Per una nuova teoria biogenetica: capitolo II

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


Per una nuova teoria biogenetica
Ipotesi meccanica sull’origine della materia vivente

di Vittorio Naso

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CAPITOLO II
Tempo e Vita

Ovunque qualcosa vive, vi è, aperto in qualche luogo, un registro ove il tempo si iscrive.
Henri Bergson

Abbiamo, sino a questo punto, cercato di far comprendere come nella interpretazione della vita, la singolare qualità della conservazione, che caratterizza tutti i sistemi biologici, nasconda un concetto troppo sottovalutato, soprattutto rispetto all’importanza che riveste per la scienza.

Il tempo è, infatti, la grandezza che più di ogni altra ha prodotto, in campo scientifico, un grande salto di qualità, una volta che ne è stata compresa la strettissima relazione con la materia e quindi con il suo stato.

È stato un prodigioso successo, l’investigazione più acuta che si possa ricordare. Il tempo, infatti, grazie alla teoria della relatività, ha perso la caratteristica di grandezza assoluta, identica dappertutto, ma si è trasformato in un parametro variabile, associato alle qualità energetiche della materia.

E` questa variabilità che ci dà la certezza dell’esistenza del tempo, e l’unico tempo che possiamo ammettere di conoscere è il tempo della teoria della relatività, non ne conosciamo altri. Se c’è una illusione, veramente dura a morire, è il tempo uniforme. In questa ottica, qualsiasi considerazione che abbia come oggetto la direzione del tempo, se non associata ad una relazione tra sistemi di riferimento, è priva di senso. Ci sembra un fatto automatico, che discende dalla grande precisazione prodotta dalla teoria della relatività.

Parlando allora di sistemi dissipativi, di fenomeni di disequilibrio, la strana miopia nei confronti della relatività ristretta, non ha fatto comprendere che sono i sistemi di riferimento e le loro relazioni il punto di partenza dei fenomeni di disequilibrio, e non le pure differenze energetiche su un tempo uniforme che scorre dal passato verso il futuro (la freccia del tempo).

In pratica, se noi avessimo un solo sistema di riferimento, il nostro universo non esisterebbe. Non avrebbe senso parlare di tempo, di spazio, non avremmo nessun tipo di instabilità. È la relazione tra sistemi di coordinate che impone lo spazio, il tempo, che dà un senso allo scorrere dello stesso. I fenomeni di disequilibrio, che sono una diretta conseguenza di questa relazione (compresa la capacità, di questi fenomeni, di creare nuove strutture), potrebbero assumere il ruolo decisivo, che gli spetta, nell’interpretazione della realtà.

Ma torniamo alla vita, poiché sarà l’analisi di questo strano disequilibrio che permetterà di comprendere le nostre affermazioni sui sistemi dissipativi. La vita è, infatti, considerato il fenomeno di disequilibrio più complesso, tanto che è un argomento sempre più presente negli studi di termodinamica. La conservazione, abbiamo detto, sembra giocare un ruolo decisivo. Rivediamo, quindi, le principali caratteristiche vitali.

Partiamo dalla duplicazione: è il modo con cui una specie animale o vegetale si perpetua nel corso del tempo. Attraverso essa, si producono individui nuovi, periodicamente. Il compito della duplicazione è, quindi, quello di preservare nel corso del tempo le specie biologiche. Consideriamo ora la conservazione propriamente detta: è il modo con il quale la vita consente ad ogni essere vivente di svolgere il proprio ciclo biologico, attraverso meccanismi di protezione, autodifesa, controllo, e la lista potrebbe essere infinita, come già ricordato in precedenza.

Infine, l`evoluzione: è la caratteristica che ha consentito agli esseri viventi di adattarsi all’ambiente circostante, e di migliorare le proprie prestazioni. Diciamo che è l’arma vincente. L’evoluzione è la capacità degli esseri viventi di adattarsi nel tempo ai fattori ambientali in maniera sempre più precisa e puntuale.

Nessuna di queste caratteristiche può svolgere efficacemente il proprio ruolo senza le altre, sono strettamente interdipendenti. Dal nostro punto di vista, evidentemente, il collegamento è molto più stretto. Se guardiamo ciò che le accomuna, non possiamo tacere sull’aspetto temporale.

