Ordini religiosi medievali. Storia delle piante medicinali

HERBIS NON VERBIS
STORIA DELLE PIANTE MEDICINALI


GLI ORDINI RELIGIOSI

In Europa occidentale il binomio medicina/religione trova ampio seguito presso gli ordini regolari, a partire da quello benedettino. Non senza problemi relativi alla legittimità della competenza: il fatto che i monaci potessero essere autorizzati alla pratica della medicina fu oggetto di controversia conciliare per secoli.

D'altra parte i cenobi erano centri del sapere, di lavoro pratico e intellettuale: non erano semplicemente luoghi di rifugio o di ospitalità temporanea. Ben presto furono creati dei centri di assistenza, anche medica, degli ospizi e dei ricoveri per pazienti interni alla struttura, che poi col tempo si aprirono a un'utenza esterna di poveri o bisognosi, ammalati, ospiti... (solo nel monastero di Cluny passavano 17.000 poveri all'anno). L'ospitalità monastica venne progressivamente a saldarsi con quella ospedaliera: non a caso ospizio e ospedale hanno hospes come medesima radice.

Le figure specializzate in grado di preparare medicamenti naturali efficaci si formarono grazie allo studio di testi classici sulle piante medicinali. Gli stessi monaci furono i primi a tradurli dal greco o dall'arabo. In particolare apprezzavano le opere dello pseudo-Ippocrate e soprattutto di Galeno, per la sua razionalità e per la sua dipendenza dalla logica aristotelica.

Nei secoli X-XI particolarmente noti erano i trattati di Dioscoride Pedanio, De Materia Medica, la Medicina Plinii, il De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus di Galeno, De viribus herbarum di Odone di Meung. La capacità sinergica di servirsi di fonti storiche e di culture di vario tipo porterà poi all'istituzione della famosissima Scuola Salernitana, cui i monaci diedero un contributo decisivo (basti pensare all'opera di Alfano, monaco di Montecassino e arcivescovo di Salerno dal 1058 al 1085).

Inizialmente il monacus infirmarius si serviva di un confratello giardiniere che coltivava le erbe medicinali (simplicia medicamenta) in un orto botanico (hortus sanitatis) ad uso esclusivo della farmacia interna, che allora si chiamava "spezieria".

Avendo inoltre una dieta basata prevalentemente sui vegetali, monaci, eremiti ed anacoreti erano portati ad interessarsi di piante ed erbe; simili in un certo senso agli uomini primitivi, sperimentavano su di loro le proprietà terapiche delle specie vegetali che crescevano attorno a loro o che loro stessi coltivavano. Ogni monaco finiva assai presto per diventare medico di se stesso.

Ad un certo punto mostrarono d'aver conoscenze tali che la gente comune non aveva dubbi nel considerarli alla stregua di maghi e stregoni. Ildegarda di Bingen (1098-1179), badessa del convento di Rupertsberg, scrisse due libri che raccoglievano tutto il sapere medico e botanico del suo tempo e che vanno sotto il titolo di Physica ("Storia naturale o Libro delle medicine semplici") e Causae et curae ("Libro delle cause e dei rimedi o Libro delle medicine composte"). In essi non solo non si separava la mente dal corpo, ma si prevedeva anche l'uso contemporaneo di musica, arte, contemplazione, dieta, preghiera, erbe per calmare e curare.

Gli ostacoli all'esercizio della pratica medica non era posti da chi non si fidava della competenza scientifica dei monaci, ma, al contrario, da chi, svolgendo la medesima professione negli ambienti urbani, non sopportava una concorrenza sleale. Di regola infatti i monasteri non solo ricevevano lasciti e donazioni che ne aumentavano in maniera spropositata i patrimoni, ma erano anche esentati dal pagamento di imposte e tributi.

Furono gli speziali, gli antenati degli odierni farmacisti, che, associati in corporazioni, chiedevano insistentemente che i monaci non esercitassero la loro professione medica al di fuori dei loro conventi. E non potevano certo accontentarsi delle disposizioni ecclesiastiche secondo cui i monaci erano autorizzati a esercitare esternamente la professione solo a condizione che lo facessero gratis et amore Dei erga omnes. Era proprio questo che più minava i loro affari.

Alla chiesa premeva soltanto far vedere che i monaci non esercitavano il mestiere per arricchirsi a titolo personale. Va poi detto che il divieto ad esercitare la professione non era soltanto frutto di pressioni provenienti dal mondo laico: le stesse autorità ecclesiastiche s'erano accorte che studi troppo assidui di medicina e diritto inducevano i monaci a lasciare i conventi per andare a lavorare nelle città.

