IL MEDIOEVO PROSSIMO VENTURO

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


IL MEDIOEVO PROSSIMO VENTURO

L'egoismo del presente è frutto di una decisione storica, individuale e collettiva, più consapevole in alcune classi, più indotta dalle circostanze in altre, in un modo o nell'altro accettata dalla maggioranza dei componenti di una determinata popolazione: quella di abbandonare il passato pre-borghese, giudicandolo inutile, se non addirittura nocivo ai fini dell'emancipazione umana.

Privi di memoria, per molto tempo (le origini della mentalità borghese risalgono in Europa al XVI secolo, in Italia e nelle Fiandre addirittura al Mille) siamo stati convinti che il futuro si sarebbe svolto seguendo le modalità del nuovo presente, ovvero che non vi sarebbe più stato un ritorno al passato. Il futuro doveva essere una prosecuzione in meglio del presente, senza soluzione di continuità.

Con la parola "benessere" si doveva anzitutto intendere il miglioramento del tenore di vita, l'aumento delle comodità. "Bene-Essere" sottintende, ancora oggi, nel mondo occidentale, la proprietà dei beni materiali, dalla quale si fa dipendere tutto il resto.

L'essere coincide con la proprietà, cioè si sta "bene", si è "liberi", si è "realizzati" come persone tanto più quanto più si possiede. In questa concezione materialistica della vita ciò che soprattutto si teme sono le malattie, l'invecchiamento, la morte, e ovviamente la povertà.

Il presente vuole vivere solo per se stesso, nella certezza di potersi riprodurre all'infinito nel proprio egoismo, la cui natura viene mascherata da ideologie religiose e idealistiche. L'unico passato che siamo disposti a valorizzare è quello che più ci somiglia, quello dei conflitti sociali, delle attività commerciali, del protagonismo dei mitici eroi, delle innovazioni tecnologiche, delle imponenti costruzioni architettoniche, delle guerre di conquista, del colonialismo culturale e religioso.

Tutto il passato diverso da questo è stato storicamente emarginato, scientificamente male interpretato, se non addirittura politicamente censurato. Si è spezzata una continuità plurimillenaria, nella convinzione di poterne creare un'altra in maniera del tutto autonoma, avvalendosi, quasi in maniera magica, feticistica, degli enormi poteri della scienza e della tecnica. Abbiamo anteposto "artificiale" a "naturale".

Che succederà quando questo sogno ad occhi aperti verrà infranto da qualche evento improvviso, non previsto? Saremo pronti ad affrontare le crisi di sistema senza cadere nel panico? Già adesso i fatti stanno dimostrando che anche un abbassamento progressivo del tenore di vita, per noi che siamo abituati a considerare la proprietà il valore n. 1, può indurci a reazioni incontrollate, tipiche delle persone individualiste, che non contano sulla collaborazione altrui.

Negli anni Settanta lo choc petrolifero fu affrontato in maniera collettiva, perché quelli erano gli anni della contestazione e non ci si vergognava di non essere all'altezza dei tempi.

Oggi invece la miseria porta facilmente alla disperazione e, in certi casi, anche al suicidio, o comunque ad assumere atteggiamenti molto pericolosi per la sicurezza altrui.

Di fronte a una crisi improvvisa, p.es. di tipo energetico, come quella del 1973, o di tipo finanziario, come quella del 1929, oggi reagiremmo in maniera molto più irrazionale, proprio perché sono aumentati, procedendo in parallelo negli ultimi 30 anni, sia il benessere materiale che l'individualismo.

Oggi ci sentiamo più ricchi e più soli, e ogni progressivo indebolimento del nostro potere d'acquisto ci terrorizza, ci fa vergognare d'esistere, ci porta a rinchiuderci sempre più in noi stessi, riducendo i consumi al minimo, risparmiando al massimo.

Solo adesso il futuro comincia davvero a farci paura. La crisi energetica, i disastri ambientali, la precarietà del lavoro, i costi sempre più elevati dei beni essenziali e soprattutto l'incapacità della politica di risolvere qualunque serio problema, sono tutte cose che ci spingono a guardare con molto scetticismo il nostro immediato futuro, anche perché abbiamo la netta impressione di non poter più riprendere gli stili di vita pre-borghesi, di non poter più avvalerci delle conoscenze, delle abilità, delle risorse del passato, come invece potevano ancora fare, in qualche modo, le generazioni che ci hanno preceduto.

La tentazione di affidarsi a soluzioni autoritarie di tipo militare sta diventando molto forte. Noi non siamo più in grado né di recuperare un passato che abbiamo voluto tenacemente distruggere, né di guardare con serenità il futuro che ci attende.

L'unica speranza che abbiamo è quella che, al cospetto di qualche grave catastrofe, si riesca a ritrovare la dimensione del collettivo, in virtù della quale possa sorgere l'esigenza di affermare valori opposti a quelli che non ci fanno essere noi stessi.

Non sarà un processo indolore e tanto meno di breve durata. La speranza, quella vera, è di ritornare al Medioevo, ma senza clericalismo e soprattutto senza servaggio.

L'EUROPA PROSSIMA VENTURA

È ormai evidente che il mondo contemporaneo è entrato in una nuova epoca. È finita la "guerra fredda" tra est e ovest, i regimi del cosiddetto "socialismo reale" sono crollati, è emersa la consapevolezza che tutti i paesi del mondo sono fra loro dipendenti e interconnessi, si comincia finalmente a parlare della possibilità concreta di costituire gli Stati Uniti d'Europa (a cui gli stessi paesi est-europei vogliono partecipare a pieno titolo).

