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TUTTO, O QUASI, QUELLO CHE AVREMMO VOLUTO SAPERE SU COMUNIONE E LIBERAZIONE
Bruno Vergani
(Prima Parte)
Coloro
che frequentano “La Terra di Nessuno” conoscono l’“attrazione fatale” che Comunione e Liberazione, ( per
gli amici Cielle), ha sempre esercitato sul curatore del sito, che,
pur non avendone, grazie a Dio, mai fatto parte, ha avuto modo di
conoscere molto da vicino, nel corso di non poche battaglie,
militanti ed iscritte/i. Mi sembra, pertanto, “veramente
cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere”
nota “qui ed in ogni luogo” l’articolata recensione
di Bruno Vergani [1] al ponderoso, ma non sempre ponderato,
volume: 1350 pagine, scritto da Alberto Savorana: “Vita di don
Giussani”. In qualche frase, il linguaggio è “per
addetti ai lavori”, ma, nel complesso la recensione è
non solo un’istruttiva miniera d’informazioni, ma anche
divertente.
1)
Nel redigere di umane vicende, le “cose” vengono
inevitabilmente a esistere attraverso l’angolazione di chi le
scrive. Alberto Savorana - autore della biografia «Vita di
don Giussani» - informa, dunque lealmente e dall’introduzione,
dell’amicizia devota al protagonista, nucleo affettivo dal
quale svilupperà il saggio biografico: “A lui i fatti
della mia vita - interessi, professione, famiglia - sono strettamente
legati. Nel rapporto di lavoro e di amicizia con don Giussani mi
sono trovato dentro un flusso esistenziale e storico - “una
febbre di vita”, come amava dire -, che non si è mai
interrotto”. Chi cerca una biografia conforme allo “statuto
epistemologico storiografico” ha, pertanto, sbagliato posto: a
don Giussani l’Autore vuole bene e intende onorarlo
celebrandolo. Legittima e libera proposta di patto narrativo che,
fatta salva la medesima legittima libertà di critica per il
lettore-recensore, abbiamo accettato. Recensore appartenuto nel
periodo 1970-1980 a Comunione e Liberazione, momento storico che
nella biografia appare cruciale, sia in ambito ecclesiale che
sociale. (Quindi, pure il recensore ha fatto parte della “famiglia
giussaniana” ed è “persona informata dei fatti e
degli arcani”; NdA). Impegnato a Milano nella prima metà
di quel decennio a scansare sprangate di extraparlamentari devoti a
Lenin - da quelle parti e in quel periodo era d’uso appartenere
a una qualche Chiesa -, nella seconda metà a frequentare
regolarmente Giussani, all’interno del gruppo monastico Memores
Domini da lui guidato.
2)
Appare irrefutabile, appurate le premesse, l’incombente rischio
di scivolate agiografiche che Savorana, nello svolgersi biografico,
riesce in parte a attutire omettendosi: un Piccolo scrivano
fiorentino che riporta e raccorda citazioni, scritti di altri,
circostanze e testimonianze attinenti al protagonista, evitando,
perlopiù, di dire “la sua”, se non chiarendo
passaggi complessi e armonizzando conflittualità all’interno
di una visione mitica, che interpreta Giussani paladino di verità,
bellezza e giustizia. (Praticamente, una reincarnazione del
paladino Orlando, Agostino di Ippona, Michelangelo e re Salomone in
una stessa persona; NdA). In un approccio affettivo o
fondamentalistico, che accetta come certi i presupposti narrativi,
nella fattispecie l’identificazione della presenza di Cristo
con Giussani e Comunione e Liberazione, l’opera può
essere letta come un avvincente e seducente (a chi piace il genere)
romanzo amoroso-cavalleresco valoroso per estensione (1350 pagine),
ma è sufficiente un minimo di pensiero attivo, di
decostruzione nel merito, perché il fascino lasci posto a
numerose perplessità. Pur riportando accadimenti
conflittuali vissuti da Giussani oltre a sporadici frammenti di
