PASOLINI UOMO ARTISTA E INTELLETTUALE
La voce della coscienza critica


3. PASOLINI AUTORE DI TEATRO

Premetto che non tratterò in questo capitolo le originali innovazioni pasoliniane nel campo teatrale, cioè il suo modo di intendere il teatro. Ne parlerò in seguito, in una prossima puntata su Pasolini critico. Tuttavia è bene, prima di addentrarci nelle singole opere, dare alcuni chiarimenti di carattere generale:

a) i suoi personaggi sono il riflesso di sé, per cui il vero protagonista è sempre lui; il riferimento autobiografico è molto più forte che in altri drammaturghi, ma si tratta non di autobiografia dell'uomo bensì del personaggio multiforme che vuole rappresentare, con tutte le pulsioni possibili tra Cielo e Inferno;

b) l'esigenza dei contenuti (cioè delle novità espressive che ha da rivelare) è tale che non gli permette di affrontare (per mancanza di tempo) le esigenze formali e strutturali richieste da un'opera teatrale (le tecniche tradizionali e contemporanee sono da lui rifiutate, secondo alcuni un po' aprioristicamente, senza vera conoscenza); è quindi, il suo, un teatro fatto da un non teatrante:

"Pasolini non è un uomo di teatro [...] è un poeta che scrive testi teatrali"(1)

Il primo dramma lo scrive a quindici anni, nel 1938, col titolo La sua gloria. Qui illustra, per partecipare a un concorso di scrittura drammatica, un episodio del Risorgimento.

Segue, nel 1942, Edipo all'alba, decisamente più interessante, in quanto tratta del tema dell'incesto: Ismene prova un amore illecito per il fratello Eteocle, e per questo cerca una punizione dopo aver confessato il desiderio incestuoso. Così si farà uccidere dal padre Edipo, mentre i tebani, che hanno ascoltato la sua confessione, la condannano anche dopo morta, come "peccatrice, / insensata a turbarci / con voce vergognosa."(2)

Al 1944 risalgono I Turcs tal Friul, un dramma in cui rievoca lo scampato pericolo di Casarsa nel 1499, a seguito della invasione dei Turchi in quelle zone. E' evidente il nesso Turchi-nazisti, per cui l'intento dell'Autore è polemico nei confronti dell'occupazione da parte delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale.

Ne I fanciulli e gli elfi (1944-5), interpreta lui stesso il ruolo di un Orco mangiabambini, provocando i timori dell'amica Pina Kalz, cui sono affidate le musiche, la quale era preoccupata che gli spettatori scoprissero la "simpatia per i ragazzi" da parte del giovane autore.

La poesia o la gioia (1947) tratta di un personaggio (fratello del protagonista, in cui invece si identifica Pasolini), che rispecchia totalmente la psicologia del padre Carlo, fascista convinto, cioè in buona fede, destinato a scontare il suo peccato di inconsapevolezza con l'alcolismo e la paranoia:

"Quello che in Caserma era un uomo veramente ottimo [...] in famiglia era tremendo."(3)

Un pesciolino (1957) è un breve monologo: la protagonista è una zitella fuori di testa, che nella sua "diversità" ha maggiore intuito della paura che hanno gli uomini di tutto ciò che provoca scandalo.

Vivo e Coscienza (1963) afferma l'inconciliabilità pratica tra vita e coscienza, con la speranza che:

"Verrà un giorno [...] in cui la Vita sarà Coscienza e la Coscienza Vita."(4)

Italie magique, scritto per l'interpetazione di Laura Betti, tra il '64 e il '65, racconta con ironia brechtiana l'assurda storia d'Italia dalla seconda guerra mondiale all'avvento del neocapitalismo, che dà a tutti l'alienante "convinzione che l'io sia sempre più mio, mentre è di Mammona."(5)

Di fondamentale importanza, per capire la reazione psicologica e artistica di Pasolini al mondo reazionario cattolico, è il dramma Nel '46!, il cui protagonista è un prete professore in una scuola media parificata, che prova dei turbamenti nei confronti di una sua alunna; così affronta un percorso di autoanalisi che lo porterà a distaccarsi dalle voci interiori che lo vorrebbero vile e represso, per abbracciare una più autentica coscienza democratica: il destino di chi non è insincero con le sue pulsioni, è quello di essere emarginato dalla società repressiva:

