Joyce
Carol Oates Una storia di suspence o
mistery è necessariamente costruita a tavolino, secondo uno schema ben preciso: in questo
modo è come se la trama scivolasse automaticamente verso la sua conclusione, che
rappresenta in questo caso anche la soluzione del mistero.
Una novella o un racconto puramente letterario crescono attraverso il linguaggio e il
succedersi degli eventi che ne scandiscono il crescendo. E se si tratta di letteratura
seria, è molto più difficile che scrivere una storia di suspence dato che idealmente non
si segue alcuno schema preciso.
La mia vita privata, le mie emozioni di ogni giorno certamente impregnano i miei scritti.
Comunque, questo si manifesta solo in modo sottinteso, subliminale. A volte scrivo
basandomi sui ricordi o su persone che ho conosciuto, visto, di cui conservo un'immagine
nitida.
Non scrivo mai di me stessa: i miei segreti non voglio condividerli con nessun altro.
Non seguo alcun metodo particolare, comunque preferisco scrivere al mattino, prima di
colazione. A volte mi capita d'essere così presa da una storia, che alla fine faccio
colazione nel pomeriggio.
Certo, l'ispirazione è importante, ma niente per me è lasciato al caso. Comunque ognuno
dovrebbe ritagliarsi il suo metodo addosso, non esiste una regola precisa.
A volte mi capita di scrivere più storie contemporaneamente, soprattutto per i racconti
brevi. Terminato un racconto, lo metto un po' da parte per dedicarmi ad altre cose.
Poi ci torno sopra per visionarlo, completarlo, correggerlo. Ritengo molto importante la
"riscrittura": è una vera e propria arte. Quand'ero più giovane, la ritenevo
una cosa noiosa. Oggi la ritengo fondamentale.
Consiglio ai giovani di leggere leggere leggere,
senza piani stabiliti, con entusiasmo o voglia. Naturalmente anche vivere: viaggiare,
confrontarsi con culture diverse. (Avvenimenti, 24 dic 97)
Giuseppe Pontiggia
Non condivido l'idea che la scrittura e la vita
siano la stessa cosa. Penso che per avvicinare l'esperienza bisogna al tempo stesso
metterla a distanza.
Dietro alle apparenze, per poter offrire quest'immagine intensificata, vitale e potente,
creativa dell'esperienza, penso sia inevitabile passare attraverso il linguaggio. Cioè,
superare l'immediatezza nel suo significato più brutale, arrivando a una mediazione
letteraria che è l'unica che consente la vicinanza. Per me, scrivere è un modo di vivere
intensificato, come leggere. Quello che non condivido è l'idea neoromantica della
letteratura che è quasi la vita trasposta nella pagina: non è mai così.
Penso che nell'ambito della prosa il controllo di un occhio lucido e teso al miglioramento
del testo possa essere di aiuto. Io stesso chiedo pareri su quanto scrivo.
A scuola ci sono meno letture in generale e un minor studio della stilistica, della
retorica. Tutto ciò porta alla perdita del senso della composizione, della struttura.
Nei testi dei miei ragazzi vedo cambi di tono, visibilmente non voluti, interferenze che
sono stonature. Ad es. frasi di taglio pubblicitario, volgarità gratuite e fuori luogo.
(Avvenimenti, 6 mar 96)
Elisabetta Rasy
La scrittura non rispecchia solo l'io biologico o
anagrafico, ma un io fantastico, simbolico, in cui lo scrittore può essere uomo, donna,
animale, pietra
Quello che io ritengo ci sia, è una posizione femminile di fronte alla scrittura e alla
letteratura diversa da quella maschile: gli uomini sono sempre stati padroni
dell'espressione scritta, agenti attivi; le donne, invece, passive, nei secoli dei secoli;
erano sempre raccontate, più che essere "raccontatrici".
