MATERIA E COSCIENZA - Note

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


MATERIA E COSCIENZA - Note - Bibliografia

[1] "The new age economic thinkers come in two flavours. A brave few look forward to a new golden age of prosperity; most, however, predict some form of economic Armaggedon" (The Economist, 18-  9-  1996).

[2] Lorenz ha scritto: "Ogni persona sana di mente è convinta che i mobili di camera sua rimangano al loro posto anche dopo che essa è uscita dalla porta." (L’altra faccia dello specchio, pag. 39). Dunque, occorrerebbe constatare, molti filosofi non rientrano nella categoria dei sani di mente.

[3] Purtroppo la dialettica ha subito per decenni un destino tragico, perché, dopo le sue origini reazionarie con Hegel, è stata legata ai regimi stalinisti dell’Est, politicamente e filosoficamente reazionari, che si servivano del cosiddetto “diamat” per giustificare la propria posizione bonapartista sulla società. Sebbene molti scienziati sovietici abbiano dato importanti contributi alla scienza moderna, il metodo marxista non è stato sviluppato in nessun modo in questi regimi “socialisti”, è stato invece ossificato, svuotato della sua natura rivoluzionaria e in questo modo è risultato chiaramente indigeribile per molti scienziati occidentali.

[4] Lo stesso discorso vale, mutatis mutandis, per l’artista nei confronti della sua opera d’arte, ma il discorso ci porterebbe lontano. Basti citare chi riporta questa stessa teoria per il campo dell’arte: Northrop Frye nella sua Introduzione polemica (in Anatomia della critica). Anche nel campo dell’arte c’è solo una cosa peggiore dell’aperto idealismo: un “realismo” piatto e triviale che sfocia sempre in una giustificazione della superficialità. Nella Russia staliniana questa teoria arrivava a vette di sublime abominio, come si può per esempio evincere dal trattamento riservato a un artista come S. Ejzenstejn.

[5] Per una approfondita analisi in materia Cfr. S. J. Gould, La vita meravigliosa.

Ci sono scienziati che lavorano in campi particolari nei quali negare la distinzione tra scoperta e sua interpretazione sarebbe al limite del ridicolo. Per esempio tutti coloro che si occupano di fossili afferrano intuitivamente questa distinzione e per lo più la considerano un’ovvietà. Il famoso scopritore di fossili umani R. Leakey disse una volta: “Io mi limito a trovare i fossili. Lascio agli esperti il compito di dar loro un nome” (citato in Lucy, pag. 133). Lo stesso dovrebbe valere in tutte le scienze. Sfortunatamente invece, la distinzione non appare ovvia quasi a nessuno.

[6] Nella storia il materialismo ha avuto molte varianti e molte scuole. Buona parte del materialismo è del tutto antiscientifico. Per questo la concezione che qui stiamo esponendo ha un nome, materialismo, e un cognome, storico/dialettico. Tuttavia nella scienza contemporanea i materialisti “metafisici” ci sembrano molto rari, mentre sono le varie scuole dell’idealismo soggettivo a farla da padrone. Non ci sembra dunque particolarmente pericoloso non specificare ogni volta di che materialismo parliamo.

[7] Ovviamente esistono fonti derivate dalla materia (un libro). Ma le fonti chiamiamole ‘indirette’ sono sempre una riproduzione delle fonti dirette, come tenteremo di dimostrare. Spiegata la natura della riproduzione, risulterà spiegata anche questa eventuale obiezione.

[8] Lettere a Kugelmann, pag. 92.

[9] Sulla contingenza della coscienza ci sarebbe molto da discutere. Per quanto mi riguarda considero la posizione di S. J. Gould (come espressa in La vita meravigliosa) leggermente estremista per il semplice fatto che le cose altamente improbabili non succedono mai o quasi mai (e questa è la ragione per cui chi vince la lotteria fa un sacco di soldi). Perché mai l’uomo avrebbe dovuto essere il vincitore del lotto cosmico sulla coscienza? Andare troppo oltre sulla coscienza significa dare spazio a una visione necessaria in senso distorto della nascita dell’uomo, qualcosa come “dio creò l’uomo”. Un passo classico e largamente condivisibile a proposito è questo: "Il fatto che la materia abbia sviluppato dal suo interno il cervello pensante dell’uomo è, per esso, un puro caso, seppure, quando accada, necessariamente condizionato passo per passo. In realtà però è nella natura della materia progredire verso lo sviluppo di esseri pensanti e ciò accade perciò anche sempre necessariamente, quando ne sussistano le condizioni" (F. Engels, Dialettica della natura, pag. 221).

