Un fil di fumo

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


UN FIL DI FUMO

Pier Paolo Vaccari

Quale spettacolo più consueto e familiare di un filo di fumo che si leva nell’aria?

Fin dalla più remota antichità l’uomo ha visto il fumo alzarsi dai falò e gli ha anche affidato a volte i suoi messaggi.

Quelle volute fluttuanti che compaiono d’improvviso nell’aria sembrano disegnare scenari che il pensiero tenta invano di seguire e carpire prima che scompaiano.

Seduti su una poltrona con un sigaro fra le dita, lo sguardo perso dietro all’unico moto intorno a noi, quello delle particelle azzurrine che si avviluppano silenziose.

Uno spettacolo affascinante, ma anche molto comune e consueto; del tutto privo, sembra, di particolari significati e implicazioni.

Eppure se provassimo a descriverlo a uno che non l’ha mai visto, per esempio a un cieco dalla nascita, forse stenterebbe a crederci. Lo farebbe sulla parola, se ha proprio fiducia in noi.

Soprattutto non capirebbe perché mai il fumo dovrebbe tracciare delle figure nell’aria.

Vediamo il fenomeno: le sue condizioni iniziali e finali non presentano particolarità interessanti, se non per l’ovvia considerazione che il primo stadio è quello di massimo dinamismo delle particelle e il secondo è invece molto vicino a una condizione generale di equilibrio indifferenziato.

Ma è ciò che accade nell’intervallo fra i due stati, che appare singolare e straordinario.

Il fumo del sigaro, sollecitato dal gradiente termico, si solleva per un breve tratto con un flusso quasi uniforme, poi, in generale, si mette a oscillare come avesse un fremito formando onde di frequenza costante; quindi tali onde si ampliano e si separano, dando origine a forme nelle quali possono riconoscersi volute, spirali, eliche, anelli ecc.

Si dice che il fluido passa da un moto laminare a uno periodico a uno turbolento.

Ma attenzione, nulla di confuso in tale turbolenza. Anzi, è come se le particelle avessero acquistato la vista, perché invece di salire disordinatamente, esse vanno a incanalarsi secondo percorsi che si organizzano a loro volta in forme instabili ma coerenti, le quali evolvono senza soluzione di continuità, dando origine a una straordinaria varietà di composizioni.

Un occhio fotografico non può fare a meno di riconoscere in quelle labili configurazioni gli elementi di una geometria complessa ma familiare.

Questo sarebbe caos?

Il caos, la confusione, sembra trovarsi piuttosto nella situazione di equilibrio finale.

E’ lì che le particelle sono anonime e indifferenziate, disperse nello spazio, senza che alcun criterio possa aiutarci a distinguere le une dalle altre.

Qui invece è possibile individuare esattamente le porzioni di spazio che esse occupano nel corso del loro moto ordinato e continuo.

Esse si associano spontaneamente in conformazioni che, per quanto fuggevoli, non possono non essere riconosciute come vere e proprie forme del mondo reale.

Neppure tanto labili, per la verità, anzi singolarmente robuste, se si osserva come attraversano, senza scomporsi, le maglie di una rete abbastanza fitta.

Il dato saliente del fenomeno è senza dubbio la curvatura continua del disegno, mai spezzato, mai rettilineo, tale da definire senza equivoci una porzione chiusa di spazio, cioè una forma.

E’ qui che il nostro non vedente manifesterà la più grande incredulità, specie se non è digiuno di bilanci energetici.

"Io so" dirà, "che la formazione di una nuova struttura implica comunque un impegno specifico di energia; ma in questo caso non riesco a capire né la ragione di quel che accade, né quale sia l’energia specificamente impiegata nella formazione delle strutture di cui mi parli.

L’energia ascensionale dovuta al gradiente termico è infatti responsabile solo della salita del fumo, indipendentemente dal modo in cui sale.

Se quel che mi dici fosse vero esisterebbero delle strutture, cioè realtà concrete del mondo fisico, che nascono dal nulla, senza alcun motivo, senza che nessuno le abbia concepite e senza alcuno specifico dispendio di energia!

Come è possibile?"

L’osservazione è senz’altro ineccepibile, ma sta di fatto che il fumo sale proprio in quel modo, di fronte ai nostri occhi, completamente indifferente a considerazioni del genere.

E’ evidente che la perplessità del nostro amico nasce dalla supposizione che siano possibili diversi tipi di comportamento da parte del fumo, ma non è così. Il fumo conosce un solo modo di salire: quello.

E’ una sua caratteristica fisica inderogabile, priva di alternative: quando le particelle si trovano in certe condizioni il loro movimento non può che svilupparsi in maniera che dobbiamo definire creativa, dando origine a forme e strutture prima inesistenti.

Il gradiente termico è in effetti interamente responsabile della loro salita, ma secondo quello che per loro è l’unico modo possibile di salire.

L’Entropia è la misura del disordine.

Essa, cioè il disordine, aumenta sempre, in un sistema isolato, (principio di Carnot o secondo principio della termodinamica).

Ma il nostro non è un sistema isolato. Qui l’entropia diminuisce vistosamente durante la salita del fumo, quando compare l’ordine, prima di aumentare nuovamente nella condizione finale. L’aumento complessivo dell’entropia si verifica cioè nel confronto fra lo stato iniziale con quello finale, ma non nel durante.

Dobbiamo quindi riconoscere che un aumento (un’esplosione) di entropia comporta necessariamente, in certe condizioni, il passaggio attraverso una fase di diminuzione della stessa.

In altre parole la creazione ha carattere di necessità.

Ilya Prigogine (1917 - 2003), premio Nobel per la chimica nel 1977, ha avanzato l’ipotesi che il  Big Bang non sia stato un’esplosione di energia, ma di entropia, e che attraverso le specifiche modalità di tale passaggio si sia formato l’universo stesso.

Proprio come il nostro filo di fumo, prima della dispersione finale.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018