testimonianze non entusiastiche sulla sua figura, la biografia
risulta, nell’insieme, omissiva per scelta di materiali
tendenzialmente conformi - come da programma - alla celebrazione,
sovente tanto omogenei da risultare concelebrativi. Lo stile della
biografia, nel riportare stralci estrapolati dai discorsi e dagli
scritti più ‘vigorosi’ di don Giussani (a
beneficio del biografo, va riconosciuta la quasi impossibilità
di rintracciarne di non vigorosi) evoca, per piressia, “I
dolori del giovane Werther” del primo Goethe. Una realtà
passionale dipinta con smisuranza che narra di dolori supremi o di
godimenti traboccanti, con - a differenza di Goethe - copiosità
di aggettivi e avverbi gagliardi oltre a verbi un po’ circensi:
“travolgere, rischiare, sfidare, abbagliare, gridare,
sobbalzare, percuotere, schiantare, irrompere, stupire, esplodere”
favorenti l’esaltazione e inibenti l’inferenza. Narrazione
che, attraverso un insolito linguaggio binario di “disgrazia/grazia”,
conduce in una atmosfera a tratti asfittica a tratti iperossigenata,
in un pianeta abitato da individui col fiato mozzato e gli occhi
sbarrati, o per terrore della personale disperata e mortale miseria
umana, o perché stupefatti dalla sovrabbondante grazia di un
Dio che, fattosi uno di loro, entra traboccante nel tempo-spazio
salvandoli dall’orrore.
3)
La mole di citazioni fa riecheggiare immagini di palazzotti
monumentali dell’ex URSS, quelli parallelepipedi con migliaia
di finestre allineate, sempre diverse ma sempre uguali, che monotone
dicono e ridicono - nel metodo e nel merito - il nucleo
filosofico-ecclesiologico giussaniano. L’immedesimazione del
biografo con la quantità di citazione, del e sul protagonista,
è tale da indurci alla comprensione critica del pensiero di
Giussani stesso, restringendo la valutazione della biografia in sé
a quanto fin qui esposto. Concezione ecclesiologica giussaniana
così sintetizzabile: Dio entra nella storia dei miserabili
uomini e presceglie alcuni. Lì prende casa nelle loro
viscere «fin nel midollo delle ossa» e, attraverso
l’unità dei prescelti, a Lui e tra loro incorporati, si
fa esperienza-presenza annunciata all’umanità tutta per
salvarla dal nulla che gli incombe addosso; ogni bene nel tutto
ricondurre e nel totale appartenere a tale avvenimento, ogni male
fuori da lì: “La gioia più grande della vita
dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e
palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore. Il
resto è veloce illusione o sterco”. (don Giussani p.
51). Ammesso e non concesso che ogni identità personale
sussista sulla differenza da tutti gli altri e pur considerando
l’intera storia del cristianesimo con i connessi miliardi di
cristiani presenti nel mondo - che peraltro nel riferirsi al
messaggio includente di Gesù di Nazareth appaiono, sovente,
ben lontani dalla concezione giussaniana - l’affermazione
appare imbarazzante nel suo squalificare ogni forma culturale ed
esistenziale e qualsiasi modalità di essere nel mondo se
difformi dalla propria, in quanto tutto “il resto”
valutato da Giussani “illusione e sterco” rappresenta e
esprime, inequivocabilmente, la stragrande parte dell’intera
umanità e di tutta la sua storia. Corrivi, al riguardo, gli
sfavillii di consenso - con rare eccezioni di sobrietà -
espressi dalla stampa nazionale nel presentare la biografia,
probabilmente recensita con pregiudizio positivo senza averla
integralmente letta o senza averla, forse, intesa”[2].
NOTE
[1] Recensione
alla biografia “Vita di don Giussani” . [2]
“Le recensioni della stampa nazionale appaiono nell’insieme,
non curanti della complessità della tematica, parata di spot
promozionali”; ibidem.
