Pubblicità sociale

LA PUBBLICITÀ SOCIALE

Nicola Mori
Itsos Fornovo (Parma)
(Classe 4 A)

Ho visto su Rai2 lo spot Pubblicità progresso contro le stragi del sabato sera e mi ha stupito il linguaggio vecchio che viene usato. Ma perché queste campagne sociali rivolte ai giovani non parlano il linguaggio dei giovani?


Fabozzi Onoranze Funebri
agenzia Reggio Del Bravo


Fabozzi Onoranze Funebri
agenzia Reggio Del Bravo

risponde Maurizio d'Adda
direttore creativo e partner della D'Adda, Lorenzini, Vigorelli

Si parla molto di comunicazione sociale, di Pubblicità Progresso, di come andrebbe fatta e di quanta ne servirebbe.
In realtà, in Italia la pubblicità sociale è poca, sporadica e, spesso, abbastanza inutile.
Questo avviene perchè nel nostro paese chi fa della pubblicità sociale è un volontario, lavora gratis e un pò a tempo perso.
Spontaneamente si fa una campagna a favore di qualcosa e non a favore di altro; gli sforzi sono pochi e poco sinergici.
Lo Stato, che in Gran Bretagna e in molte altre nazioni è un grande comunicatore, da noi pecca per latitanza. E quelle poche campagne promosse dai ministeri si distinguono per pressapochismo e mancanza di incisività.
Invece, credo che la pubblicità sociale, che inevitabilmente viene pianificata in mezzo ai tanti spot commerciali, debba distinguersi subito. Il messaggio dev'essere chiaro, conciso, andare subito al punto. Per esempio, le stragi del sabato sera, del dopo discoteca: è importante che facciano pensare spaventando.
Una provocazione? Niente affatto: i ragazzi non ascoltano, non accettano consigli, si credono invincibili. E' necessario che sappiano bene, loro figli della società dell'immagine, a cosa vanno incontro. La morte, o nei casi migliori un handicap fisico permanente.
In Gran Bretagna non hanno avuto tante remore, e hanno pianificato su tutte le tv uno spot che rappresentava ragazzi rimasti sfregiati, rovinati dagli incidenti. Quelle immagini valevano più di mille parole.
Penso fosse il linguaggio giusto, scioccante; in questi casi non si deve piacere, si deve convincere. Trovo perciò che i messaggi blandi, paternalistici, siano del tutto inutili.
Come inutili, credo, siano i messaggi in "ragazzese", che cercano di parlare come i ragazzi, di agganciarli con furbizia. I ragazzi sono troppo scafati per cascarci.
In altri casi, invece, la pubblicità sociale italiana ha fatto centro. Mi riferisco a una campagna contro la droga di un paio di anni fa. Non parlava direttamente ai tossici, tanto è inutile, ma si rivolgeva agli educatori: genitori, insegnanti, allenatori.
Secondo me è stato un modo efficace per parlare di un argomento delicato. Quando un ragazzo comincia a drogarsi, spesso è troppo tardi; intervenire prima, creando un ambiente ricco di valori e di amicizia, è importante.

Italiaoggi 29/01/98

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