Materia e Coscienza - 1. Appunti personali

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


The Making of Materia e Coscienza
il capitalismo in questa epoca E' cosI' tenero che si spezza con un grundrisse

(1997-2002)

1. Appunti personali

Coscienza e valore

Solo l’uomo crea valore. E' l’unico animale a creare valore. L’uomo è anche l’unico animale a essere cosciente. Le due cose sono connesse? Sì. Marx nota nella Ideologia tedesca che prendere coscienza significa distaccarsi dalla natura, ovvero sviluppare le forze produttive in modo tale da rendersi autosufficienti dal resto della fauna. Il processo di presa di coscienza è il processo di emancipazione dell’uomo dalla propria natura puramente animale, ovvero puramente di sopravvivenza. L’uomo, prendendo coscienza, non solo riflette il mondo, non solo subisce il proprio istinto, ovvero la propria evoluzione passata, ma crea qualcosa di nuovo, inventa. Certo, le creazioni sono anch’esso frutto del rapporto dell’uomo con l’ambiente, ma superano la semplice riflessione per giungere a una nuova combinazione della natura.

Essere coscienti significa creare i propri mezzi di sussistenza, elevarsi sopra la natura. Il processo di creazione di valore è proprio questo: la creatività dell’uomo si cristallizza in nuove cose: oggetti, tecnologie, teorie. Questo processo di coevoluzione gnoseologica spiega il rapporto tra coscienza e valore e quindi tra teoria del valore e gnoseologia. L’uomo riproduce se stesso, i propri rapporti sociali, mentre riproduce le merci, ma riproducendo se stesso riproduce proprio il suo livello di sviluppo, il suo essere materia cosciente. Si capisce ora anche il brano dei Grundrisse su macchine e valore. Il livello di sviluppo che l’uomo ha raggiunto si riflette nella scienza, teorica (le teorie) e pratica (le tecnologie). La coscienza dell’uomo permette uno sviluppo molto celere e i rapporti di produzione sono rimasti terribilmente indietro.

L’uomo ancora fissa il prezzo delle merci cercando una logica di lavoro socialmente necessario per la loro produzione. Ancora deve dividere inconsapevolmente il lavoro quando il suo sviluppo gli imporrebbe una pianificazione cosciente. Il periodo storico che va dal dissolvimento della gens al socialismo, queste migliaia di anni di proprietà privata, in fondo non sono che il modo con cui l’uomo arriva a tenere dietro al proprio sviluppo, arriva a essere cosciente della propria vita. L’uomo è oggettivamente un animale cosciente. Eppure vive in una società basata su processi inconsci, non governati da nessuno e subiti da tutti. Il socialismo permette all’uomo di diventare anche soggettivamente cosciente, ovvero di regolare la propria vita coscientemente, come il livello di sviluppo delle forze produttive permetterebbe da tempo. Marx disse che la capacità di godere è un presupposto della possibilità di godere. La coscienza è un presupposto, nella storia umana, della capacità di pianificare la vita coscientemente.
 
Non esiste una vera dimostrazione nella scienza

Da sempre il bravo scienziato è colui che “dimostra”. Fa le sue ricerche, annota i risultati di queste, pensa un po’ e quindi elabora una certa teoria che poi “dimostra” induttivamente (fatti stilizzati) e deduttivamente (formalizzazione). In realtà, non solo non esiste una vera dimostrazione nella scienza, ma questo non dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale della scienza (forse dovrebbe del tutto scomparire).