(Seconda Parte)
La
recensione di Vergani diviene tanto più ficcante quanto
più lo scritto di Savorana diviene “ispirato”:
1)
“Il “sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle
carni del proprio pensiero e del proprio cuore” mentre tutto
“il resto è veloce illusione o sterco”, proferito
da Giussani ventiquattrenne, appare in centinaia di pagine come
nucleo del programma educativo di tutta la sua esistenza a venire. (
Se “… il resto è veloce illusione o sterco”,
Martin Lutero, che definiva sterco del demonio solo il denaro, era un
“moderato”; NdA). Urgenza educativa suscitata da una
«passione per l’umano» che interpreta la persona -
in quanto non causa di sé stessa - costituita da miseria,
indicando, dunque, - in un atto di “fede razionale” -
l’“Altro” come esclusiva e compiuta risposta
all’umana strutturale insoddisfacibilità. Preoccupazione
educativa declinata in tutte le forme immaginabili: priorità
educativa, urgenza educativa, ansia educativa; nelle varianti
belliche difesa educativa e anche missione educativa”
[1]. Vergani, giustamente, rileva che è: “Evidente
la contraddizione: se esistesse davvero una verità assoluta,
universale, integrale, “immodificabile ed unica, sarebbe
evidentemente costitutiva[2] non educativa; non avrebbe necessità
alcuna d’essere propagandata, inculcata e neppure difesa perché
s’imporrebbe per forza propria. Nei numerosissimi stralci di
esercizi spirituali pubblicati nella biografia possiamo osservare un
collaudato canovaccio narrativo che, a fini educativi, si ripete
sistematicamente. Giussani all’inizio diceva la miseria
della condizione umana, esponendo un nichilismo estremo e assoluto,
quando il bisogno di salvezza dell’ascoltatore raggiungeva
l’acme, proprio un momento prima che si sentisse sparire
incenerito nel nulla eterno, faceva ‘arrivare i nostri’:
Iddio che salva nell’avvenimento della Chiesa cattolica; nella
fattispecie Comunione e Liberazione” [3]. (Probabilmente,
questo Cristianesimo da Far West , che si ispirava ai numerosi film
western dell’epoca, doveva far colpo sulle/sugli
adolescenti di allora; NdA). Poi, l’analisi di Vergani mette
il dito nella piaga e mi ricorda alcune delle conversazioni, che
ebbi negli Anni Novanta con giovani militanti nonché con
dirigenti di Cielle, nonché la compresenza di prostrazione e
di esaltazione presente nei loro discorsi, che, immancabilmente,
erano centrati
“sul’incontro
che ognuna/o di loro aveva avuto con Gesù”: “Una
strumentalizzazione della sofferenza e della ricerca di senso
all’umano esistere dove più l’oratore-attore era
abile nel rappresentare un nichilismo devastante e disperato -
Giussani era bravissimo - e più lo spettatore, se ingenuo, si
disponeva, piccolo-piccolo quanto il due di briscola quando il fante
irrompe in tavola, a accogliere l’annuncio dell’avvenimento
grande-grande, e obbedirgli” [4].
2)
Uno dei passi salienti della meritoria disamina di Vergani è
quello in cui evidenzia le contraddizioni presenti in uno dei
fondamenti, l’oddedienza, dell’ideologia
ciellina” “Significato e prassi dell’obbedienza
alla e nella “Compagnia sacramentale” di CL sono espressi
da Giussani su binari doppi, tripli, plurimi: all’interno del
gruppo l’obbedienza è regolarmente intesa totale,
assoluta, pragmatica, diretta e precisissima: autorità
cielline anfibi terro-celesti con una zampa nella finitudine e
l’altra nell’eterno, uomini che per processo “analogico”
rappresentano Cristo stesso per i subalterni: “Mai possiamo
aderire di più alla misericordia di Dio che nell’obbedire
alle persone, alle pietre dove Dio ci ha collocati” (p.
