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LA LEGGE MAMMÌ SULLA PUBBLICITÀ

  • Per mettere argine all'invadenza delle diverse forme di pubblicità televisiva, nel 1989 la Comunità europea ha emanato la direttiva 89/552, nota come "Televisione senza frontiere", attuata in Italia col decreto 425/91.
  • Le regole comunitarie sono state recepite in Italia, con alcune differenze, attraverso la legge Mammì 223/90.
  • L'art. 8 di questa legge fissa alcuni "paletti" di principio:

"La pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non deve offendere convinzioni religiose e ideali, non deve indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l'ambiente, non deve arrecare pregiudizio morale o fisico a minorenni, e ne è vietato l'inserimento nei programmi di cartoni animati".

  • Questa legge vieta la pubblicità non dichiarata come tale, in quanto "la pubblicità televisiva e radiofonica deve essere riconoscibile come tale ed essere distinta dal resto dei programmi con mezzi ottici o acustici di evidente percezione".
  • Vieta inoltre la pubblicità diretta e indiretta degli articoli da fumo.
  • Vieta il diritto di sponsorizzazione ai fabbricanti e ai venditori di superalcolici, però consente la pubblicità diretta negli spot, benché resti vietato rivolgersi anche indirettamente ai minori, associare l'uso di alcolici alla guida di veicoli, indurre il pubblico a credere che i superalcolici contribuiscano al successo sessuale o a risolvere problemi psicologici. Il rilevante grado alcolico non può essere indicato come una qualità positiva della bevanda.
  • Niente spot e niente sponsorizzazioni per i farmaci disponibili solo con ricetta medica. Vietato anche usare come testimonial scienziati, operatori sanitari o persone largamente note al pubblico.
  • Essa inoltre fissa un certo numero di minuti di spot per ora di programma.

La legge Mammì ha proibito d'interrompere con messaggi commerciali i cartoni animali. Il decreto 425/91 stabilisce che la pubblicità televisiva non deve:

  1. esortare direttamente i minori ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulità;
  2. esortare direttamente i minorenni a persuadere genitori o altre persone ad acquistare tali prodotti o servizi;
  3. sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone;
  4. mostrare, senza motivo, minorenni in situazioni pericolose.

Tuttavia, le disposizioni di questa legge non hanno impedito, soprattutto nelle tv private, un vero e proprio "bombardamento" di spot. Al punto che le stesse aziende inserzioniste, nel '95, hanno stipulato un accordo con le concessionarie della pubblicità televisiva per contenere la concentrazione degli spot sotto il livello di guardia.

Sempre nel 1995 un referendum di iniziativa popolare denunciava la legge Mammì di violazione della normativa europea che statuisce l'inserimento di interruzioni pubblicitarie soltanto nell'intervallo di un film e non in qualunque momento.

L'emittenza privata replicava che questi spazi a pagamento sono indispensabili per finanziare la tv commerciale (che non può contare sulla riscossione del canone) e gli elettori respinsero la proposta referendaria.

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