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La Resistenza e la crisi dell'unità antifascista

Il 25 luglio 1943 il re Vittorio Emanuele III fece arrestare Benito Mussolini e nominò capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio (1) Seguirono i così detti "quarantacinque giorni" del governo Badoglio che in un clima di repressione non molto inferiore a quella fascista, fra equivoci e irresponsabilità (2) condusse l'Italia all'armistizio con gli anglo-americani l'8 settembre dello stesso anno.

Mussolini intanto, liberato dai tedeschi, aveva creato il governo della Repubblica di Salò (3). L'Italia fu così divisa in due parti: al sud e, gradatamente, al centro, la monarchia e il governo di Badoglio, seguito poi da quello di Bonomi (4) sotto lo stretto controllo degli alleati; al nord il governo nazi-fascista.

Prima del 25 luglio l'unica azione di rilievo dei partiti antifascisti, che cominciavano a riorganizzarsi, era stata la creazione quasi contemporanea nell'aprile del '43 di due comitati, uno a Roma l'altro a Milano.

Prevalentemente moderato il primo, composto fra gli altri da liberali e democristiani, con forte presenza di uomini e idee legati al regime prefascista, prevalentemente rivoluzionario e intransigente il secondo, composto fra gli altri da socialisti e comunisti, i due comitati dissentirono sulla questione fondamentale del rapporto con la monarchia, giacché i moderati tendevano ad un accordo con il re, mentre i rivoluzionari pensavano ad un rovesciamento popolare della monarchia.

Si ebbe allora, proprio alla vigilia del 25 luglio, il primo compromesso, per così dire la prima 'coabitazione forzata': i rivoluzionari accettarono il tentativo di accordo con la monarchia, i moderati accettarono l'intervento popolare nel caso la monarchia si fosse mostrata intransigente.

L'azione del re bruciò sul tempo qualsiasi altra iniziativa dei partiti, i quali cominceranno a svolgere un ruolo sempre più importante solo a partire dall'8 settembre. Poche ore dopo l'annuncio dell'armistizio, infatti, fu fondato a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che con il suo primo messaggio chiamava gli italiani alla lotta.

Ma questa lotta assunse forme ben diverse al nord e al sud: "al nord diventava lotta clandestina, tesa ad organizzare e a dirigere la resistenza contro il nazifascismo; al sud rimaneva azione politica e lotta per il potere. [...] Così, mentre nell'Italia del nord e in Toscana la storia dei CLN [dei diversi Comitati di Liberazione Nazionali] si intreccia con quella della lotta partigiana, quella del CLN di Roma, di Napoli e di Bari, è soprattutto storia della lotta dei partiti tra di loro, con la monarchia e il suo governo. La differenza di esperienze, accentuata da quella di tradizioni, di mentalità e di cultura, e la diversa età degli uomini - prevalendo nelle province meridionali figure legate all'epoca prefascista e in quelle settentrionali uomini nuovi - si faranno sentire fortemente quando,finita la guerra, nord e sud verranno a contatto dopo quasi due anni di separazione" (5).

Ecco dunque che il periodo '43‑'45 si rivela di importanza fondamentale per capire i problemi, le contraddizioni, i contrasti che, al di là della tensione unitaria, caratterizzano l'azione antifascista e influenzano poi la storia politica dell'immediato dopoguerra.

All'indomani della Liberazione, infatti, quando, sparito il nemico nazifascista, si posero i problemi della ricostruzione economica e della conquista del potere politico, quei contrasti che già durante la guerra erano sorti all'interno della 'coabitazione forzata' diventarono aperto conflitto.

Due realtà diverse vennero a confronto: la realtà dell'Italia del nord e quella dell'Italia del sud e parzialmente del centro. Rivoluzionaria ed intransigente la prima, giacché nel nord il clima della Resistenza aveva determinato una tensione ideale verso mutamenti profondi nella struttura del paese; moderata ed accomodante, quella del sud.

Il "vento del nord", come fu chiamato lo spirito rivoluzionario resistenziale, riuscì ad imporre il primo ed unico governo progressista dell'immediato dopoguerra: il governo di Ferruccio Parri. Dirigente di spicco della Resistenza e del Partito d'azione, Parri formò un governo con la partecipazione di tutti i partiti del CLN, ma gli obiettivi di fondo del governo erano decisamente di sinistra.

Parri si proponeva di colpire la grande industria privata e monopolistica, cercando di estendere l'epurazione agli industriali che avevano sostenuto il fascismo e di imporre una tassa che colpiva le grandi industrie. L'alta borghesia, che mirava a tutt'altro (voleva una rapida ricostruzione degli impianti industriali e la riaffermazione del potere padronale nelle fabbriche), fu naturalmente ostile al governo Parri. A questo si aggiunse l'ostilità delle classi medie, "il cui tradizionale controllo dell'amministrazione veniva fortemente minacciato dai processi di epurazione e dai poteri assunti dai CLN" (Mammarella [6]), e l'ostilità degli Stati Uniti d'America.