446); nel rapporto di CL nei confronti dell’istituzione
ecclesiastica il coincidere dell’autorità con Cristo
tende invece a stemperarsi e a chi indicava l’autentificazione
della autorità ecclesiastica come segno e garanzia di verità
per CL, Giussani replicava: “Non sono d’accordo […]
perché uno in coscienza deve essere perfettamente certo, anche
se la Chiesa non si è ancora pronunciata. Perché
quando la Chiesa si pronuncia su una cosa … obbedisco. E lì
cessa il mio carisma” (p. 445). Emerge, dunque, una analogia
con Cristo autoreferenziale che nel guidare esige obbedienza, ma
nell’essere guidato reclama libertà” [5]. Infine,
viene smantellato un altro caposaldo del Ciellenismo: la dipendenza
delle/degli aderenti e viene messa in luce l’inevitabile
conseguenza: la loro infantilizzazione: “Ritornando alla
concezione giussaniana di dipendenza all’interno di CL -
“Dipendenza” è parola tipicamente giussaniana -,
va precisato che al dipendente è chiesto di fare proprie le
ragioni dell’autorità, individuando e accogliendo
l’informazione di fondo che esprime il “superiore”
per farla diventare intimamente propria sentendone il valore, in
quanto l’autorità è ritenuta Cristo presente. Per
il subalterno urge, dunque, - indifferente al grado di sensibilità,
onestà e verità del superiore - che lo interiorizzi per
la sacramentalità da lui espressa e significata. Un
processo di infantilizzazione evidentemente devastante che Giussani
lenisce ricordando quanto la compagnia di CL si sia rivelata per lui
stesso autorità grazie a interventi di ragazzini, di persone
semplici, che l’avevano percosso riattivandogli energie e
ragioni per riprendere con rinnovato vigore il percorso. Estemporaneo
annota: “Io sono autorità nella misura in cui
valorizzo questo e non cerco di piegare e di rattrappire questa vita
per un mio dominio clericale. Noi non siamo un’istituzione
ecclesiastica, noi siamo un movimento di vita, è come un
fenomeno artistico, è una genialità di vita” (p.
485). La visione sacramentale della compagnia in sé viene
ulteriormente attenuata, con motivazioni differenti, nel Capitolo
29: “Ma non vi accorgete […] che umanamente parlando
è proprio orribile identificare la compagnia come l’ambito
che meccanicamente ti assicura il gusto di vivere?” (p.
900)[6].
NOTE
[1] Recensione
alla biografia “Vita di don Giussani”. [2]
“L’ho appreso da Giacomo B. Contri, Educazione VS
Costituzione”; ibidem. [3]
Recensione, cit.. [4] Ibidem. [5] Ibidem. [6] Ibidem.
(Terza Parte)
Quando
il biografo deve affrontare, forse suo malgrado, lo spinoso rapporto
tra l’“immacolata etica ciellina” ed il
comportamento “spericolato” di alcuni tra i più
illustri esponenti del Movimento, solo i versi del Poeta possono
soccorrere: “Or
incomincian le dolenti note a
farmisi sentire; or son venuto là
dove molto pianto mi percuote”
[1].
1)
Infatti: “La biografia accenna al protagonismo disinvolto e
autoreferenziale di alcuni esponenti di Comunione e Liberazione che
vede don Giussani richiamarli, schernirli, prendere distanza siderale
da quel tipo di compagnia: “Della vostra compagnia io me ne
infischio”(p. 899). Testimonianza che separa nettamente la
concezione etica del fondatore e guida del Movimento, da quella di
qualche ciellino un po’ narcisista e anche un po’
mariuolo perché scheggia impazzita. Nell’affermare
l’onestà del fondatore e della stragrande maggioranza
degli appartenenti a CL, riteniamo che la biografia manchi di
affrontare storicamente - senza, dunque, moralismo – le origini
e ragioni dei numerosi e recidivi accadimenti di illegalità -
nell’universo cattolico squisitamente ciellino - che hanno
caratterizzato parte della cronaca giudiziaria lombarda, e non solo,
nell’ultimo decennio” [2]. È evidente che a noi
profani, non dotati del carisma, versione postmoderna dell’aureola
di medievale memoria, di don Giussani, sarebbero venute in mente
soluzioni obbrobriosamente prosaiche: non schernire i
“mariuoli”, ma espellerli con ignominia dal Movimento;
d’altra parte, se è vero che le vie del Signore sono
infinite, perché quelle di don Giussani avrebbero dovuto
essere da meno? Comunque, fa un certo effetto constatare che gli
effluvi del denaro, sterco del Demonio, abbiano stordito proprio
coloro i quali erano cresciuti sentendosi ripetere che tutto “il
resto è veloce illusione o sterco”. Ugualmente
profano, fors’anche prevenuto e forcaiolo, è
stato: “… il giudice della settima sezione penale del
tribunale di Milano, [che] riferendosi a una condanna in primo grado
inflitta a un memor domini - per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla
titolarità di conti correnti esteri - aveva ben focalizzato la
problematica, scrivendo: “Desolante l’atteggiamento
menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da
persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali
[…] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne
hanno determinato la condotta” [3]”.
