che egli si era finta nel pensiero e quella del tempo che ora gli è tornata in mente alla voce del vento>> (Flora).

15. m'è dolce: mi risulta piacevole: <<qualifica la sensazione dell'immergersi in questo mare immaginato, dell'abbandonarsi a un indeterminato fluttuare di sensazioni e di idee>> (Puppo).


"L'Infinito" è il primo di quei primi componimenti che il poeta pubblicò nel 1825 col nome di "Piccoli Idilli". L'idillio leopardiano si distingue profondamente da quello della tradizione; non è più il quadretto bucolico, un componimento piacevole di ispirazione pastorale, ma l'espressione poetica di un'avventura interiore, di un moto dello spirito nato dalla contemplazione nuova ed attonita di un aspetto della natura, o dalla rinnovata capacità di sentire e vedere.

Si coglie così, nel senso più alto, che dallo stato d'animo idillico, da questa contemplazione "interiore" della natura, derivano alcune delle voci più nuove del poeta. Fin da fanciullo, lo ricorda lo "Zibaldone" nelle pagine scritte fra il 12 e il 13 Luglio del 1820, il poeta amava guardare il cielo "attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia" (cioè attraverso l'andito o corridoio fra due case); nella poesia "L'Infinito" il poeta ha trovato le ragioni di questa preferenza: infatti, "da una veduta ristretta e confinata" nasce il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista lavora l'immaginazione ed il fantastico sottentra al reale.

L'anima si immagina quello che non vede, ciò che quella siepe, quella torre gli nasconde e va errando in uno spazio immaginario e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario.

L'immergersi in una coscienza cosmica dell'infinito non è inteso dal Leopardi come abbandono ad una pura emozione, ad un immediato vagheggiamento musicale, nasce sempre da una consapevolezza vigile della realtà, da un'esigenza di superamento dei suoi dati immediati. Per questo si parla di una dimensione religiosa dell'Infinito nel Leopardi: quello che più tardi diventerà, nel "Canto notturno" o nella "Ginestra", meditazione ammirata dell'immensità della vita, del cosmo, qui è ancora ansia e vagheggiamento di assoluto e di eternità che nasce dalla coscienza della finitezza della propria realtà individuale.

Analisi

"L'Infinito" si divide in due parti esattamente uguali, come dimostra il punto fermo a metà dell'ottavo verso. Nella prima metà della poesia è descritto l'infinito dello spazio, nella seconda metà, l'infinito del tempo: per definire l'infinito, ci dice il poeta, sono necessarie ambedue le coordinate, lo spazio e, appunto, il tempo.

Gli elementi esteriori si riducono ad un colle, ad una siepe che limita l'orizzonte, ad uno stormire di fronde. Sulla cima di un colle una siepe impedisce allo sguardo la vista di una grande parte dell'orizzonte. Ma quello che è l'ostacolo alla vista degli occhi diviene stimolo alla visione interiore, all'immaginare del poeta. Sorgono così dentro di lui gli "interminati spazi" del cielo, e i "sovrumani silenzi e la profondissima quiete" del vuoto; e quasi il cuore del poeta "non si spaura".

Ma a proseguire l'idillio sopraggiunge un lieve rumore di vento, l'unico breve rumore sulla cime del colle. E da quella voce il poeta è ricondotto alle cose finite; e giunge al confronto di esse con l'eterno, al pensiero delle "morte stagioni", e della stagione presente così viva, così reale con i suoi rumori intorno al poeta. Dove va il tempo? Come da una siepe è nato l'infinito dello spazio, così da un soffio è sorto quello del tempo; un infinito ancora più sovrumano e indeterminato che la mente invano cerca di sondare.

Si noti, immediatamente, quanto l'idea dell'infinito sia lontana da qualsiasi determinazione scientifica o filosofica. Per questo i legami col reale o hanno la vaghezza di sogno, oppure si affidano alla purezza della sensazione immediatamente tradotta in fantasia, e la fantasia cresce in sentimento.

Il processo si ripete due volte:

"L'Infinito", tendendo al vago e all'indefinito, attua un'esplorazione della soggettività, ma anche della tensione concettuale. Emergono in particolare:

* L'indicazione di uno spazio concreto (l'area limitata della siepe) e di uno specifico, personale (consuetudine).
* Il processo di astrazione, visione mentale dello spazio.
* Il passaggio dall'immagine aspaziale a quella temporale. Contrapposizione fra spazio concreto e tempo.
* Lo smarrimento genera piacere.

Il critico Lotman, pone la contrapposizione tra:


GIACOMO LEOPARDI

Giacomo Leopardi, che Calvino aveva scelto come autore che nella sua poetica poco concede all'esattezza, si rivela invece un decisivo testimone a favore. Infatti il poeta del vago può essere solo il poeta della precisione, che sa cogliere la sensazione più sottile con occhio, orecchio, mano pronti e sicuri.

