Comunione e Liberazione

STORIA DELLE RELIGIONI


TUTTO, O QUASI, QUELLO CHE AVREMMO VOLUTO SAPERE SU COMUNIONE E LIBERAZIONE

Bruno Vergani

(Prima Parte)

Coloro che frequentano “La Terra di Nessuno” conoscono l’“attrazione fatale” che Comunione e Liberazione, ( per gli amici Cielle), ha sempre esercitato sul curatore del sito, che, pur non avendone, grazie a Dio, mai fatto parte, ha avuto modo di conoscere molto da vicino, nel corso di non poche battaglie, militanti ed iscritte/i.
Mi sembra, pertanto, “veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere” nota “qui ed in ogni luogo” l’articolata recensione di  Bruno Vergani [1] al ponderoso, ma non sempre ponderato, volume: 1350 pagine, scritto da Alberto Savorana: “Vita di don Giussani”.
In qualche frase, il linguaggio è “per addetti ai lavori”, ma, nel complesso la recensione è non solo un’istruttiva miniera d’informazioni, ma anche divertente.

1) Nel redigere di umane vicende, le “cose” vengono inevitabilmente a esistere attraverso l’angolazione di chi le scrive.
Alberto Savorana - autore della biografia «Vita di don Giussani» - informa, dunque lealmente e dall’introduzione, dell’amicizia devota al protagonista, nucleo affettivo dal quale svilupperà il saggio biografico:
“A lui i fatti della mia vita - interessi, professione, famiglia - sono strettamente legati.
Nel rapporto di lavoro e di amicizia con don Giussani mi sono trovato dentro un flusso esistenziale e storico - “una febbre di vita”, come amava dire -, che non si è mai interrotto”.
Chi cerca una biografia conforme allo “statuto epistemologico storiografico” ha, pertanto, sbagliato posto: a don Giussani l’Autore vuole bene e intende onorarlo celebrandolo.
Legittima e libera proposta di patto narrativo che, fatta salva la medesima legittima libertà di critica per il lettore-recensore, abbiamo accettato.
Recensore appartenuto nel periodo 1970-1980 a Comunione e Liberazione, momento storico che nella biografia appare cruciale, sia in ambito ecclesiale che sociale.
(Quindi, pure il recensore ha fatto parte della “famiglia giussaniana” ed è “persona informata dei fatti e degli arcani”; NdA).
Impegnato a Milano nella prima metà di quel decennio a scansare sprangate di extraparlamentari devoti a Lenin - da quelle parti e in quel periodo era d’uso appartenere a una qualche Chiesa -,  nella seconda metà a frequentare regolarmente Giussani, all’interno del gruppo monastico Memores Domini da lui guidato.

2) Appare irrefutabile, appurate le premesse, l’incombente rischio di scivolate agiografiche che Savorana, nello svolgersi biografico, riesce in parte a attutire omettendosi: un Piccolo scrivano fiorentino che riporta e raccorda citazioni, scritti di altri, circostanze e testimonianze attinenti al protagonista, evitando, perlopiù, di dire “la sua”, se non chiarendo passaggi complessi e armonizzando conflittualità all’interno di una visione mitica, che interpreta Giussani paladino di verità, bellezza e giustizia.
(Praticamente, una reincarnazione del paladino Orlando, Agostino di Ippona, Michelangelo e re Salomone in una stessa persona; NdA).
In un approccio affettivo o fondamentalistico, che accetta come certi i presupposti narrativi, nella fattispecie l’identificazione della presenza di Cristo con Giussani e Comunione e Liberazione, l’opera può essere letta come un avvincente e seducente (a chi piace il genere) romanzo amoroso-cavalleresco valoroso per estensione (1350 pagine), ma è sufficiente un minimo di pensiero attivo, di decostruzione nel merito, perché il fascino lasci posto a numerose perplessità.
Pur riportando accadimenti conflittuali vissuti da Giussani oltre a sporadici frammenti di testimonianze non entusiastiche sulla sua figura, la biografia risulta, nell’insieme, omissiva per scelta di materiali tendenzialmente conformi - come da programma - alla celebrazione, sovente tanto omogenei da risultare concelebrativi.
Lo stile della biografia, nel riportare stralci estrapolati dai discorsi e dagli scritti più ‘vigorosi’ di don Giussani (a beneficio del biografo, va riconosciuta la quasi impossibilità di rintracciarne di non vigorosi) evoca, per piressia, “I dolori del giovane Werther” del primo Goethe.
Una realtà passionale dipinta con smisuranza che narra di dolori supremi o di godimenti traboccanti, con - a differenza di Goethe - copiosità di aggettivi e avverbi gagliardi oltre a verbi un po’ circensi: “travolgere, rischiare, sfidare, abbagliare, gridare, sobbalzare, percuotere, schiantare, irrompere, stupire, esplodere” favorenti l’esaltazione e inibenti l’inferenza.
Narrazione che, attraverso un insolito linguaggio binario di “disgrazia/grazia”, conduce in una atmosfera a tratti asfittica a tratti iperossigenata, in un pianeta abitato da individui col fiato mozzato e gli occhi sbarrati, o per terrore della personale disperata e mortale miseria umana, o perché stupefatti dalla sovrabbondante grazia di un Dio che, fattosi uno di loro, entra traboccante nel tempo-spazio salvandoli dall’orrore.