I concili di Reims (1131), di Roma (1139), di Tours (1163) e ancora di Roma (1215), nonché i decreti pontifici del 1227 e 1268, le decretali di Alessandro III (1180) e di Onorio III (1219) contengono disposizioni contro l'esercizio della medicina da parte dei chierici (nella fattispecie soprattutto i benedettini, criticati anche, ma solo inizialmente, da altri ordini regolari: francescani, cistercensi ecc.), ma ormai le abbazie benedettine erano divenute potenti centri feudali in grado di evitare le scomuniche sinodali. Gli stessi francescani, fin dal 1292, avevano autorizzato alcuni religiosi a seguire a Parigi i corsi di medicina (physica).

Una spezieria aperta al pubblico nell'alto Medioevo l'avevano solo i benedettini, ma ben presto la vollero anche i domenicani, francescani, certosini, cappuccini, camaldolesi, carmelitani, gesuiti ecc. Anzi, ad un certo punto fu proprio a motivo delle ampie conoscenze medico-fitoterapiche che nacque l'esigenza di affidare agli ordini religiosi la gestione degli ospedali e ospizi urbani e suburbani, esterni al centro religioso.

Nella Francia del Cinquecento i frati, giuridicamente, non potevano gestire la spezieria per un'utenza esterna senza essere iscritti alla relativa corporazione di mestiere, che avrebbe dovuto tenerli sotto controllo. Ma in pratica essi rifiutarono sempre restrizioni del genere, tant'è che fino a poco prima della rivoluzione dell'89, che mise all'asta la vendita delle farmacie conventuali, ancora ci si lamentava della concorrenza sleale dei religiosi.

Fino a quando non saranno le realtà laico-urbane a consolidarsi efficacemente per poter agire in maniera autonoma, tutti i divieti canonici resteranno di fatto lettera morta: l'ultimo sarà addirittura del Codice di diritto canonico del 1917 (c. 139, par. 2).

Tuttavia il concetto di "pharmacia" nacque proprio all'interno dei monasteri, quale luogo preposto alla vendita esclusiva di prodotti medicamentosi. E sul modello della farmacia monastica si sviluppò quella laica: di rilievo sono la Farmacopea manoscritta di fra' Gregorio da Padova (1663) e l'Arte chirurgica, medica, farmaceutica di fra' Vincenzo Battaglia (1724). Fortunato da Rovigo (1638-1705) divenne celebre per il suo grande Erbario in sette volumi, ora nel museo di Storia naturale di Verona, opera continuata con altri sei volumi da Petronio da Verona (1660-1744).

Per secoli ostelli, ospizi, ospedali, foresterie, farmacie, lebbrosari o lazzaretti furono gestiti in via esclusiva dalle comunità religiose. Probabilmente il loro momento più significativo non fu durante il Medioevo ma nei secoli XVI-XVIII (in Toscana p.es. non esisteva convento che non avesse un orto botanico e una spezieria). Ancora oggi esistono ottime farmacie monastiche a Camaldoli, Casamari, Trisulti, Praglia, Certosa di Pavia, Certosa di Firenze, Monte Oliveto Maggiore, Montevergine, Montecassino ecc. A La Verna l'ultimo speziale, fra' Achille Tocchi, morì nel 1957. Il convento del SS. Redentore di Venezia dei padri cappuccini, fondato nella Giudecca nel 1576, conserva pressoché intatta la sua antica farmacia, rimasta attiva sino al 1956.

A Dubrovnik la farmacia, il cui ultimo gestore francescano è morto nel 1990, svolse ininterrottamente la sua attività per quasi 700 anni, contribuendo in maniera decisiva, sin dalla sua nascita, a debellare la lebbra e la peste. Essa rimase pubblica anche dopo il decreto di Benedetto XIV (1741) che voleva limitarla ad usi interni, e anche dopo che l'impero asburgico, nel 1816, cercò di obbligarla all'esercizio, previo apposito diploma imperiale, che ovviamente non avrebbe potuto essere concesso a un chierico.

La farmacia di Dubrovnik fu così importante, nonostante il tragico terremoto del 1667, che distrusse completamente l'archivio del convento, che un suo dirigente, P. Kuzmiĉ, membro del Circolo botanico di Vienna, dell'Associazione di orticoltura di Trieste e della Società malacologica di Bruxelles, fu in grado di interagire con l'attività scientifica e culturale dell'Ottocento europeo.