2)
A tal proposito, Vergani chiosa: “A compensazione della
biografia - invito all’integrazione esplicitamente richiesto
dall’Autore a tutti coloro che hanno conosciuto don Giussani -
tentiamo di rispondere al puntuale e ragionevole interrogativo del
giudice di Milano, basandoci su quanto abbiamo personalmente visto e
udito. Scorgiamo due motivi di correlazione tra l’onesta
baldanza religiosa di Giussani e la tracotanza narcisistica di
qualche suo seguace. Emulazione stilistica del leader. Giussani
allargava urgente, irresistibile, impellente e a oltranza il
personale giudizio di valore a asserzione di realtà universale
costipando, come uno schiacciasassi, ciò che incontrava in
tale prospettiva. Alcuni a lui prossimi, non curanti dei contenuti
veicolati in tanta foga, ne hanno appreso meramente il metodo,
sostituendo con fini propri il merito. Religionari e gangster, in
missione per conto di un qualche dio, pur dissimili nei fini possono
anche somigliarsi nella determinazione per raggiungerli. Deriva
tribale. La comunione tra gli appartenenti a Comunione e
Liberazione era definita da Giussani con l’affermazione: “Io
sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e
nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione
cristiana, ogni aderente al gruppo. In questa concezione il nome
di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato
all’origine con quelli degli aderenti gruppo. Comunità
giudicata da Giussani segno sacramentale di Dio stesso e
“ontologicamente” - da intendersi non tanto come criterio
di pensiero che inventaria le cose ma, con accezione esistenziale,
che le fa essere - costitutiva l’“Io” di ogni
singolo componente. Il singolo uomo è in sé
insignificante, è nulla. Per poter essere, deve diventare
cellula appartenente alla corporazione, come le api e le formiche
sono nulla senza il loro gruppo organizzato. Anzi di più:
per l’appartenente la dipendenza diventa assoluta, “ontologica”
come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono
più. Nella concezione giussaniana di Comunione e
Liberazione ogni nome è, dunque, fuso nel gruppo; un “Noi”
coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante alla
radice ogni partecipante al gruppo. All’interno di questa
esaltazione unitaria l’operato dei membri evidentemente
obbedisce - indifferente alle norme del diritto socialmente condivise
- a regole proprie” [4]. Pur non essendo degli “stinchi
di Santo”, ci fa un minimo d’impressione
leggere: “Religionari e gangster, in missione per conto di
un qualche dio …”: potenza della missione! “Io
sono Tu che mi fai”: “licenza mistica” con tanti
saluti all’Italiano; “In questa concezione il nome di
ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato
all’origine con quelli degli aderenti gruppo”: meglio del
patto di sangue tra i Pellerossa; … “Il singolo
uomo è in sé insignificante, è nulla. Per
poter essere, deve diventare cellula appartenente alla corporazione,
come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo
organizzato”: non sono del tutto sicuro che nel Partito
Bolscevico Russo, ai tempi di Lenin, si sia giunti a tanto, ma,
evidentemente, l’Umanità è in grado di
progredire …; “Nella concezione giussaniana di
Comunione e Liberazione ogni nome è, dunque, fuso nel
gruppo”: parlare di annullamento dell’individualità
sarebbe come chiamare ascesso un tumore. “All’interno
di questa esaltazione unitaria l’operato dei membri
evidentemente obbedisce - indifferente alle norme del diritto
socialmente condivise - a regole proprie” : come i gangster di
cui si parlava all’inizio, o no?