3) La mole di citazioni fa riecheggiare immagini di palazzotti monumentali dell’ex URSS, quelli parallelepipedi con migliaia di finestre allineate, sempre diverse ma sempre uguali, che monotone dicono e ridicono - nel metodo e nel merito - il nucleo filosofico-ecclesiologico giussaniano.
L’immedesimazione del biografo con la quantità di citazione, del e sul protagonista, è tale da indurci alla comprensione critica del pensiero di Giussani stesso, restringendo la valutazione della biografia in sé a quanto fin qui esposto.
Concezione ecclesiologica giussaniana così sintetizzabile: Dio entra nella storia dei miserabili uomini e presceglie alcuni.
Lì prende casa nelle loro viscere «fin nel midollo delle ossa» e, attraverso l’unità dei prescelti, a Lui e tra loro incorporati, si fa esperienza-presenza annunciata all’umanità tutta per salvarla dal nulla che gli incombe addosso; ogni bene nel tutto ricondurre e nel totale appartenere a tale avvenimento, ogni male fuori da lì:
“La gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore.
Il resto è veloce illusione o sterco”. (don Giussani p. 51).
Ammesso e non concesso che ogni identità personale sussista sulla differenza da tutti gli altri e pur considerando l’intera storia del cristianesimo con i connessi miliardi di cristiani presenti nel mondo - che peraltro nel riferirsi al messaggio includente di Gesù di Nazareth appaiono, sovente, ben lontani dalla concezione giussaniana - l’affermazione appare imbarazzante nel suo squalificare ogni forma culturale ed esistenziale e qualsiasi modalità di essere nel mondo se difformi dalla propria, in quanto tutto “il resto” valutato da Giussani “illusione e sterco” rappresenta e esprime, inequivocabilmente, la stragrande parte dell’intera umanità e di tutta la sua storia.
Corrivi, al riguardo, gli sfavillii di consenso - con rare eccezioni di sobrietà - espressi dalla stampa nazionale nel presentare la biografia, probabilmente recensita con pregiudizio positivo senza averla integralmente letta o senza averla, forse, intesa”[2].

NOTE

[1] Recensione alla biografia “Vita di don Giussani” .
[2] “Le recensioni della stampa nazionale appaiono nell’insieme, non curanti della complessità della tematica, parata di spot promozionali”; ibidem.

(Seconda Parte)

La recensione di Vergani  diviene tanto più ficcante quanto più lo scritto di Savorana diviene “ispirato”:

