PAOLO VOLPONI: IL CORAGGIO DELLA DIVERSITà


POESIE


La luna (www.rm.iasf.cnr.it)

POESIE E POEMETTI 1946-66

IL RAMARRO (1946-48)
L'esordio di Volponi nel mondo letterario avviene come poeta, esprimendo i dolori e le pene di una adolescenza immatura eppure bramosa di uscire da se stessa e organizzare un rapporto col mondo. Notiamo in queste brevi poesie un accentuato zoomorfismo e un paesaggismo psichico e pulsionale, come se la realtà esterna fosse la proiezione dell'io. Egli si rivolge alla sua "sconcia donna", "più tubercolosa di un topo d'India", amandola con la forza trapassante del suo sguardo: non sappiamo nulla di lei, nemmeno se è reale o no.

L'ANTICA MONETA (1949-54)
Anche in questa raccolta il poeta è attento alla natura e alla donna, oltre che agli uccelli, che ora annunciano morte, ora cordiale solidarietà. L'antica moneta è la luna che affiora dalla notte.

IL GIRO DEI DEBITORI (1953-54)
"io tendo / come un seme a interrarmi, / a sdebitarmi intero, / come intera la notte di novembre / giace sulle membra terrestri."(1)
Questi versi rappresentano il mito della metamorfosi e della morte-resurrezione: il poeta desidera farsi strumento di conoscenza, anche rischiando la propria esistenza.

LE PORTE DELL'APPENNINO (1955-59)
Qui Volponi affronta principalmente il dissidio tra partire e restare, tema trattato pure ne La strada per Roma. Lasciare la feroce (nemica) figura di Urbino è il suo destino, ma è consapevole che "chi fugge salva solo se stesso / come un passero, se un passero / si salva fuori del branco"(2)
Anche per il tema della fuga vale l'alogico diritto di contraddirsi, tanto è vero che Volponi ha sempre mantenuto integra l'alternativa del restare a Urbino, dove conservava una dimora.

FOGLIA MORTALE (1962-66)
Cogliamo qui lo sforzo autoanalitico dell'autore. In particolare, nel poemetto La pretesa d'amore, dà a se stesso (e al lettore) il consiglio di non pretendere l'amore, di accontentarsi di fare e giudicare, giudicare rettamente controllando ogni pensiero: "non confondete l'ansia con il pensiero e la ragione, / la noia o il divertimento con il giudizio".(3)
Ci sia chiaro che la libertà è vera solo se è comune e utile. Se agiamo con umile pazienza, la natura servirà la nostra coscienza, in una "tranquilla possibilità di esistere"(4) dell'"uomo attivo, non indulgente, felice".(5)

CON TESTO A FRONTE (1967-85)

Il testo a fronte è tutto ciò cui rimanda una poesia, quindi la realtà stessa. Tema dominante è la riduzione tecnocratica del mondo ad azienda. Il dirigente aziendale Volponi si muove nel mondo industriale cercando di salvaguardare la propria e altrui integrità morale e la possibilità di liberazione del simbolico, sospendendone il significato, sospensione come atto di umile amore per la libertà dei contemporanei e dei posteri; ciò somiglia al destino di indebolimento dell'essere cui si richiama la filosofia di Gianni Vattimo. Attraverso questo destino di debolezza (contraria ad ogni volontà di potenza) la tecnica diventa umana e amica dell'uomo, smettendo il suo abito tirannico.
Nella poesia Pasolini da cinque anni è morto l'autore ricorda uno dei dialoghi con l'amico e maestro, quando questi gli disse che pure lui, Volponi, avrebbe scritto un romanzo, animato dalla stessa timida bravura che gli faceva conoscere anche i pensieri delle cose intorno, di "quel sale e quel pepe nei loro finti cristalli."(6) Erano in trattoria.

NEL SILENZIO CAMPALE (1990)

Continua la disperata consapevolezza del poeta rispetto a un brutto universo interamente omologato e automatizzato. Tuttavia egli spera che qualcuno si sottragga a questo destino annientatore della libertà: solo la cultura può salvare l'uomo e riempirgli le giornate di pensieri autentici:

"eppure talvolta accade che tra / questi muti volti dell'obbedienza / capiti uno che insorga e stra- / volga ogni senso della sua stessa esistenza / e di quella generale, civile, che tra- / passa ogni singola coscienza."(7)

In particolare, nella poesia Le cose di Mao, comprendiamo che il pensiero non autoritario può salvarci: Mao è conscio di come il suo famoso libretto rosso è distorto e strumentalizzato da questo o quel potere, mentre lui ha voluto solo dire "Boh" e nient'altro.

ULTIME

Nelle poesie degli ultimi anni di vita, Volponi ha indossato i panni del "poeta civile", un po' corsaro come fu l'ultimo Pasolini. L'invettiva volponiana si rivolge all'Italia tecnocratica e mafiosa, per un ritorno del vero onore, cioè della "lealtà del vero".(8)


(1) Volponi Paolo, a cura di Zinato Emanuele, Poesie 1946-1994, Einaudi, Torino, 2001, p. 20. (torna su)

(2) ivi, p. 143. (torna su)

(3) ivi, p. 174. (torna su)

(4) ivi, p. 177. (torna su)

(5) ivi, p. 178. (torna su)

(6) ivi, p. 343. (torna su)

(7) ivi, p. 377. (torna su)

(8) ivi, p. 420. (torna su)


a cura di Leonardo Monopoli

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10/12/2012