Partiamo dalla deduzione. La deduzione non apporta nuova conoscenza. Quando formuliamo un sillogismo: “tutti gli uomini sono mortali, Giovanni è un uomo, ergo Giovanni è un mortale”, non abbiamo saputo nulla di nuovo, perché Giovanni, essendo un uomo, è implicitamente mortale. E' come dire: nell’insieme A ci sono un milione di piccoli a, il cinquantesimo a è contenuto in A. Che cosa sappiamo di nuovo? Nulla, naturalmente. La deduzione è un metodo per ricavare il meglio da ciò che già sappiamo, è un modo per sistematizzare la conoscenza, non per farne di nuova. Dunque la dimostrazione deduttiva esiste ma non ha a che fare con la scoperta, con nuove teorie, con la crescita della conoscenza. In questo senso i teoremi di Gödel, sintetizzati magnificamente da Cini così “l’autoreferenzialità porta all’indecidibilità”, cosa sono se non la prova che perfino nella matematica, se non si accetta un input iniziale empirico, non si va avanti?

E passiamo all’induzione. Un classico caso di induzione potrebbe essere: “ho visto 1500 corvi neri. Ergo tutti i corvi sono neri”. A questo punto uscirebbe fuori Popper a dire: come osate? Non c’è nessuna base logica, scientifica per cui avendo visto 1500 corvi, piuttosto che due o dieci miliardi, si possa inferire che tutti i corvi siano neri. Dietro di lui un ridente Hume indicherebbe il Sole, ricordando la sua nota obiezione all’induttivismo. Di fronte a queste critiche non possiamo che cedere. E' vero, non c’è nessuna base logica per l’induttivismo. Che poi la conoscenza di tutte le creature viventi sia induttiva è tutta un’altra cosa.

L’evoluzione fissa l’induzione nei comportamenti degli animali, ma quando le cose cambiano l’induzione dimostra la sua fallacia. Così se le prede del corvo erano preparate a riconoscere il predatore dal suo colore, se nascesse un corvo bianco sarebbero spacciate. L’uomo ha preso coscienza dell’induzione e l’ha resa un metodo anziché lasciarlo un modo di procedere storico della natura. Ma quando lo scienziato dice “tutti i corvi sono neri”, dopo averne osservati per forza di cose un numero finito, compie una scorrettezza formale, anche se solo grazie a queste scorrettezze è nata e si è sviluppata la scienza. Dunque, come d’altronde la filosofia sa da secoli, non esistono dimostrazioni induttive.

A questo punto ci rimane da indagare la terza e ultima ipotesi, ovvero se una qualche interazione di induzione e deduzione possa fornire una dimostrazione scientificamente fondata. Ce la caveremo osservando che l’unione di due zoppi non può dare un corridore provetto. La scienza è in ogni momento induzione e deduzione, ma nessuno scienziato dimostra nulla a se stesso, prova e basta. La dimostrazione come fine della scienza è insieme ingenuo e impossibile. E' ingenuo perché presuppone che gli stessi fatti producano gli stessi effetti su tutti gli uomini, mentre in una società divisa in classi la stessa situazione può convincere due persone di azioni esattamente opposte. E' impossibile perché non ci sono casi in cui qualcuno si sia convinto per via della sola dimostrazione di un qualcosa.

Questa critica non è affatto un invito al relativismo o all’agnosticismo. La realtà oggettiva ovviamente esiste e si riflette nelle teorie che ne sono una riproduzione astratta, approssimativamente corretta. Ma proprio per questo legame necessario tra teoria e realtà, a cosa serve dimostrare? Chi è stato convinto da un teorema a diventare comunista o liberale o fascista? Chi ha abbandonato una teoria dopo aver letto la dimostrazione di un’altra teoria? La dimostrazione ha, al più, una funzione di complemento, è una dimostrazione di forza, di maturità, non di scienza. La scienza vive delle critiche tra le varie scuole e i vari paradigmi.