È vero l'Europa continua ad essere il terreno di una certa contrapposizione ideologica, politica e militare, ma il processo di pacificazione inaugurato alla Conferenza di Helsinki (cui hanno partecipato anche gli Stati Uniti e il Canada) sta andando avanti, seppure lentamente. Le decisioni che si adottarono in quella Conferenza sui diritti umani, civili e politici, indicavano i modi concreti per realizzare l'unità del continente europeo su una base equa e pacifica.

Quel che è certo è che la futura Europa unita sarà il frutto della coesistenza pacifica e della cooperazione reciprocamente vantaggiosa: non sarà l'imposizione di un modello o di uno stile di vita su un altro. Il concetto di "casa comune" può essere accettato, ma a condizione che ogni "famiglia" abbia il suo "appartamento" e che vi siano diversi "ingressi". O la casa viene tenuta in piedi da uno sforzo collettivo, oppure persisterà la minaccia di un crollo.

Che l'Europa abbia bisogno di una politica "globale", paneuropea, sovranazionale, lo dimostrano una serie di fattori:

  1. Le armi di cui dispone sono così potenti e così distruttive che un loro impiego, anche minimo, renderebbe inabitabile il continente: una responsabilità così grande non può essere gestita da singole nazioni, in modo separato.
  2. L'Europa è una delle regioni più industrializzate del mondo: i problemi ambientali ed ecologici ch'essa continuamente crea sono comuni a tutto il continente, anzi oltrepassano i suoi stessi confini.
  3. Lo sviluppo economico, il progresso tecnico-scientifico sono diventati così sofisticati che nessuna singola nazione, senza un'ampia cooperazione delle altre, è più in grado di garantire.
  4. I problemi globali del mondo sono così complessi (da quello energetico a quello ecologico, da quello del sottosviluppo a quello della criminalità organizzata), che solo in maniera collettiva si può pensare di risolverli.

Le opportunità che gli europei hanno di risolvere questi grandi problemi non sono poche:

  1. l'Europa ha il più vasto e autorevole movimento pacifista del mondo, in grado di abbracciare tutti gli strati sociali: dopo le due guerre mondiali, la coscienza della inammissibilità di una nuova guerra la lasciato una profonda impronta nella memoria storica degli europei.
  2. La tradizione politica dell'Europa per quanto riguarda il livello di gestione degli affari internazionali è la più ricca del mondo. Disponiamo di una visione assai realistica della politica: nessun altro continente, preso nel suo complesso, ha un sistema così ramificato di negoziati, consultazioni, trattati, ecc.
  3. Il potenziale economico, tecnico e scientifico dell'Europa è immenso, anche se potrebbe essere utilizzato in maniera più collegiale e quindi più produttiva.
  4. L'Europa "dall'Atlantico agli Urali" - come si suol dire - è un'entità storico-culturale unita dalla comune eredità del Cristianesimo (cattolico, ortodosso e protestante), del Rinascimento e dell'Illuminismo, dei grandi insegnamenti filosofici e sociali del XIX e del XX secolo.

A dir il vero l'Europa che ci accingiamo a varare, sarà anzitutto un "mercato unico", in quanto le prime cose che si faranno riguarderanno la sfera economica, finanziaria, creditizia... Ad es. nessun paese potrà limitare in alcun modo le importazioni dagli altri partner europei; allo stesso modo dovranno essere liberalizzati i trasporti fluviali e quelli passeggeri su strada; saranno abolite le dogane; i risparmiatori potranno scegliere dove e a quali condizioni depositare i propri risparmi o acquistare titoli; vi sarà un'integrazione fiscale; vi sarà persino un mercato unico dell'acqua e della luce. Ma questa progressiva unificazione economica porterà inevitabilmente, col tempo, a quella culturale, politica, ideale.

Il futuro "culturale, politico e ideale" dell'Europa dipenderà molto da come si sarà riusciti ad impostare l'organizzazione economica. Il mercato unico europeo avrà circa 330 milioni di abitanti e sarà del 20% più grande di quello americano. Senza ombra di dubbio avverrà un formidabile processo di concentrazione aziendale, tanto nell'industria quanto nei servizi. È evidente infatti che se è possibile stare su un mercato di 50-60 milioni di persone con un'azienda media, diventa impossibile riuscire con la stessa impresa a sfruttare le potenzialità di un mercato 5-6 volte più grande. L'esperienza americana ce lo insegna: i loro giganti industriali sono la diretta conseguenza della vastità del loro mercato.

L'Italia farà fatica ad adattarsi a queste nuove esigenze. Il nostro sistema produttivo, a parte qualche eccezione, è composto di aziende medio-piccole: persino la struttura di quelle grandi è di tipo familiare. Da noi il potere politico ha sempre avuto paura di un potere economico troppo grande e forte. E quindi ne ha favorito uno sviluppo "domestico", provinciale, mediato dalle banche e dai finanziamenti pubblici.

Un altro aspetto che l'Europa unita dovrà affrontare con molta decisione è la formazione di una propria identità culturale, necessariamente diversa da quella americana che dagli anni '50 ad oggi tende a dominare, attraverso l'uso dei mass-media, nel nostro continente. Certi valori o principi risultano sempre più estranei alle nostre più autentiche tradizioni: al posto della ragione vera e propria è subentrato l'arido tecnicismo, la verità è stata identificata con l'utilità, il progresso umano è stato ridotto al progresso tecnico, la dimensione spirituale delle cose è stata sostituita da necessità strettamente pratiche, l'individualismo e il divismo caratterizzano i rapporti umani. L'Europa ha subìto questi valori e stili di vita d'oltreoceano semplicemente perché era divisa al suo interno: ora sembrano finalmente giunti i tempi di un'affermazione autonoma della nostra personalità di europei.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018