"MADRE: Non importa a una madre / che il figlio sia ridicolo, / ella sa soltanto / che il mondo gli è nemico! [...] GIOVANNI: Egli [cioè lui stesso, il protagonista] amò una fanciulla / credendolo peccato: / tuttavia, l'amò. / Perciò è condannato."(6)

Il 1966 è un anno decisivo, perché ha inizio la stesura delle sue famose sei tragedie, stesura che continuerà, con le immancabili limature, sino al 1974. Scrive il cugino Nico Naldini:

"Alla fine di marzo [del 1966], mentre sta cenando in un ristorante romano con Dacia Maraini e Moravia, ha un grave malore, un'emorragia d'ulcera. E' costretto a letto immobile per un mese. [...] Durante la convalescenza rilegge i Dialoghi di Platone che, come la lettura del Vangelo di qualche anno prima, gli infondono un «aumento di vitalità» e imboccando un nuovo percorso stilistico matura l'idea di scrivere attraverso i personaggi: un teatro in versi «molto simili alla prosa»."(7)

Lo definisce lui stesso "teatro di parola", perché scrive in poesia, cioè in un linguaggio altamente espressivo, che giustifica l'altisonante dizione da parte degli attori, che altrimenti gli sembrerebbero ridicolmente retorici se dovessero dire le stesse cose nel linguaggio della prosa, usato invece nel teatro tradizionale. Quest'ultimo è da lui disprezzato, insieme al teatro d'avanguardia, follemente provocatorio con la sua bizzarra gestualità. Cosa cerca Pasolini col "suo" teatro? Vuole mettersi in contatto diretto e dialogico (di qui i dibattiti dopo le rappresentazioni) con un pubblico non di massa, ma avente una cultura almeno potenzialmente pari alla sua: i pochi intellettuali anche non ufficiali, ma sinceramente appassionati alla cultura, sparsi per tutta l'Italia, e appartenenti ad ogni classe sociale.

In Orgia (1966-70), l'unica tragedia che abbia messo in scena lui stesso (a Torino, con Laura Betti), rappresenta il divario tra "diversità" e società:

"voglio che la società non abbia un atteggiamento razzistico verso gli esclusi. [...] Se c'è qualcuno che è diverso, qualunque diversità sia, ha diritto di esserlo, e la società non deve avere un atteggiamento razzistico contro questa diversità. Deve capirla, discuterla, analizzarla, ma non avere un atteggiamento razzistico di rifiuto e di esclusione."(8)

Protagonista è un uomo della media borghesia, nato o diventato nell'infanzia "diverso", che non ha mai voluto analizzare la sua diversità, ma l'ha rimossa accettando la repressione da parte del potere. Ha voluto anche lui la sua fetta di potere. Ma intanto la diversità l'ha vissuta in maniera sado-masochistica nei rapporti con la moglie. Col consenso di lei, la sevizia, progettando (forse solo come fantasia sessuale) pure di ucciderla insieme ai figli e, prima ancora, di farla possedere da un gruppo di uomini. La donna, che ha perduto la dedizione verso le norme sociali, renderà effettivo il progetto del marito, uccidendo con un coltello i figli e andando a buttarsi nel fiume con i loro corpi. L'uomo, rimasto solo, si porta in casa una ragazza, e comincia a seviziarla come faceva con la moglie, però senza il suo consenso. Mentre la picchia, ha un malore e sviene. La ragazza riesce a liberarsi e fugge, lasciando i suoi abiti lì per terra. Rinvenendo, lui guarda quegli indumenti, che dicono in fondo che sono voluti dal mondo del potere, affinché gli uomini vivano la loro diversità in segreto, ipocritamente, senza farne parola all'esterno. Perché gli uomini non si ribellano alla logica ipocrita e repressiva del potere? Sono rassegnati alla caducità della vita e si godono l'esistenza, in una vita da porci. L'alternativa è il suicidio, come ha fatto la moglie del protagonista. Eppure, c'è una terza alternativa (rivoluzionaria!): il martirio attraverso una protesta esistenziale contro la normalità coattiva. Prende a truccarsi e vestirsi con quegli indumenti e si impicca, proprio per farsi trovare morto vestito da donna da vicini di casa, poliziotti ed infermieri:

