LE FIGURE RETORICHE. PREMESSA

CONTRO LA GRAMMATICA ITALIANA


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LE FIGURE RETORICHE. PREMESSA

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Il linguaggio figurato è tipico dell'essere umano. P.es. se si afferma una frase come questa: "l'interrogazione di grammatica è stata una frana", si è più espressivi di quando ci si limita a dire che "è andata malissimo".

Questi trasferimenti spontanei di significato da un senso proprio a uno figurato di singole parole o di intere espressioni linguistiche astratte o generiche, che diventano più calzanti o più incisive, in modo da ottenere un maggiore effetto emotivo dato dalla presenza di un'immagine di fantasia, si chiamano "traslati", che è participio latineggiante di "trasferire" (in greco l'equivalente è "tropo").

Gli esseri umani sentono il bisogno innato di aumentare l'efficacia delle loro espressioni linguistiche, orali e scritte, usando per lo più delle immagini, dei simboli, delle metafore o anche semplicemente delle locuzioni idiomatiche, che si risolvono in piacevoli violazioni delle regole grammaticali, comunemente accettate. Dire "mi sento un leone" (tralasciando sintatticamente il paragone "come se fossi") indica qualcosa di più della semplice "forza fisica". Molte espressioni figurate oggi sono considerate forme appropriate, anche se in origine apparivano come "eresie" del lessico (p.es. "un tetto di spesa").

La differenza fra traslati e figure retoriche sta semplicemente nel fatto che mentre i primi sono per lo più inconsci e appartengono al parlato quotidiano, le seconde sono l'applicazione scritta dei traslati, che può anche presumere degli studi specifici e delle regole (sintattiche) da assimilare. Nel mondo classico le figure retoriche venivano considerate dei modi di esprimersi lontani dalla comunicazione ordinaria e quindi particolarmente adatti alla poesia. Oggi invece preferiamo intenderle, salvo eccezioni appunto di tipo "poetico", in un'accezione più vasta e, se vogliamo, più generica, in quanto ci sentiamo autorizzati ad applicarle a qualunque linguaggio, senza quindi fare più differenza fra traslati e figure retoriche.

Questo linguaggio figurato non serve a dare maggiore significato (ontologico) a ciò che si esprime, proprio in quanto il parlare astratto di per sé non è meno pertinente di quello concreto, anzi a volte è molto più profondo e meno dispersivo, ma serve invece a dare più "colore" al proprio linguaggio, specialmente nei casi in cui la comunicazione presume un rapporto diretto, confidenziale, emotivo o partecipativo, tra emittente e ricevente.

La cultura di un popolo si basa anche sulla capacità di assimilare i molteplici traslati trasmessi per via generazionale o per contaminazione linguistica con culture diverse dalla propria, e ovviamente sulla capacità di produrne di nuovi.

La comprensione di un linguaggio figurato è tanto più facile quanto più la gente vive delle relazioni sociali. Più si accentua l'individualismo e più il linguaggio diventa asettico, schematico, semplificato, anche se può apparire filologicamente preciso, in quanto, temendo l'incomprensione da parte dell'interlocutore, l'emittente cerca di usare simboli, locuzioni, espressioni standardizzate, come quelle che si ascoltano alla televisione o nei film o come quelle che si elaborano nei linguaggi matematici e informatici, mediante le quali si pensa che la possibilità di essere fraintesi sia ridotta al minimo.

Nonostante questo, è molto consueto, nelle società fortemente egocentriche, che l'interlocutore arrivi facilmente a chiedere, a chi gli sta parlando, di "definire" meglio i termini usati, cioè di spiegarne precisamente il significato, proprio perché l'uso comune delle espressioni linguistiche si è andato col tempo impoverendo in maniera irreparabile, al punto che persino sui singoli vocaboli si ha spesso bisogno di chiarirne il senso.

In condizioni del genere il linguaggio figurato rischia di apparire come un'inutile perdita di tempo, se non addirittura come un verso e proprio intralcio alla comunicazione, a causa delle sue molteplici ambiguità.

Nelle società capitalistiche avanzate il linguaggio umano standardizzato tende a trasformarsi sempre più in un linguaggio-macchina, cui si aggiungono o contrappongono vari gerghi di settore, che praticamente marciano su binari paralleli. E le poche figure retoriche che restano, vengono considerate come un retaggio del passato, una forma di ironia dal valore minimale, il cui uso non può andare a disturbare il resto del discorso. Gli stessi proverbi popolari non fanno pensare certo a una saggezza secolare, a una filosofia del buon senso e del senso comune: al massimo suscitano qualche sorrisetto. Lo stesso vale per le figure retoriche usate nel dialetto, ch'erano la vera ricchezza del linguaggio popolare, quella con cui si poteva trovare una risposta a qualunque problema esistenziale.

Ma c'è di più e di peggio. Non è raro sentire ancora oggi i grammatici sostenere che il linguaggio figurato è più istintivo e spontaneo del cosiddetto "parlar proprio", in quanto l'uomo, quanto più è semplice e primitivo, tanto più vive di sentimento e fantasia che di ragione.

