PASOLINI UOMO ARTISTA E INTELLETTUALE
La voce della coscienza critica


1. PASOLINI POETA

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Premessa

Sento il dovere di indicare ai lettori la "diversità" di questa prima puntata, che tratta delle poesie, rispetto a tutte le altre, in cui faccio quasi sempre l'esame accurato delle opere.
Per le poesie invece ciò non accade, per una causa molto pratica. Quando l'Amministratore di Homolaicus, professor Enrico Galavotti, mi chiese di pubblicare qualcosa su Pasolini nel suo sito, io avevo già letto i due volumi dei "Meridiani" riguardanti le opere di poesia del nostro, e non avevo preso appunti in vista del presente saggio bensì esclusivamente per un fine di conoscenza personale. Successivamente ho letto e appuntato, in vista del saggio e dei destinatari, e non solo per la mia formazione culturale.
Potrei ora rileggere tutte le poesie, è vero, e fare anche per questa prima puntata ciò che ho fatto per le successive. Ma ci sono due motivi contrari a ciò: 1) non mi va di rileggere per il momento le poesie di Pasolini; 2) questa puntata è forse quella che preferisco, proprio perché non risente affatto di un tono didattico e presenta le mie prime impressioni personali in seguito alla rilettura (la prima lettura la feci tanti anni fa, sui testi monografici) di questo Autore straordinario.

Non so se ci sarà ancora occasione di ritornare sulle opere di Pasolini e rifare questa puntata. Intanto, a chi volesse approfondire l'esame delle singole opere poetiche consiglio vivamente il sito Pagine corsare.

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Difficili, le poesie di Pasolini. Pretendono un’attenzione non superficiale, perché devono arrivare, trasformandolo, al cuore di un lettore affezionato. Se si è prevenuti verso l’uomo che le ha scritte, non si andrà in profondità nella lettura dei suoi versi, anzi ci si fermerà alla delusione data dal non aver compreso o, peggio ancora, dal pregiudizio di essere al cospetto di un insensato che si contraddice spesso.

Fu precoce, come tutti i geni, grazie all’influenza della madre, che era maestra; ma anche in virtù di una innata sensibilità che lo voleva “diverso” sin dal ventre materno, prima di ogni scelta.

Le prime poesie che pubblicò erano, nel 1942, in dialetto friulano. Amante del dialetto, fu sempre un sostenitore della cultura localistica, ma si sarebbe presto reso conto che essa era destinata a perdere con l’avanzare di una per lui orribile lingua italiana “media”.

Personalmente, non ho potuto gustare i versi nel dialetto della sua regione, e allora mi sono servito della traduzione in italiano fatta da lui stesso.

Le poesie friulane della sua giovinezza convergono nell’opera La meglio gioventù, pubblicata nel 1954 (come ho detto sopra, c’è anche la versione italiana).

Giacché il mio non pretende di essere un lavoro critico, mi soffermerò su ciò che ha provocato in me forte impressione. Spero che le mie considerazioni servano anche ad altri.

Cosa ho notato innanzi tutto? La presenza di angeli, demoni (del Diavolo, in particolare), di Dio stesso, in un poeta che diceva di essere ateo. Si sa, i poeti hanno licenza di mentire. Ma quando ha mentito lui? Quando diceva di essere ateo oppure quando parlava degli esseri spirituali che visitavano la sua anima?

Lascio questa domanda senza risposta, perché suggerisca a tutti la via della congettura, sempre provvisoria: il solo domandare continuo sviluppa in sé il cambiamento (progressivo) di cui parlavo all’inizio di questo capitolo.

In una poesia, in particolare, scrive:

“Chi sente la voce degli Angeli? […] Chi sente il canto degli Angeli? […] Chi crede negli Angeli?”(1)

L’ambiguità da parte sua è d’obbligo e apre ad ogni interpretazione, che nasce in ultima analisi dalle credenze del lettore.

Un’altra evidenza che notiamo è l’identificazione del poeta con Cristo, sino a volerne condividere lo stesso destino di martirio, soprattutto dopo la morte del fratello Guido, giustiziato da partigiani comunisti italiani e slavi. Nonostante ciò, Pasolini sarebbe rimasto sempre comunista, sia pure atipico, anche dopo essere stato espulso dal partito per lo scandalo che egli diede in quanto omosessuale.

E qui veniamo al nocciolo della mia analisi appassionata. Io mi sono fatto l’idea che il poeta di Casarsa usò la sua diversità sessuale come mezzo per arrivare a un fine di darsi e dare conoscenza; inoltre – penso – non sarebbe stato così tanto amato dai lettori futuri se fosse stato eterosessuale.