Ogni teoria e ogni scienziato hanno il diritto e il dovere di argomentare le proprie posizioni criticando quelle altrui. Deve solo cadere la pretesa che ci sia un modo per dimostrare razionalmente alcunché. Altrimenti sarebbe molto semplice far vincere la propria posizione, basterebbe legare i propri critici a una sedia e dimostrare di fronte a loro, parlando e scrivendo, quello che si voleva dimostrare. Non si ricorda un singolo episodio della storia della scienza in cui uno abbia detto “ok, questa dimostrazione è inoppugnabile, mi devo convincere”. In questo, l’idea kuhniana di una visione gestaltica non è affatto campata in aria, solo è una semplice descrizione, come al solito per Kuhn. La fiducia che la scienza possa procedere tranquillamente senza dimostrazione, deriva dal metodo materialista. Bisogna avere fiducia che in un certo lasso di tempo la realtà oggettiva si scavi un posto sempre maggiore nelle nostre teorie senza bisogno che dimostriamo alcunché. Di fatto non mi sembra che la scienza abbia mai progredito dimostrando.

Feticismo e riproduzione/riflessione

Marx ha parlato di feticismo delle merci come quel processo in cui gli uomini sono spinti a vedere nell’attuale struttura dei rapporti di produzione la forma eterna e “naturale” della produzione, concependo i rapporti tra i vari soggetti (salariati, capitalisti ecc.), come rapporti tra cose. Per essi l’economia tratta rapporti tecnici anziché rapporti sociali. Le merci sembrano animarsi da sole e agire in base a propri fini che sono indipendenti dagli uomini e li schiacciano. Questo fra l’altro è vero, solo che non dipende dalla volontà delle merci, ma dalle caratteristiche di questo modo di produzione. Senza aver chiara la distinzione tra riflessione e riproduzione, sarebbe impossibile concepire il feticismo delle merci e in genere concepire l’economia borghese come forma rovesciata, reificata di rappresentare il reale. Saremmo costretti semplicemente a dire che la teoria dominante falsifica la realtà oppure si rischierebbe di accettare il discorso relativista: non c’è una verità oggettiva, ognuno modella i fatti come gli pare.

Invece l’oggettività del reale si esplica nel fatto che la stessa realtà si riflette nella mente di tutti gli uomini. Ma la riproduzione scientifica che essi ne fanno (o non ne fanno), è legata alle strutture sociali che la riflessione trova nella mente. Ovviamente queste strutture sono un prodotto dell’interazione tra strutture precedenti e realtà oggettiva (come per le strutture animali), ma in un dato momento sono date. Essendo queste strutture determinate dal livello raggiunto dalla coscienza dell’uomo, dalle sue conoscenze, dalle condizioni materiali in cui esso si trova, la stessa riflessione può portare a diverse riproduzioni scientifiche, diverse forme di conoscenza astratta.

Linguaggio e coscienza

I temi che riguardano il linguaggio sono stati ampiamente dibattuti sia dalla branca della filosofia che se ne occupa sia dalla psicologia, sia nelle discipline che si interessano specificamente di questo (linguistica, sociolinguistica ecc.) e non intendiamo qui addentrarci in tutte le questioni sollevate (il linguaggio universale ecc.). Intendiamo solo delineare il rapporto tra il modo con cui si evolve la conoscenza umana e il linguaggio.

I concetti che formano il linguaggio hanno una prerogativa fondamentale, sono sociali, interindividuali, altrimenti non permetterebbero la comunicazione tra gli uomini. Questo significa che ogni concetto è e non può che essere astratto. Diviene concreto nella situazione specifica in cui una certa persona lo utilizza. La frase “amo i cavalli” è comprensibile (magari con accezioni e sfumature diverse), da tutti gli uomini e la parola cavallo non è naturalmente riferita a quel cavallo piuttosto che a quell’altro. Se io devo indicare a un amico quale cavallo mi piace in un concorso ippico, dirò “mi piace quel cavallo”, indicandolo con il dito o con il suo nome.

