Gabriele
Romagnoli Sul mio modo di scrivere,
oltre alla letteratura che più amo, ha inciso la musica. Dal fatto di averla in
sottofondo mentre al lavoro al fatto che la costruzione di In tempo per il cielo
assomiglia volutamente a quella dei testi di Neil Young. Addirittura c'è un paragrafo
fatto attraverso testi delle sue canzoni, stropicciati e mescolati.
Poi le parole di Francesco De Gregori, che trovo bellissime: alcune mie storie di Navi
in bottiglia assomigliano alle sue canzoni.
Un'altra forma di espressione che mi ha molto influenzato è il cinema. La mia scrittura
è molto cinematografica, visiva. (Avvenimenti, 4 ott 95)
Achille Serrao
Che il dialetto, lingua orale e corale, sia la vera
lingua degli italiani, vantando anche una storica precedenza nell'uso e nell'espressività
rispetto alla lingua comune, è fuor di dubbio.
Nel tempo, a questa lingua orale e corale è venuta sovrastrutturandosi una lingua
"letteraria" che ha contribuito, nel segno e nel nome della comune
comprensione-comunicazione linguistica, a ridurre e fuorviare la ricchezza lessicale, lo
spessore semantico di quella, a spezzarne il legame con l'humus di cui è stata ed è
evidenza verbale.
Conoscere e impiegare il proprio dialetto vuol dire conoscere la propria storia e la
propria storia profonda, con tutte le implicazioni connesse ad una profondità
socio-antropologica, terrestre.
Non ho scelto il dialetto, sono stato scelto dal
dialetto, cioè ho avvertito, alla fine degli anni ottanta, che potevo esprimere certi
fatti, certe atmosfere, tutto un mondo interiore, solo in un linguaggio più
"aderente" alle cose. (Avvenimenti, 15 apr 98)
Enzo Siciliano
Ogni volta che mi sono messo a tavolino per
scrivere un libro, il nucleo iniziale si è sempre disfatto e riorganizzato come ha voluto
nel corso della composizione; non credo agli scrittori che lavorano sulla base di una
scaletta. È un problema di struttura che via via cresce e che bisogna seguire e
controllare, nel suo sviluppo però, senza progettare in avanti. Per il resto massima
libertà.
Lo scrittore deve tenere sotto controllo la sensibilità del proprio lessico e della
propria sintassi relativamente alle cose; ora però quali sono queste cose? Sono le cose
che vuole dire, che sono poi le cose che appartengono all'esistente. (Avvenimenti, 15 nov
95)
Paolo Teobaldi
Nella narrazione orale c'è una tecnica millenaria,
un'attitudine a coltivare la parola e l'ascolto. Oggi molti parlano tanto, ma non
ascoltano più. Non c'è nessuna possibilità d'interagire. Loro parlano e hanno ragione
sempre.
Per questo sostengo che i libri vanno letti a scuola. Per questo credo nella narrazione
orale. (Avvenimenti, 8 nov 95)
Nicoletta Vallorani
Gli scrittori di genere emergenti o già affermati
oggi sanno molto bene come usare la lingua e fanno scelte molto definite.
C'è il recupero del gusto di raccontare storie,
forse perché si è persa l'oralità del racconto. La letteratura di genere è sempre
basata su una storia, per cui ci deve essere una suspense iniziale, delle vicende
intermedie, un climax e una risoluzione finale, ed è per questo che secondo me sta
vivendo un momento di particolare fortuna. I suoi autori vengono di solito da una
formazione piuttosto articolata e vogliono, pur mantenendo questa struttura, utilizzare un
linguaggio nuovo, originale, un po' sperimentale. (Avvenimenti, 15 gen 97)
Bruno Ventavoli
Ho fatto un grosso lavoro sul linguaggio, per
riprodurre la lingua inconsueta che tutti noi parliamo, determinata dai giornali, dalla
tv, dalla pubblicità, dal cinema, che continuamente assorbiamo come spugne; è allo
stesso tempo una lingua modificata per incisione, per intersezione con altri linguaggi,
come l'inglese, l'italiano sporco parlato dal marocchino e dalla nigeriana. Questo
linguaggio contaminato, fatto di mille stimoli che lo modificano continuamente, senza
rendercene conto, lo parliamo anche noi.
C'è questo rimescolamento continuo delle parole, dei gerghi, che secondo me è molto
interessante. Mi sono divertito a giocare sulla lingua, come se il linguaggio fosse una
sorta di rete per raccogliere la modernità, la civiltà moderna: gli stimoli televisivi,
gli spot, gli oggetti del "tecnopattume" che ci circonda e ci determina: dal
fast food al videoregistratore. (Avvenimenti, 10 lug 96) |
Isabella
Santacroce Nei miei libri non c'è
traccia di dialetti o di gerghi giovanilistici. Non m'interessa riprodurre, altrimenti
andrei in giro per strada a registrare conversazioni di giovincelli che stanno lì a
cazzeggiare.