Ma anche in Palestina, dove sino alla I guerra mondiale esisteva una famosa farmacia francescana pubblica (san Salvatore) a Gerusalemme, furono inviati dei frati molto esperti in medicina, chirurgia e farmacia: p.es. Baptiste de Lubeck o Eugène Roger, che fu medico personale dell'emiro druso Fakhr el-Dîn II. Lo speziale doveva conoscere perfettamente almeno 60 attività di tipo officinale. Nel 1896, in un solo anno, registrò oltre 34.400 ricette.

Nel 1751 il medico e membro delle Società reali di Upsala e di Stoccolma, F. Hasselquist, i cui racconti furono pubblicati dal botanico C. Linneo, cita un famoso balsamo della spezieria di Gerusalemme inventato, dopo 24 anni di studi, da padre Antonio Menzani da Cuna: i suoi 40 ingredienti risultavano molto efficaci contro le epidemie di peste, che flagellarono l'Europa dalla metà del Trecento sino alla metà dell'Ottocento.

Fino al 1670 ai frati era vietato prestare assistenza alle donne. Tuttavia quando i turchi pretesero che un frate si recasse a casa di una loro donna per curarla, sarebbe stato discriminante non agire allo stesso modo nei confronti delle donne cristiane; sicché papa Clemente X li autorizzò a comportarsi come meglio credevano.

Nei monasteri si faceva anche didattica delle scienze farmaceutiche: p.es. nel convento domenicano di Montpellier una sessantina di frati, nel 1309, svolgeva docenza di fitoterapia ai loro confratelli provenienti da altri conventi. E non va dimenticato che l'arte farmaceutica non conosceva tra i monaci differenze di sesso: a Padova p.es. nel 1769 vi erano 20 monasteri femminili con altrettante spezierie.

Evangelista Quattrami, frate agostiniano, passò tutta la sua vita a raccogliere piante medicinali per l'Italia, le coltivava nel Giardino dei Semplici di Monte Cavallo a Roma e le distillava, scrisse pure vari libri, tra cui uno sulla preparazione della theriaca, una sorta di antidoto universale molto in voga sino al XVIII secolo.

Anche i francescani non erano da meno: Gregorio da Padova scrisse una Farmacopea copiosissima di sperimenti secreti; Donato da Roccadevrando, speziale del convento di Forniello, s'interessò di alchimia e scrisse un Antidotario, l'Arte distillatoria e l'Elixir vitae.

Lo strumento preferito dei francescani era proprio l'erbario (hortus siccus), un catalogo di piante schiacciate ed essiccate, per lo più medicinali, che serviva per la docenza (anche itinerante) e per i dubbi della memoria. A partire dal Quattrocento gli herbaria cominciarono ad essere illustrati.

L'erbario di frate Fortunato da Rovigo era in sette volumi, cui se ne aggiunsero altri sei da parte del suo collaboratore, frate Petronio Mastagni da Verona.

Padre Giuseppe di Massa Ducale, farmacista speziale dell'Arcifarmacia dell'Aracoeli, compose nel 1738 un erbario con oltre 400 piante medicinali. Gli osservanti dell'Aracoeli a Roma producevano regolarmente theriaca e mitridato, due delle più storiche e più prescritte preparazioni farmaceutiche di tutti i tempi.

In una farmacia conventuale famosa, quella dei cappuccini della Giudecca (a Venezia), sul finire del '500, frate Francesco del Bosco da Valdobbiadene, pur entrato in convento del tutto illetterato, si appassionò così tanto dell'arte medico-farmaceutica che arrivò persino a scrivere La pratica dell'infermiero, che in pochi anni ebbe varie edizioni.

A Vallombrosa non ci fu solo un'importante spezieria ma anche una scuola di botanica che dette illustri naturalisti per almeno quattro generazioni.

La perdita delle dotazioni delle farmacie conventuali fu causata dalle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi, confermata dallo Stato unitario (1866). A volte, per sottrarsi all'incameramento, i conventi affidavano le loro risorse migliori a famiglie compiacenti, sperando di poter continuare in qualche modo l'attività.

Fonte: La Verna, spezieria e speziali, a c. di A. Menghini, ed. Aboca Museum, Sansepolcro 2003

Il medioevo


Le immagini sono state gentilmente offerte da Davide Fagioli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 23/04/2015