1) “Il “sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore” mentre tutto “il resto è veloce illusione o sterco”,  proferito da Giussani ventiquattrenne, appare in centinaia di pagine come nucleo del programma educativo di tutta la sua esistenza a venire.
( Se “… il resto è veloce illusione o sterco”, Martin Lutero, che definiva sterco del demonio solo il denaro, era un “moderato”; NdA).
Urgenza educativa suscitata da una «passione per l’umano» che interpreta la persona - in quanto non causa di sé stessa - costituita da miseria, indicando, dunque, - in un atto di “fede razionale” - l’“Altro” come esclusiva e compiuta risposta all’umana strutturale insoddisfacibilità.
Preoccupazione educativa declinata in tutte le forme immaginabili: priorità educativa, urgenza educativa, ansia educativa; nelle varianti belliche difesa educativa e anche missione educativa” [1].
Vergani, giustamente, rileva che è:
“Evidente la contraddizione: se esistesse davvero una verità assoluta, universale, integrale, “immodificabile ed unica, sarebbe evidentemente costitutiva[2] non educativa; non avrebbe necessità alcuna d’essere propagandata, inculcata e neppure difesa perché s’imporrebbe per forza propria.
Nei numerosissimi stralci di esercizi spirituali pubblicati nella biografia possiamo osservare un collaudato canovaccio narrativo che, a fini educativi, si ripete sistematicamente.
Giussani all’inizio diceva la miseria della condizione umana, esponendo un nichilismo estremo e assoluto, quando il bisogno di salvezza dell’ascoltatore raggiungeva l’acme, proprio un momento prima che si sentisse sparire incenerito nel nulla eterno, faceva ‘arrivare i nostri’: Iddio che salva nell’avvenimento della Chiesa cattolica; nella fattispecie Comunione e Liberazione” [3].
(Probabilmente, questo Cristianesimo da Far West , che si ispirava ai numerosi film western dell’epoca, doveva far colpo  sulle/sugli adolescenti di allora; NdA).
Poi, l’analisi di Vergani mette il dito nella piaga e mi ricorda alcune delle conversazioni, che ebbi  negli Anni Novanta con giovani militanti nonché con dirigenti di Cielle, nonché la compresenza di prostrazione e di esaltazione presente nei loro discorsi, che, immancabilmente, erano centrati

“sul’incontro che ognuna/o di loro aveva avuto con Gesù”:
“Una strumentalizzazione della sofferenza e della ricerca di senso all’umano esistere dove più l’oratore-attore era abile nel rappresentare un nichilismo devastante e disperato - Giussani era bravissimo - e più lo spettatore, se ingenuo, si disponeva, piccolo-piccolo quanto il due di briscola quando il fante irrompe in tavola, a accogliere l’annuncio dell’avvenimento grande-grande, e obbedirgli” [4].

2) Uno dei passi salienti della meritoria disamina di Vergani è quello in cui evidenzia le contraddizioni presenti in uno dei fondamenti, l’oddedienza, dell’ideologia ciellina”
“Significato e prassi dell’obbedienza alla e nella “Compagnia sacramentale” di CL sono espressi da Giussani su binari doppi, tripli, plurimi: all’interno del gruppo l’obbedienza è regolarmente intesa totale, assoluta, pragmatica, diretta e precisissima: autorità cielline anfibi terro-celesti con una zampa nella finitudine e l’altra nell’eterno, uomini che per processo “analogico” rappresentano Cristo stesso per i subalterni:
“Mai possiamo aderire di più alla misericordia di Dio che nell’obbedire alle persone, alle pietre dove Dio ci ha collocati” (p. 446);
nel rapporto di CL nei confronti dell’istituzione ecclesiastica il coincidere dell’autorità con Cristo tende invece a stemperarsi e a chi indicava l’autentificazione della autorità ecclesiastica come segno e garanzia di verità per CL, Giussani replicava:
“Non sono d’accordo […] perché uno in coscienza deve essere perfettamente certo, anche se la Chiesa non si è ancora pronunciata.
Perché quando la Chiesa si pronuncia su una cosa … obbedisco.
E lì cessa il mio carisma” (p. 445).
Emerge, dunque, una analogia con Cristo autoreferenziale che nel guidare esige obbedienza, ma nell’essere guidato reclama libertà” [5].
Infine, viene smantellato un altro caposaldo del Ciellenismo: la dipendenza delle/degli aderenti e
viene messa in luce l’inevitabile conseguenza: la loro infantilizzazione:
“Ritornando alla concezione giussaniana di dipendenza all’interno di CL - “Dipendenza” è parola tipicamente giussaniana -, va precisato che al dipendente è chiesto di fare proprie le ragioni dell’autorità, individuando e accogliendo l’informazione di fondo che esprime il “superiore” per farla diventare intimamente propria sentendone il valore, in quanto l’autorità è ritenuta Cristo presente.
Per il subalterno urge, dunque, - indifferente al grado di sensibilità, onestà e verità del superiore - che lo interiorizzi per la sacramentalità da lui espressa e significata.
Un processo di infantilizzazione evidentemente devastante che Giussani lenisce ricordando quanto la compagnia di CL si sia rivelata per lui stesso autorità grazie a interventi di ragazzini, di persone semplici, che l’avevano percosso riattivandogli energie e ragioni per riprendere con rinnovato vigore il percorso.
Estemporaneo annota:
“Io sono autorità nella misura in cui valorizzo questo e non cerco di piegare e di rattrappire questa vita per un mio dominio clericale.
Noi non siamo un’istituzione ecclesiastica, noi siamo un movimento di vita, è come un fenomeno artistico, è una genialità di vita” (p. 485).
La visione sacramentale della compagnia in sé viene ulteriormente attenuata, con motivazioni differenti, nel Capitolo 29:
“Ma non vi accorgete […] che umanamente parlando è proprio orribile identificare la compagnia come l’ambito che meccanicamente ti assicura il gusto di vivere?” (p. 900)[6].

