DINASTIE E SOCIALISMI DI STATO

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


DINASTIE E SOCIALISMI DI STATO

I

Un "socialismo di stato" ante litteram è esistito non solo nell'antico Egitto, ma anche in Cina, in India, in Mongolia, nelle civiltà pre-colombiane, ovunque si sia affermata l'idea che la terra, bene più prezioso, può appartenere soltanto a un'istanza superiore (re, imperatore, stato...), cui tutti i cittadini obbediscono a seconda del grado, della funzione, dell'importanza che ricoprono.

Per molto tempo la storiografia occidentale ha ritenuto che tale socialismo di stato fosse una prerogativa delle società asiatiche e anche il motivo della loro arretratezza. Oggi invece s'è appurato ch'esso esiste, molto semplicemente, là dove l'individualismo, nell'ambito della società civile, è poco sviluppato, per cui, anche se l'attuale sistema capitalistico mondiale è frutto dell'individualismo borghese, non è detto che quelle forme passate di socialismo fossero meno avanzate dei regimi basati sulla proprietà privata della terra e degli schiavi.

Già i classici del marxismo erano arrivati a dire, in maniera però molto succinta, che la proprietà statale della terra era esistita anche in Europa occidentale, dopo quella collettiva del comunismo primordiale e prima di quella privata del periodo schiavistico; sicché la nascita dello Stato andava, in un certo senso, considerata antecedente a quella delle classi contrapposte, dove ogni classe cerca d'impadronirsi delle leve dello Stato per opprimere le altre. Purtroppo, abituati com'erano a ragionare solo in termini strutturali, Marx ed Engels si davano delle spiegazioni solo fenomeniche, senza far valere le ragioni ontologiche della cultura.

Giustamente però avevano capito che la distruzione dello schiavismo romano non comportò, da parte dei barbari, un ritorno a quel socialismo statale ante litteram (detto anche "modo di produzione asiatico"), ma si riconfermò la proprietà privata della terra. Infatti, quando i barbari entrarono in Europa occidentale erano già culturalmente occidentalizzati, non solo perché di religione cristiano-ariana, ma anche perché da secoli erano stati abituati a commerciare con l'Occidente. Si può anzi dire che in Europa il socialismo statale finì quando i greci respinsero l'invasione persiana: la democrazia delle classi contrapposte aveva vinto la dittatura di una casta di funzionari statali che si serviva, per imporsi, di truppe mercenarie, anche se poi Atene e Sparta s'indebolirono enormemente durante la guerra del Peloponneso, permettendo così ai persiani di tornare alla carica con rinnovato vigore, salvo poi essere definitivamente sconfitti dall'impero macedone di Alessandro Magno.

Ora, chiunque si rende conto che quando manca l'individualismo - che è il principale ostacolo al consolidarsi di un potere politico centralizzato -, deve per forza svilupparsi, in seno allo stesso potere istituzionale, il timore che la successione dinastica non sia di per sé sufficiente a garantire la solidità del sistema.

In effetti i problemi cui vanno incontro i regimi impostati sulla dinastia sono almeno tre: l'esaurimento della linea maschile e quindi la necessità di prendere in considerazione anche quella femminile; la debolezza strutturale, in senso genetico, di tutte le dinastie, i cui componenti sono costretti a sposarsi tra loro.

A questo secondo problema - che risultò molto grave p.es. in Egitto - le dinastie han sempre cercato di trovare una soluzione nelle politiche matrimoniali volte ad allargare possedimenti e parentadi. I matrimoni d'interesse strategico sono sempre stati ricercati dalle dinastie non solo per superare l'inevitabile indebolimento genetico dovuto a matrimoni tra consanguinei, ma anche e soprattutto per allargare i propri confini territoriali.

Tuttavia matrimoni del genere non sono così facili e frequenti. Si arriva sempre a un punto in cui la dinastia si estingue, ed è proprio in quel momento che ci si chiede se sia il caso di sostituirla con un'altra (come in genere avveniva) o invece se porre fine al concetto stesso di "dinastia", ipotizzando un nuovo sistema sociale, fondato più sulla democrazia e meno sulla aristocrazia di sangue, o comunque più su una partecipazione allargata ai poteri istituzionali e meno sulla loro concentrazione in poche mani privilegiate.

Ma vi è un terzo problema che tutte le dinastie devono affrontare e che, in genere, non riescono a risolvere. È il fatto ch'esse sono organismi eminentemente, anzi esclusivamente politici, privi di agganci significativi alla realtà sociale. Il loro principale difetto è la staticità, l'incapacità di far progredire lo Stato in rapporto alle mutevoli esigenze della società. Le dinastie pretendono sempre, anche giustamente, di subordinare l'economia alla politica, ma la politica che amministrano non ha come scopo quello di fare il benessere dei cittadini. La dinastia vede anzitutto i propri interessi di potere, che tende costantemente a mascherare con valori di vita religiosi o idealistici, mostrando che un'esistenza di tipo aristocratico è più dignitosa di una di tipo borghese; e quando, in subordine a tali interessi di potere, essa osserva le esigenze sociali, teme sempre che queste, sviluppandosi, possano minacciare una collaudata stabilità.

Pertanto, inevitabilmente, tutte le dinastie sono repressive, soprattutto quando la società civile avanza delle pretese. Quando si è al comando di uno Stato e non si ha il polso della situazione reale dei propri cittadini, ogni mutamento nell'ambito del sociale viene guardato con occhi molto sospettosi. Sotto questo aspetto non fa molta differenza che la dinastia si appoggi a uno Stato favorevole a una casta di funzionari pubblici o a uno Stato favorevole a latifondisti e imprenditori privati. La differenza sta appunto nella diversità delle culture. Che uno Stato consideri "schiavi" i propri cittadini, pur non prevedendo formalmente l'istituto della schiavitù; o che invece siano a farlo i latifondisti e gli imprenditori privati, è solo questione di tradizioni secolari.