Per specificare il significato del termine vago nella lingua italiana occorre considerare come questa parola porti con sé un'idea di movimento e mutevolezza, che s'associa tanto all' incerto e all' indefinito quanto alla grazia e alla piacevolezza.

Ecco i passi dello Zibaldone in cui Leopardi fa l'elogio del vago, elencando situazioni propizie allo stato d'animo dell'"indefinito":

<<...la luce del sole o della luna, veduta in luogo dov'essi non si vedano e non si scopra la sorgente della luce; un luogo solamente in parte illuminato da detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce in luoghi dov'ella diventi incerta e impedita, e non bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi socchiusi ec. ec.; la detta luce veduta in luogo, oggetto, ec. dov'ella non entri e non percota dirittamente, ma vi sia ribattuta e diffusa da qualche altro luogo od oggetto ec. dov' ella venga a battere; in un andito veduto al di dentro o al di fuori, e in una loggia parimente ec. quei luoghi dove la luce si confonde ec. ec. colle ombre, come sotto un portico, in una loggia elevata e pensile, fra le rupi e i burroni, in una valle, sui colli veduti dalla parte dell' ombra, in modo che ne sieno indorate le cime; il riflesso che produce, per esempio, un vetro colorato su quegli oggetti su cui si riflettono i raggi che passano per detto vetro; tutti quegli oggetti insomma che per diversi materiali e menome circostanze giungono alla nostra vista, udito ec. in modo incerto, mal distinto, imperfetto, incompleto, o fuor dell' ordinario ecc.>>

(Italo Calvino, Lezioni Americane, Oscar Mondadori, Milano 1993)

Nelle sue riflessioni, inoltre, Leopardi pone continuamente a confronto i due termini infinito e indefinito : l' uomo, cioè, proietta il suo desiderio nell' infinito, ma siccome la mente umana non riesce a concepirlo, in quanto l' uomo è un' entità finita, non le resta di accontentarsi dell' indefinito e delle sensazioni che, confondendosi l' un l' altra creano un'impressione illusoria, ma piacevole d' illimitato ("E il naufragar m'è dolce in questo mare" - da "L' infinito"). Leopardi parte quindi dal rigore astratto di un'idea matematica di spazio e di tempo e la confronta con l'indefinito e vago      fluttuare delle sensazioni.


Il tema dell'infinito e le sue declinazioni

La poesia di Leopardi avrebbe potuto nascere fuori Recanati?
La poesia certamente si, gl'Idilli no.

Al di fuori dei confini del "natio borgo selvaggio" nascono tra gli altri due testi che possiamo considerare una sorta di pessimismo ragionato sublimato in immagini e cioè: Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia, di tono assai sconsolato (e proprio per questo il più diffuso nei temi di maturità quasi che fosse una canzone-manifesto) e La ginestra, o il fiore del deserto, di tono assai più combattivo e aperto alle suggestioni della marina napoletana.

[Notturno di Recanati]
Notturno di Recanati visto dal colle dell'infinito

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna? [...]
E questo profondo infinito seren?

La luna, che nei pleniluni sereni viene a rischiarare l'infinita profondità della notte, sorge identica a Recanati e in Russia: eppure qui è detta "mia" e "diletta" perchè affettuosamente partecipe delle vicende del poeta, amica, confidente, compagna, quasi una sorta di sostituto simbolico della presenza femminile (Alla luna); là è silenziosa, indifferente e non risponde alle domande del pastore, perchè si tratta di un oggetto metafisico, non lirico (Canto Notturno).

Così, il cielo stellato è lo stesso a Recanati e a Torre del Greco, ma non l'animo del poeta: qui è metafora della bellezza dei suoi sogni, della vastità delle sue attese, dell'altezza morale delle sue aspirazioni di "Schone seele" (Le ricordanze); là è la prova della marginalità dell'uomo nell'universo, della falsità delle sue pretese d'immortalità, frutto di ignorante superbia (La ginestra). A Recanati cioè, grazie all'investimento affettivo della memoria, il paesaggio assume soggettivisticamente la capacità di far diventare vere, più vere della stessa realtà, le illusioni del cuore, che manifestano così la loro irriducibilità.

Il "caro immaginar" resiste in qualche modo alla forza corrosiva della ragione e alla stessa amara esperienza del disinganno, che non a caso si esprimono frequentemente nel succedersi di interrogative, non retoriche, ma di protesta.

Il paesaggio recanatese infatti non ha nulla di surreale, di allucinato, di post-moderno, ci si potrebbe tranquillamente passeggiare dentro (e perciò la critica dovrebbe domandarsi se è corretto leggere tutto Leopardi retrospettivamente a partire dai due testi citati all'inizio); solo che si tratta per l'appunto d'un paesaggio lirico, simbolico e non realistico, anche se ha tratto spunto da luoghi riconoscibili.

added notes and manuscript