POESIE IN LIBERTA'


GIOVANNI SICURANZA

Giovanni Sicuranza è nato a Gravedona (CO) nel 1967, e risiede a Casalecchio di Reno, provincia di Bologna. Medico Legale (con particolare interesse nel settore della Medicina Sociale e della Tanatologia), ha svolto il ruolo di Consulente della Procura di Bologna e di Brescia e del Tribunale del Lavoro di Bologna. Attualmente si occupa in prevalenza di Medicina Sociale.

Nel dicembre 2006 è uscita la sua prima raccolta di racconti dal titolo “maschere” (Giraldi Editore, Bologna), scritta con lo pseudonimo di homo interrogans e con le prefazioni di Eraldo Baldini e Valerio Evangelisti. Nello stesso periodo il suo racconto “Previsioni” è stato pubblicato nell’antologia “Tropico d'asfalto ed altri racconti” (Edizioni EDUP). Nell’estate 2007 è presente con un racconto, “Penombre”, nell’antologia “Il delitto si tinge di verde”, Orione Editore.

Nello stesso anno, un altro suo racconto, “Il museo delle cere”, è presente nell’antologia noir “La legge dei figli”, con prefazione di Giancarlo De Cataldo, Meridiano Zero Editore.

Ancora nel 2007, il racconto “L’ordine delle cose” compare nell’antologia “Giallo Scacchi”, Edizioni Ediscere.

A novembre 2009 è uscito il suo primo romanzo, “Quando piove”, Edizioni Montag.

Nel giugno 2010 sono stati pubblicati due suoi racconti, "Riflessi" e "12", rispettivamente per l'antologia "365 racconti erotici per un anno”, Delos Books Editore e per l'antologia "I sentieri del cuore", Montag Editore.

L’opera “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76”. In una notte sospesa dei nostri tempi, il custode del cimitero di Fine Viaggio termina il suo percorso terreno adagiato tra le dimore dei defunti del paese. Ha una storia che riguarda ognuno di loro, una storia che ha appreso osservando giorno dopo giorno le foto sulle lapidi. Follie, tragedie, amori intensi e malati. I racconti si sviluppano a intreccio durante la lucida agonia dell’uomo. Fino all’epilogo, con l’ultima storia, un segreto di morte che riguarda proprio il custode.
E dopo la sua morte, al Km. 76, che segna il punto in cui la statale lambisce Fine Viaggio, un nuovo tipo di culto dei defunti ha inizio.
L’antologia è strutturata a racconti, con il filo conduttore della storia di Fine Viaggio, che si integrano uno nell’altro con la coralità del romanzo.

L’opera si può acquistare su “Il mio libro
Il video di presentazione è questo:

sicuranza.blogspot.com

Giovanni Sicuranza

parole

Sue mie
sono parole e
si avvicinano
nell’aria
Tesa
Si incontrano
studiandosi ostili
dietro un sorriso forzato
maschera di un’odiosa
ipocrisia
Si danno la mano si
abbracciano ma non
riescono
Possono
solo salvare
le apparenze
continuare un
inganno
alimentato da
equivoci
Fuggono dandosi
le spalle e
nervoso è lo
scatto nella negazione
di un futuro
Sue mie
sono parole
nate da troppi
grigi perché
Mai una volta
una sola volta
sono riuscite a
parlarsi

uomo senza meta

Come un viaggiatore
che prima
della partenza
si riempie
gli occhi
di nuvole e
voli di uccelli
di vento e pioggia
sulla terra
d’autunno

io ti guardo
donna
sfiorata da
mani di parole
prive
di pudore

che giacciono
calde su lembi
di carta e
narrano luci
su corpi
d’amore

Io mi distendo
donna
nel bosco del
tuo sentire
prima di un
altro sole

e ti dipingo

di memoria e
desiderio
ammutolito

Per poi alzarmi
e svanire
vuoto di valige

Perché sono tatto
sangue emozioni

perché non posso
restare adagiato
sul velo incerto
del tuo mondo

come dedica
sottile
in un fremito
di frasi
che nulla
sanno dire
del gusto
di un tuo bacio

in Era Volgare

Era infine solo una
bara
la tua

vestita a festa e
piena di luce
quando l’abbiamo
accolta

E portava solo una
lapide
china su

remissione
peccato
senso di colpa
e redenzione

Hai chiamato
vita ciò che
è morte

hai inciso
paura
ed indulgenza
su sensi e
desideri

Ma io non ho
sentito
il battito del
vento
nella tua
confusa storia

o il cantico del
tuono
nei tuoi
boriosi messaggeri

Loro sono rimasti
lì in immobile
contemplazione

Io ho camminato
oltre
la tua fetida
religione

preghiera

Raccontatemi
una fiaba
con capo
di morte

una fiaba
mascherata
da redenzione

Raccontatemi di
una vita
oltre il viaggio
sofferto

in questo mondo
feroce

E guardatemi

Guardatemi
mentre
tremo di
angoscia

e vi prego

Ho il capo
chino
su simboli
antichi
che avete
rapito e

colorato
di nuovo

Rinuncio
alla vita
appagata
di nulla

per il vostro
sogno narrante
di credo
assoluto

E contro il
soffio fetale
di diversi pensieri
mi chiuderò
con voi
nei dettami
di ministri
corrotti e
fasulli