NOTE
[1]
Dante, “Divina Commedia”, “Inferno”, Canto
V. [2] Recensione
alla biografia “Vita di don Giussani”. [3] Ibidem. [4] Ibidem.
(Quarta
Parte)
1)
Nella recensione Vergani dà il giusto risalto anche a
due degli elementi costitutivi di C. L., la noia, che promanava
dai discorsi delle/degli aderenti ed il loro sentirsi
“speciali”: “Con esposizione meccanica è
descritto tutto il preoccupato impegno di Giussani - espresso in
centinaia di pagine, letteralmente e fino alla noia - atto a
richiamare gli appartenenti di CL a Cristo nella esperienza
dell’origine del Movimento, dove la realtà è
giudicata - CL in primis - presenza e segno di “Altro”;
compagnia umana prescelta da Dio che, pur nella storia, la trascende
e giudica non per pensiero, valore, competenza e iniziativa degli
appartenenti, ma per ontologica ineffabile vigoria infusa dall’”Alto”
[1]. Naturalmente, questo sentirsi posseduti e possessori da/di
una “vigoria infusa dall’ Alto” avrebbe potuto
indurre gli aderenti a sentirsi già soddisfatti ed a cullarsi
in questo stato di “grazia”; avevano,però
sbagliato i loro calcoli: 1) “Nel contempo, Giussani
rimedia rischi di immolazione idealistica e di
deresponsabilizzazione, impliciti in tale prospettiva, invitando
all’impegno personale nel sociale, indizio di fede matura che
dal singolo pervade l’ambiente. In questa impostazione di
giudizio, che interpreta la persona “Altro” tramite sé
stessa e sé stessa tramite “Altro”, Giussani nel
rilevare penuria di iniziativa personale nel sociale vede immaturità
e intimismo e nel constatarne l’abbondanza scorge riduzioni
pietistiche e derive associazionistiche o personalistiche: la
“compagnia divinizzata” annaspa nel tentativo di
ricapitolare a sé la realtà, l’immediatezza della
vita, gli accadimenti, la complessità delle cose, le
soggettive sensibilità. Emerge una divisione, una
ambiguità, un doppio legame, tra l’opera di Dio e quella
dell’ “Io” che non trova pacificazione e come
Sisifo non raggiunge meta. Un conflitto tra realtà e ideale
originato dal supporre che ci sia sempre un Quid infinitamente più
“grande” e sempre più in là del soggetto
che pensa e fa” [2].
2)
Si giunge, così, ad una situazione paradossale, che se non
avesse ricadute nella sfera emotiva delle/dei Cielline/i, avrebbe
pure tratti comici: “Ne risulta una sorta di limbo
surriscaldato, un film malfermo con l’audio fuori sincrono, che
dice con precisione quanto l’ideale annunciato non sia realtà
costitutiva, ma narrazione mitica sovrapposta forzosamente alla vita,
che nel tortuoso, replicato, ossesso, tentativo di inglobarla produce
labirinti di insoddisfazione. Tutto sommato una esperienza più
necessita di essere spiegata, supportata, riprodotta e espansa meno è
credibile in quanto il fondato sta in piedi e si afferma da sé,
mentre l’infondato necessita di essere tenuto forsennatamente
su” [3]. Un elemento rivelatore del reale stato di cose è
il seguente:
“Sintomatica
al riguardo la inabilità di Comunione e Liberazione,
nonostante l’espressione di migliaia di appartenenti in mezzo
secolo di vita, al partorire eccellenze artistiche: le figure di
Giovanni Testori e William Congdon, vicine - seppur in modo
differente - al Movimento, si rappresentano al mondo per evidente e
intrinseco valore personale: straordinari lo erano da prima
prescindendo da ogni appartenenza. Con motivazione distinta - nei
casi precedenti per fagocitazione e sfoggio nella architettura
biografica, qui per omissione di rappresentanza - aggiungiamo Giacomo
B. Contri, psicoanalista e ancor prima filosofo, peraltro valoroso
biografo di Giussani[4], del quale Savorana ne censura il pensiero,
relegandone colpevolmente la figura a inespressiva comparsa”
[5]. L’entusiasmo [6], che comprensibilmente muove Savorana,
produce qualche smagliatura nella rete da lui tessuta: “Nel
saggio biografico viene dettagliata l’evidente preferenza e
prossimità, libera, truistica e legittima, del protagonista
nei confronti di Comunione e Liberazione, ma inopinata compare una
affermazione di Giussani stesso vagamente quietistica, proferita
nell’ultima parte del suo percorso: “Non solo non ho
mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del
movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza
di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti
elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto
cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta” (p.