[10] Vi è da notare che la teoria dell’evoluzione ha dovuto aspettare la concezione di Gould per superare il gradualismo di Darwin, ma tale concezione era stata rifiutata già a suo tempo. Per esempio Huxley, come detto, era molto più coerente e “rivoluzionario” di Darwin su questo punto. Non a caso fu Huxley a prendersi il compito di difendere la nuova teoria in pubblico, mentre Darwin fu sempre così titubante che pubblicò solo molto dopo L’Origine delle specie la sua opera sull’evoluzione dell’uomo. Ma Marx ed Engels, che pure stimavano moltissimo Darwin, tanto che Marx voleva dedicargli Il Capitale, capirono subito il limite continuista della sua teoria. Lo dimostra tra l’altro, la discussione epistolare che i due ebbero su di un testo sconosciuto, Origine et transformations de l’homme et des autres etres, di P. Tremaux. Questo libro, che è anche pieno di pregiudizi, supera il gradualismo di Darwin, supera la sua teoria delle “lacune dei fossili” ecc., e anticipa tutto il contenuto positivo della teoria degli equilibri punteggiati di oltre un secolo. In questo caso si vede chiaramente la funzione positiva di un metodo corretto. Marx ed Engels poterono anticipare la scienza “ufficiale” di quasi 110 anni grazie al materialismo dialettico.

[11] Queste considerazioni sulla teoria di Lamarck hanno ben poco a che vedere con le idee elaborate dalla scuola di Lysenko. Per altro questa scuola poteva anche fornire un contributo in qualche modo utile alla scienza, come ha mostrato per esempio Gould. Il punto è che aveva metodi di condurre le battaglie scientifiche reazionari e alquanto poco costruttivi, come l’abitudine di far fucilare i propri avversari.

[12] Su questo feedback Cfr. J. Piaget, Biologia e conoscenza. Spesso si leggono di pietose e comiche “scoperte” sul “gene dell’omosessualità” il “gene dell’intelligenza” ecc. Sono convinto che il progetto Genoma, purché sviluppato in modo decente, dimostrerà che queste “scoperte” meritano di tornare nella discarica scientifica da cui provengono. E' perfino superfluo ricordare che “scoprendo” il gene di ogni problema sociale si evita di doverlo risolvere. Attendiamo dunque con ansia la scoperta il “gene del disoccupato”, un gene, che, a giudicare dalle statistiche, è molto comune tra i giovani d’oggi.

[13] Ha scritto Lorenz: "Per il naturalista l'uomo è un essere le cui caratteristiche e le cui prestazioni, compresa l’alta capacità del conoscere, sono un prodotto dell’evoluzione, di quel processo svoltosi per epoche intere nel corso del quale tutti gli organismi viventi si sono trovati a confronto con gli elementi del reale e durante il quale hanno dovuto adattarsi ad essi. Questo evento filogenetico è un processo della conoscenza" (K. Lorenz, L’altra faccia dello specchio, pag. 25).

[14] Anche se, come spiega Piaget, persino il comportamento più innato si svolge solo in presenza di certe condizioni esterne e certe esperienze. C’è dunque sempre un’interazione, anche se di grado ben diverso.

[15] In questo senso non saprei dire meglio di M. Cini: "La lettura del celebre libro di Kuhn mi affascinò, e mi fornì al tempo stesso una serie di argomenti, di carattere storico ed epistemologico per articolare meglio le mie idee. Con una riserva però: che a me interessava soprattutto ciò che in Kuhn mancava, cioè l’analisi del nesso fra il contesto sociale e culturale nel quale le rivoluzioni scientifiche si verificano e i mutamenti, apparentemente improvvisi, delle regole del gioco che le caratterizzano" (M. Cini, Un paradiso perduto, pag. 207) (per inciso, condivido del tutto anche la critica che Cini muove a Feyerabend. Non parlo estesamente dell’anarchismo metodologico solo perché mi sembra una filosofia troppo vacua per dilungarcisi).