Il linguaggio è fatto di concetti astratti perché è la cristallizzazione del pensiero umano, il quale procede sempre astraendo, sintetizzando l’esperienza immediata. La conoscenza astratta non si sarebbe potuta evolvere senza il linguaggio, che ne costituiva sia il supporto tecnico, sia il mezzo di scambio e dunque di diffusione e di progresso. La conoscenza umana è immediatamente individuale, nel senso che ogni singolo uomo riflette quello che percepisce, ma la riproduzione delle esperienze, la conoscenza vera, quella mediata dalle strutture cognitive dell’uomo, è sociale. L’apprendimento e tutto quello che riguarda questa conoscenza è sociale. Il mezzo con cui l’esperienza diviene sociale è naturalmente il linguaggio.

Il pensiero non diviene linguaggio quando si esprime agli altri, ma è già linguaggio dentro di noi. Non esiste pensiero senza linguaggio, il che non significa che tutto il pensiero possa essere espresso chiaramente con certe parole. L’analisi del linguaggio evidenzia ancora una volta le caratteristiche del processo conoscitivo, l’astrazione come riproduzione razionale dell’esperienza, il carattere sociale della conoscenza. Naturalmente le forme di comunicazione umana si sviluppano nel tempo e il linguaggio nel senso del parlare tra due uomini uno di fronte all’altro diventa una lettera, una telefonata, Internet.

Queste forme di comunicazione, sempre più impersonali, seguono lo sviluppo generale della società. Così come il denaro non ha nome né paese, nel senso che circola liberamente ovunque, così la comunicazione si globalizza e lega, anche se solo in potenza, tutti gli uomini. Anche nell’epoca delle reti telematiche e della realtà virtuale però, l’uomo conosce, da un punto di vista tecnico, proprio come i suoi antenati vestiti di pelli. Le modalità con cui questa conoscenza si attua e si diffonde sono il risultato dello sviluppo che le forze produttive hanno avuto in questi millenni. Naturalmente anche il linguaggio si evolve, si sviluppa e non solo quantitativamente.

Il linguaggio è la riproduzione di un mondo che evolve e si complica e anch’esso dunque si evolve e si complica, nel senso che crea nuove strutture per soddisfare le nuove esigenze. In questo, ancora una volta, notiamo che l’evoluzione di ogni struttura segue le stesse leggi generali (sia essa un animale, una società, la tecnologia, la scienza, il linguaggio).

La produzione in generale: la soluzione

La querelle sulla faccenda è arcinota e non verrà qui esposta (si pensi ai Grundrisse, a Lippi, Napoleoni ecc.). Il marxismo non può non basarsi sulla specificità storica delle caratteristiche di questo modo di produzione. Eppure appare istintivamente sensata l’esistenza di caratteristiche semplicemente umane in ogni società. Mi sembra che la conciliazione segua dalla giusta applicazione della astrazione scientifica. Se si intende essa come un risultato e un riflesso di un processo reale, che cosa rappresenta l’astrazione “che ha un senso”, per dirla con Marx, della produzione in generale? Marx può estrarre un elemento comune da tutte le società esistite solo nella misura in cui non solo tutte funzionano sulla base della stessa dialettica (tra forze produttive e rapporti di produzione) ma si muovono in base a questa dialettica.

L’astrazione ha senso perché vede il processo generale piegato in ogni suo snodo storico a nuovi rapporti di produzione atti a mandare avanti le forze produttive. L’espressione “umana” di questa dialettica è
- da un punto di vista sociale la lotta di classe, e
- da un punto di vista economico la lotta per il sovrappiù. Ma tutto ciò può essere ulteriormente compattato in una legge che rappresenta tutta l’economia e la società: la legge del tempo di lavoro necessario. Lo sviluppo vero della società si misura sulla diminuzione del tempo di lavoro necessario in ogni epoca. La produzione di tempo libero in potenza (e solo in potenza) esprime la crescita delle forze produttive. E ciò vale per l’antica Roma, per il medioevo, per il capitalismo e varrà nel socialismo finché il tempo di lavoro necessario sarà così basso che verrà considerato un residuo di epoche incivili.