NOTE

[1] Recensione alla biografia “Vita di don Giussani”.
[2] “L’ho appreso da Giacomo B. Contri, Educazione VS Costituzione”; ibidem.
[3] Recensione, cit..
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.

(Terza Parte)

Quando il biografo deve affrontare, forse suo malgrado, lo spinoso rapporto tra l’“immacolata etica ciellina” ed il comportamento “spericolato” di alcuni tra i più illustri esponenti del Movimento, solo
i versi del Poeta possono soccorrere:
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote” [1].

1) Infatti:
“La biografia accenna al protagonismo disinvolto e autoreferenziale di alcuni esponenti di Comunione e Liberazione che vede don Giussani richiamarli, schernirli, prendere distanza siderale da quel tipo di compagnia:
“Della vostra compagnia io me ne infischio”(p. 899).
Testimonianza che separa nettamente la concezione etica del fondatore e guida del Movimento, da quella di qualche ciellino un po’ narcisista e anche un po’ mariuolo perché scheggia impazzita.
Nell’affermare l’onestà del fondatore e della stragrande maggioranza degli appartenenti a CL, riteniamo che la biografia manchi di affrontare storicamente - senza, dunque, moralismo – le origini e ragioni dei numerosi e recidivi accadimenti di illegalità - nell’universo cattolico squisitamente ciellino - che hanno caratterizzato parte della cronaca giudiziaria lombarda, e non solo, nell’ultimo decennio” [2].
È evidente che a noi profani, non dotati del carisma, versione postmoderna dell’aureola di medievale memoria, di don Giussani, sarebbero venute in mente soluzioni  obbrobriosamente prosaiche: non schernire i “mariuoli”, ma espellerli con ignominia dal Movimento; d’altra parte, se è vero che le vie del Signore sono infinite, perché quelle di don Giussani avrebbero dovuto essere da meno?
Comunque, fa un certo effetto constatare che gli effluvi del denaro, sterco del Demonio, abbiano stordito proprio coloro i quali erano cresciuti sentendosi ripetere che tutto “il resto è veloce illusione o sterco”.
Ugualmente profano, fors’anche  prevenuto  e forcaiolo, è stato:
“… il giudice della settima sezione penale del tribunale di Milano, [che] riferendosi a una condanna in primo grado inflitta a un memor domini - per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla titolarità di conti correnti esteri - aveva ben focalizzato la problematica, scrivendo:
“Desolante l’atteggiamento menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali […] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne hanno determinato la condotta” [3]”.

2) A tal proposito, Vergani chiosa:
“A compensazione della biografia - invito all’integrazione esplicitamente richiesto dall’Autore a tutti coloro che hanno conosciuto don Giussani - tentiamo di rispondere al puntuale e ragionevole interrogativo del giudice di Milano, basandoci su quanto abbiamo personalmente visto e udito.   Scorgiamo due motivi di correlazione tra l’onesta baldanza religiosa di Giussani e la tracotanza narcisistica di qualche suo seguace.
Emulazione stilistica del leader.
Giussani allargava urgente, irresistibile, impellente e a oltranza il personale giudizio di valore a asserzione di realtà universale costipando, come uno schiacciasassi, ciò che incontrava in tale prospettiva.
Alcuni a lui prossimi, non curanti dei contenuti veicolati in tanta foga, ne hanno appreso meramente il metodo, sostituendo con fini propri il merito.
Religionari e gangster, in missione per conto di un qualche dio, pur dissimili nei fini possono anche somigliarsi nella determinazione per raggiungerli.
Deriva tribale.
La comunione tra gli appartenenti a Comunione e Liberazione era definita da Giussani con l’affermazione:
“Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni aderente al gruppo.
In questa concezione il nome di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti gruppo.
Comunità giudicata da Giussani segno sacramentale di Dio stesso e “ontologicamente” - da intendersi non tanto come criterio di pensiero che inventaria le cose ma, con accezione esistenziale, che le fa essere - costitutiva  l’“Io” di ogni singolo componente.
Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla.
Per poter essere, deve diventare cellula appartenente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato.
Anzi di più: per l’appartenente la dipendenza diventa assoluta, “ontologica” come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono più.
Nella concezione giussaniana di Comunione e Liberazione ogni nome è, dunque, fuso nel gruppo; un “Noi” coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante alla radice ogni partecipante al gruppo.
All’interno di questa esaltazione unitaria l’operato dei membri evidentemente obbedisce - indifferente alle norme del diritto socialmente condivise - a regole proprie” [4].
Pur non essendo degli “stinchi di Santo”, ci fa un minimo d’impressione leggere:
“Religionari e gangster, in missione per conto di un qualche dio …”: potenza della missione!
“Io sono Tu che mi fai”: “licenza mistica” con tanti saluti all’Italiano;
“In questa concezione il nome di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti gruppo”: meglio del patto di sangue tra i Pellerossa;

“Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla.
Per poter essere, deve diventare cellula appartenente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato”: non sono del tutto sicuro che nel Partito Bolscevico Russo, ai tempi di Lenin, si sia giunti a tanto, ma, evidentemente, l’Umanità  è in grado di progredire …;
“Nella concezione giussaniana di Comunione e Liberazione ogni nome è, dunque, fuso nel gruppo”:
parlare di annullamento dell’individualità sarebbe come chiamare ascesso un tumore.
“All’interno di questa esaltazione unitaria l’operato dei membri evidentemente obbedisce - indifferente alle norme del diritto socialmente condivise - a regole proprie” : come i gangster di cui si parlava all’inizio, o no?

NOTE

[1] Dante, “Divina Commedia”, “Inferno”, Canto V.
[2] Recensione alla biografia “Vita di don Giussani”.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.

(Quarta Parte)

1) Nella recensione Vergani  dà il giusto risalto anche a due  degli elementi costitutivi di C. L., la noia, che promanava dai discorsi delle/degli aderenti ed il loro sentirsi “speciali”:
“Con esposizione meccanica è descritto tutto il preoccupato impegno di Giussani - espresso in centinaia di pagine, letteralmente e fino alla noia - atto a richiamare gli appartenenti di CL a Cristo nella esperienza dell’origine del Movimento, dove la realtà è giudicata - CL in primis - presenza e segno di “Altro”; compagnia umana prescelta da Dio che, pur nella storia, la trascende e giudica non per pensiero, valore, competenza e iniziativa degli appartenenti, ma per ontologica ineffabile vigoria infusa dall’”Alto” [1].
Naturalmente, questo sentirsi posseduti e possessori da/di una “vigoria infusa dall’ Alto” avrebbe potuto indurre gli aderenti a sentirsi già soddisfatti ed a cullarsi in questo stato di “grazia”; avevano,però sbagliato i loro calcoli:
1) “Nel contempo,  Giussani rimedia rischi di immolazione idealistica e di deresponsabilizzazione, impliciti in tale prospettiva, invitando all’impegno personale nel sociale, indizio di fede matura che dal singolo pervade l’ambiente.
In questa impostazione di giudizio, che interpreta la persona “Altro” tramite sé stessa e sé stessa tramite “Altro”, Giussani nel rilevare penuria di iniziativa personale nel sociale vede immaturità e intimismo e nel constatarne l’abbondanza scorge riduzioni pietistiche e derive associazionistiche o personalistiche: la “compagnia divinizzata” annaspa nel tentativo di ricapitolare a sé la realtà, l’immediatezza della vita, gli accadimenti, la complessità delle cose, le soggettive sensibilità.
Emerge una divisione, una ambiguità, un doppio legame, tra l’opera di Dio e quella dell’ “Io” che non trova pacificazione e come Sisifo non raggiunge meta.
Un conflitto tra realtà e ideale originato dal supporre che ci sia sempre un Quid infinitamente più “grande” e sempre più in là del soggetto che pensa e fa” [2].