"si troveranno davanti un fenomeno espressivo / indubbiamente nuovo, così nuovo da dare un grande scandalo / e da smerdare, praticamente, ogni loro amore."(9)

Pilade (1966-70) narra vicende create da Pasolini ispirandosi ai miti greci, ma il testo va interpretato in chiave moderna. I due amici Oreste e Pilade rappresentano il primo il difensore della Ragione (che porta inizialmente a un potere democratico ma in ultima analisi borghese), il secondo la lotta a difesa degli sfruttati (la lotta comunista). Elettra invece fa le parti dell'amore per l'autorità tradizionale (la tirannia). Oreste, per sconfiggere l'esercito di Pilade, si allea strategicamente con Elettra (e si ha quindi l'aberrante totalitarismo nazista, con le sue stragi di corpi). Ma la vittoria finale sarà ancora una volta del "solo" Oreste, con la Nuova Rivoluzione di tutta la città (non solo dei borghesi quindi), che culmina nel benessere generale. Pilade ed Elettra restano soli, disperatamente alleati e sconfitti; Pilade ha comunque, alla fine, maturato la consapevolezza della sua colpa, che è stata quella di desiderare il potere prendendo il posto di Oreste.

Lascio nel dubbio la mia interpretazione, perché le dichiarazioni stesse di Pasolini su come interpretare quest'opera, sono contraddittorie tra loro, pur essendovi una certezza, che è quella della ferocia di ogni potere, sia di destra che di sinistra.

Affabulazione (1966-70) è la storia del rapporto conflittuale tra un padre medio-borghese col figlio. Ci ricorda ovviamente il conflitto tra l'autore e suo padre Carlo, amato/odiato. L'omosessualità di Pasolini, che secondo la psicanalisi potrebbe essere spiegata dal complesso edipico irrisolto, è invece, a mio modo di vedere, una strategia per denunciare, all'opposto, l'attrazione che hanno i padri verso quei figli diversi da loro, non in quanto omosessuali, ma perché realmente "indipendenti" da ogni volontà sadica o masochistica. Infatti la tragedia tratta della metamorfosi di un borghese industriale del milanese, il quale, dopo un sogno misterioso che non riesce a ricordare, smette la sua maschera di uomo potente silente e ironico, per diventare un nevrotico in cerca di Dio. Cosa ha sognato in effetti? Di essere posseduto dal figlio. Egli si sente come un bambino nei confronti di questo figlio, desidera vederne il membro, persino essere ucciso da lui. Ne invidia la spensierata giovinezza, che lui ha perduto, anzi non ha mai vissuto a causa del conformismo borghese. La società iniqua ha bisogno di padri e figli che si odiano a vicenda; la società viene contraddetta solo da padri che riconoscono di essere bambini di fronte a figli che non li odiano. Il protagonista di questa tragedia finirà però per uccidere il figlio (come farebbe una donna impazzita per un amore non corrisposto) e si farà vent'anni di galera, dopo i quali diventerà un barbone, assistito dallo spirito del figlio morto, che continuerà a non odiarlo.

