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La testimonianza, il racconto, l'impegno (I - II)

La Resistenza costituisce un fenomeno rilevante anche dal punto di vista letterario: "l'esperienza partigiana è l'unica forma di lotta antifascista che abbia prodotto frutti autenticamente letterari", dice Falaschi [1].

Molte divisioni e brigate partigiane diffondono volantini, fogli, giornali. Si tratta, è ovvio, di periodici "regolarmente irregolari", come si legge sotto la testata di uno di essi ("Periodico regolarmente irregolare", cfr. Falaschi ivi: p. 7, nota 3), essi uscivano a stampa o ciclostilati o dattiloscritti o, persino, manoscritti, erano costituiti di norma da due pagine, non duravano a lungo: se un giornale ha superato il quinto numero, si può dire che abbia avuto lunga vita (Falaschi, ivi).

Su questa stampa comparivano spesso 'pezzi narrativi'. Innanzi tutto, i necrologi: la morte di un partigiano veniva commemorata anche attraverso il racconto di qualche episodio della sua vita; e poi la narrazione di episodi di lotta, di rappresaglie fasciste ecc., ed anche raccontini originali, persino poesie. Si tratta di un materiale che circolava soprattutto oralmente, ma spesso appunto appariva sui giornali clandestini.

Questa produzione narrativa, sia quella tramandata per iscritto, sia quella tramandata a voce, per noi purtroppo inattingibile ma di cui resta traccia nei racconti scritti, trova, nel periodo 1945-'48, la continuazione nella memorialistica (2) e nei racconti pubblicati in particolare su "L'unità" a partire appunto dal 1945 (cfr. Falaschi [3]).

Estate che mai dimenticheremo, pubblicato nel 1945 da un neorealista 'minore', Marcello Venturi (4), mi sembra un testo esemplare di questa breve ma intensissima stagione narrativa. Il racconto, ambientato nell'estate del '44, si muove su tre piani: a) il dialogo fra un soldato tedesco e un contadino italiano; b) l'azione: il tedesco vuole violentare la moglie del contadino, il contadino lo uccide; c) i segmenti diegetici di commento del narratore. Leggiamo la conclusione:

Marcello Venturi

"Caldo," disse il tedesco alla donna. Andò alla porta a passi lenti, la chiuse.
"Che nome?" chiese alla donna.
La donna non capí. Sentí soltanto che una mano le era entrata tra il petto e il suo bambino.
"Apri", gridò di dietro la porta il contadino. "Apri, tedesco. Non uscirai vivo."
La donna vide il tedesco tirar fuori la pistola automatica e asciugarsi la fronte. Lo vide che si avanzava verso la porta, l'arma in pugno. Chiuse gli occhi.
E fu l'estate del '44. Era quell'estate. E quel contadino ero io, eri tu, in pugno un fucile tirato fuori dal fienile. Fu l'estate che non potremo mai dimenticare. Non la dimenticheremo. È stato allora che abbiamo imparato anche noi a sparare.

Colpisce non soltanto la brevità e l'oggettività della narrazione, ma soprattutto la 'presenza' del narratore. E' una presenza particolare perché si fonda su un rapporto diretto fra narratore e lettore (o meglio: lettori, si noti il seguente segmento iniziale: "Pensate: uomini e donne scendevano giù, incontro agli americani"), un rapporto che nel segmento finale, nella sequenza conclusiva, quando il contadino finalmente impugna il fucile, diventa rapporto di identificazione.

Giustamente ha commentato Falaschi [5]: "Il racconto sembra la trascrizione di un racconto orale in cui il pubblico è presente". E' qui l'origine della coralità tipica dei moduli narrativi del neorealismo postbellico: in questo rivolgersi al lettore, in questo 'essere tutti noi, narratori e lettori', in questa 'memoria collettiva'.

Ed infatti in Estate che mai dimenticheremo l' 'eroe positivo' non è una 'guida', un 'capo' staccato dalle masse, un 'intellettuale organico', ma è uno del popolo, si identifica con il popolo, è il popolo. Si tratta di una differenza fondamentale fra questa fase del neorealimo e la fase seguente al 1948, come vedremo.

Inoltre, da un punto di vista tecnico-narrativo, è da notare che la "Norm-Agitation" (cfr. supra, il passo di Kanzog) è affidata ai segmenti diegetici del tipo: "E non era stato il sole a far questo. Ma i lanciafiamme dei guastatori tedeschi", "Quanti tedeschi sono entrati nelle nostre case, in quell'estate del '44?" Diegesi, racconto come "Norm-Agitation": è qui che la necessità di raccontare, la "voglia di raccontare" che esplode nell'immediato dopoguerra, fa corpo con la "Norm-Agitation" e si fonda su quella che Falaschi [7] ha chiamato "speranza della rinascita che proiettava all'esterno il vissuto e permetteva agli individui di dargli un nome (di raccontarlo appunto) senza restarne schiacciati."

Prima del 1943, solo Fontamara, come abbiamo visto, presenta dei moduli narrativi simili a questi. A partire dal 1945, anche grazie alla esperienza della stampa partigiana, tali moduli narrativi si impongono, prima nei racconti usciti sui giornali di sinistra, e poi in due romanzi significativi: Cronache di poveri amanti (1947) di Vasco Pratolini e Speranzella (1949) di Carlo Bernari.