1138), che risulta storicamente falsa: contraddizione veniale
smentita dalle 1137 pagine precedenti della biografia stessa, che
dettagliano tutto il fibrillare di Giussani nell’implementare e
imporre metodologie atte a generare, conservare ed espandere il “suo”
Movimento con tanto di conflittualità, specialmente nel primo
periodo, all’interno delle Chiesa stessa” [7].
NOTE
[1] Recensione
alla biografia “Vita di don
Giussani”. [2] Ibidem. [3] Ibidem. [4]
“Luigi Giussani e il profitto di Cristo”, Giacomo B.
Contri, Studium Cartello. [5] Recensione, cit.. [6] “Un’altra
etimologia della parola entusiasmo possiamo attribuirla al greco
enthus o en-theos, cioè avere un dio dentro, essere invasato,
essere ispirato da una forza esterna irresistibile …”. [7]
Recensione, cit..
(Quinta Parte)
1)
Se don Giussani non si tirava indietro, quando c’era da
polemizzare all’interno della Chiesa, è facilmente
intuibile quanto forte fosse la sua critica al mondo profano ed ai
suoi rappresentanti, pur se con un’eccezione: “Nei
resoconti di rapporti epistolari e con i prossimi emerge quanto
Giussani sia tollerante e amichevole, sempre stimando e valorizzando
chi incontra personalmente” [1]. Subito, però, il
“Dr. Jekyll” si trasforma in “mister
Hyde”: “Concezione che muta nei suoi libri e discorsi
pubblici, dove l’individuo è invece tendenzialmente
interpretato con implicita disistima e diffidenza in quanto
minacciato da culture dominanti o infognato in concezioni
massificanti che, dal di fuori e dal proprio intimo, gli incombono
addosso. “Mondo” e Dio blocchi contrapposti, enti ai
quali si appartiene a prescindere. Interpretazione che preclude al
soggetto la realizzazione suscitata e operata dal personale pensiero
sovrano” [2]. Inoltre, come ha avuto modo di sperimentare
chiunque abbia parlato con le/gli aderenti a C.L. giovani ed
adulte/i: “La mole di citazioni, gli aneddoti, le
testimonianze, le annotazioni rendicontano precise l’idiosincrasia
per qualsiasi filosofeggiare e teologizzare da parte di Giussani, un
poggiarsi “non su una sintesi di idee ma su una certezza di
vita” [3]. Pertanto, il fondatore elabora un: “Pensiero
che rigetta idealismi per fondarsi sull’esperienza dell’
“Avvenimento”, - negli ultimi anni, intatto nel merito,
vira nel metodo interpretando l’”Avvenimento-Presenza”
VS “Mondo” come “Essere”[4] VS “Nulla”
-, evento e incontro tangibile che irrompe nella storia spaccandola
in prima e dopo: Cristo presente nella Chiesa, più
precisamente nella concretezza e attualità del pezzo di Chiesa
espresso da Comunione e Liberazione” [5].