Una nuova teoria della conoscenza

Stiamo ancora discutendo di teoria dei tre mondi e di teoria della conoscenza. La realtà si riflette nella mente umana. Il mondo due nasce cioè come riflessione, sempre più elaborata, del mondo uno. La scienza, le teorie, costituiscono la riproduzione del mondo due nel mondo tre. La mente umana in modo individuale e la società come totalità concreta, ricreano il mondo due, passando per la propria coscienza, nel mondo tre, che è anch’esso un riflesso del mondo reale, fisico. Non è però un riflesso diretto, meccanico, come il mondo due. Entra in gioco il grado di sviluppo che permette la riproduzione. Ecco come possiamo accettare la descrizione kuhniana della scienza senza arretrare di un millimetro nella concezione materialista.

Esistono paradigmi diversi anche di una stessa realtà, perché anche se la riflessione non muta, muta la riproduzione della realtà. Per esempio per lo sviluppo della tecnologia, della cultura degli scienziati ecc. Inutile dire che c’è una stretta interazione, un legame fluido tra i tre mondi. In ultima analisi è vero storicamente e gnoseologicamente, che la mente umana e le teorie sono parte esse stesse del mondo fisico. Lo sviluppo della vita e della coscienza a cui essa giunge, provoca però profondi cambiamenti nella natura degli oggetti che formano questo mondo. Per la prima volta esistono oggetti creati consapevolmente per soddisfare soggetti, mentre nessuna teoria può, ovviamente, avere questa natura, almeno storicamente. Questa summa di Marx, Popper, Kuhn e la fisica è soltanto un’analisi di quanto di materialismo c’è nel pensiero moderno, non certo una contaminazione o una “sintesi”.

Intelligenza artificiale e coscienza

Il meccanicismo riduzionista ha avuto, fra i suoi tanti risultati negativi, la colpa di aver indirizzato la IA su una strada del tutto sbagliata. I biologi hanno aiutato l’errore in sede di storia biologica, perché hanno scoperto che gli animali pluricellulari sono il risultato dell’aggregazione di animali monocellulari. Non hanno compreso quanto Marx disse nella famosa Introduzione, dove avvertiva che l’origine storica di un fenomeno nulla ci diceva della sua rilevanza attuale. Il corpo umano è un organismo il cui funzionamento complessivo non dipende dalla somma del funzionamento delle singole cellule. L’IA doveva come prima cosa chiarirsi che cos’è l’intelligenza “naturale”, prima di passare a quella artificiale.

Ora, l’intelligenza non è facile da racchiudere in una definizione, ma certamente si basa sulla coscienza. L’intelligenza è la capacità di operare con la propria coscienza, di utilizzare la propria coscienza per modificare la realtà. Detto altrimenti: l’intelligenza è un fare cosciente. Essa dunque è legata a questi due aspetti: fare, ovvero lavoro, e coscienza, coscienza di sé come altro dal reale, come qualcosa che sta di fronte al reale, sebbene ne faccia parte. Mentre qualsiasi apriscatole incorpora un certo lavoro, nessuna macchina ha coscienza di sé. Può una macchina avere coscienza di sé? Il problema è che la coscienza è emersa come caratteristica di una certa specie animale per ragioni pratiche. La coscienza non ha un altro status storico rispetto ai denti dello squalo o alla vista di un’aquila. E' un risultato inaspettato dell’evoluzione, come la vita, come il sistema solare. E' l’incessante movimento della materia che ha provocato la vita e quindi la vita cosciente. Questo però non ci avvicina all’interrogativo se l’uomo potrà mai infondere la vita, sotto forma di coscienza, a una propria realizzazione tecnologica.

La coscienza emerge, in ogni uomo, in un certo lasso di tempo come risultato del funzionamento del cervello nel suo complesso. Alla nascita non è presente e si va formando in qualche mese. Come sempre l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Perché un bambino diventa cosciente? Certo, non possiamo che dire che è il suo cervello che ha questo impulso e che decide i vari comportamenti del soggetto, ma ci interessa capire perché nella nostra specie è emersa questa qualità. Io ritengo che la coscienza sia emersa insieme al linguaggio, ovvero insieme a un nuovo modo di stare insieme degli uomini.