La situazione fu ulteriormente complicata dalle rivendicazioni separatiste in Sardegna e in Sicilia. A causa dei dissensi sorti su tali questioni i liberali e poi i democristiani abbandonarono il governo, che cadde il 24 novembre 1945. Con la caduta del governo Parri si chiude di fatto l'epoca della Resistenza: il 10 dicembre nasce il primo governo a guida democristiana, il primo governo presieduto da Alcide De Gasperi, "l'ultimo a realizzarsi con il consenso di tutti e sei i partiti del CLN" (ivi: p. 125).

De Gasperi sostituì coloro che erano stati eletti nell'amministrazione locale dal CLN, subito dopo la Liberazione, con personale proveniente dalla burocrazia, proprio "quella burocrazia che i socialcomunisti volevano eliminare" (ivi: p. 126); in secondo luogo chiuse i processi di epurazione.

Il sistema di potere democristiano, sostenuto dalla chiesa cattolica, e dunque con fortissime ingerenze clericali (7), cominciava ad imporsi lentamente, ma progressivamente. I socialisti e i comunisti parteciparono anche ai due successivi governi di De Gasperi, ma ormai la 'coabitazione forzata' diventava sempre più precaria.

L'uomo della strada si chiede: perché mai consentite che i comunisti siedano con voi al governo? La ragione principale del probabile proseguimento di quella che fu giustamente chiamata "coabitazione forzata" è la defezione generale di tutte le forze cosiddette democratiche dinanzi alla possibilità di formare un governo senza le ali estreme. Né può dimenticarsi il peso reale ed effettivo dei comunisti alla Camera e nel paese. Un governo di minoranza della DC comporterebbe uno stato di aspre polemiche e di continua tensione, che potrebbe compromettere l'atmosfera costruttiva necessaria nell'ultima fase della Costituente.

Così un editoriale del "Popolo" (citato da Mammarella [1978: p. 167]), organo della Democrazia cristiana, riassumeva la situazione il 29 gennaio 1947. L'editoriale è interessante per diversi motivi: da un lato mostra che "l'uomo della strada", cioè i ceti medi, la piccola e la media borghesia, ormai premevano per un allontanamento del Partito comunista dal governo (8), e del resto non solo i ceti medi, ma anche l'alta borghesia e soprattutto la chiesa cattolica e gli Stati Uniti d'America; dall'altro lato indica i motivi che ancora consigliavano il rinvio della soluzione di tale problema, in particolare i lavori alla Costituente; infine mostra come l'unione al governo dei partiti antifascisti si fondasse ormai su motivi tattici e in nessun caso potesse essere considerata un fatto duraturo.

Questo 'riassunto' della situazione agli inizi del 1947 può, e lo abbiamo visto, essere proiettato anche sugli anni precedenti, sulle origini stesse dell'unità antifascista: sin dall'inizio si trattò, in un certo senso, di una 'coabitazione forzata'.

E infatti, risolti i grandi problemi - quello della monarchia (9) e quello della Costituzione (10) - i tempi erano maturi per un governo senza le sinistre. La crisi dei rapporti fra USA e URSS e la dottrina Truman (11) indussero De Gasperi a rompere i rapporti con i partiti di sinistra. Il 18 aprile 1948, in un clima tesissimo di contrapposizione frontale, ebbero luogo le elezioni politiche che segnarono la vittoria completa della Democrazia cristiana.


