IL PREGIO DI CERCARE ALTERNATIVE

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


IL PREGIO DI CERCARE ALTERNATIVE

L'intera vita occidentale è ormai diventata di un'assurdità inusitata. Non possiamo neppure dire: pur dopo sessant'anni di pace entro i confini di Stati Uniti, Europa e Giappone, perché diremmo una sciocchezza. Abbiamo in realtà avuto decine di conflitti regionali, in varie parti del pianeta, in cui in un modo o nell'altro siamo stati coinvolti, e la situazione sociale, interna alle nazioni economicamente più avanzate, mostra una crescente tensione, specie dopo l'ultimo dissesto finanziario originario negli Usa e propagandatosi ovunque. La crisi, generata dalle banche, dagli istituti finanziari, dalle borse, dalle speculazioni dei broker, da manager senza scrupoli e da affaristi di ogni risma, è stata fatta pagare ai lavoratori e ora che una timida ripresa sembra affacciarsi sui mercati, i livelli occupazionali restano al palo, anzi continuano a calare: ciò a riprova che le leggi del capitale sono opposte a quelle del lavoro.

Gli occidentali sembrano essere diventati un problema irrisolvibile per l'intero pianeta e, dopo il crollo del "socialismo reale", la loro cultura del business, in Cina, in Russia, in India, in Brasile e in tanti altri territori che fino a poco tempo o facevano parte del blocco socialista o appartenevano al cosiddetto "Terzo mondo", non è più vista come una sorta di invasione extraterrestre, ma come un modello da imitare, il più in fretta possibile, sfruttando a piene mani le risorse umane e naturali dei propri territori.

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Fondamentalmente noi siamo nocivi alla salute e all'ambiente, intenzionati a vivere di rendita sino al giudizio universale e privi di idee credibili, in quanto costantemente incoerenti nella pratica. Viviamo senza far nulla di davvero utile all'umanità. La quasi totalità dei consumatori occidentali non sa neppure l'origine di ciò che mangia, non conosce la fatica che ci vuole a produrre il proprio cibo. Noi conosciamo il nome dell'azienda che lo produce o lo smercia, ma non conosciamo chi materialmente lo realizza, in quali condizioni lo fa, se viene equamente retribuito. Sappiamo soltanto che di sicuro non è lui a decidere il prezzo dei suoi prodotti. Per il resto nulla di nulla, e poi con qualche scrupolo di coscienza parliamo di "commercio equo solidale".

Non sappiamo da dove, precisamente, viene ciò che usiamo, a parte la generica provenienza della nazione. Anzi, quando ci dicono che molte cose provengono dal Terzo mondo, pensiamo di essere noi a fare un piacere a loro comprando i loro prodotti. Come se loro fossero sui mercati coi nostri stessi titoli. Che poi in fondo sono i nostri stessi monopoli che sui nostri mercati vendono i loro prodotti.

Anche quando pensiamo di essere utili a qualcuno, in realtà produciamo cose che altri han già deciso per noi (i proprietari dei nostri mezzi di lavoro); cose che sicuramente non faranno il bene della natura, poiché sono tutte artificiali (dove la chimica, i derivati del petrolio e altre sostanze di sintesi hanno assoluta preminenza); cose che faranno anche crescere il pil di una nazione ma che non miglioreranno la qualità della vita, proprio perché noi non sappiamo più cosa voglia dire "vivere in maniera naturale".

Per noi "qualità" vuol dire "comodità", cioè ottenere le stesse cose e anche di più e meglio, il più velocemente possibile (per risparmiare sul tempo, che è un nemico mortale per l'obsolescenza dei macchinari), il meno faticosamente possibile (per risparmiare sul costo del lavoro) e, nel migliore dei casi (ma qui ci vuole una dirigenza davvero illuminata), il meno pericolosamente possibile, onde evitare che le spese della formazione incontrino ostacoli insormontabili nei problemi della sicurezza.

In pratica "qualità della vita" vuol dire "godersi la vita", lasciando ad altri il compito di faticare e di rischiare veramente. "Qualità della vita" significa aver tempo libero da dedicare ai propri interessi individuali o di piccolo gruppo.

Noi ci illudiamo di essere noi stessi quando pensiamo di poterlo essere in maniera autonoma. Quando p.es. viviamo da sedentari e quindi da alienati, ci ritagliamo un certo spazio per fare ginnastica, cioè per bruciare energie e restare in forma, non per produrre qualcosa di utile alla comunità (salvo il fatto che, se siamo in salute, la sanità pubblica spende meno per noi).

