LA NOVELLA ANEDDOTICA
LA NOVELLA ANEDDOTICA G. De Chirico, Il figliol prodigo (coll. privata).

Fabia Zanasi

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Nel corso del XIII sec. la prosa narrativa in volgare italiano è testimoniata da racconti che hanno prevalentemente finalità morali e che riecheggiano nelle leggendarie vicende di personaggi famosi, sant’uomini o anche sconosciuti monaci, reminiscenze delle prediche proferite dal pulpito. Mostri, forze soprannaturali e virtù miracolistiche hanno riscontro in storie nelle quali prevale la funzione dell’exemplum, che fornisce al ricevente un modello comportamentale valido ai fini della salvezza dell'anima.

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Attorno all'ultimo decennio del '200 si colloca invece una silloge di novelle, riordinate in seguito a metà del secolo seguente nell’opera intitolata Il Novellino, che all'intento morale associa anche la volontà d'intrattenere piacevolmente il lettore. Il Novellino è una raccolta di brevi storie, eventi minimi, aneddoti riferiti a personaggi e avvenimenti storici, che sono rappresentati nel giro di poche frasi. Lo stile icastico e condensato è l'espediente che determina un certo coinvolgimento da parte del fruitore. Ciascuna novella è caratterizzata da una trama costituita, in genere, da un’unica azione dominante, espressa con tratti realistici; in questa scena condensata, il dialogo è spesso frutto di un esercizio arguto da consumare nel giro di brevi sagaci battute.

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Il titolo della novella, Qui conta d'una bella sentenzia, che diè lo schiavo di Bari tra uno borghese ed uno pellegrino, anticipa e mette in risalto l'elemento principale del testo: "una bella sentenzia". L'autore loda infatti esplicitamente il provvedimento del giudice, ma il tema di fondo esprime soprattutto un riconoscimento dell'importanza dell'intelligenza, nella gestione dei rapporti sociali. L'intelligenza, reputata come valore, rispecchia le esigenze della città mercantile e le nuove doti indispensabili negli scambi economici e, in genere, nelle interazioni comportamentali tra gli individui.

ANONIMO

Qui conta d'una bella sentenzia, che diè lo schiavo
di Bari tra uno borghese ed uno pellegrino

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Uno borghese di Bari andò in romeaggio, e lasciò trecento bisanti a un suo amico, con queste condizioni e patti: "Io andrò, sì come a Dio piacerà, e, s'io non rivenissi, daràli per l'anima mia; e s'io rivegno a certo termine, daràmene quello che tu vorrai".

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Andò il pellegrino in romeaggio; rivenne al termine ordinato e raddomandò i bisanti suoi. L'amico rispose: "Conta il patto". Lo romeo lo contò a punto. "Ben dicesti - disse l'amico. Te': dieci bisanti ti voglio rendere; i dugento novanta mi tengo". II pellegrino cominciò ad irarsi, dicendo: "Che fede è questa? Tu mi tolli il mio falsamente"! E l'amico rispose soavemente: "Io non ti fo torto e, s'io lo ti fo, sianne dinanzi alla signoria". Richiamo ne fue.

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Lo Schiavo di Bari ne fu giudice: udio le parti, formò la quistion. Onde nacque questa sentenzia, e disse così a colui che ritenne i bisanti: "Rendi i dugento novanta bisanti al pellegrino, e ‘l pellegrino ne dea a te dieci, che tu li hai renduti; però che 'l patto fue tale: - Ciò che tu vorrai, mi renderai -. Onde i dugento novanta ne vuoli, rèndili, e i dieci che tu non volei, prendi".

(Da Il Novellino, Rizzoli, Milano, 1975)

Analisi testuale della novella aneddotica

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 25-04-2015