Questo modo di "ragionare" purtroppo è alquanto "primitivo", poiché pecca di quella supponenza tipica delle società industrializzate, basate, ingenuamente, su affermazioni "chiare e distinte", che educano all'illusione di credere in una migliore comunicazione là dove la razionalità non è frutto di saggezza popolare plurisecolare, ma la risultante di operazioni formalmente logiche ma astratte.

Le civiltà dell'artificio intellettuale (a partire dal cogito cartesiano) hanno sostituito, perdendola definitivamente, la razionalità trasmessa oralmente attraverso le generazioni, con la razionalità creata a tavolino da intellettuali privi di radici popolari.

E pensare che la capacità di assimilare le figure retoriche si rivela utilissima persino quando le società (ivi incluse quelle contemporanee) hanno governi dittatoriali. Spesso attraverso l'uso di queste figure, cioè evitando di attaccare direttamente i soggetti interessati, le opposizioni riescono a fare un minimo di contestazione, riuscendo p.es. a eludere le strette maglie della censura. Ovviamente ciò suppone non solo una forte intesa tra le opposizioni, ma anche una certa capacità di astrazione e di elaborazione intellettuale sul piano simbolico. Nei vangeli l'esempio più eloquente è costituito dalle parabole.

Purtroppo le grammatiche ad uso scolastico, quando danno le definizioni delle figure retoriche, non le collegano mai a una storia della comunicazione, mostrando p.es. come esse siano nate e come siano scomparse. Non indicano neppure i limiti dovuti a un loro abuso. I grammatici si limitano semplicemente a dire che le parole o le espressioni linguistiche possono avere due significati: letterale e simbolico, e che le figure retoriche si riferiscono esclusivamente a questo secondo significato.

In realtà le cose non sono proprio così semplici. E' vero che le parole possono avere un significato letterale o, come dicono i grammatici, denotativo, ed è altresì vero che le stesse o altre parole possono avere un significato simbolico-figurato o connotativo, ma è anche vero che spesso è solo questione di percezione. Cioè un emittente può usare un'espressione che in teoria andrebbe compresa secondo un significato letterale, e invece il ricevente la percepisce secondo un significato simbolico, o viceversa.

Non esiste una regola precisa che indichi quando un'espressione o anche una semplice parola debba essere univocamente intesa in un senso o nell'altro. La decisione a favore di un significato o dell'altro non dipende dalle parole in sé ma dalla relazione che s'instaura tra due interlocutori (che rappresentano l'unità minima della comunicazione umana).

Se io dico, in un negozio di abbigliamento: "Mi piace quella giacca verde", e ho vicino a me il presidente leghista di una banca, che potrebbe favorirmi per un'assunzione in prova, posso anche pensare che detto presidente sia disposto a interpretare la mia preferenza non solo in senso letterale (mi piace il verde sopra ogni colore oppure rispetto a quelli disponibili nel negozio), ma anche in senso simbolico (voglio fargli capire, indirettamente, che condivido le sue idee o che di me si può fidare).

L'interpretazione figurata della parola "verde" ha qui chiaramente un riferimento alla politica, ma esistono molteplici possibilità di significati ambivalenti anche in riferimento alla sessualità, alla religione e in genere a tutti quei campi della personalità umana in cui giocano un ruolo di primo piano elementi ideologici, spirituali, etici, psicologici ecc.

Se io dico: "Gran parte del lavoro in Italia è nero", questo particolare colore andrebbe interpretato quasi più in senso letterale, in riferimento al lavoro irregolare, che non in senso simbolico, proprio perché ormai i due termini: nero e lavoro irregolare, vengono usati indifferentemente. E' molto più simbolico usare l'aggettivo nero in riferimento al fatto che gran parte di detto lavoro viene svolto da immigrati provenienti dall'Africa. Cioè oggi è più metaforica l'accezione relativa alla provenienza geografica dei lavoratori clandestini che non quella relativa alla loro funzione sociale. E se poi a questa frase, ambiguamente interpretabile, ne aggiungo un'altra, rischio addirittura di apparire offensivo, facendo dell'ironia fuori luogo: "Da quando è disoccupato vede tutto nero".

Insomma il linguaggio umano non può mai essere come il linguaggio-macchina, dove le combinazioni possibili si possono fare utilizzando solo due elementi: 1 e 0, ma è così ambiguo - e in questo sta la sua infinita ricchezza - che anche su due semplici numeri: 1 e 0, siamo in grado di scriverci una poesia dai significati molto più pregnanti della più complessa operazione matematica. Scrive infatti Trilussa:

- Conterò poco, è vero:
- diceva l'Uno ar Zero -
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l'azzione come ner pensiero
rimani un coso vuoto e inconcrudente.
Io, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
E' questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so' li zeri che je vanno appresso.

(Nummeri, 1944).

Non dimentichiamo che sui sogni - linguaggio figurato per eccellenza -, messi in rapporto alla sessualità, Freud ha costruito le fondamenta della propria psicanalisi. A volte s'incontrano persone che amano vedere quasi in ogni parola un qualche riferimento alla sessualità: chi deforma le espressioni linguistiche in questi termini sconfina inevitabilmente nel patologico, non meno di chi interpreta ogni frase solo in due sensi: favorevole o contrario al proprio punto di vista ideologico o politico.