La gente non parla come nei miei libri. Il mio è un linguaggio non localizzabile.
Destroy non è né romanesco, né milanese, né bolognese. Potrebbe essere stato
scritto indifferentemente da un londinese o da un giapponese. In questo mi sento diversa
dagli altri scrittori "giovani".
La musica per me è molto importante: scrivo sempre ascoltando qualcosa. (Avvenimenti, 16
apr 97)
Tiziano Scarpa
Nel caso in cui si voglia mettere giù una storia
più lunga e articolata che non un racconto di poche righe, fra personaggio e trama si
crea un vero e proprio conflitto.
Se ascolti i diritti della trama, sei costretto -o comunque tendenzialmente ti senti
portato- a ledere pericolosamente i diritti del personaggio.
Così l'astuzia della storia provoca l'eterogenesi dei fini: i personaggi hanno ciascuno
il suo scopo personale, ma in realtà devono sempre fare i conti coi fili manovrati -tutti
contemporaneamente- dal puparo, che li conduce verso un punto comune di scioglimento della
trama: e la trama li risucchia verso l'unica via d'uscita dell'imbuto.
Se invece stai attento ai motivi personali, ai moventi, agli scopi passionali dei
personaggi diventa difficile fare qualcosa di più complesso di un racconto. Per questo
secondo me il luogo del personaggio è il racconto, mentre il romanzo è il luogo della
trama, dove è facile trovare dei personaggi piatti, anche in maniera funzionale
all'intreccio narrativo più articolato.
Come diceva Forster in Aspetti del romanzo, servono dei personaggi piatti non solo
per fare da contraltare a psicologie più complesse, ma anche perché altrimenti la trama
rischia d'incepparsi, di sbriciolarsi, per dover seguire le macerazioni interiori di ogni
singolo carattere della storia.
Esemplificando: se scriviamo di una banda di quattro malviventi che vanno a fare una
rapina, dovremo approfondire la psicologia di uno solo dei quattro complici, mentre gli
altri saranno semplificati nelle loro motivazioni ed emozioni, se davvero vogliamo che la
storia arrivi sino alla fine. (Avvenimenti, 7 giu 98)
Domenico Starnone
Scrivo sempre con la musica, in genere jazz:
Ellington, Parker, i classici.
Scrivo quasi continuamente appunti e quando è venuto il momento -ma non è mai chiaro
quando è venuto il momento- comincio a rimescolarli riportandoli sul computer e, se la
cosa funziona, si attiva un meccanismo vero: quello che conduce a una storia.
Se a scrivere è uno di sesso maschile, tende in genere a fare delle donne stereotipate.
(Avvenimenti, 14 mag 97)
Alda Teodorani
Io scrivo per essere letta. Sennò avrei scritto
diari. Mi emoziona sapere che qualcuno mi leggerà. Per me è un piacere sempre presente
quando scrivo. La consapevolezza, poi, di questo piacere, si coglie quando si viene
pubblicati. Il fatto che i temi prevalenti siano sesso e violenza dipende dal fatto che
sono quelli che mi emozionano di più.
La formazione dello scrittore si compone di tecnica e di creazione. La tecnica si
acquisisce leggendo moltissimo, oppure frequentando una scuola di scrittura, ma in Italia
non ce ne sono per la letteratura di genere. Per la creazione invece ci vuole la realtà.
(Avvenimenti, 6 nov 96)
Serena Vitale
Sono passata al computer con delle tragedie
inenarrabili, mi tradiva, non sottostava al mio volere. Allora ne ho comprato uno
deficiente, insomma uno di quelli che mi dicono quando sbaglio. Così riesco a fare la
prima stesura, poi stampo, infine correggo tutto a mano.
I primi sono proprio dei brogliacci coi quali tento di spiegare a me stessa la strada da
percorrere. Io non mi ritengo una scrittrice ma un essere scrivente; stendo mille
varianti: dalla verifica di tutte quelle che non mi fanno approdare a nulla io alla fine
capisco e scelgo. E so che va bene solo quando io mi sono posta come avvocato del diavolo
contro me stessa. Solo dopo aver attraversato mille no, può balenare un sì.
So poco sul processo dello scrivere, so che è un percorso morale su cui si riconosce il
giusto che emerge tra impossibili variabili che, a centinaia, ti urlano "no, non sono
io, non sono io
" e ti obbligano a cercare la verità, l'unica soluzione. Direi
che la mia scrittura è quasi sonnambula, si costruisce come in un sogno.
Ci sono grandi scrittrici come Virginia Woolf, Marina Cvetaeva, ma sono scomode perché
sono nostre contemporanee in questo difficile secolo. Non mi portano per le strade
dell'immaginazione più totale. E' la distanza temporale che mi dà estremo diletto, calma
e piacere. (Avvenimenti, 7 giu 95) |