Per altro lo stesso Kuhn ammette la propria mancanza nella prefazione al suo libro: "non ho detto nulla, fatta eccezione per brevi cenni casuali, sul ruolo del progresso tecnologico e delle condizioni economiche, sociali e intellettuali per lo sviluppo delle scienze. Eppure, non è necessario andare al di là di Copernico e del calendario per scoprire che le condizioni esterne possono contribuire a trasformare una semplice anomalia in una fonte di crisi acuta" (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, pag. 12).

[16] Si dice che un filosofo americano, H. Field, una volta chiese a Kuhn: “Sei un realista?”, “naturalmente” fu la risposta. “ma credi che quando la teoria cambia, cambi anche tutto il mondo?”, “naturalmente” rispose divertito. Questo passo denota tutta la sua confusione filosofica. Questo non toglie che Kuhn sia da considerare tra i più grandi filosofi della scienza di questo secolo. Per quanto riguarda invece il cosiddetto anarchismo metodologico occorre ricordare solo che esso non è altro che la filosofia dei sofisti greci riproposta dopo due millenni. Il cinismo, la spregiudicatezza e il relativismo di Gorgia e Protagora sono simili a quelli di Feyerabend, solo che quest’ultimo avrebbe dovuto avvantaggiarsi di venti secoli di sviluppo del pensiero filosofico.

[17] Da un punto di vista temporale Kuhn ha preceduto Gould di qualche anno e Marx ha preceduto entrambi di poco più di un secolo. Ma poiché, naturalmente, le loro teorie descrivono processi che hanno preceduto tutti e tre di millenni, è inutile dare un merito a questo o a quello. Vi è poi da rilevare quanto segue: sebbene Kuhn sia stato il primo epistemologo a fornire una descrizione dello sviluppo evolutivo della scienza in generale, in economia era stato preceduto da J. Schumpeter.

Schumpeter ha anche il merito di aver approfondito, non sempre nel verso giusto per altro, l’idea di Marx sull’evoluzione dei settori industriali. Marx ha parlato di una legge di tendenza del capitalismo alla concentrazione del capitale in sempre meno imprese sempre più grandi. Questo significa che quando un settore industriale nasce, è tipicamente composto da moltissime piccole imprese. Il tempo seleziona una serie di imprese che con fusioni, accordi, e guerre commerciali arrivano a controllare il mercato. Alla fine un pugno di giganti domina il settore. Questo modello di evoluzione dovrebbe, a questo punto della presente esposizione, essere familiare. Infatti è talmente simile al modello evolutivo delle specie animali o dei paradigmi che gli stessi economisti industriali se ne sono accorti. Fioriscono infatti i modelli di economia industriale che prendono a esempio la biologia e la teoria della selezione naturale. Un’altra conferma che l’evoluzione è un processo che si svolge a qualsiasi livello con le medesime leggi, che si parli di animali, di teorie, di aziende. E' curioso notare come anche l’evoluzione delle aziende segue un modello gouldiano e non strettamente darwiniano di sviluppo. La teoria degli equilibri punteggiati, lunghi periodi di calma seguiti da bruschi cambiamenti, spiega bene non solo l’evoluzione dei settori industriali ma anche la diffusione delle innovazioni nel processo produttivo, a maggior riprova della natura universale della concezione dialettica dell’evoluzione. Gli studiosi di economia dell’evoluzione chiamano “modello logistico” (dal nome della curva logistica) la specifica applicazione di tale concezione a questo caso.

Che la tendenza dei settori industriali sia verso la concentrazione mi sembra impossibile da negare. Basta leggere una rivista economica per trovare ogni giorno notizie di fusioni, accordi e incorporazioni. La citazione che darò ora quindi, è quasi una curiosità che colpisce perché parla di un settore che sembrerebbe, superficialmente, il meno adatto a tale trend: "Big business interests lie behind America’s $15-  billion-  a-  year funeral industry. For now, it is still largely family-  owned: of America’s 22.000 funeral homes, more than 85% are independent. But a handful of large companies have been snapping up many of them, along with related businesses…" (The Economist 28/9/96, pag. 87).