Ci sono due versi che mi fanno molto riflettere:

“Ma… hai forse ingannato / lo stesso Tentatore?”(2)

E’ il Diavolo a fargli questa domanda. Questi due versi mi ricordano le tre tentazioni di Satana perpetrate invano per convincere Cristo a passare dalla sua parte. Pasolini, non solo, come Cristo, non cede e rimane fedele alla sua purezza, ma “usa” la diversità sessuale per un fine puro, in ultima analisi:

“Tanto peccai quanto più puro / e intrepido giocai la partita.”(3)

“Per redimerci Cristo / non è stato innocente, ma diverso.”(4)

Chi saprà non scandalizzarsi di fronte a questa diversità, è già sulla buona strada per comprendere qualcosa di più su questo nostro religioso ateo!

E qui un’altra considerazione: il suo rapporto con la Chiesa.

Parla di S. Paolo come del vero fondatore della Chiesa:

“Oh dolore, proprio dentro, nel fondo più mio del mio cuore, di sapere che San Paolo è stata la grande disgrazia di questo piccolo mondo.”(5)

Cosa rimprovera all’apostolo dei gentili? Di aver fondato una chiesa anziché una religione. Pasolini, che già non sopporta le istituzioni laiche (pur ritenendole necessarie), e non le sopporta in quanto pretendono obbedienza e messa a tacere, a volte, dell’amore, non ha scrupoli nel considerare la religione istituita come il vero disastro di questo mondo, perché è fatale che l’istituzione religiosa scenda a compromessi con il potere politico laico, che si serve di essa per il controllo delle masse.

Torneremo a parlare di ciò nei prossimi capitoli, anche perché proprio nel nostro tempo la Chiesa sta portando avanti una strategia di ingerenza sempre più forte negli affari dello Stato, compromettendo alcuni importanti diritti di laicità, e ottenendo dallo Stato dei privilegi fiscali e finanziari.

Cosa è religione per Pasolini? E’ legame disinteressato tra gli uomini. E’ amore, in ultima analisi.

Chi è Dio per lui? O, meglio, cosa è Dio? E’ innanzi tutto la Realtà. Ha un amore viscerale, sensuale per tutto ciò che lo circonda. Nelle sue poesie si emoziona per eventi apparentemente banali, come il canto di vari tipi di uccelli o la bellezza caduca dei fiori. La Realtà è per lui una teofania, manifestazione divina: tutto è sacro, quindi. E cosa è l’Irrealtà? E’ il Nemico da combattere, sperando alla fine di vincerlo:

“Il futuro dell’uomo! Nessuno sapeva più nulla della pietà, / della speranza: sapevano […] / solamente il futuro”(6)

L’Irrealtà è data dalla nostra società, quindi, ma Pasolini sapeva che potevano esserci delle eccezioni. Prima sperava che fossero tali alcuni sottoproletari sensibili e ingenui, ma in seguito alla mutazione antropologica che trasformò tutti in piccoli borghesi, la disperata speranza del poeta si rivolse ai giovani colti e sensibili, affinché comprendessero la necessità di una svolta nella loro vita e fossero, al tempo stesso, obbedienti e disobbedienti. Obbedienti sui valori tradizionali della cultura e degli affetti, ma disobbedienti nei confronti di chi minacciava la loro indipendenza e li voleva sottomessi ai poteri costituiti.

Tutto ciò con molta ironia, perché mai prendersi sul serio, noi e lui, consci che la realtà è ambivalente, e l’altra faccia della medaglia dell’indipendenza morale e culturale, è il rischio della superbia spirituale.

Fermo adesso l’attenzione su questi altri due versi:

“Ma guai a chi muore amato dagli uomini, / vuol dire che non ha amato la Verità!”(7)

Sono parole terribili, che potrebbero celare persino della misantropia (e superbia), ma è proprio così? Egli in realtà aveva un carattere dolce e mansueto, non odiava gli uomini; odiava certo la borghesia e quindi rimase scosso quando avvertì l’imborghesimento universale, che spazzò via l’autenticità della cultura popolare sottoproletaria. Se rileggiamo gli epigrammi ne La religione del mio tempo (1961) dedicata a Elsa Morante, ci rendiamo conto di un individuo che, come lui stesso dice, è “umiliato e offeso”, ma non certo in grado di odiare il genere umano: il suo rancore (voglio congetturare) è “strumentale” come la sua omosessualità. Non appartiene tanto alla persona di Pasolini, quanto serve ad indicare una strada di opposizione ai lettori ideali, affinché essi, guardando al suo esempio, non solo rinuncino a scendere a compromessi con il potere che li circonda (Mammona!) ma abbiano anche l’energia (trasmessa dallo stesso Autore, attraverso la sua testimonianza esistenziale, cioè nell’opera artistica e nell’impegno socio-politico) per starsene gai in un Grande Rifiuto, che non trascura però la Realtà:

