SCRITTORI E SCRITTURE 1 2 3 4 5 6 7

Joyce Carol Oates

Una storia di suspence o mistery è necessariamente costruita a tavolino, secondo uno schema ben preciso: in questo modo è come se la trama scivolasse automaticamente verso la sua conclusione, che rappresenta in questo caso anche la soluzione del mistero.
Una novella o un racconto puramente letterario crescono attraverso il linguaggio e il succedersi degli eventi che ne scandiscono il crescendo. E se si tratta di letteratura seria, è molto più difficile che scrivere una storia di suspence dato che idealmente non si segue alcuno schema preciso.
La mia vita privata, le mie emozioni di ogni giorno certamente impregnano i miei scritti. Comunque, questo si manifesta solo in modo sottinteso, subliminale. A volte scrivo basandomi sui ricordi o su persone che ho conosciuto, visto, di cui conservo un'immagine nitida.
Non scrivo mai di me stessa: i miei segreti non voglio condividerli con nessun altro.
Non seguo alcun metodo particolare, comunque preferisco scrivere al mattino, prima di colazione. A volte mi capita d'essere così presa da una storia, che alla fine faccio colazione nel pomeriggio.
Certo, l'ispirazione è importante, ma niente per me è lasciato al caso. Comunque ognuno dovrebbe ritagliarsi il suo metodo addosso, non esiste una regola precisa.
A volte mi capita di scrivere più storie contemporaneamente, soprattutto per i racconti brevi. Terminato un racconto, lo metto un po' da parte per dedicarmi ad altre cose.
Poi ci torno sopra per visionarlo, completarlo, correggerlo. Ritengo molto importante la "riscrittura": è una vera e propria arte. Quand'ero più giovane, la ritenevo una cosa noiosa. Oggi la ritengo fondamentale.

Consiglio ai giovani di leggere leggere leggere, senza piani stabiliti, con entusiasmo o voglia. Naturalmente anche vivere: viaggiare, confrontarsi con culture diverse. (Avvenimenti, 24 dic 97)

Giuseppe Pontiggia

Non condivido l'idea che la scrittura e la vita siano la stessa cosa. Penso che per avvicinare l'esperienza bisogna al tempo stesso metterla a distanza.
Dietro alle apparenze, per poter offrire quest'immagine intensificata, vitale e potente, creativa dell'esperienza, penso sia inevitabile passare attraverso il linguaggio. Cioè, superare l'immediatezza nel suo significato più brutale, arrivando a una mediazione letteraria che è l'unica che consente la vicinanza. Per me, scrivere è un modo di vivere intensificato, come leggere. Quello che non condivido è l'idea neoromantica della letteratura che è quasi la vita trasposta nella pagina: non è mai così.
Penso che nell'ambito della prosa il controllo di un occhio lucido e teso al miglioramento del testo possa essere di aiuto. Io stesso chiedo pareri su quanto scrivo.
A scuola ci sono meno letture in generale e un minor studio della stilistica, della retorica. Tutto ciò porta alla perdita del senso della composizione, della struttura.
Nei testi dei miei ragazzi vedo cambi di tono, visibilmente non voluti, interferenze che sono stonature. Ad es. frasi di taglio pubblicitario, volgarità gratuite e fuori luogo. (Avvenimenti, 6 mar 96)

Elisabetta Rasy

La scrittura non rispecchia solo l'io biologico o anagrafico, ma un io fantastico, simbolico, in cui lo scrittore può essere uomo, donna, animale, pietra…
Quello che io ritengo ci sia, è una posizione femminile di fronte alla scrittura e alla letteratura diversa da quella maschile: gli uomini sono sempre stati padroni dell'espressione scritta, agenti attivi; le donne, invece, passive, nei secoli dei secoli; erano sempre raccontate, più che essere "raccontatrici".
Anche oggi che le cose sono molto cambiate, questa lunga esclusione fa sì che lo sguardo femminile, quando scrive, frughi ambiti diversi da quelli degli uomini e metta in atto, probabilmente, una sensibilità un po' diversa. (Avvenimenti, 9 lug 97)