[18] Ho trattato questi temi in un saggio dal titolo Sulla struttura del paradigma scientifico, e non potrò qui riprendere tutte le argomentazioni esposte in quella sede. Accennerò solo a quello che è necessario.

[19] Nel saggio citato ho trattato due casi esemplari a riguardo: il marxismo e la teoria economica neoclassica. Questa mancanza nel vedere le differenze fra le rivoluzioni epocali e quelle difficilmente distinguibili dalla scienza normale viene mossa a Kuhn da varie parti. Cfr. per esempio L. Geymonat Riflessioni critiche su Kuhn e Popper.

[20] Per esempio, Popper esponendo la teoria dei tre mondi, sostiene di essere più che un dualista, un ‘pluralista’ e che potrebbero esistere anche più di tre mondi, solo che, per ora, ne ha pensati solo tre. Questo è doppiamente scorretto. Il fatto che esistano tre mondi non implica nessuna forma di dualismo o pluralismo. L’esistenza oggettiva della materia vivente e poi di quella cosciente, crea nuovi mondi che derivano dal primo, ne rispecchiano le leggi e si sviluppano allo stesso modo. Dunque da un lato, non possono che esistere tre mondi, perché tre sono le modalità di esistenza della materia a tutt’oggi, dall’altro il dualismo filosofico non ha nessun rapporto necessario con i tre mondi.

[21] Come ha scritto K. Lorenz: "tutta la conoscenza umana si fonda su di un processo interattivo mediante il quale l'uomo, in quanto sistema vivente assolutamente reale ed attivo e in quanto soggetto conoscente, si confronta con i dati di un altrettanto reale mondo circostante, che sono l’oggetto del suo conoscere" (L’altra faccia dello specchio, pag. 18).

[22] Marx, nel Poscritto alle seconda edizione del Capitale, si esprime così: "per me il fattore ideale è solamente il fattore materiale trasferito e tradotto nella mente degli uomini" (Il Capitale I, pag. 43).

Ritengo, che la scelta di Marx di adoperare due verbi, trasferire e tradurre, (übersetzen e umsetzen, in tedesco), non sia casuale. Questa distinzione è la stessa che viene adottata in questo lavoro. Il ‘trasferimento’ è la riflessione e la ‘traduzione’ è la riproduzione. Da tale passaggio di Marx viene la distinzione gnoseologica che proponiamo in questo lavoro come un aspetto fondamentale di una teoria della conoscenza materialista.

[23] Lenin esprime questo concetto come segue: "La conoscenza è il rispecchiamento della natura da parte dell’uomo. Ma questo non è un rispecchiamento semplice, immediato, totale, è invece il processo di una serie di astrazioni, il processo della formulazione dei concetti delle leggi, ecc., i quali concetti leggi, ecc. (pensiero scienza = “idea logica”) abbracciano anche in modo condizionato e approssimativo le leggi universali della natura che è in eterno movimento e sviluppo. Qui si danno realmente, oggettivamente tre termini: 1) la natura; 2) la conoscenza umana = cervello dell’uomo (come prodotto più alto della stessa natura); 3) la forma di rispecchiamento della natura nella conoscenza dell’uomo, questa forma sono anche i concetti, le leggi, le categorie, ecc. L’uomo non può afferrare = rispecchiare = riflettere la natura intera, completamente, nella sua “totalità immediata”, ma può solo avvicinarsi eternamente a questo, creando astrazioni, concetti, leggi, un’immagine scientifica del mondo, ecc." (Quaderni filosofici, pag. 168-  169).