Le nostre case, per fare un altro esempio, non servono solo per mangiare e dormire, ma anche e soprattutto per viverci. La nostra vita è chiusa nelle quattro mura delle nostre abitazioni, che per noi sono un punto di forza del nostro benessere. Chiusi così, non abbiamo coscienza di nulla, non ci interessa più di tanto quel che sta fuori. Le news ci arrivano attraverso la televisione, mescolate assurdamente tra loro, dalle tragiche alle insulse, con assoluta indifferenza, come se fossero soltanto merci da vendere in un grande supermercato, dove pensiamo che la libertà stia nel poter scegliere tra venti dentifrici diversi.

Le news dicono tante cose, ma su nessuna di esse si può far qualcosa. Si può soltanto cambiare velocemente canale, per vedere e sentire sempre le stesse cose. Chi naviga in rete pensa di poter "interagire" con qualcuno, illudendosi di poter incidere su qualcosa o di poter avere ampie conoscenze con cui amministrare meglio la propria vita. Si pensa che, essendo in tanti, un qualche potere di resistenza o di cambiamento delle cose, lo si abbia e a volte sembra effettivamente così.

Ma i poteri forti non mollano, hanno più resistenza di noi, più mezzi, e tornano all'attacco, aggiustando il tiro delle loro restrizioni, il cui scopo è sempre quello di tutelare dei privilegi acquisiti. Non basta la rete virtuale per resistere, ci vuole anche quella reale.

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La nostra democrazia è la nostra dittatura quotidiana, che non ha bisogno d'essere feroce, in quanto ci ha già svuotati dentro. Siamo come pinoli chiusi, che all'apparenza sembriamo pieni, ma che si schiacciano al primo colpo.

Ci siamo illusi che dagli operai, dagli studenti, dagli intellettuali progressisti, dalla Russia e dalla Cina comuniste, dal Terzo mondo anticapitalista o non-allineato potessero venir fuori idee rivoluzionarie, in grado di cambiare le cose nella sostanza. Invece al massimo sono state cambiate alcune forme, alcune leggi, alcune abitudini, ma la sostanza è rimasta uguale: noi continuiamo a non restare padroni della nostra vita, siamo eterodiretti. Che sia un monopolio politico o economico non fa differenza. Che l'ideologia si serva dello Stato, del partito o delle aziende non cambia nulla.

La democrazia parlamentare, formale, statale, delegata, e poi il mercato, il valore di scambio, i bisogni indotti, i capitali dominanti, i profitti estorti, le rendite vergognose, gli interessi accumulati, la corruzione dilagante - tutto questo è la nostra alienazione, la nostra dittatura quotidiana.

Noi dobbiamo uscire da questo stato di cose, se ci è rimasto un briciolo di dignità. Dobbiamo opporre resistenza affermando insieme un'autonomia produttiva, una sorta di autoconsumo para-feudale, senza servaggi, senza clericalismi di sorta, in cui sia finalmente il valore d'uso delle cose a farla da padrone.

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Quali possono essere le prime regole fondamentali per riappropriarci della nostra vita, cercando di delegare ad altri meno cose possibili?

  1. Non usare mai nulla che la natura non possa riciclare agevolmente.
  2. Le cose che servono per riprodursi devono durare il più possibile.
  3. Se proprio si è costretti a scegliere tra esigenze umane e naturali, scegliere quelle naturali, perché si sbaglia di meno.
  4. Prima di creare qualcosa di artificiale chiedersi se quanto si trova in natura può essere sufficiente (o se si può fare usando materiali naturali).
  5. Quando è in gioco la sopravvivenza di un collettivo di vita, non fare mai scelte a titolo individuale.
  6. Progresso significa migliorare i rapporti con la natura, conservandola il più possibile integra e permettendole una facile riproduzione.
  7. Primato del valore d'uso vuol dire anzitutto primato dell'autoconsumo.
  8. Non parlare di cose che non conosci, che non riguardano la tua vita di gruppo o su cui non puoi offrire alcun contributo significativo per migliorarle.
  9. Ricomponi tutto il sapere alle cose essenziali che servono per vivere e riprodursi.
  10. Attieniti alle regole fondamentali della democrazia diretta:
    • nessuna decisione è irrevocabile;
    • il bisogno è superiore alla legge;
    • più bisogni più diritti;
    • nessuno è insostituibile o infallibile, neanche un organo collettivo;
    • la minoranza deve rispettare la volontà della maggioranza, previo dibattito franco e aperto;
    • a ognuno secondo il bisogno, da ognuno secondo le capacità;
    • le esigenze di un collettivo sono sempre superiori a quelle del singolo individuo;
    • la violazione della libertà di coscienza comporta la violazione di qualunque altra legge;
    • più la democrazia è delegata e meno poteri deve avere;
    • nessun ruolo o funzione può essere a vita o ereditario;
    • il diritto di espressione non può essere usato fino al punto da compromettere il diritto di associazione;
    • metodo e contenuto, sostanza e forma devono il più possibile coincidere;
    • la verità è sempre relativa alle condizioni di spazio e tempo, anche se la verità oggettiva è superiore a quella soggettiva.