2) Si giunge, così, ad una situazione paradossale, che se non avesse ricadute nella sfera emotiva delle/dei Cielline/i, avrebbe pure tratti comici:
“Ne risulta una sorta di limbo surriscaldato, un film malfermo con l’audio fuori sincrono, che dice con precisione quanto l’ideale annunciato non sia realtà costitutiva, ma narrazione mitica sovrapposta forzosamente alla vita, che nel tortuoso, replicato, ossesso, tentativo di inglobarla produce labirinti di insoddisfazione.
Tutto sommato una esperienza più necessita di essere spiegata, supportata, riprodotta e espansa meno è credibile in quanto il fondato sta in piedi e si afferma da sé, mentre l’infondato necessita di essere tenuto forsennatamente su” [3].
Un elemento rivelatore del reale stato di cose è il seguente:

“Sintomatica al riguardo la inabilità di Comunione e Liberazione, nonostante l’espressione di migliaia di appartenenti in mezzo secolo di vita, al partorire eccellenze artistiche: le figure di Giovanni Testori e William Congdon, vicine - seppur in modo differente - al Movimento, si rappresentano al mondo per evidente e intrinseco valore personale: straordinari lo erano da prima prescindendo da ogni appartenenza.
Con motivazione distinta - nei casi precedenti per fagocitazione e sfoggio nella architettura biografica, qui per omissione di rappresentanza - aggiungiamo Giacomo B. Contri, psicoanalista e ancor prima filosofo, peraltro valoroso biografo di Giussani[4], del quale Savorana ne censura il pensiero, relegandone colpevolmente la figura a inespressiva comparsa” [5].
L’entusiasmo [6], che comprensibilmente muove Savorana, produce qualche smagliatura nella rete
da lui tessuta:
“Nel saggio biografico viene dettagliata l’evidente preferenza e prossimità, libera, truistica e legittima, del protagonista nei confronti di Comunione e Liberazione, ma inopinata compare una affermazione di Giussani stesso vagamente quietistica, proferita nell’ultima parte del suo percorso:
“Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta” (p. 1138), che risulta storicamente falsa: contraddizione veniale smentita dalle 1137 pagine precedenti della biografia stessa, che dettagliano tutto il fibrillare di Giussani nell’implementare e imporre metodologie atte a generare, conservare ed espandere il “suo” Movimento con tanto di conflittualità, specialmente nel primo periodo, all’interno delle Chiesa stessa” [7].

NOTE

[1] Recensione alla biografia “Vita di don Giussani”.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] “Luigi Giussani e il profitto di Cristo”, Giacomo B. Contri, Studium Cartello.
[5] Recensione, cit..
[6] “Un’altra etimologia della parola entusiasmo possiamo attribuirla al greco enthus o en-theos, cioè avere un dio dentro, essere invasato, essere ispirato da una forza esterna irresistibile …”.
[7] Recensione, cit..

(Quinta Parte)

1) Se don Giussani non si tirava indietro, quando c’era da polemizzare all’interno della Chiesa, è facilmente intuibile quanto forte fosse la sua critica al mondo profano ed ai suoi rappresentanti,  pur se con un’eccezione:
“Nei resoconti di rapporti epistolari e con i prossimi emerge quanto Giussani sia tollerante e amichevole, sempre stimando e valorizzando chi incontra personalmente” [1].
Subito, però, il “Dr. Jekyll” si trasforma in “mister Hyde”:
“Concezione che muta nei suoi libri e discorsi pubblici, dove l’individuo è invece tendenzialmente interpretato con implicita disistima e diffidenza in quanto minacciato da culture dominanti o infognato in concezioni massificanti che, dal di fuori e dal proprio intimo, gli incombono addosso.
“Mondo” e Dio blocchi contrapposti, enti ai quali si appartiene a prescindere.
Interpretazione che preclude al soggetto la realizzazione suscitata e operata dal personale pensiero sovrano” [2].
Inoltre, come ha avuto modo di sperimentare chiunque abbia parlato con le/gli aderenti a C.L. giovani ed adulte/i:
“La mole di citazioni, gli aneddoti, le testimonianze, le annotazioni rendicontano precise l’idiosincrasia per qualsiasi filosofeggiare e teologizzare da parte di Giussani, un poggiarsi “non su una sintesi di idee ma su una certezza di vita” [3].
Pertanto, il fondatore elabora un:
“Pensiero che rigetta idealismi per fondarsi sull’esperienza dell’ “Avvenimento”, - negli ultimi anni, intatto nel merito, vira nel metodo interpretando l’”Avvenimento-Presenza” VS “Mondo” come “Essere”[4] VS “Nulla” -, evento e incontro tangibile che irrompe nella storia spaccandola in prima e dopo: Cristo presente nella Chiesa, più precisamente nella concretezza e attualità del pezzo di Chiesa espresso da Comunione e Liberazione” [5].

