LORENZO DEI MEDICI, IL POLIZIANO E LUIGI PULCI

LORENZO DEI MEDICI, IL POLIZIANO E LUIGI PULCI

Lorenzo dei Medici (Il Magnifico (1449-1492)


Il politico. Lorenzo fu anzitutto un politico, un uomo di Stato, signore assoluto di Firenze e arbitro della vita politica italiana. Si preoccupò di conservare alla città di Firenze l'egemonia sull'intera Toscana. Scampato alla congiura che la famiglia dei Pazzi aveva ordito contro di lui, impresse una svolta decisamente autoritaria al suo governo, e fu così spietata la vendetta del suo partito sugli avversari che il papato e il regno napoletano pensarono di approfittarne per coalizzarsi in una guerra contro Firenze. Ma il Magnifico riuscì a convincere il re di Napoli a staccarsi dall'alleanza col papa, ottenendo così la possibilità di accrescere il prestigio di Firenze. A partire da questo momento, Lorenzo per 11 anni sarà il realizzatore di un accorto programma di equilibrio e di pace fra i vari Stati della penisola. Solo dopo la sua morte si riaccenderanno forti discordie fra i prìncipi: cosa che favorirà le invasioni straniere di Francia e Spagna.

Il mecenate. Lorenzo accolse nella sua corte filosofi, letterati e artisti, realizzando nella sua persona la figura ideale del principe rinascimentale. Diede nuovo impulso al volgare, rivalutando la tradizione stilnovistica e trecentesca di Firenze, e sostenendo la superiorità del toscano sugli altri volgari. Il fine era anche quello di accrescere il proprio peso politico in Italia attraverso il primato culturale-linguistico di Firenze.

La personalità poetica. Molteplici sono gli aspetti della sua attività letteraria: vari i generi affrontati, le tecniche... Egli stesso si compiace di descriversi come un raffinato dilettante, incline a intendere l'esercizio letterario come evasione dalle faccende politiche quotidiane. Questo carattere sperimentalistico della sua produzione è in realtà tipico di tutto il '400, specialmente di quegli scrittori che preferivano scrivere in volgare. Lorenzo, nelle sue opere, si appropria del mondo degli interessi e dei gusti di tutte le classi sociali che compongono il dominio della sua signoria: contadini, ceto borghese, intellettuali e aristocratici. Per ognuna di queste classi egli mostra di avere la giusta considerazione, rafforzando il proprio prestigio di signore preoccupato del bene dei sudditi.

Opere

Nencia Da Barberino. Lorenzo immagina che un pastore-contadino canti l'amore per una pastora, Nencia, di cui esalta le bellezze prosperose, ma a cui rimprovera il carattere duro e freddo: di qui la struggente malinconia del contadino, che è sì rozzo e incolto ma non volgare. Lorenzo sorride nel vedere le manifestazioni di certi sentimenti, ma sa anche scorgere, dietro quelle manifestazioni ingenue e rozze, una sofferente e spontanea umanità.

Canti Carnacialeschi (canzoni a ballo). Lorenzo s'ispira alla tradizione popolare e buffonesca del carnevale, ingentilendo però i contenuti e la forma, rinnovando i metri e facendo comporre da musici nuove arie che accompagnassero i testi. Queste composizioni venivano cantate su carri addobbati, da compagnie di uomini mascherati, rappresentanti il trionfo di divinità pagane o di virtù allegoriche o delle arti (corporazioni). Altri temi comuni: esaltazione della vita gioiosa e del diletto sensuale, il motivo della bellezza fuggitiva, l'invito a godere la breve stagione della giovinezza. Nel Trionfo di Bacco e Arianna, Lorenzo invita i propri sudditi a godere del presente, lasciando da parte le civili preoccupazioni, che si sobbarca la signoria sollecita del bene di tutti. Qui il corteo trionfale è mitologico, concentrato sulla figura di Bacco (dio del vino e della frenetica gioia).