di tremore
e potere

Raccontatemi
la fiaba
del buon pastore
che macella
il gregge
oltre la carne

Vi prego

Ho paura di questo
nulla
quando il mio
mondo
non sarà
più qui

Ho terrore
di questa
sofferenza
bastarda di
uomini e cose

Vi prego

Per questo
mi vendo
dal battesimo
all’unzione
estrema

per una fiaba
plagiata di
splendente
resurrezione

cosmogonia

Siamo esplosione

Big Bang del
nostro divenire

Siamo rapida
espansione
di calda materia

tra spazi vuoti e
gelide attese

Corpi e sensi
vorticanti
su ellissi di
desiderio

Plasmiamo
nuovi universi
in nebulose di danza
tra galassie ed
emozioni

E roteiamo

roteiamo veloci
sui nuclei
delle nostre vite

Ora insieme
innescati

in fusioni nucleari
di sguardi mani
e labbra

in fragori di
energia sconosciuta

Ascoltiamoci

con occhi coraggiosi di
Bruno Copernico
Galilei e Keplero

E viviamoci

con orgasmi di
idrogeno ed elio

e canti di
nucleosintesi stellare

Nello splendore
evolutivo

del nostro
nuovo cosmo

Deus in iudicium in voto (racconto tra il saggio e la teatralità) (rtf-zip)

Maschere - pubblicità di me medesimo (rtf-zip)

Occhi di lucertola

Lucertola,
di sole lucente,
nei tuoi occhi filtra
il mio ritratto.
Precipita la luce
nelle iridi tue schiuse.
Fessure che sibilano
in promessa
il nero della mia Morte
immensa.

Autunno

Il vento, lacerato
da danza di girandola,
sibila al mio orecchio un
inutile lamento
e solleva foglie, effimeri tamponi
sulle ferite d’autunno.
La girandola è vortice forte
che non si ferma,
gioia e delizia dei bambini.

urla nel tempo (di un cristo morente)

Pellicola di marmo
appesantita
dove hanno
proclamato
una tua foto

superata
dal tempo

Qui ora esausto
giungo silente
e ascolto cupo
gorgoglio di liquidi
densi e voraci
a mutare di tempesta
il tuo corpo

Io devo

Occhi mi scrivono
addosso leggende
di secoli immoti
Parole mi rapiscono
dentro pensieri di
essenza divina

Attendono il tuo
ritorno sul mio
respiro e allora

io devo

Ti chiedo perdono
non vorrei

ma devo

E' il Credo
che mi veste
Lazzaro

la vetta del Verbo

Io devo

E allora urlo sulla
tempesta tua
di putredine
densa
che muta
apparenze di carne
e desiderio

Con mani protese
al cielo lento
e distante
io devo urlare
e ancora nel tempo
ripetuto
dal Credo
io urlo

Torna Lazzaro
sul nostro inganno
di vita e di fede
Torna Lazzaro
per il divino
assoluto

Occhi respiri
desideri in ascolto

Parole che
mormorano
attese di osanna
incise sul Libro

Verità
invalicabile
che morde
la mente

Ma io urlo
sopra
il mio pianto
che non ha
testimonianza

Ho già capito
Lazzaro
ora non torni
mai tornerai

E' solo una foto
la tua rinascita
narrata

E' solo immagine
cbe veste il canto
vorace dei vermi

E' solo apparenza
che rimane
e che io

assoluto

proclamo

Cavallette sul selciato (*)

Le luci che
navigano
nel tuo
bicchiere

sono acque
di una palude
pesante

affannata
di piaceri caduti

limacciosa
di sensi di colpa

Lascialo cadere

ora

e poi
ascoltalo

quel bicchiere

È rabbia
di anni che
scheggia
il pavimento

Gemito
di liquido perso
da lontane
ferite

È tela
lacerata
che beve
il tuo pensiero

Prognosi di nulla
sul rigor
di un desiderio
canuto

Io sono
il tuo medico

anche stasera

Non ho farmaci
che guariscano
il tempo

nemmeno ne conosco

Ma ho un saluto
da darti

l’addio
che mi chiedi

Lascialo cadere

ora

quel bicchiere

con le sue luci
pesanti
di alcol

spegni il suo
pianto
questa sera

Chiudi la porta
sulla palude
del suo liquido
pastoso

E usciamo

Usciamo dove
la vita è
terapia di
brevi baci
segreti

Dove in luci
nascenti di alba
tra farmaci di
ultimo sonno

tu possa
vivere ancora

solo
un minuto

prima del gelo

pieno di te

Le cavallette piangono sul selciato.
Il dottor Santino si sorprende sempre in questa illusione estiva quando percorre con passo incerto il sentiero che dalla strada provinciale porta all’ingresso del cimitero. Nei brevi tratti rettilinei in salita, nelle curve ampie di serpente assonnato, ascolta il lento cri-cri della ghiaia sotto i passi, che alle sue orecchie diventa il lamento di cavallette nascoste intorno alla meta.
Anche in questa giornata di livido inverno.

* tratto da: “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” di Giovanni Sicuranza.

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Aggiornamento: 27/11/2012