Con il termine rispecchiamento s’intende riflessione. Lenin non pensa a un altro termine per parlare di riproduzione. Parla invece di rispecchiamento non immediato, non semplice ecc. Nel corso di questo scritto ho spiegato perché mi sembra meglio utilizzare i termini di riflessione e riproduzione, ma ovviamente si tratta di distinzioni terminologiche, non concettuali. D’altronde, in un altro passo parla proprio di riproduzione: “[i seguaci di Mach] Non riconoscono la realtà oggettiva, indipendente dall’uomo, come fonte delle nostre sensazioni. Non vedono in queste la riproduzione esatta di questa realtà oggettiva” (Materialismo ed empiriocriticismo, pag. 96).

[24] Per chi non conosce la teoria economica moderna rendiamo espliciti i modelli che incorporano simili prodi astrazioni: il modello dell’equivalenza ricardiana con ipotesi di orizzonte di vita infinito, (ma ci sono molti modelli che ipotizzano questa follia); il modello delle aspettative razionali (previsione perfetta e immediata di ogni cambiamento economico ovunque avvenga, quando perfino il computer più potente ha bisogno di un certo lasso di tempo per fare i calcoli. In realtà questa ipotesi va perfino contro la teoria della relatività e i principi più elementari della termodinamica, ma non è questa la sede per discuterne); i modelli alla Robinson Crusoe in cui si analizzano domanda e offerta sul mercato pur esistendo una sola persona, evidentemente schizofrenica che vende e compra le merci da se stesso.

[25] Ne ho parlato nella mia tesi, con specifico riferimento all’economia: Cfr. Il valore come categoria analitica e come realtà storico-  sociale, capitoli IX e X.

[26] Il che comunque non è poco, perché studiando queste “incorporazioni” si può dimostrare l’oggettività delle leggi naturali. Se non esistessero leggi oggettive della natura, perché i pesci sarebbero simili ai siluri? (o meglio, perché l’uomo imiterebbe i pesci per fare i siluri?) Se l’idrodinamica fosse una libera invenzione umana vedremmo pesci o uccelli di ogni forma, il che, ovviamente, non è. Ma per quanto gli animali dimostrino, con la propria evoluzione, che queste leggi esistono e sono ferree e spietate, resta il fatto che è del tutto fuori dalla loro portata afferrarle. Gli animali le riflettono quando percepiscono i fenomeni, esperiscono la realtà, ma il passo che conduce dal concreto all’astratto è tuttora esclusivo dell’uomo. Anche qui comunque non c’è una divisione assoluta e rigida. Se l’uomo è l’unico animale cosciente, vi è però una evidente differenza tra uno scimpanzé e una mosca per quanto attiene il rapporto col funzionamento oggettivo del mondo. Non per niente l’uomo e i primati a noi più vicini, hanno percorso milioni e milioni di strada comune. Il tratto finale però, ha fatto la differenza.

[27] Congetture e Confutazioni, pag. 93.

[28] Come ho detto nella prima parte mantengo una posizione più “ottimista” di studiosi come Gould, ma questo non mi sembra comunque un problema rilevante.

[29] In questo contesto si spiega perché i fatti sono, e allo stesso tempo non sono, densi di teoria. Lo sono, come riproduzione, ma non lo sono in quanto riflessione. Formalmente questa affermazione è molto critica, perché va contro la logica formale classica, eppure mi sembra che la storia della scienza la confermi appieno. Altro discorso va fatto per quanto riguarda l’accennata distinzione tra teoria e interpretazione. Anche se a volte esse si assomigliano, noi intendiamo per interpretazione una ricostruzione a posteriori dei fatti che essa non ha in nessun modo contribuito a trovare (a differenza della teoria). Questa ricostruzione è ovviamente legata a condizioni sociali e politiche contingenti. Una vera teoria dovrebbe anche andare oltre. Così l’evoluzione è una teoria e il gradualismo è un’interpretazione. I pregiudizi gradualisti di Darwin non lo facilitarono affatto nello scoprire l’evoluzione. Essi le furono appiccicati per ben altre ragioni. Infatti l’evoluzione può sopravvivere senza di esso. Ne risulta, anzi, grandemente approfondita come spiegazione dello sviluppo animale.

[30] Contro il metodo è il più importante e famoso libro di P. Feyerabend. In altre opere le esagerazioni relativiste, le “provocazioni” di Feyerabend toccano vette di insensatezza anche più alte.