“Il Barocco / ridiscende a dare irrealtà agli uomini: / e la sola realtà è la solitudine. […] / Non sapete? Proprio / insieme al Barocco del Neo-Capitalismo / incomincia la Nuova Preistoria.”(8)

Dunque: la Storia è quella dei valori della tradizione umanistica (cui appartenne anche Pasolini, ovviamente) ma non solo: è anche la cultura popolare e dialettale. Con l’avvento del neocapitalismo e l’imborghesimento di tutti, cessa la Storia e comincia una Nuova Preistoria, con i falsi valori del consumismo. L’impegno di Pasolini si spiega così, secondo me: egli vuole preservare dalla nefanda mutazione culturale un numero quanto più alto possibile dei suoi lettori, mantenendoli nella Storia e quindi nella vera vita. Non fu l’unico certo, ma fu quello che si spese di più, sino al sacrificio del suo corpo; altri hanno fatto la loro “parte”, come – per citarne alcuni – Morante, Moravia, Bertolucci, Calvino, Volponi…

Sono sicuro che, se fosse stato per lui, se si fosse disinteressato di noialtri suoi posteri, avrebbe condotto una vita eternamente giovane, viaggiando di qua e di là… Infatti dice di sé stesso, in un autoironico “coccodrillo”:

“Appartenne a una delle ultime generazioni così fortunate. / E’ stato veramente un idiota a sacrificare al lavoro / tante di quelle notti, a non aver passato la vita intera / in Marocco, in Sicilia, o magari solo in Maremma.”(9)

Ecco la parola chiave. La parola del linguaggio religioso: “sacrificio”. Pasolini si è sacrificato per noi. La sua vulnerabilità è solo apparente, una sua maschera necessaria non a lui ma a noi, che attraverso un processo di immedesimazione diventiamo consapevoli della “nostra” vulnerabilità reale, affinché la trasformiamo alchemicamente in forza, progressivamente, passando da una iniziale incoscienza, sino ad arrivare a una lucida consapevolezza. Così nessuno sguardo per quanto ammaliante ci sedurrà (riportandoci indietro), non quello dei potenti, né quello di donne stupende, e nemmeno quello di madri vili:

“Madri vili, poverine, preoccupate / che i figli conoscano la viltà / per chiedere un posto, per essere pratici, / per non offendere anime privilegiate, / per difendersi da ogni pietà.”(10)

Così diverse queste madri dalla sua, Susanna Colussi, coraggiosa pur nel silenzio, alla quale dedicò la sua poesia forse più conosciuta, in cui tra le altre parole nate dalla commozione (non irragionevole, però), dice:

“Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. / Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.”(11)

Un amore “insostituibile” (come rivela subito dopo), che gli impediva di amare altre donne, che pure si innamoravano disperatamente di lui. Destino bizzarro, il suo, che amò angosciatamente colei che l’aveva messo al mondo! [contra v. PASOLINI E IL CINEMA, quando parlo del film Edipo re; presento infatti una interpretazione completamente diversa, conseguente all'avanzamento nella lettura delle sue opere].

Di altri temi che lo riguardano, come per esempio il rapporto col padre, avrò occasione di parlare nei capitoli successivi, in cui analizzerò ulteriori aspetti del suo “impegno” poliedrico, approfondendo, se è il caso, anche i temi qui trattati.


(1) Pasolini Pier Paolo, Fiesta, ne La meglio gioventù, in Tutte le poesie, tomo primo, "I Meridiani", Mondadori, Milano, 2003, p. 110. (torna su)
(2) Solitudine, ne L’Usignolo della Chiesa Cattolica, cit., p. 423. (torna su)
(3) La tentazione, in Appendice a “L’Usignolo della Chiesa Cattolica”, cit., p. 543. (torna su)
(4) Poesia con letteratura, Dai Diari 1943-1953, cit., p. 749. (torna su)
(5) Dansa di Narcìs (III) [Danza di Narciso (III)], ne La nuova gioventù, in Tutte le poesie, tomo secondo, "I Meridiani", Mondadori, Milano, 2003, p. 471. (torna su)
(6) Il libro dell croci, in Appendice a “Poesia in forma di rosa”, in Tutte le poesie, tomo primo, cit., p. 1284. (torna su)
(7) Bestemmia, in Tutte le poesie, tomo secondo, cit., p. 1098. (torna su)
(8) Una disperata vitalità, in Poesia in forma di rosa, in Tutte le poesie, tomo primo, cit., p. 1167. (torna su)
(9) Coccodrillo, in Appendice a “Trasumanar e organizzar”, in Tutte le poesie, tomo secondo, cit., p. 232. (torna su)
(10) Ballata delle madri, in Poesia in forma di rosa, in Tutte le poesie, tomo primo, cit., p. 1083. (torna su)
(11) Supplica a mia madre, ivi, p. 1102. (torna su)


a cura di Leonardo Monopoli

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Aggiornamento: 03/11/2014