Le formiche o le scimmie non hanno bisogno della coscienza, ognuna a suo modo, in quanto i propri comportamenti possono seguire moduli prestabiliti che con minimi ritocchi sono efficienti in ogni situazione. La necessità di scambiare informazioni, di capirsi nel vero senso della parola, ha creato la necessità di capire in primo luogo chi siamo. Il processo è unico: l’io emerge come presa di coscienza di sé e del gruppo. Ma come possono le macchine acquisire questa coscienza? Una cosa è sicura: l’uomo non può soffiare l’anima dentro dei chip.

Solo l’autorganizzazione della materia può far emergere la coscienza al culmine del processo di sviluppo. La via sarebbe dunque di sperimentare un tipo di materiale che “evolve”, che riesce a prendere informazione dall’ambiente e si sa modificare con esso. Anche qui la teoria della evoluzione come scambio di informazioni, come coevoluzione del reale e dell’animale rivela la sua esattezza. Non si tratta di scoprire nuovi materiali ma di saperli “disporre”. Se ci pensiamo il cervello e un piede sono fatti dagli stessi atomi, ma disposti con esiti diversi. Un’idea potrebbe essere di far uscire la coscienza dall’uomo stesso, come esito dell’introduzione del materiale speciale dentro di noi. Questo materiale vivrebbe in simbiosi con l’uomo, aggrappato ad esso. Stabilirebbe così un rapporto con un essere cosciente che gli permetterebbe di crescere molto rapidamente.

Come ci sono virus che trasportano informazioni in grado di riprodursi, ci potrebbero essere “virus” della coscienza in grado di carpire all’uomo la coscienza. In questo modo si potrebbe anche bypassare il problema della difficoltà di ricreare le condizioni del gruppo animale da cui è emersa la coscienza. Gli uomini hanno sviluppato la coscienza come arma contro un ambiente ostile. E come si possono riprodurre queste condizioni? Già costringere un computer a sviluppare un comportamento come risposta a stimoli sarebbe un enorme passo avanti, creare una nuova struttura sarebbe fantascientifico, e una funzione addirittura mistico. Di fronte a questi interrogativi gli esperti compilano liste di “if-then” per provvedere all’istruzione della macchina. Non capiscono che il reale ha delle strutture imprescindibili e così il nostro cervello.

Un romanzo non è l’insieme delle parole che lo compongono. Con questi modi di fare gli “esperti” si comportano come uno che volesse scrivere un romanzo prendendo le parole a caso da un dizionario. L’intelligenza è creatività, inventiva, capacità di produrre cose nuove. Ma tutto questo si basa sulla coscienza dell’esserci e dell’essere altro da quanto si va producendo. La riproduzione della coscienza segnerà la nascita di computer intelligenti.

Marxismo e coscienza

Il marxismo rappresenta il processo di presa di coscienza della classe operaia espresso in forma scientifica. E' il riflesso analitico delle necessità storiche della classe e dunque del processo storico nel suo complesso in questa epoca. In questo senso il ruolo del marxismo è analogo a quello dell’uomo rispetto alla materia in generale. L’uomo è il terzo stadio della forma assunta storicamente dalla materia: è materia cosciente. Possiamo dire che anche il marxismo rappresenta lo stadio di coscienza del processo storico e delle esigenze della storia. Ma, se ci pensiamo, tutti i paradigmi scientifici sono proprio questo: la presa di coscienza delle necessità oggettive che la nostra specie ha nei confronti del mondo esterno.