[31] Fra i casi che fanno eccezione citiamo due teorie che hanno però uno status assai diverso. La prima è il principio d’indeterminazione. Esso venne scoperto da Heisenberg e da questi interpretato, per proprie convinzioni sociali e politiche di estrema destra, in modo soggettivista. Ma quel principio ha una validità propria, tanto è vero che moltissimi fisici lo hanno estratto dal mondo delle ombre in cui lo teneva il suo scopritore e ne hanno fatto ben altro uso. Anche qui si vede che differenza c’è tra teoria e interpretazione, cosa che nelle scienze naturali è abbastanza facile da dimostrarsi. Diverso è il caso della teoria del big bang. Questa teoria, per la sua intima costituzione, è un tentativo di imporre una visione mistica sulle origini dell’universo per far accettare, sotto banco, il creazionismo come interpretazione del mondo. Mentre il principio di Heisenberg riproduce un processo reale e poi viene adoperato come strumento per far rientrare il misticismo nella fisica, la teoria del big bang, senza che molti scienziati se ne rendano conto, è un tentativo di far spiegare le infinite vastità dello spazio dalle pagine della Genesi. Poiché non è la riproduzione di niente di reale, la teoria del big bang non spiega nulla. Sebbene qualsiasi esperimento serio porti alla sua confutazione, questa cosmogonia travestita da teoria resiste da decenni. Ma queste cadute deprecabili non sono così diffuse. Per tutto questo si veda E. J. Lerner Il big bang non c’è mai stato. Di che cos’è riflessione tale teoria? Non certo di processi fisici, ma piuttosto di processi sociali e precisamente dei sentimenti religiosi che poco hanno a che fare con le galassie e molto con la preistoria del genere umano.

[32] Questa affermazione non ha comunque validità soprastorica, perché se l’evoluzione umana creasse un organo che “sente” le scosse telluriche, avvertiremmo i terremoti molte ore prima, come fanno i cani. Ma i tempi dell’evoluzione biologica sono talmente lenti che possiamo tralasciare questa ipotesi.

[33] Tipicamente gli esponenti della prima scuola presentano dati e considerano queste cifre abbastanza eloquenti. Gli esponenti della seconda scuola usano di solito analogie biologiche. Tipici esponenti della scuola “ottimista” sono gli economisti di praticamente ogni tendenza. Tipici esponenti della seconda scuola sono antropologi come Desmond Morris, storici come Spengler e anche molti psicologi.

[34] Bisogna peraltro evitare l’eccesso di empirismo e di atteggiamenti “pratici”. Il fatto che le teorie siano guide per l’azione non implica che la loro realtà sia legata a tale azione, soprattutto nelle scienze naturali. Nelle scienze sociali le leggi scientifiche non possono che essere leggi tendenziali per via dell’azione cosciente dell’uomo. In ogni caso non si può dedurre la verità gnoseologica di una teoria esclusivamente dai risultati pratici che con essa si conseguono, altrimenti si arriva allo strumentalismo: l’idea che la verità non esista e le teorie siano utili solo in quanto strumenti validi. Una sorta di strumentalismo pervade le riflessione gnoseologica del Marx delle famose Tesi su Feuerbach. Nel periodo in cui Marx stava scrivendo questi brevi commenti, egli stava superando la fase idealista del proprio pensiero e, come spesso capita, prima di giungere alla concezione corretta, si lasciava trasportare all’estremo opposto. Può così affermare: "La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-  realtà del pensiero - isolato dalla prassi - è una questione meramente scolastica.”(II tesi).

Queste esagerazioni non tolgono che nelle Tesi siano contenute intuizioni brillanti, come la famosa frase che le conclude “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta invece di trasformarlo".

[35] Il ruolo e la natura dell’astrazione per la conoscenza sono stati dibattuti praticamente da ogni filosofo. L’empirismo e il razionalismo sono imperniati su questo. Il famoso problema di Hume non è altro che un tentativo di mostrare come l’astrazione non derivi direttamente dalla ripetizione dello stesso fenomeno. Il tentativo kantiano di sintetizzare il meglio dei metodi precedenti attraverso il suo razionalismo critico può vedersi come il punto più alto raggiunto dalla filosofia classica in tema di astrazione scientifica. La teoria dell’astrazione determinata di Marx deriva da questi sforzi, uniti alle riflessioni di Hegel, meno sistematiche ma altrettanto profonde. Torneremo su questo.