E' difficile dire se sia più facile rieducare a un maggiore equilibrio e distacco, a una maggiore concretezza e obiettività il maniaco sessuale o il fanatico religioso o politico. Sicuramente è molto più facile recuperare alla normalità comunicativa quel mafioso che, prima di pentirsi, aveva dovuto usare per tutta la sua vita e soprattutto nei momenti cruciali dell'azione criminosa, un linguaggio figurato che gli permettesse di apparire come una persona normale.

Oggi il linguaggio figurato, utilizzato di proposito in letteratura, appare come un antiquato orpello retorico, tipico dell'antichità classica o controriformistica, allorquando si pensava che il valore artistico di un'espressione letteraria dipendesse anzitutto dall'eleganza formale con cui veniva formulata. Tuttavia alcune figure si usano ancora oggi, soprattutto nella poesia. E se ne incontrano ancora tante là dove si continua a parlare il dialetto e si usano i proverbi popolari, ma anche nella pubblicità e nel linguaggio giornalistico.

Orientativamente le figure retoriche possono essere suddivise in tre macro categorie: di contenuto (p.es. antitesi, ossimoro, prosopopea, ironia, perifrasi, eufemismo, litote, iperbole ecc.), di forma (p.es. apostrofe, epifonema, preterizione, reticenza, gradazione, chiasmo, iperbato, anafora, epistrofe ecc.) e grammaticali (p.es. prostesi, epentesi, metatesi, epitesi, asindeto, polisindeto, zeugma, ellissi, pleonasmo, enallage, ipallage, anacoluto, sillessi, prolessi ecc.). Quest'ultime sono particolarmente artificiose, inventate dai poeti come mero abbellimento stilistico, al di là dell'autentico atto creativo, usate più che altro per necessità di rima o come licenza poetica.

Altro tipo di suddivisione proposto dai grammatici è il seguente: figure linguistiche e figure stilistiche. Le prime riproducono un rapporto di somiglianza, frutto di una libera scelta espressiva (le due immagini sono esattamente sullo stesso piano logico, come nel caso p.es. della metafora, dell'allegoria, della similitudine ecc.). Le seconde invece, meno importanti, pongono un rapporto spontaneo di dipendenza tra le due immagini, dettato da esigenze di brevità (come nel caso della metonimia, della sineddoche, della antonomasia, della prosopopea ecc.).

Quando poi la figura nasce dalla disposizione delle parole nel discorso, acquistando un aspetto che interessa il colorito della frase, si parla di figure di costrutto (vedi il raddoppiamento, l'anafora, il chiasmo, l'asindeto, il polisindeto ecc.).

Per non apparire cattedratici, ci piace chiudere questa premessa con le riflessioni spiritose, variamente rimaneggiate qua e là, di G. Rajberti, il quale così scriveva:

"Se siamo tardi d'ingegno, ci chiamano buoi; se sudici e corpulenti, porci; se villani e selvatici, orsi; se ignoranti, asini. Chi ripete i discorsi altrui è un pappagallo; chi riproduce le altrui azioni, è una scimmia; chi esercita l'usura è una sanguisuga, mentre l'avido è un pescecane. E che dire di versa lacrime di coccodrillo o di chi si sente focoso come un toro?
Patite le distrazioni? Vi dan dell'allocco. Avete un'ottima memoria? Siete un elefante. Siete uomo di tutti i colori? Vi dicono camaleonte. Siete astuto? Oh che volpe! Siete vorace? Oh che lupo! Oh che talpa, se non vedete le cose più chiare! Oh che mulo, se siete testardo! Oh che gufo, se siete poco socievoli. Oh che gazza se siete ciarlieri! Siete un po' sornioni? Allora somigliate a un gatto. E non sembrate forse una mosca o una zanzara quando vi dicono fastidiosi o insopportabili? E non siete forse serpenti quando apparite infidi e malvagi? E non vi sentite vermi quando non valete nulla o quando gli altri vi considerano abbietti e spregevoli? E quando soffrite di qualche rimorso o pena non avete forse un tarlo dentro di voi?
La donna iraconda e vendicativa è una vipera; la volubile è farfalla; civetta la lusinghiera e quanti cadono sotto le sue smorfie sono merli.
La forza con generosità (e anche senza) ha l'eterno suo modello nel leone. La fedeltà e l'amicizia hanno per tipo il cane. Gli amanti teneri si dicono colombe o piccioncini. Gli ingegni sublimi aquile. I buoni poeti cigni. Chi ha acuto l'occhio della mente, è una lince. L'uomo mansueto è un agnello, e quello senza personalità una pecora, mentre chi digerisce di tutto o fa finta di nulla è uno struzzo. Chi fa risparmi è una formica, chi perde tempo è una cicala. Se siete industriosi come l'ape e sani come un pesce avete l'avvenire assicurato.
Insomma stimo bravo chi mi sa trovare un individuo solo che, in bene o in male, non rassomigli a tre o quattro bestie almeno".


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 27/08/2015