Gli altri animali introiettano queste esigenze semplicemente nella propria evoluzione genetica. Le ali degli uccelli sono la risposta inconscia alla legge di gravitazione universale. Gli aerei sono la risposta conscia alla stessa legge. Così le teorie scientifiche sono una riproduzione delle necessità, sono scoperte della materia cosciente nel suo rapporto necessario con il resto della materia. Gli stessi processi avvengono in tutti i livelli, è la loro velocità a essere molto diversa.

Per sviluppare le ali la materia animata ci ha messo milioni di anni, la materia cosciente qualche migliaio. E' solo questa differente velocità quanto distingue gli stati di sviluppo della materia? Se sì, il marxismo sarebbe la concretazione più forte di questo cambio di ritmo: rendendo cosciente il processo di sviluppo storico, aumenta ancora la velocità dell’evoluzione stessa. Possiamo così dire che in un certo senso la materia acquista col marxismo una nuova forma di coscienza. Questo è il ruolo più profondo e fondamentale del marxismo.

Gradualismo in politica, biologia ed epistemologia

Darwin legò la sua teoria dell’evoluzione al gradualismo. Sin dall’inizio questa unione apparve spuria e ci furono molti che la contestarono. Gould è lo scienziato che più di tutti ha dimostrato la futilità di questo binomio, mostrando anzi che le rotture predominano nell’evoluzione. Popper esaltò sempre la teoria di Darwin, pur riconoscendone la infalsificabilità. La teoria popperiana del progresso scientifico prende a prestito molto dalla teoria dell’evoluzione di Darwin, e fra le cose che ne trae vi è il gradualismo. L’idea delle “riforme sociali a passo di lumaca” proposta da Popper, ricalca, secondo lui, il procedere della scienza e in ultima analisi il procedere della vita, per prove ed errori graduali.

Questa tesi è giusta nel suo operare, ma non nel contenuto adoperato. E' vero che natura, società e scienza, queste tre realtà una dentro l’altra, hanno in generale lo stesso modo di procedere, e anche storicamente gli stessi movimenti generali, magari sfasati, le stesse “leggi di movimento”, ecc. Soltanto che questi movimenti non sono graduali ma procedono dialetticamente per rotture catastrofiche e sintesi ricompositive: per tragedie naturali-storiche-paradigmatiche e passi avanti genetici-sociali-rivoluzionari. Proprio come in Darwin, il gradualismo è un feticcio, un pregiudizio di nessuna utilità, lo stesso vale per la scienza e la società. La natura fa degli enormi salti, lo stesso fa l’uomo, suo figlio, e lo stesso fa la scienza, sua nipote. I tre mondi procedono tutti e tre dialetticamente.

Prassi e coscienza

La prassi come realtà non è scomponibile in quanto è la prima attività che qualsiasi essere compie. Anzi è la prassi che ci permette di capire che abbiamo a che fare con un essere e cioè con materia organizzata in modo da avere un rapporto attivo con l’ambiente. La prassi nasce, nella storia dell’universo, con la nascita dell’organizzazione in qualche modo cosciente della materia. Gli esseri unicellulari e prima ancora quella materia che già può definirsi vivente, ha una sua prassi, nella misura in cui interagisce con l’ambiente circostante e non lo subisce in toto.

Ciò che permette la prassi non è tuttavia una differenza solo chimica. Perché un animale appena morto cessa di agire e dunque non ha più una sua prassi pur conservando, ovviamente, la struttura chimica di quando era vivo (almeno all’inizio). Prassi è dunque azione cosciente. Sembra così che in qualche modo siamo riusciti a “ridurre” almeno concettualmente la prassi a qual cos’altro: un’azione qualificata come cosciente. Perché possiamo qualificare in questo modo la prassi? Perché l’azione in sé non è una prerogativa della prassi. Se per azione s’intende il movimento, tutta la materia compie delle azioni, poiché, come già affermava Engels, la materia è movimento.