PROGRAMMA MINIMO PER USCIRE DAL MERCATO

Porsi contro il denaro oggi vuol dire porsi contro il sistema in cui il denaro, nella sua forma di principale mezzo di scambio, di investimento e di accumulazione, è il fulcro di ogni forma di esistenza, nessuna esclusa. Un tempo il denaro era cosa che riguardava solo la città, non la campagna né la montagna: oggi investe il mondo intero.

Contro il sistema basato sul denaro, sia esso nella forma del capitale o nella forma di semplice mezzo di scambio, esiste un'unica soluzione: l'autoconsumo, cioè consumare direttamente ciò che si produce, senza passare attraverso l'intermediazione del mercato.

Sul mercato infatti il produttore prevale sul consumatore; nell'autoconsumo invece si equivalgono o addirittura coincidono, e là dove si diversificano è solo per cose non essenziali alla propria riproduzione, e quand'anche fossero cose essenziali, il bisogno di averle, tra produttore e consumatore, sarebbe reciproco. Questo perché in luogo del denaro domina il baratto, sulla base del quale entrambi i contraenti conoscono bene il valore delle merci che si scambiano. Sanno bene che il valore di un bene è stabilito dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrlo, senza interferenze di prezzi stabiliti dal mercato.

Nell'autoconsumo l'interdipendenza è solo fra produttore e consumatore, mentre quella che ci propone l'attuale sistema è una dipendenza unilaterale del consumatore nei confronti del mercato (e anche quella del produttore minore nei confronti di quello maggiore). Una delle componenti fondamentali del mercato è la borsa valori e cambi, che ancor meno del mercato può essere tenuta sotto controllo. Non solo la finanza marcia per conto proprio rispetto all'economia, ma ha anche il potere di distruggerla.

La comunità locale deve tornare a controllare l'uso dei mezzi produttivi locali, che le permettono di esistere e di riprodursi. Per poter controllare questo uso occorre che essa ne sia proprietaria esclusiva. I mezzi di produzione devono appartenere alla comunità locale.

Tutti i componenti della comunità locale devono chiedersi di cosa hanno bisogno per sopravvivere, senza dipendere dal mercato. La produzione va finalizzata alle esigenze locali. E devono anche chiedersi, nel caso in cui avessero bisogno di qualcosa che non riescono a produrre, se sia davvero essenziale averla, o quale sia il modo migliore per ottenerla, senza arrecare danno alla natura, o quale sia il prezzo che l'autonomia può essere disposta a pagare per ottenerla, senza arrecare danno a se stessa.

Per mettere in piedi una comunità del genere vi sono solo due strade di carattere generale: o si attende che il sistema crolli rovinosamente, e allora saranno gli eventi che in qualche maniera costringeranno a compiere la scelta dell'autoconsumo (e questa è una strada molto dolorosa, già sperimentata, p.es., col crollo dell'impero romano); oppure si comincia subito a riflettere su come creare un'alternativa concreta, uscendo progressivamente dal mercato. Questa è una strada pedagogica, sicuramente molto meno dolorosa, in quanto ci si educa lentamente ma con decisione consapevole, senza particolari traumi (se non quelli artificiosi e pretestuosi della coscienza), nella convinzione che i tempi di realizzo degli obiettivi, a causa di abitudini collettive profondamente sbagliate, saranno sicuramente molto lunghi.