[36] Nell’esempio che si sta facendo viene data per nota la teoria del valore di Marx. Il lavoro astratto entra in tale teoria perché la valutazione del tempo di lavoro necessario contenuto socialmente in ogni merce è possibile solo se il lavoro di tutti i singoli produttori è comparabile. Ma la comparazione è possibile solo tra lavori uguali. Per questo Marx, come i classici, basa la teoria del valore su un lavoro sociale generale, un lavoro appunto astratto. Il punto è quale sia la natura del lavoro astratto, se esso è frutto di un’astrazione dello scienziato o se veramente questo processo si dia nel corso della storia.

[37] La distinzione tra lavoro astratto e lavoro concreto non potrà ovviamente mai eliminarsi, perché le modalità di applicazione del lavoro sociale sono comunque molteplici. Il punto è che due operai dell’Ottocento di due rami diversi o che semplicemente facevano un mestiere diverso, erano del tutto impossibilitati a intercambiarsi. Lo sviluppo del capitalismo incorpora in continuazione la professionalità della forza-lavoro nelle macchine, eliminando tendenzialmente ogni qualifica del lavoratore. Questo processo reale è alla base della teoria marxista del lavoro astratto. Ovviamente il lavoro astratto in sé, il ‘noumeno lavoro astratto’ non si può trovare in nessuna fabbrica reale.

[38] A nostro modo di vedere il tentativo di sintesi che Kant compie nella Critica della ragion pura è incentrato su questo problema. Da dove vengono le asserzioni universali (e dunque i noumeni e le cose in sé), se i sensi possono percepire solo aspetti singolari (fenomeni) del mondo? Se d’altra parte l’astrazione viene ad essere una attività soggettiva, scompare ogni forma necessaria della conoscenza. Questa “preoccupazione” di Kant è fondamentale e ci sembra che trovi una sua soluzione nell’analisi dell’astrazione che stiamo portando avanti.

[39] Poscritto alla seconda edizione del I libro del Capitale, pagg. 39-  40.

[40] Naturalmente Kant si è occupato di molti altri aspetti della teoria della conoscenza che qui non trattiamo.

[41] In concreto potrebbe essere un insieme di file in un computer o delle lastre ecc. Il fatto che da uno stesso file o da una stessa lastra derivino tutte le copie della rivista in questione dimostra, oltre ogni dubbio scettico, che l’astrazione ha sempre una base oggettiva. Dimostra anche che è solo l’attività umana di trasformazione, produttiva, fisicamente e scientificamente, che fa emergere questa astrazione.

[42] "[coscienza] è il nome di una non-entità e non ha alcun diritto a un posto tra i principi primi. Coloro che ancora le si aggrappano, si attaccano in realtà a una pura eco" , disse William James, la cui posizione filosofica lo conduceva verso le stesse deformazioni del comportamentismo.

[43] Inutile dire che abbiamo largamente attinto dall’eccellente scritto di Engels Il ruolo avuto dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia. Le ipotesi in esso contenute, sono peraltro state ampiamente confermate in seguito dallo sviluppo della paleoantropologia.

[44] Come notarono Marx ed Engels: "Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che vuole: ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza" (L’Ideologia tedesca pag. 8).

[45] A tal proposito non possiamo non ricordare la celeberrima osservazione di Marx sull’ape e l’architetto. Scrive Marx: "Noi supponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartenga esclusivamente all’uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente" (Il Capitale, I, pag. 212).

A tal proposito c’è da notare che anche i paleoantropologi riconoscono implicitamente il rapporto tra coscienza e sviluppo delle forze produttive. Essi infatti indicano con homo tutti i progenitori diretti dell’uomo che hanno costruito strumenti, mentre tutti gli altri progenitori, ancora non coscienti, sono definiti australopitecine, ovvero scimmie.

[46] "Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini, e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio come la coscienza sorge dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini" (L’ideologia Tedesca, pag. 21).

