ASSASSINI, TERRORISTI E RIVOLUZIONARI - omaggio a Lenin

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L'autogestione di una democrazia diretta


ASSASSINI, TERRORISTI E RIVOLUZIONARI
omaggio a Lenin

Lenin

Noi non sappiamo perché la natura ci fa così, con queste nostre caratteristiche psico-somatiche, da viversi in una limitata condizione spazio-temporale. Noi le ereditiamo da chi ci ha preceduto e dobbiamo cercare di gestirle in modo da non dover negare la nostra umanità.

Il compito che abbiamo è quello di essere noi stessi anche se vorremmo essere diversi (più forti, più sani, più belli, più ricchi ecc.). Chi non accetta la propria condizione è un alienato, nel senso che si è "diviso" dalla propria umanità.

Naturalmente questo discorso potrebbe far comodo a quegli alienati che governano gli individui, cioè a quelle persone che sono più alienate di altre e che vogliono far di tutto per sentirsi e apparire diverse, e che soprattutto non sopportano chi li ostacola in questo loro cammino di successo.

E' proprio così che scoppiano le rivoluzioni. Quando gli individui non riescono più a gestire le loro caratteristiche psico-somatiche in determinati ambienti spazio-temporali, in maniera tale da non dover contraddire la loro propria umanità, cioè quando ci si trova costretti a far cose che non si vorrebbero e non si ha alcuna voglia di addebitare alle proprie caratteristiche la fonte delle proprie disgrazie, in quanto si ritiene vi siano cause molto più gravi, assolutamente insopportabili, indipendenti dalla propria volontà e anzi chiaramente dipendenti dalla volontà dei cosiddetti "poteri forti", ecco che scatta l'esigenza di farla pagare a qualcuno e forse all'intero sistema.

La diversità tra un assassino, un terrorista e un rivoluzionario sta proprio in questo, che il primo elimina chi, secondo lui, ha caratteristiche migliori delle proprie e sembra sopportare meglio il peso delle contraddizioni sociali (si pensi p.es. a quando nella storia le comunità cercano un capro espiatorio, ma anche agli assassini a titolo individuale e che magari erano partiti semplicemente coll'intenzione di rubare, ma anche a quelli che per sentirsi "diversi" entrano nella criminalità organizzata). Ci si vuol fare giustizia da sé, a spese altrui (cioè di chiunque appaia stare meglio), nella speranza di poter migliorare la propria condizione personale, facendo leva solo sulle proprie capacità o su quelle del proprio clan.

Il terrorista invece fa di tutto per eliminare fisicamente i centri dei poteri dominanti (istituzionali, personali, economico-produttivi), e qui è impossibile che non vengano in mente i regicidi, le Brigate Rosse, Al Qaeda ecc. Il terrorista vuol compiere un gesto estremo, individualistico o di un piccolo gruppo isolato, che abbia rilevanza simbolica, possibilmente a livello mondiale; un gesto che si vuole far apparire come dettato da ideali di giustizia per l'intera collettività di oppressi.

Il terrorista s'illude sempre che il potere s'intimorisca, che scenda a trattative particolari con lui, quando invece di regola si fortifica, accentuando i suoi lati autoritari.

Nel mondo religioso il terrorista si serve spesso del tentativo di far coincidere martirio con suicidio. Oggi lo vediamo in alcune frange islamiche fondamentaliste, ma nel passato lo si poteva constatare anche tra i cristiani, i quali, con molta più astuzia degli odierni estremisti, facevano in modo che il loro martirio passasse per un assassinio di stato. Per far questo bastava dire di voler rispettare tutte le leggi dello Stato, ad eccezione di quella che impediva di credere nella divinità del solo Gesù Cristo (e non anche in quella dell'imperatore).

Si facevano ammazzare per un diritto giusto (quello di credere nelle proprie convinzioni), e trascuravano tutti gli altri diritti (sociali, economici, politici...), e per sembrare migliori degli altri credenti, in quanto appunto martiri dello Stato, amavano esasperare le situazioni, portarle a un punto di rottura insanabile, amavano anche infiltrarsi negli ambienti più prestigiosi del potere; infatti appena poterono, pretesero che la loro religione fosse l'unica ammessa e cominciarono a perseguitare tutti gli altri credenti.

I rivoluzionari invece sanno bene che se non insorge il popolo o comunque la sua maggioranza, o comunque quelli che non hanno più nulla da perdere e che non faranno marcia indietro, una volta presa la decisione di insorgere, quelli che non "giocheranno a fare i rivoluzionari", proprio perché temono che in caso di sconfitta la reazione di chi comanda sarà spietata e crudele, ebbene costoro sanno con certezza che senza il popolo non esiste alcuna possibilità di successo. Tra questi rivoluzionari il più grande che la storia abbia mai avuto è stato Lenin.

Chi vuol fare il rivoluzionario e non cerca di capire come sia stato possibile che un uomo abbia potuto preparare nel proprio paese, stando all'estero, in neppure vent'anni, la più grande rivoluzione della storia, una delle pochissime ad avere avuto successo, per quanto successivamente tradita dallo stalinismo, non ha speranze di sorta.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018