Ma la prassi non è solo banale movimento, non è solo un’azione. Essa è l’azione compiuta da un essere vivente (in senso lato) e cioè da un essere che è in grado di avere un rapporto attivo con l’ambiente. Da un punto di vista analitico e anche storico-biologico perciò, prassi e coscienza sono una cosa sola[1]. Non nel senso che rappresentano lo stesso concetto, ma nel senso che il processo naturale e poi sociale che le ha fatte nascere e sviluppare è dato da entrambe allo stesso modo. Come la prassi è un’azione cosciente così la coscienza è una condizione della materia organizzata dalla prassi in modo tale che nelle struttura fisiologica dell’essere in questione si abbiano delle fissazioni di pensiero.

Quando Marx sviluppò la teoria della dialettica tra teoria e pratica, diede conto di questo processo storico. La coscienza, intesa come prodotto della riflessione della prassi nel cervello umano è il frutto della prassi umana. Tale prassi è a sua volta frutto dell’azione umana guidata dalle strutture già acquisite, cioè dalla coscienza. Il frutto dell’eterna coevoluzione di prassi e coscienza è la conoscenza, intesa come conoscenza del mondo esterno, delle sue leggi e dei processi naturali oggettivi dell’universo, della materia e della società. A misura che l’uomo acquisisce con la prassi e con la cristallizzazione della prassi nella sua mente, delle nozioni sul mondo esterno, egli crea conoscenza. La conoscenza a sua volta sviluppandosi modifica la prassi e la coscienza. Diventa un nuovo elemento del processo di coevoluzione con delle proprie particolarità.

Tutto questo processo ha un riflesso a livello fisiologico nel cervello umano (e parlando in genere nelle strutture fisiologiche dell’animale) e anche a livello sociale nell’umanità. Il rapporto tra prassi e coscienza non ha solo permesso ma ha anche riflesso questa “particolarità”. Anche se i tempi dell’evoluzione biologica sono molto lenti, il rapido cambiamento del modo di vita della nostra specie si è riflesso nel modo di conoscere. Utilizzando il linguaggio informatico potremmo dire che lo sviluppo del modo di conoscere umano non si è riflesso solo nel “software”, ovvero nei contenuti della conoscenza, ma anche nel “hardware”, cioè nelle strutture gnoseologiche e neurofisiologiche umane. Anche in questo caso prassi e coscienza sono un unico fenomeno complessivo: strutture e contenuti della conoscenza sono separabili solo in sede analitica, non certo nel reale processo di trasformazione continua e nel rapporto tra uomo e suo ambiente.

Nella nostra epoca la conoscenza ha subito un’accelerazione grazie allo sviluppo delle forze produttive più rapido da che esiste la vita sulla Terra. Per la prima volta l’uomo ha costruito delle macchine che selezionano in modo elastico, flessibile e autonomo la conoscenza. Anche se a livello infinitamente minore di quanto avviene nel cervello, le reti “neurali” cibernetico-informatiche riescono a creare nuova conoscenza. Dal linguaggio come unico veicolo del sapere, l’uomo è arrivato a costruire computer che elaborano informazioni a velocità solo poco fa ritenute impossibili. Lo sviluppo delle forze produttive permette all’uomo, come stadio provvisoriamente finale dell’evoluzione della materia, di acquisire una coscienza sempre maggiore su se stesso e su ciò che lo circonda. Gli atomi che formano il nostro corpo sono gli stessi che formano il nostro pianeta e tutto il resto dell’universo. La disposizione però di questi atomi, di questa materia nel nostro corpo ha questa peculiarità: permette alla materia stessa la coscienza di ciò che essa è, e con il giusto metodo, di ciò che sarà in futuro.


[1] Come Marx sottolineò con forza nelle Tesi su Feuerbach, per es. nella seconda: “Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica”.

  1. Opere di “scienziati” (psicologia, neurofisiologia)
  2. Opere dei fondatori del marxismo e di autori riconducibili al marxismo
  3. Opere di “filosofi” (teoria della conoscenza, epistemologia, scienze sociali)
  4. La pratica

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Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018