Anche oggi che le cose sono molto cambiate, questa lunga esclusione fa sì che lo sguardo
femminile, quando scrive, frughi ambiti diversi da quelli degli uomini e metta in atto,
probabilmente, una sensibilità un po' diversa. (Avvenimenti, 9 lug 97) |
Sandro
Onofri Devo avere prima il
personaggio. Poi comincio a pensare alla storia che va bene per lui e faccio una scaletta.
Ma il personaggio me la fa modificare continuamente.
Attacco a scrivere a mano la prima stesura e quando ho la situazione chiara capitolo per
capitolo, passo al computer. Quando finisco un capitolo lo stampo e passo a un altro. Poi
ritorno sui capitoli stampati per fare altre correzioni e modifiche. (Avvenimenti, 26 apr
95)
Laura Pariani
Il dialetto è sicuramente la mia lingua materna.
Però io appartengo a quella generazione a cui è stato proibito di parlare in dialetto.
Il dialetto si è identificato con un mio interesse particolare per quello che viene
prima, per il passato.
Il dialetto è una lingua che è sempre stata disprezzata, perché esprime situazioni
molto concrete, mentre il nostro mondo va verso l'inconsistenza. (Avvenimenti, 20 mar 96)
Antonio Pennacchi
I rumori della "conica" (l'impianto a cui
Pennacchi lavora, ndr) mi guidano. Io la controllo attraverso i rumori e quei rumori
spesso mi danno il ritmo. I siluri curti novis, p.es., producono dodecasillabi
manzoniani, le "verticali", invece, hanno il ritmo dei settenari.
Ho iniziato a scrivere a 36 anni, tre mesi dopo che è morto mio padre ed ho aspettato di
avere delle storie vere, la consapevolezza sociale di non scrivere solo per me.
La fase più dura e dolorosa è quella della miniera, dell'estrazione del metallo puro dal
fondo di me stesso. In questa fase non correggo mai, vado avanti. Non sono uno da una
pagina al giorno tutti i giorni. Passo mesi interi senza scrivere, poi scrivo anche dodici
pagine al giorno. (Avvenimenti, 8 mag 96)
Sibila Petlevski
Uso il computer, sia pure da poco tempo. Un poeta
che conosco aborre la "terribile macchina" perché -a suo dire- rende gli
scrittori troppo prolifici. Io non credo che scrivere poesie su un computer costituisca un
sacrilegio. Anzi, quando un verso appare sullo schermo, tutte le sue pecche sono
immediatamente riconoscibili. Il computer mi aiuta ad avere la giusta distanza dal mio
lavoro. (Avvenimenti, 17 gen 96)
Fabrizia Ramondino
Secondo me, scrivendo si è sempre
"stranieri". Occorre un occhio "strabico" per cogliere la realtà in
modo diverso da quello fornito dalla tradizione del vedere, dai luoghi comuni, oggi
potremmo aggiungere, dalla televisione. D'altra parte, il più grande poeta dell'umanità,
Omero, era cieco: mi sembra una metafora appropriata, pensando al lavoro dello scrittore.
Solo se mi fermo in un posto qualche tempo, allora scrivo. Non prendo mai appunti durante
il viaggio, ma raccolgo materiali vari, anche l'opuscolo pubblicitario di un albergo, e
poi elaboro.
Scrivo sempre a penna. Tendo a copiare a macchina soltanto quando sono sicura che non c'è
altro da modificare. Sembrerà arretrato rispetto al tempo del computer, ma già la pagina
scritta a macchina mi appare una cosa definitiva e ineluttabile, mentre a mano è come se
appartenesse al divenire.
Io non riesco a scrivere "su ordinazione", quindi l'impulso ci vuole, un impulso
misterioso perché non si sa da dove scaturisce; dopo, cerco di creare una scaletta, un
programma che magari si trasforma totalmente durante la stesura. Scrivo quasi ogni giorno
ma non ho regole di orario; quel che è certo è che, mentre da giovane scrivevo e leggevo
anche di notte perché, non avendo una mia stanza, era l'unico modo per separarmi dal
mondo degli adulti, adesso non mi accade più. La notte io dormo. Scrivo sempre di giorno.
(Avvenimenti, 2 ago 95) |