(1) I bombardamenti sulle città italiane, lo sbarco anglo-americano in Sicilia (la notte fra il 9 e il 10 luglio), l'incapacità di Mussolini di sganciare l'Italia dalla Germania, il malcontento popolare furono le cause del colpo di stato della monarchia. (torna su)
(2) Cfr. Mammarella, Giuseppe, L'Italia dalla caduta del fascismo ad oggi, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 43-54 (prima edizione: 1974) (torna su)
(3) Mussolini fu liberato il 12 settembre '43; il 16 settembre in un discorso da radio Monaco delineava le caratteristiche e il programma, repubblicano e socialisteggiante, del nuovo governo fascista; il 23 settembre nacque ufficialmente la Repubblica di Salò dal nome della cittadina sulle rive del lago di Garda che fu sede del governo. (torna su)
(4) Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) riuscì ad imporre l'esautoramento di Badoglio e la nomina a capo del governo di Bonomi, esponente politico prefascista. Il primo atto del nuovo governo (il 25 giugno) fu la decisione di convocare, al termine della guerra, un'assemblea costituente al fine di elaborare la nuova Costituzione e di risolvere il problema istituzionale. Il 26 novembre, in seguito al dissidio fra liberali e comunisti a proposito dell'epurazione degli elementi fascisti nell'amministrazione pubblica, Bonomi si dimise. Fu però subito dopo scelto nuovamente come capo del governo con il sostegno di liberali e democristiani, l'ostilità di socialisti e azionisti, con la collaborazione, ancorché critica dei comunisti, per i quali, secondo la linea fissata da Togliatti, fondamentale era la partecipazione, comunque, al governo. Il secondo governo Bonomi si collocava più a destra del precedente: riconobbe il Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI), sorto nel gennaio 1944, "quale organo dei partiti antifascisti nel territorio occupato dal nemico", ma rallentò di molto l'epurazione (cfr. Mammarella [op. cit. 1978: pp. 88-89]).
Alcune notizie sui partiti. Il Partito socialista si chiamò dal 1942 al 1947 Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), un nome che sottolineava il programma di azione unitaria con il Partito comunista. Nel 1947 si staccò dal partito una frazione riformista (contraria alla collaborazione con i comunisti) che prese nome di Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), poi Partito socialista democratico italiano (PSDI). La maggioranza del PSIUP assunse il vecchio nome di Partito socialista italiano (PSI). - Gli "azionisti" sono i militanti del Partito d'azione, nato nel 1942 dal movimento Giustizia e Libertà di Carlo e Nello Rosselli (Partito d'azione si era chiamato il partito creato da Giuseppe Mazzini nel 1853): antifascista e antitotalitario, il Partito d'azione mirava ad un socialismo liberale, ad una democrazia progressiva, non marxista ma aperta alle rivendicazioni dei ceti popolari. Il partito era privo di base di massa e si esaurì a partire dal 1946. - Il Partito liberale italiano fu costituito nel 1942 da esponenti liberali del periodo prefascista, fra i quali il più prestigioso era Benedetto Croce. - La Democrazia cristiana nacque nell'autunno del 1942, fondata da vecchi dirigenti del Partito popolare italiano; dopo la caduta del fascismo si organizzò sotto la direzione di Alcide De Gasperi. (torna su)
(5) Mammarella, op. cit., pp. 61-62 (torna su)
(6) Mammarella, op. cit., pp. 115-116, (torna su)
(7) Un solo esempio: alla vigilia delle elezioni per l'Assemblea Costituente il papa Pio XII disse: "Di cosa si tratta? Si tratta di sapere se l'una o l'altra di queste nazioni, di queste due sorelle latine [il papa si riferiva anche alle elezioni politiche francesi fissate per lo stesso giorno] di ultramillenaria civiltà continueranno ad appoggiarsi sulla salda rocca del cristianesimo [...] o se invece vorranno rimettere le sorti del loro avvenire all'impossibile onnipotenza di uno stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio. Di questi due casi si avvererà l'uno o l'altro secondo che dalle urne usciranno vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana." (cfr. Mammarella [op. cit. 1978: p. 134]) Questo esempio è veramente valido in assoluto: alla vigilia di un'importantissima scelta elettorale, alle origini stesse della vita democratica italiana, l'intervento del papa pone un'ipoteca ricattatoria sulle coscienze e sulle scelte politiche degli italiani, che ben sintetizza tutte le continue ingerenze clericali nella politica e nel costume del Paese, tutto il moralismo oscurantista che caratterizza la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, moralismo da cui, peraltro, non saranno immuni neppure i comunisti (cfr. Pasti, Daniela, I comunisti e l'amore, Strumenti L'Espresso, 1979, pp. 108-133]) nel loro tentativo di conquistare il consenso dei ceti medi cattolici. (torna su)
(8) "[...] le classi medie e tutti coloro che avevano una posizione di vantaggio da difendere vivevano nel timore di sommosse o di una sollevazione generale diretta dal Partito comunista." (Mammarella [op. cit. 1978: p. 115]) Già durante la guerra, la paura "di un vero e proprio processo da intentare alla classe borghese che aveva sostenuto Mussolini" (ivi: p. 85) aveva determinato il successo del giornale "L'Uomo Qualunque", fondato e diretto da G. Giannini nel dicembre del 1944, che si distingueva per gli attacchi ai Comitati di liberazione nazionale, ai partigiani, ai tentativi di epurazione antifascista. Nell'immediato dopoguerra "L'Uomo Qualunque" si trasformò in movimento politico e riuscì a coagulare per un certo tempo intorno a sé l'insoddisfazione e la paura di parte della borghesia: famoso lo slogan diffuso dal movimento "qualunquista": "si stava meglio quando si stava peggio" (ivi: p. 116). (torna su)
(9) Il 2 giugno 1946 si votò contemporaneamente per il referendum istituzionale (pro o contro la monarchia) e per l'Assemblea Costituente. Il risultato del referendum fu favorevole alla repubblica (12.700.000 voti contro 10.700.000). (torna su)
(10) Particolarmente importante fu la seduta dell'Assemblea Costituente del 24 marzo 1947, nella quale fu approvato l'articolo 7 della Costituzione che garantiva i Patti Lateranensi. L'articolo fu approvato con l'appoggio dei comunisti. (torna su)
(11) Cioè la teoria secondo cui gli Stati Uniti avrebbero sostenuto economicamente tutti "i popoli amanti della libertà" contro il pericolo comunista (cfr. Mammarella [op. cit. 1978: p. 169]). (torna su)
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L'autore di questo ipertesto è Giovanni Lanza il cui sito è qui: www.giovanni-lanza.de/appunti_sul_neorealismo.htm
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Ultimo aggiornamento: 12-08-11.