II

L'Europa, in tal senso, è un'area geopolitica così complessa che, per capirla anche solo un minimo, andrebbe analizzata caso per caso. Quando nella parte occidentale si comincia a ventilare l'ipotesi di costruire degli Stati nazionali, le due principali entità imperiali erano state già fatte a pezzi, anche se formalmente sopravvivranno per ancora molti secoli.

Con la morte di Federico II di Svevia (1250) e l'eliminazione della sua discendenza per mano angioina, secondo il volere del papato, che non gradiva i germanici nel Mezzogiorno, in quanto era nelle proprie ambizioni potersi impadronire di quel territorio, finisce l'idea di voler realizzare in Europa occidentale un sacro romano-germanico impero, sostanzialmente di tipo aristocratico. Gli Svevi avevano incontrato tre irriducibili nemici: la chiesa romana, i Comuni italiani e gli Angioini. Quest'ultimi erano una dinastia aristocratica con ambizioni di espansione territoriale che non aveva potuto soddisfare in Francia, essendo stata battuta dai Valois (1328-1589), e che nel Mezzogiorno verrà eliminata definitivamente dagli Aragonesi nel 1442.

I veri vincitori di quella incredibile lotta politico-istituzionale (impensabile, p. es., a Bisanzio) furono in realtà i Comuni italiani, decisi a trasformarsi in Signorie e poi in Principati, anche se, quando verrà il momento di diventare una nazione, preferiranno restare divisi, esponendosi alla facile occupazione della Spagna e dell'Austria e lasciandosi pesantemente condizionare dal potere clericale del papato. L'Italia, che era diventata borghese, e quindi laica, prima di tutti i paesi europei, non seppe fare né una "riconquista cattolica" in stile ispanico, cacciando gli stranieri, né una riforma protestante, con cui eliminare lo Stato della chiesa. Semplicemente uscì dalla storia sino alla fine dell'Ottocento, quando ritrovò fiducia negli ideali laico-democratici, accorgendosi però, subito dopo, che se voleva recuperare il tempo perduto, in senso borghese, doveva affidarsi a una dittatura, prima sabauda (dinastica) e poi fascista.

La stessa chiesa infatti - l'altro grande impero feudale del Medioevo europeo -, stava per essere travolta da una nascente forza semi-nazionale: la Francia, che, con Filippo il Bello impose al papato la prigionia dorata della sede avignonese (1309-77). Formalmente il titolo d'imperatore verrà eliminato da Napoleone nel 1806, mentre il potere temporale del papato subirà un drastico ridimensionamento con la breccia di Porta Pia del 1870.

Quando cominciarono a formarsi, nel Medioevo, le nazioni europee, alla classe sociale dei nobili, detentrice della proprietà della terra, si stava progressivamente affiancando, protagonista sul piano commerciale e imprenditoriale, quella borghese, unita alle forze rurali per liberarsi di un nemico interno e/o esterno. In Francia si sbarazzarono degli inglesi e di molta aristocrazia, massacrata nella guerra dei Cent'anni (1337-1453); in Inghilterra le dinastie dei Lancaster e York si fecero a pezzi nella guerra delle Due Rose (1455-85), determinando, con la nuova dinastia dei Tudor, la nascita della moderna Inghilterra anglicana. In Spagna e Portogallo il cattolicesimo feudale costruì la nazione eliminando i rivali islamici ed ebrei, che però, sfortunatamente per i destini della penisola iberica, erano anche i più produttivi economicamente, sicché queste due nazioni s'illusero di poter restare feudali, dopo aver realizzato il loro impero coloniale, a fronte di altre tre nazioni rivali: Francia, Inghilterra e Olanda, il cui carattere borghese, con la guerra dei Trent'anni (1618-48), era definitivamente trionfato.

Se si guarda invece l'Europa orientale, bisogna dire che il concetto di "dinastia" ebbe una durata molto più lunga, a testimonianza che l'individualismo dell'area occidentale, prima feudale (nettissimo coi due provvedimenti che sancirono la proprietà privata della terra: Capitolare di Quierzy, dell'877, e Constitutio de feudis, del 1037, e soprattutto col tentativo della chiesa romana di fare del papato una monarchia assoluta e universale, sia in campo politico che religioso), poi borghese (ancora più evidente con l'opposizione all'imperatore da parte delle città), era un'eccezione alla regola, anzi una vera e propria anomalia storica.

La borghesia, per vincere, aveva bisogno d'una monarchia che la proteggesse, la quale, pur essendo d'origine aristocratica, doveva permetterle di svilupparsi economicamente come meglio credeva, sia dentro i confini nazionali che all'estero, compiendo guerre con altre nazioni, qualunque fosse il motivo in gioco.

Viceversa le aristocrazie dell'Europa centro-orientale furono abbastanza pacifiche, salvo quando cominciarono a rendersi conto che la loro tradizionale stabilità stava subendo degli scossoni molto pericolosi. Per un momento tutte si illusero che con la sconfitta di Napoleone i loro destini sarebbero durati in eterno. Ci riferiamo alle dinastie presenti negli imperi russo, prussiano, austro-ungarico e ottomano. Forse l'unica dinastia europea che si distinse senza fare troppo rumore fu quella bizantina, ma solo perché la sua agonia era stata lenta e progressiva. Con la morte di tutti gli imperi feudali, durante la prima guerra mondiale, finisce l'idea che la classe aristocratica dovesse considerarsi migliore di quella borghese.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018