Angelo Ambrogini, detto il Poliziano (1454-1494)

Avendo grandi capacità intellettuali, il Poliziano viene assunto, giovanissimo, da Lorenzo il Magnifico, come precettore dei suoi figli. Alla corte medicea svolge anche mansioni di cancelliere e segretario di Lorenzo. Sia questi che Piero de' Medici si affidarono a lui per le "relazioni pubbliche" anche fuori d'Italia. Scrive versi greci, latini e volgari. Difende Lorenzo dall'accusa di tirannide, ma per i contrasti con la moglie di lui, che gli contesta il metodo pedagogico, troppo laico e umanistico per lei, Poliziano si stabilisce in altre corti emiliane, lombarde e venete. In seguito si riconcilia con Lorenzo e torna a Firenze, esercitando l'incarico di insegnante di letteratura greca e latina. Possiede un tale bagaglio culturale che vengono ad ascoltarlo anche dall'estero. Grazie soprattutto a lui, Firenze diventa il più prestigioso centro di irradiazione umanistica del '400 europeo. L'uccisione di Giuliano de' Medici nella Congiura dei Pazzi comporta l'interruzione di quella che diventerà la sua opera più famosa -le "Stanze"- cominciata proprio per celebrare la Giostra del 1475 vinta dallo stesso Giuliano. Poliziano dovrà allontanarsi da Firenze ed esiliare in città come Venezia, Verona, Mantova. Poi riprenderà il suo posto di "principe della cultura", accanto a Lorenzo. Sarà questo il periodo degli studi filologici sui testi aristotelici e degli studi sulla poesia latina. Con lui praticamente nasce la scuola filologica. Suo principio fondamentale è che nell'imitazione dei classici non è bene scegliere un solo modello, ma cercare il meglio ovunque esso sia, senza discriminare fra scrittori e periodi letterari. È il maggior poeta lirico italiano del XV sec.

Opera maggiore: Stanze Per La Giostra, poemetto dedicato a Giuliano dei Medici (fratello di Lorenzo). Motivi dominanti: rappresentazione idillica della campagna, esaltazione della bellezza, ansia per la giovinezza che passa, evasione dalla realtà di ogni giorno (avvertita come fastidiosa) per trasferirsi in un mondo di sogni, dove domina il valore della bellezza. Questo mondo viene percepito come effimero, destinato a scomparire di fronte all'impatto con la realtà.

Luigi Pulci (1432-1484)

Nel 1460 entra in casa Medici. La madre di Lorenzo gli suggerisce l'idea di scrivere un poema sulle vicende dei paladini carolingi, recuperando l'originario spirito religioso delle antiche canzoni di gesta e restituendo a Carlomagno (degradato nei rozzi rifacimenti dei cantastorie) l'aureola di grande eroe del cristianesimo.

Pulci scriverà Morgante (I fatti di Carlo Magno), ma senza infondervi né lo spirito dell'epica né quello della fede. Egli non sente i valori etico-religiosi espressi dall'antica epopea cavalleresca, ma non si propone neanche di sostituirli con altri. Il tono dominante dell'opera (che è la principale) è la comicità. Carlomagno a volte è descritto come un cocciuto rimbambito, Orlando come un becero ghiottone e manesco, Rinaldo come un dongiovanni, ecc. Gli eroi cavallereschi vengono demitizzati e dissacrati, ricondotti a una dimensione naturale: cioè rappresentati come uomini soggetti a violenti passioni e debolezze (sono ad es. molto gelosi), audaci ma anche incoerenti, ecc. I due personaggi nuovi sono Morgante e Margutte.

Morgante è un gigante che rappresenta l'animalità primitiva, una pura forza della natura che appare indomabile, finché la puntura di un granchiolino non lo uccide.

Il personaggio più significativo è Margutte: cinico, ladro, scettico verso la religione e gli dèi del passato, vagabondo, mangione e beone...

Il Pulci amava rendere comiche e grottesche situazioni serie e drammatiche, usando un lessico vivace e plebeo. Egli rifiuta gli aspetti idealistici e aristocratici della cultura umanistica. Fu allontanato dalla corte medicea a causa del suo atteggiamento anticlericale. Morirà a Padova, sepolto in terra sconsacrata come eretico.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019