Bisogna partire da una riflessione culturale sui valori della vita, cercando però, nel contempo, di realizzare quelle piccole cose che modificano in maniera tangibile il nostro stile di vita. Noi non dobbiamo comportarci bene per far star meglio il sistema: dobbiamo uscirne, per il bene anche di chi non è consapevole della sua disumanità o della sua incapacità strutturale a risolvere i conflitti di classe, gli antagonismi sociali.

E' un lavoro continuativo, verso obiettivi sempre più importanti, in rapporto anche al numero di persone che si riescono a coinvolgere.

Per partire bisogna chiedersi anzitutto da dove provengono i nostri alimenti, come vengono prodotti e quante possibilità abbiamo d'intervenire sulla loro produzione e distribuzione. Il consumatore deve cercare il più possibile di stabilire un rapporto organico, non occasionale, coi produttori locali e organizzare, con questi, la produzione e lo smercio dei beni per la comunità locale. Il produttore deve sapere in anticipo ciò di cui la comunità locale ha bisogno. Produrre esclusivamente per realizzare profitti è immorale e chi lo fa va estromesso dalla comunità locale.

Bisogna inoltre verificare se tutto quello che in questo momento stiamo usando è di fondamentale importanza per la nostra esistenza e se non è assolutamente sostituibile da nient'altro. Bisogna informarsi sulle possibili alternative praticabili. E' noto infatti che a parità di qualità costa di più un prodotto reclamizzato o di marca. E se anche la qualità non è identica, bisogna abituarsi a considerare i vantaggi sociali, che non sono immediatamente quantificabili. Siamo p.es. abituati a mangiare frutta senza imperfezioni esterne, pur sapendo che una frutta del genere è stata trattata con sostanze cancerogene.

Pensiamo soltanto all'uso dei dispenser che sostituiscono i contenitori di plastica o di vetro che ogni volta acquistiamo quando il loro contenuto è finito: dall'acqua al vino, dal latte all'olio e all'aceto, dai saponi ai detersivi. Non è solo una questione di risparmio: è anche un modo per dire basta ai produttori di contenitori usa e getta, all'inquinamento dell'ambiente. E' un modo per far capire al sistema che il consumatore vuole interagire col produttore, obbligandolo a fare scelte eco e socialmente compatibili.

La raccolta differenziata dei rifiuti non ha senso se, a monte, non si modificano delle abitudini sbagliate, dettate da logiche di mercato.

Ma pensiamo anche all'uso dei medicinali, in cui la chimica ha completamente sostituito la fitoterapia, una scienza durata non migliaia ma milioni di anni.

E che dire di quella incredibile tragedia che abbiamo arrecato alla natura sostituendo gli orologi a carica manuale con quelli a pila?

IL DESTINO CHE CI ATTENDE

Non siamo figli dei nostri genitori più di quanto non lo siamo del genere umano. Non possiamo sentirci vincolati a dei rapporti biologici quando ciò che ci caratterizza come esseri umani è soltanto la nostra umanità. Siamo tutti figli dell'universo e nessuno può pretendere, solo perché padre, di dire a un altro, solo perché figlio, come deve vivere la sua vita.

Gli uomini sanno che senza memoria storica non c'è futuro, ma devono essere lasciati liberi di capirlo da soli, anche perché non tutto, del passato, merita d'essere conservato.

Tutto il genere umano è parte di un destino comune, in cui le forme dell'esistenza possono essere diversissime, ma la sostanza resta sempre la stessa: la libertà, di cui quella di coscienza è in assoluto la più importante.

Il genere umano ha il dovere di comprendere cosa significa essere liberi. I tempi possono essere lunghi o corti, gli errori possono essere tanti o pochi, ma il destino è uno solo, uguale per tutti. E' da quando è nato lo schiavismo che abbiamo smesso di capire che cosa sia la libertà. E fino ad oggi, nonostante tutti gli sforzi compiuti per vincere l'oppressione, ancora non siamo riusciti a realizzare il nostro compito.

Abbiamo buttato via migliaia di anni, illudendoci di poter superare la schiavitù senza affrontare alla radice il problema della libertà. E così siamo passati da una schiavitù all'altra, mutandone solo le forme, rendendole sempre più subdole e sofisticate.

Un tempo, quando esisteva la schiavitù fisica, esistevano anche tante popolazioni libere, e una speranza di tornare liberi c'era. Oggi è l'intero mondo ad essere sottomesso alla volontà di chi detiene capitali. Che speranza possiamo avere di uscirne? Non possiamo più attendere che altri vengano a liberarci. Dobbiamo farlo da soli. Dobbiamo mettere paura a chi ci domina. E soprattutto dobbiamo porre le basi perché, dopo aver cacciato i mercanti dal tempio, non abbiano la possibilità di ritornarci. Dobbiamo porre le condizioni perché la rivoluzione planetaria non venga strumentalizzata da qualcuno per compiere una controrivoluzione, come i maiali di Orwell.