Porcile (1967-72) ispirò allo stesso Pasolini l'omonimo film. Protagonista è Julian, il venticinquenne figlio di un industriale tedesco. E' un giovane che non si ribella al padre ma nemmeno gli obbedisce; rifugge dall'impegno politico, anche se la sua amica del cuore Ida (che lo ama) vorrebbe che la seguisse nei cortei dei contestatori. Ha invece una sola passione segreta: l'attrazione sessuale verso i maiali. Cosa nasconde questa attrazione? Una vocazione al martirio (così gli fa capire infatti lo spirito di Spinoza, il filosofo del "Deus sive Natura"). Spinoza gli compare per esortarlo non a vivere secondo la ragione, che vorrebbe Julian impegnato nel mondo, lottando magari per il progresso, bensì a continuare a realizzare il suo affetto mostruoso. Pur non rivelando il contenuto di questo affetto, Julian aveva già detto a Ida, che lui ne era deformato ma non degradato, in quanto il suo animo restava puro e gioioso. E' evidente l'analogia tra Julian e Pasolini. Anche Pasolini non veniva degradato dal suo amore omosessuale e si manteneva puro quanto più si degradava apparentemente agli occhi di chi non era capace di comprenderlo. Non voglio certo dire che i "ragazzi di vita" fossero dei maiali (lo sono molto di più il padre e la madre di Julian, ricchi borghesi), ma dei maiali avevano certamente l'inconsapevolezza che sarebbe stata causa della successiva (reale) degradazione anche dei loro corpi a seguito della mutazione antropologica; inoltre un ragazzo di vita sarebbe stato deputato a realizzare il destino di martirio di Pasolini, proprio come Julian verrà divorato dai porci.

Calderón (1967-73) è molto liberamente ispirato a La vita è sogno di Calderón de la Barca. Se fosse possibile passare da una vita all'altra come si passa da un sogno all'altro, senza ricordare nulla del sogno cioè della vita precedente, vivendo quindi sempre situazioni sociali diverse, cosa rimarrebbe uguale in tutti questi sogni? Ci troviamo sempre nella Spagna franchista del 1967. Rosaura è prima ricca aristocratica, poi prostituta sottoproletaria, quindi moglie piccolo-borghese. Due cose restano identiche nelle sue vite: il rapporto con il potere (incarnato in Basilio, in successione padre, dio che gioca col destino di lei e marito conformista) che le impedisce di vivere come vorrebbe la seconda cosa sempre uguale, cioè il suo amore nei confronti del rivoluzionario anticonformista, che si incarna invece nel primo sogno in Sigismondo, esiliato dal regime franchista perché traditore della sua classe sociale, che è quella dei ricchi, in nome di una vita ribelle (le dirà che in realtà è lui suo padre, che l'aveva concepita violentando la madre non sopportando di vederla ideologicamente mutata, non più rivoluzionaria come quando erano ragazzini e fidanzati, ma ormai nobile filofranchista); nel secondo sogno in Pablito, adolescente borghese anche lui ribelle alla sua classe d'origine: lo scoprirà essere suo figlio, che riteneva morto e invece era stato dato in adozione, dalla sorella e dalla madre, a una ricca famiglia in cambio di soldi; nel terzo sogno in Enrique, giovane universitario contestatore ricercato dalla polizia (un amore impedito dal marito Basilio, che lo farà cinicamente arrestare). Ma tutti questi sono sogni, anche se possono diventare realtà d'eccezione, perché ci può sempre essere il caso di una donna impedita dal Potere a vivere un amore diverso. La realtà vera (cioè l'incubo) che vive Rosaura è invece quella di trovarsi in un lager (che potrebbe riferirsi alla nuova condizione di mutazione antropologica causata dal benessere neocapitalistico sin dalla fine degli anni '60): gli uomini sono ridotti a cose, a uso e consumo dei loro aguzzini, in una bizzarra complicità tra vittime e carnefici, in un mondo (il nostro) in cui non c'è più un solo innocente e siamo tutti pronti a tradirci a vicenda per fare il gioco dei potenti. Ma Rosaura ha ancora il coraggio di sognare qualcosa di alternativo e liberante: l'arrivo di operai comunisti che affranchino tutti dal lager e ci trattino come fratelli. Però il Potere, sempre nell'incarnazione del perfido Basilio, la deride perché dice che la sua è un'illusione, che questo sogno, davvero è destinato a non avverarsi mai. Pessimismo strategico da parte dell'Autore? Speriamo che sia così, che abbia voluto spronarci con il pungolo della disperazione.