Ognuna di esse svolge un ruolo essenziale nella salvaguardia della vita nel tempo. Ma non solo. L’evoluzione pone in evidenza l’aspetto più eclatante di tutta la vicenda, il tempo, infatti, nel caso dell’evoluzione, viene man mano aggirato, aumentando le possibilità di “vita” della vita stessa. Questo è sicuramente il punto centrale, poiché la capacità di porre in discussione continuamente il rapporto tra la vita ed il tempo, indica che la causa continuamente si produce e continuamente agisce come stimolo nei processi biologici. Se, infatti, ipotizzassimo, che la causa sia solo momentanea, che si sia manifestata all’origine della vita, le strade percorse dalla vita sarebbero nuovamente e completamente affidate alla casualità. Una causa con una originaria direzione ma che lungo il tragitto perderebbe ogni logica. Allora, rettificando una affermazione precedente, la causa non è solo sempre la stessa da quattro miliardi di anni, ma è anche sempre in azione.

Cerchiamo, allora, di identificare questa causa, analizzando la relazione tra il tempo e la vita. Chi si è occupato in maniera molto approfondita della relazione tra il tempo e la vita è il filosofo Henry Bergson, che ha affrontato la questione nella sua più bella e anche più famosa opera “L’Évolution créatrice”. È un opera di una profondità straordinaria, che, si condividano o no le idee del filosofo, merita comunque di essere letta.

Nell’Évolution Créatrice viene continuamente sottolineata l’importanza che l’aspetto temporale, il tempo, riveste per la vita. In particolare, Bergson, parla di durata della vita, affermando che la durata non è il sovrapporsi di un istante ad un altro, non avremmo, in tal caso, che un presente, non un proiettarsi del passato nel momento attuale, non vi sarebbe evoluzione né durata concreta.

La durata, egli afferma, è il continuo progredire del passato che rode l’avvenire e ingrossa mano a mano che avanza. Dato che si accresce senza interruzione il passato si conserva anche indefinitivamente. Questa definizione data da Bergson della durata è molto convincente, ed ai fini del nostro lavoro estremamente utile. Un passato che progredisce, che crea strutture, organizzazioni, sistemi atti non solo a mantenere inalterati le connotazioni iniziali, ma anche a migliorarle, cioè a farle progredire. Quindi, un meccanismo che coinvolge pienamente la materia, in un processo di autoevoluzione, in cui gli eventi casuali sono lo spunto principale. Sembrano pochi i dubbi che possono sorgere nell’identificare nella durata, così ben definita da Bergson, il legame che la vita instaura con il tempo.

Più che un legame, sembra addirittura che la vita nella sua interezza, così come noi la conosciamo oggi, possa essere identificata totalmente con questo concetto di durata. Il problema che sorge, nell’analizzare l’opera di Bergson è, però, di altra specie, almeno per quel che riguarda la nostra ricerca. Quando si parla di durata si parla di tempo, e l’unico tempo che conosciamo è il tempo relativistico, descritto in maniera sorprendente da Albert Einstein.

Perché, allora, non tentare un’analisi del tempo, nella vita, partendo dai precetti di Einstein? Bergson critica Einstein, o meglio, i fisici e l’ambiente scientifico in generale, in quanto, egli dice, considerano il tempo una quarta dimensione dello spazio, e inoltre, che il tempo non può essere oggetto di scienza in quanto troppo complesso. Ma Einstein è molto chiaro su questo punto, infatti dichiara: “...L’indivisibilità del continuo tetradimensionale degli eventi non implica, però, in alcun modo l’equivalenza delle coordinate spaziali con la coordinata temporale; al contrario si deve ricordare che quest’ultima è definita fisicamente in maniera del tutto diversa dalle coordinate spaziali. Le relazioni... che attraverso la loro eguaglianza definiscono la trasformazione di Lorenz mostrano una ulteriore differenza fra la coordinata di tempo e la coordinata di spazio. Il termine delta t al quadrato che compare nelle relazioni di Lorenz ha infatti segno opposto rispetto ai termini spaziali.” (2)

Se dobbiamo parlare di tempo, allora, non possiamo evitare la teoria della relatività, anche perché, dal nostro punto di vista, è una teoria che consente di trattare questo parametro come una possibile variabile.

Il termine “durata” presuppone, anche se Bergson non lo dice mai, che il tempo proposto dalla vita non sia lo stesso tempo dell’ambiente circostante.