2)
Si giunge, così, ad una delle parti più avvincenti e
divertenti, nel contempo, della recensione di Vergani: “Che
il lettore si approcci alla biografia considerando il Cristo mai
esistito se non attraverso chi ha scritto di Lui, oppure lo
identifichi col Gesù di Nazareth uomo, oppure Dio, o nel
contempo entrambi, a ogni pagina sorgerà urgente una domanda,
la domanda: come e perché, attraverso quale inferenza, con
quale esperire, poggiandosi su cosa, Giussani identifica, come dato
di fatto, il Cristo Verità assoluta, Giustizia compiuta, somma
Bellezza, realizzazione e compimento storico dell’umanità
tutta, con quel pezzo di Chiesa denominato Comunione e Liberazione
indipendentemente dal pensiero valoroso o micragnoso dei suoi
appartenenti? Identificazione così certa da asserire: “Se
non c’è risposta a quel che sei, sei un disgraziato!
[…] Immaginate di andare in piazza Duomo a Milano alle sei
di sera, d’estate, o in primavera, o d’autunno, d’autunno
presto. Piazza Duomo è quasi piena, gente che va di qui,
gente che va di là; ma osservate che c’è qualcosa
che non va: sono tutti senza testa! Immaginate di essere lì:
sono tutti senza testa, solo voi avete la testa! La vita è
così, il mondo è così”. (Conversazione di
Giussani ad un gruppo di Memores Domini 1 ottobre 1995)”
[6]. Certo, immaginarsi Formigoni ed i suoi sodali come i soli ad
avere una testa in una moltitudine di “ghigliottinati/decerebrati”
è l’equivalente di leggere una vignetta d Vauro. Lo
stesso effetto esilarante è prodotto da altra prosa
roboante: “Quando ci si mette insieme, perché lo
facciamo? Per strappare agli amici – e se fosse possibile a
tutto il mondo – il nulla in cui ogni uomo si trova”. (Incipit
del messaggio di Giussani per il XXV Pellegrinaggio a Loreto). “Amici
miei, che compito, che responsabilità! Perché gli altri
nel mondo dipendono dalla nostra vita”. (Giussani ritiro di
Memores Domini, p. 728) [7]. La conclusione del meritorio studio
di Vergani, in sintonia con le analisi precedenti, dà sia
modo di pensare, sia di sorridere, cosa che, soprattutto in questi
anni tristi e cupi, è da apprezzare non poco: “L’entusiasmo
apologetico per la coincidenza assoluta Cristo-Chiesa-CL appare,
talvolta, vagamente mitigato da Giussani: “il bene sta al
fondo di ogni essere” (p. 905); e sistematicamente giustificato
in due modi: riferendosi ai duemila anni di tradizione cattolica
senza soluzione di continuità, prova certa di espressione
divina, della quale la “fraternità sacramentale”
di Comunione e Liberazione risulta parte integrante. Prova
evidentemente debole appurato che la storia della Chiesa è
stata caratterizzata, fin dall’origine, da numerosi scismi dove
ogni parte - anche il cattolicesimo risulta mera parte in causa, al
pari delle altre - rivendicava e rivendica ortodossia e
primato; altra spiegazione la troviamo nella proposta evangelica,
ripresa spesso da Giussani, del “vieni e vedi”. Noi
siamo andati e abbiamo veduto soggetti valorosi, persone ordinarie e
individui meschini, come dappertutto. Per interpretarli
“Straordinari” causa di “Stupore”, per
rimanerne “Affascinati”, per esaltarli a “Mistero”
e “Destino” della storia e dell’umanità -
nomi e dinamiche care a Giussani -, avremmo dovuto cedere al malsano
invito di addossare ai ciellini, un tempo amici di percorso, occulti
funzionamenti di arcane entità, narrazione fantastica, che
poggiandosi sul nulla esiste solo nei pantani di pensiero di quelli
che ci credono” [8].
NOTE
[1] Recensione
alla biografia “Vita di don
Giussani”. [2] Ibidem. [3] Ibidem. [4]”Essere
è essere agli ordini”, Cfr. Jacques Lacan, Seminario
Encore, p. 34. [5] Recensione, cit.
. [6] Ibidem. [7] Ibidem. [8] Ibidem.
Fonte: www.valeriobruschini.info
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