Bestia da stile (1966-74) è l'ultima tragedia, delle sei, che analizziamo. Forse ci può dare delle indicazioni per risolvere sia pure in modo congetturale il dubbio con cui ho terminato l'analisi di Calderón: cioè del pessimismo pasoliniano circa una possibile rivoluzione comunista. In questa sesta tragedia, dietro la vicenda di un poeta cecoslovacco, Jan, si nascondono le vicende autobiografiche di Pasolini stesso, dalla giovinezza (con il suo amore per il Friuli e il mondo contadino) all'impegno intellettuale e artistico sulla scia di un realismo che valorizzava la lingua popolare, sino alla delusione dovuta all'imborghesimento di tutti e tutto, con il benessere consumistico. C'è pure, da parte di Jan-Pasolini, la rinuncia al potere politico, nonostante il suo successo letterario potesse consentirgli di essere eletto, magari in Parlamento, dai tanti ammiratori. A un certo momento, negli anni della contestazione, cioè alla fine degli anni '60, Jan, poeta comunista, viene contestato da giovani che nemmeno lo hanno compreso: essi teppisticamente bruciano la sua immagine, reagendo alla occupazione sovietica della Cecoslovacchia. Similmente accadde all'Autore con i contestatori italiani. Come Jan, Pasolini capisce, nell'epoca del neocapitalismo, che occorre un nuovo impegno, la Rivoluzione di una Nuova Destra sublime. Ma lui ormai ha adempiuto il suo compito ed è vicino al tragico congedo dal mondo (con l'assassinio nel '75). Insomma, si rivolge ai giovani della generazione successiva affinché, dopo averlo compreso, continuino sulla via del sogno rivoluzionario, superando l'ortodossia comunista. Perché la chiama Nuova Destra? Destra perché difende i valori della Tradizione, sposandoli con la difesa dei più deboli e dei poveri. Io ci vedo un eclettismo politico che va oltre, almeno qui in Italia, la distinzione tra gli schieramenti politici esistenti, e che giustificherebbe anche la simpatia di Pasolini per Pannella e i radicali. E' un fardello che l'ultimo Pasolini non poteva portare, in quanto nessuno lo avrebbe compreso allora e la sua figura pubblica sarebbe risultata ingiustamente ma inevitabilmente distorta, più di quanto non l'abbiano distorta i rotocalchi. E poi, se si deve accettare la tesi di Giuseppe Zigaina, doveva morire ammazzato, appunto perché la generazione successiva lo comprendesse e amasse, salvando la sua memoria e se stessa. Questa Nuova Destra (che evidentemente accetta il Potere), non è però né clericale né volgare, e nemmeno pretende che tutti siano dogmaticamente d'accordo sulle stesse cose. Del resto, gli intellettuali dopo Pasolini non se ne sono stati con le mani in mano, e (solo per fare un nome) Gianni Vattimo, ad esempio, ha già indicato una via possibile (in particolare nell'impegno artistico da lui studiato come filosofo estetico) con l'esigenza di "liberazione del simbolico", in cui le "maledizioni" delle nostre pulsioni irrazionali e arbitrarie trovano un adeguato canale di sfogo convertendosi in "benedizioni" per sé e la società. (Ce ne accorgiamo, ad esempio, nel mondo dei blog, in cui accanto ad alcuni diari on line decisamente volgari e da cultura di massa, si affacciano oasi di disinteressato impegno culturale autentico e, pur nella sua ingenuità, appassionato). Infine, per quanto riguarda la Nuova Rivoluzione politica ed economica, se ne è parlato più su (a proposito di Pilade).


(1) "Il corpo del testo" intervista a Stanislas Nordey, in Pasolini Pier Paolo, Teatro, "I Meridiani", Mondadori, Milano, 2001, p. XXXII. (torna su)

(2) Da Edipo all'alba, in Teatro, cit., p. 32. (torna su)

(3) La poesia o la gioia, ivi, p. 123. (torna su)

(4) Vivo e Coscienza, ivi, p. 151. (torna su)

(5) Italie magique, ivi, p. 160. (torna su)

(6) Nel '46!, ivi, pp. 233-4. (torna su)

(7) Naldini Nico (a cura di), Cronologia, in Pasolini Pier Paolo, Teatro, cit., p. XCV. (torna su)

(8) Dibattito al teatro Gobetti, in Teatro, cit., p. 343. (torna su)

(9) Orgia, ivi, p. 312. (torna su)


a cura di Leonardo Monopoli

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 03/11/2014