Il vigore di Giuseppe Ungaretti

Il vigore di Giuseppe Ungaretti

I - II - III

Soldati
 
Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie.

Dario Lodi


La consacrazione definitiva, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) la ebbe con la pubblicazione di Vita di un uomo da parte della Mondadori. Questa pubblicazione, del 1969, raccoglie quasi tutte le sue poesie. La Mondadori aveva iniziato a pensare al progetto nel 1942, quando il Nostro fu promosso Accademico d’Italia. Ungaretti era ligio al regime fascista. Mussolini in persona aveva scritto una prefazione sulla seconda edizione de Il porto sepolto (1923, Stamperia Apuana, La Spezia).

La prima edizione de Il porto sepolto è del 1916, stampata in 80 esemplari per i tipi dello Stabilimento tipografico di Udine, su interessamento dell’amico di trincea Ettore Serra. L’opera è centrale nella produzione ungarettiana. Molte altre le raccolte successive, tutte permeate di una certa angoscia e tutte attraversate dalla speranza.

Sono quattro gli eventi determinanti la personalità di Ungaretti: il suicidio dell’amico egiziano Moammed Sceab (era suo compagno in una stanza d’albergo di Parigi); la conoscenza dei Simbolisti francesi (vedrà addirittura Apollinaire morire di spagnola); il servizio militare nella Prima guerra mondiale; la morte del figlioletto Antonietto a soli 9 anni per un’operazione di appendicite sbagliata.

A Moammed Sceab dedicò una poesia (“In memoria”), asciutta e toccante: probabilmente il vero esordio del suo stile. I Simbolisti (Rimbaud, Baudelaire, Mallarmè e appunto Apollinaire, fra gli altri) gli aprirono un orizzonte sconosciuto: la possibilità della sintesi e della frase significativa, senza la necessità di un significato conclusivo. In effetti, il Simbolismo andava a rompere la consuetudine aristotelica: concetto, sviluppo, morale. Applicava il “flusso di coscienza” anche in poesia.

Ungaretti non si adeguò mai al Simbolismo puro. Non lasciò mai che una sola parola pretendesse un significato oltre se stessa, pur provandoci spesso e riuscendoci con introduzione di sostantivi per così dire astuti. La poesia ungarettiana ha balzi e giravolte improvvise nello stesso verso. I balzi e le giravolte sono assicurati, nel loro effetto, da sostantivi magari impertinenti rispetto al resto, ma infine adattabili quasi fossero rivelatori di chissà che. Si tratta di una sorta di gioco con regole intelligenti e sensibili.

Nella sostanza, questo chissà, è sovente fondato perché è concepito sinceramente come sintesi intellettuale e sentimentale opportunamente moraleggiante. Ungaretti discute ad alta voce, affidandosi a una prosa poetica avente vocazione sentenziale: ma il poeta riesce a non sentenziare mai, se mai riesce a dolersi della sentenza inevitabile, contro la quale scaglia subito una sorta di saggio commento.

Il saggio commento non nasce dalla solita barba bianca, ma da riflessioni e considerazioni profonde, capaci di scuotere l’animo dalle fondamenta. L’esperienza della trincea fu peggiore del previsto. Anzi lui, volontario, non previde neppure di avere un’esperienza tragica. La guerra sarebbe stata una passeggiata: era il pensiero degli interventisti, Futuristi e D’Annunzio in prima linea. L’atmosfera era euforica. Ungaretti fu sul mitico Carso. Si salvò per miracolo, ma vide la morte in faccia. Ne sentì l’alito dentro di sé, nella sua coscienza.

La guerra fornì a Ungaretti gli elementi basilari della sua poesia, della sua espressione. Il poeta cercò di scrollarsi di dosso il terrore della morte, di esorcizzarlo con mille artifizi, con mille invenzioni colme di buonsenso e di grandi slanci lirici e vitali. Riuscì spesso nella sua impresa, ricorrendo a reazioni piene di vigore, di orgoglio, di dignità. Queste reazioni sono impastate di ottimismo, di speranza ben riposta in una vittoria finale della vita, una vittoria purchessia, me nei dovuti modi. Ungaretti non intende piegare la schiena. La sua vitalità ha qualcosa d’ingenuo, ma sembra funzionare bene.

Il funzionamento della sua vitalità s’inceppa a seguito della morte improvvisa del figlio Antonietto, nel 1939. La sua poesia successiva tende a divenire malinconica e disperata: l’impianto tradizionale è mantenuto intatto (affermazione dura, esclamazione risentita e dolente, reazione lirica e catartica), ma due fattori cambiano di posto, mutando senso e intensità (affermazione dura, reazione lirica e drammatica, esclamazione disperata). In alcuni casi se ne aggiunge un quarto di fattore, l’invettiva.

Per quanto toccato dalla morte del figlio, Ungaretti non perde la sua filosofia di partenza: è una filosofia naturale che gli impedisce di lasciarsi andare alle considerazioni frustranti della razionalità quando gli eventi la mettono alla prova. Il nostro poeta non pretende di superare le leggi naturali, anzi le adotta d’istinto, ritenendo trattarsi di un istinto con la sua ragion d’essere. Gli viene normale.

Questo comportamento porta il poeta a coltivare, si direbbe segretamente, la sua ingenuità (che è poi, con varie sfumature, ingenuità di tutti gli uomini). E’, la sua, un’ingenuità poetica, sublimata, che sostiene a spada tratta, pur senza a darlo a vedere, il concetto per cui non tutto finisce in distruzione in questa vita: vivo rimane almeno lo spirito con cui si è sognato un mondo ideale, un mondo, volgarmente parlando, senza morti né feriti. Ritorna sempre la trincea, nelle poesie di Ungaretti, e ritorna sempre la nuova alba, il raggio di sole.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019