Vasco Pratolini

Cronache di poveri amanti è un romanzo corale in cui la storia delle lotte del primo dopoguerra e della vittoria del fascismo viene filtrata nell'ottica di vari personaggi, di varie piccole storie; non a caso lo scenario del romanzo è una strada, Via Del Corno. Ha scritto Maria Corti [8]:

cronaca qui significa narrazione di più storie, cioè presenza di racconti multipli a segmentazione lineare, secondo una struttura da tradizione narrativa orale o popolare, dove cioè si presuppone una sorta di contatto, di intesa fra l'emittente (cantastorie, narratore orale per una collettività o narratore di racconti scritti di tradizione popolare) e i destinatari.

Si tratta appunto del metodo narrativo del racconto Estate che non dimenticheremo applicato ad un romanzo. Tale metodo, fondato sulla coralità e sulla cronaca, caratterizza pure Speranzella, e anche qui il fatto storico, l'arrivo degli anglo-americani a Napoli, ha come scenario una strada, Speranzella, il cui nome si fa segno della speranza della povera gente.


(1) Falaschi, Giovanni, La resistenza armata nella narrativa italiana, Einaudi, Torino 1976, p. 4 (torna su)
(2) Ottimo su questo tema Falaschi [op. cit., 1976, pp. 25-53]. Si tratta di memorie autobiografiche scritte da "ex comandanti o quadri intermedi ma anche semplici partigiani, colti o mediocremente colti, d'origine borghese o piccolo-borghese [...] ma esistono anche [...] molte testimonianze di ex partigiani sicuramente d'origine proletaria." (ivi: p. 26) Inoltre anche intellettuali che non hanno partecipato direttamente alla Resistenza, hanno tuttavia ricordato la loro esperienza: Alberto Moravia, per esempio, pubblica nel 1944 un breve testo intitolato Vita nella stalla. I titoli delle memorie partigiane si distinguono (cfr. Falaschi [op. cit., 1976, pp. 29-30]) in:
(a) titoli che sono didatticamente pertinenti all'argomento di cui trattano (come Il servizio sanitario militare in Piemonte);
(b) titoli che tendono ad attirare l'attenzione del lettore, sia sottolineando la durezza e difficoltà della vita partigiana (come La strada era tortuosa oppure Scarpe rotte) e l'orrore della guerra (come L'immane sconquasso), sia celebrando la grandezza delle imprese compiute (come Raffiche di mitra in montagna). Il titolo Vita nella stalla appartiene chiaramente al gruppo (b): tende a sottolineare la difficoltà non della vita partigiana dell'autore, che non partecipò alla Resistenza perché visse nell'Italia centrale, ma della esperienza fatta da lui appunto in una stalla. In ogni caso i titoli sono segno di un preciso punto di vista: nota Falaschi (ivi: p. 27) che i partigiani "sono convinti che i fatti parlano da soli, basta soltanto riferirli con fedele umiltà. La obbedienza alla lezione dei fatti è stata considerata dalla critica letteraria come il presupposto fondamentale della letteratura neorealistica [...]; in realtà si può dimostrare che è un atteggiamento naturale e spontaneo di ogni forma letteraria anche della più semplice che si rifà alla Resistenza." Mi sembra che i titoli sottolineino appunto questo: il fatto come protagonista della narrazione. Vita nella stalla non fa eccezione. (torna su)
(3) Falaschi, op. cit., 1976, pp. 54-80 (torna su)
(4) Il racconto è stato poi ripubblicato dall'autore nella sua raccolta Gli anni e gli inganni, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 9-13, da cui citerò. (torna su)
(5) Falaschi, Giovanni, Realtà e retorica. La letteratura del neorealismo italiano, D'Anna, Messina-Firenze, 1977, p. 77 (torna su)
(6) La "voglia di raccontare" caratterizza la stagione narrativa che va dalla Resistenza al 1948, cioè la fase centrale del neorealismo. E' necessario dire qualcosa su questa voglia di raccontare, e lo farò con l'aiuto di una pagina bellissima che Italo Calvino scrisse nella prefazione all'edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno. 1964: si tratta di una messa a punto a posteriori del neorealismo. Calvino dice fra l'altro (cito dalla nona edizione "Nuovi Coralli", Einaudi, Torino 1980, pp. 7-8):
Questo ci tocca oggi soprattutto: la voce anonima dell'epoca, più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte. L'essere usciti da un'esperienza - guerra, guerra civile - che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un'immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari, drammatiche avventure, ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente all'inizio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di pacchi di farina e bidoni d'olio ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse, e così ogni avventore ai tavoli delle "mense del popolo", ogni donna nelle code dei negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d'altre epoche; ci muovevamo in un multi­colore universo di storie.
Il passo è veramente stupendo e tratteggia come mai più è stato fatto un elemento essenziale del neorealismo: "la materia dell'anonimo narratore orale", il racconto delle storie "che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati portatori" e alle quali si aggiungevano le storie degli altri "arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un'espressione mimica" (ivi). (torna su)
(7) Falaschi, op. cit. 1977, p. 34 (torna su)
(8) Corti, Maria, Neorealismo, in: Il viaggio testuale, Einaudi, Torino 1978, pp. 58-59 (torna su)
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L'autore di questo ipertesto è Giovanni Lanza il cui sito è qui: www.giovanni-lanza.de/appunti_sul_neorealismo.htm
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Ultimo aggiornamento: 12-08-11.