2) Si giunge, così, ad una delle parti più avvincenti e divertenti, nel contempo, della recensione di Vergani:
“Che il lettore si approcci alla biografia considerando il Cristo mai esistito se non attraverso chi ha scritto di Lui, oppure lo identifichi col Gesù di Nazareth uomo, oppure Dio, o nel contempo entrambi, a ogni pagina sorgerà urgente una domanda, la domanda:
come e perché, attraverso quale inferenza, con quale esperire, poggiandosi su cosa, Giussani identifica, come dato di fatto, il Cristo Verità assoluta, Giustizia compiuta, somma Bellezza, realizzazione e compimento storico dell’umanità tutta, con quel pezzo di Chiesa denominato Comunione e Liberazione indipendentemente dal pensiero valoroso o micragnoso dei suoi appartenenti?
Identificazione così certa da asserire:
“Se non c’è risposta a quel che sei, sei un disgraziato! […]
Immaginate di andare in piazza Duomo a Milano alle sei di sera, d’estate, o in primavera, o d’autunno, d’autunno presto.
Piazza Duomo è quasi piena, gente che va di qui, gente che va di là; ma osservate che c’è qualcosa che non va: sono tutti senza testa!
Immaginate di essere lì: sono tutti senza testa, solo voi avete la testa! La vita è così, il mondo è così”. (Conversazione di Giussani ad un gruppo di Memores Domini 1 ottobre 1995)” [6].
Certo, immaginarsi Formigoni ed i suoi sodali come i soli ad avere una testa in una moltitudine di “ghigliottinati/decerebrati” è l’equivalente di leggere una vignetta d Vauro.
Lo stesso effetto esilarante è prodotto da altra prosa roboante:
“Quando ci si mette insieme, perché lo facciamo?
Per strappare agli amici – e se fosse possibile a tutto il mondo – il nulla in cui ogni uomo si trova”.
(Incipit del messaggio di Giussani per il XXV Pellegrinaggio a Loreto).
“Amici miei, che compito, che responsabilità! Perché gli altri nel mondo dipendono dalla nostra vita”. (Giussani ritiro di Memores Domini, p. 728) [7].
La conclusione del meritorio studio di Vergani, in sintonia con le analisi precedenti, dà sia modo di pensare, sia di sorridere, cosa che, soprattutto in questi anni tristi e cupi, è da apprezzare non poco:
“L’entusiasmo apologetico per la coincidenza assoluta Cristo-Chiesa-CL appare, talvolta, vagamente mitigato da Giussani:
“il bene sta al fondo di ogni essere” (p. 905); e sistematicamente giustificato in due modi:
riferendosi ai duemila anni di tradizione cattolica senza soluzione di continuità, prova certa di espressione divina, della quale la “fraternità sacramentale” di Comunione e Liberazione risulta parte integrante.
Prova evidentemente debole appurato che la storia della Chiesa è stata caratterizzata, fin dall’origine, da numerosi scismi dove ogni parte - anche il cattolicesimo risulta mera parte in causa, al pari delle altre - rivendicava e rivendica ortodossia e primato;
altra spiegazione la troviamo nella proposta evangelica, ripresa spesso da Giussani, del “vieni e vedi”.
Noi siamo andati e abbiamo veduto soggetti valorosi, persone ordinarie e individui meschini, come dappertutto.
Per interpretarli “Straordinari” causa di “Stupore”, per rimanerne “Affascinati”, per esaltarli a “Mistero” e “Destino” della storia e dell’umanità - nomi e dinamiche care a Giussani -, avremmo dovuto cedere al malsano invito di addossare ai ciellini, un tempo amici di percorso, occulti funzionamenti di arcane entità, narrazione fantastica, che poggiandosi sul nulla esiste solo nei pantani di pensiero di quelli che ci credono” [8].

NOTE

[1] Recensione alla biografia “Vita di don Giussani”.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4]”Essere è essere agli ordini”, Cfr. Jacques Lacan, Seminario Encore, p. 34.
[5] Recensione, cit. .
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.

Fonte: www.valeriobruschini.info


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Religioni
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Aggiornamento: 14/12/2018