Sandro Onofri

Devo avere prima il personaggio. Poi comincio a pensare alla storia che va bene per lui e faccio una scaletta. Ma il personaggio me la fa modificare continuamente.
Attacco a scrivere a mano la prima stesura e quando ho la situazione chiara capitolo per capitolo, passo al computer. Quando finisco un capitolo lo stampo e passo a un altro. Poi ritorno sui capitoli stampati per fare altre correzioni e modifiche. (Avvenimenti, 26 apr 95)

Laura Pariani

Il dialetto è sicuramente la mia lingua materna. Però io appartengo a quella generazione a cui è stato proibito di parlare in dialetto.
Il dialetto si è identificato con un mio interesse particolare per quello che viene prima, per il passato.
Il dialetto è una lingua che è sempre stata disprezzata, perché esprime situazioni molto concrete, mentre il nostro mondo va verso l'inconsistenza. (Avvenimenti, 20 mar 96)

Antonio Pennacchi

I rumori della "conica" (l'impianto a cui Pennacchi lavora, ndr) mi guidano. Io la controllo attraverso i rumori e quei rumori spesso mi danno il ritmo. I siluri curti novis, p.es., producono dodecasillabi manzoniani, le "verticali", invece, hanno il ritmo dei settenari.
Ho iniziato a scrivere a 36 anni, tre mesi dopo che è morto mio padre ed ho aspettato di avere delle storie vere, la consapevolezza sociale di non scrivere solo per me.
La fase più dura e dolorosa è quella della miniera, dell'estrazione del metallo puro dal fondo di me stesso. In questa fase non correggo mai, vado avanti. Non sono uno da una pagina al giorno tutti i giorni. Passo mesi interi senza scrivere, poi scrivo anche dodici pagine al giorno. (Avvenimenti, 8 mag 96)

Sibila Petlevski

Uso il computer, sia pure da poco tempo. Un poeta che conosco aborre la "terribile macchina" perché -a suo dire- rende gli scrittori troppo prolifici. Io non credo che scrivere poesie su un computer costituisca un sacrilegio. Anzi, quando un verso appare sullo schermo, tutte le sue pecche sono immediatamente riconoscibili. Il computer mi aiuta ad avere la giusta distanza dal mio lavoro. (Avvenimenti, 17 gen 96)

Fabrizia Ramondino

Secondo me, scrivendo si è sempre "stranieri". Occorre un occhio "strabico" per cogliere la realtà in modo diverso da quello fornito dalla tradizione del vedere, dai luoghi comuni, oggi potremmo aggiungere, dalla televisione. D'altra parte, il più grande poeta dell'umanità, Omero, era cieco: mi sembra una metafora appropriata, pensando al lavoro dello scrittore.
Solo se mi fermo in un posto qualche tempo, allora scrivo. Non prendo mai appunti durante il viaggio, ma raccolgo materiali vari, anche l'opuscolo pubblicitario di un albergo, e poi elaboro.
Scrivo sempre a penna. Tendo a copiare a macchina soltanto quando sono sicura che non c'è altro da modificare. Sembrerà arretrato rispetto al tempo del computer, ma già la pagina scritta a macchina mi appare una cosa definitiva e ineluttabile, mentre a mano è come se appartenesse al divenire.
Io non riesco a scrivere "su ordinazione", quindi l'impulso ci vuole, un impulso misterioso perché non si sa da dove scaturisce; dopo, cerco di creare una scaletta, un programma che magari si trasforma totalmente durante la stesura. Scrivo quasi ogni giorno ma non ho regole di orario; quel che è certo è che, mentre da giovane scrivevo e leggevo anche di notte perché, non avendo una mia stanza, era l'unico modo per separarmi dal mondo degli adulti, adesso non mi accade più. La notte io dormo. Scrivo sempre di giorno. (Avvenimenti, 2 ago 95)

Enrico Galavotti - Homolaicus.com - Letteratura