Un passato che progredisce, indica in maniera, per noi, univoca, che da qualche parte è in atto una frizione, una resistenza, una alterazione del tempo. Fisicamente, non consideriamo, e mai abbiamo considerato, la possibilità che vi possa essere un trasferimento, o una scambio di coordinate tra sistemi di riferimento, ma solo che il meccanismo della vita nasconda una particolare relazione tra sistemi di riferimento, e che questa relazione favorisca un particolare scambio di informazioni (sempre tra sistemi di riferimento).

In questo senso, il tempo della teoria della relatività, ci fornisce ciò che cerchiamo, ovverossia, differenti situazioni spazio-temporali, le quali ci permettono di rilevare che il tempo non è uguale dappertutto. Ciò è il primo passo, importantissimo, verso il concetto di durata.

Questo concetto può essere sostenuto solo se si ammette un rapporto tra grandezze temporali diverse. Facendo un semplicissimo esempio, diciamo che io resisto al vento solo se non ho la stessa velocità del vento. Sono due velocità diverse, dalle quali sorge una resistenza. In questo senso, la teoria della relatività ci fornisce tutti gli strumenti necessari, non abbiamo bisogno di altro, poiché ci basta sapere che il tempo non è ovunque lo stesso. Qualcuno potrà contestare che è solo una questione di punti di vista, e che non esistono reali differenze temporali, ma se si riflette un attimo, gli effetti della teoria della relatività (che è quello che a noi interessa) sono sempre reali, anche se determinati dai punti di vista.

Ecco, allora, che il problema si trasforma. Non è più necessario individuare trasformazioni miracolose della materia chimica, in cui il caso determini degli epifenomeni fuori da ogni logica, o presupporre il tempo un parametro non analizzabile, e quindi considerare la vita non alla portata della scienza o della logica. Il problema diviene quello di individuare e analizzare, nella chimica degli elementi, possibili relazioni tra sistemi di riferimento, che chiameremo da ora S.C.(sistemi di coordinate), e scoprire se il sottaciuto meccanismo, descritto da Bergson, esista e funzioni.

In pratica dovremo analizzare il cardine di tutti i processi chimici, che è la relazione tra nucleo atomico ed elettroni in rotazione, in quanto si tratta di due S.C. in continua e mutua relazione. Citiamo, in proposito, un noto fisico, che afferma: «Il comportamento elettronico è a sua volta determinato dall’azione reciproca tra il nucleo atomico carico positivamente e gli elettroni carichi negativamente. È proprio questa azione reciproca che produce tutte quelle varietà di strutture e di fenomeni nel nostro ambiente: è responsabile di tutte le reazioni chimiche e della formazione delle molecole, cioè degli aggregati di atomi legati tra loro dalla mutua attrazione. L’interazione tra elettroni e nuclei atomici è quindi il fondamento di tutti i corpi solidi, liquidi e gassosi, e anche degli organismi viventi e di tutti i processi biologici a essi collegati.» (3)

Sappiamo, inoltre, che il nucleo atomico, che rappresenta più del 99% della massa dell’atomo, è una realtà molto diversa dalla nostra. La materia è compressa in un piccolissimo spazio in cui protoni e neutroni si muovono con delle velocità terrificanti, 60000km/sec, anche se, considerando i costituenti ultimi, i quark, le velocità dovrebbero essere di molto superiori.

Quindi un S.C. molto diverso dal S.C. degli elettroni in rotazione, che hanno una velocità media di circa 700km/sec, cento volte inferiore (come valore minimo) alle velocità presenti nel nucleo. Due S.C. in continua e mutua relazione, responsabili di tutte le proprietà chimiche a noi conosciute. La domanda da fare ai fisici ed ai chimici, a questo punto, sorge inevitabile. Ma perché il nostro mondo si sostiene su un sistema in cui due sistemi di riferimento sono in continua e mutua relazione? È possibile che questa relazione non abbia alcuna rilevanza sul comportamento elettronico, e di conseguenza, chimico della materia, ma che tutto sia determinato solo dalle forze di attrazione e repulsione? La nostra opinione è che, se la teoria della relatività ristretta è vera, la relazione in questione non può essere priva di effetti.

(2) Albert Einstein, Il Significato della Relatività, Bollati Boringhieri, Torino, 1973

(3) Fritjof Capra, Il Tao della Fisica, Adelphi Edizioni, 1983, pag. 86.

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Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018