E' indubbiamente questo il compito più difficile. E' infatti più difficile odiare il nemico al punto da volerlo definitivamente abbattere che, una volta abbattuto, non diventare come lui.

L'unica vera condizione per poter affrontare in maniera concreta questo problema è quella di tenerci sotto controllo, cioè quella di creare dei collettivi in cui la responsabilità delle azioni resti personale e diretta, ovvero i poteri delegati siano di breve durata, rivedibili in qualunque momento e mai così ampi da risultare incontrollabili.

Collettivi di questo genere non possono essere molto vasti, altrimenti la democrazia si trasforma inevitabilmente in un qualcosa di formale, appunto perché prevede l'istituto della delega, della rappresentanza parlamentare, che è la principale forma in cui la borghesia esercita la propria dittatura.

Ma perché un collettivo possa essere politicamente autonomo, occorre che lo sia anche economicamente: di qui l'importanza dell'autoproduzione e dell'autoconsumo. Stato e mercato sono due nemici da abbattere. Patti di solidarietà tra collettivi e scambio alla pari di beni eccedenti sono le alternative che dobbiamo realizzare. E dobbiamo farlo anche a costo di opporre generazione a generazione, anche a costo di far fuori i nostri padri.

LE INUTILI ALTERNATIVE

Il problema maggiore delle moderne civiltà è che qualunque tentativo si faccia per risolvere determinati problemi finisce sempre per produrre nuovi problemi, spesso ancora più gravi dei precedenti. Noi sembriamo destinati a ottenere il contrario di ciò che vorremmo.

Prima che le civiltà antagoniste comparissero si doveva cercare di conservare, il più possibile inalterato, tutto il passato, per poter avere delle certezze sul futuro. Oggi invece non abbiamo alcuna cognizione del passato e viviamo alla giornata, del tutto ignari di ciò che ci attende, tanto che qualunque evento, anche disastroso come un crac borsistico, ci giunge assolutamente inatteso e pensiamo che prima o poi si risolva da sé (si pensi solo a quanto furono impreviste le due guerre mondiali).

Purtroppo però non possiamo non far nulla col pretesto che, facendo qualcosa, peggioreremmo la situazione. Se non facciamo niente, le cose peggiorano lo stesso, proprio perché esse sono frutto di rapporti antagonistici, le cui contraddizioni, stante l'attuale sistema che le produce, risultano irrisolvibili.

Infatti, quando si ha l'impressione ch'esse siano meno pesanti da sopportare, è perché il loro carico maggiore è stato trasferito su categorie sociali più deboli. In molti si sta pagando per far contenti i pochi. E questo meccanismo si verifica a tutti i livelli territoriali: locale regionale nazionale continentale mondiale, essendo strettamente intrecciati. P.es. se in ambito nazionale esiste un'imprenditoria che sfrutta la propria componente operaia, esse, insieme, sfruttano le aree del Terzo Mondo.

Insomma non c'è solidarietà tra sfruttati: ognuno se la deve vedere da solo coi propri "padroni". Il capitale vuole il globalismo per gli scambi commerciali e finanziari e per il mercato del lavoro, ma si opporrebbe con qualunque mezzo, anche il più devastante possibile, all'idea di un'opposizione internazionale al sistema.

Il crollo dell'impero romano (la maggiore società schiavistica del mondo antico) dovremmo vederlo come esempio emblematico, a livello territoriale (in quanto i suoi confini erano abbastanza definiti), di cosa potrebbe accadere al nostro sistema, che è capitalistico, i cui confini non esistono, essendo un fenomeno mondiale.

La differenza, tra allora e oggi, è che a quel tempo esistevano, in Asia e in Europa orientale, molte popolazioni in grado di opporre resistenza all'idea di "schiavismo"; oggi invece l'idea di "socialismo" sembra aver perduto qualunque forza propulsiva. Il motore della nave s'è spento e non possiamo sostituirlo con la vela, perché ci era stato detto che, in nome del progresso tecnologico, non ne avremmo più avuto bisogno. Siamo praticamente in balia dei venti.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018