[47] "La coscienza è dunque fin dall’inizio un prodotto sociale e tale resta fin tanto che in genere esistono uomini" (ibidem)

[48] Se si studia la presa di coscienza di un bambino si scopre per altro che, anche in questo campo, l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Come dimostrano gli studi di Piaget e di Vygotsky, lo sviluppo psichico dei bambini ha molti tratti di somiglianza con lo sviluppo storico della coscienza avuto dall’umanità.

[49] Questo è l’errore tipico di molti neuroscienziati e filosofi i quali partono sempre dallo studio biologico del cervello per dedurre le proprie concezioni filosofiche. Ma questo è ovviamente un’assurdità riduzionista. Lo sviluppo degli elementi che compongono il cervello non è avvenuto e non avviene per sezioni separate, per compartimenti stagni. Il cervello, come ogni altro organo, si sviluppa nell’ambito dell’evoluzione complessiva dell’animale, la cui sopravvivenza è l’unico banco di prova di tale sviluppo. Anche capendo come funziona una cellula si capirebbe, in sé, ben poco della coscienza. Già analizzando le proporzioni relative delle varie parti del cervello si potrebbe capire di più sull’evoluzione umana.

[50] Un gene è un filamento composto da alcuni elementi (azoto, fosfato, carbonio ecc.) e da zucchero. Dato che risulta difficile pensare che l’ossigeno o l’azoto siano egoisti, non ci rimane che credere, per essere dei veri riduzionisti fino in fondo, che l’egoista sia lo zucchero. Indubbiamente è difficile desumerlo dal contatto che abbiamo con esso quotidianamente. D’altronde la natura nasconde tanti di quei segreti! Forse lo zucchero che conserviamo in un barattolo nella dispensa è veramente egoista! e forse determina le azioni di tutti gli esseri viventi, come ritiene Dawkins. Senz’altro fa male ai denti. Che si esprima anche in questo il suo inveterato egoismo?

[51] Lo scarto, chiaramente notevole, che esiste tra tempo di lavoro necessario e tempo di lavoro effettivo, o le carestie che affliggono l’umanità, sono questioni che evidentemente nulla hanno a che fare con lo sviluppo puramente biologico dell’uomo. Sono conseguenze del processo produttivo di questa epoca, come il rogo delle streghe era frutto del processo produttivo medievale, la schiavitù frutto del processo produttivo dominante venti secoli fa ecc.

[52] C’è chi nega che l’uomo abbia avuto più successo di altri animali. S. J. Gould per esempio, vede con orrore questa idea perché la reputa sciovinista. Sostiene così che il vero “filone” di successo sono gli artropodi o i batteri che sono svariati ordini di grandezza più numerosi dell’uomo (ci sono più batteri nell’intestino di un solo uomo che uomini sulla Terra): "Non accettate la tradizione sciovinista che designa il nostro tempo come l’epoca dei mammiferi: questa è l’epoca degli artropodi. Essi ci sovrastano di gran lunga in numero da ogni punto di vista: per specie, per individui, per prospettive di proseguire sul cammino dell’evoluzione." (La vita meravigliosa, pag. 103)

Anche se è ammirevole la posizione di Gould, che è una difesa della vita e della scienza contro le pretese mistiche e antropocentriche di filosofi e religiosi, temo che in questo caso Gould si sia fatto intrappolare da una visione riduzionista. Il successo non è un fatto puramente quantitativo, ma soprattutto di qualità della vita. Successo significa riduzione del tempo di lavoro necessario, un successo qualitativo, un miglioramento delle condizioni di vita, non una semplice diffusione della specie. Certo, se una specie si diffonde significa che si è ben adattata e che dunque ha “successo”, ma come ho cercato di spiegare questo successo è sempre suscettibile di mutarsi nel suo contrario perché dipende da fattori che l’animale non controlla. I dinosauri hanno dominato la Terra per decine di milioni di anni, un grande successo, eppure non hanno potuto evitare di venire sterminati da nuove condizioni climatiche e da nuove specie. Il successo dell’uomo ha chiaramente un’altra natura. A dimostrazione che il successo dell’uomo è di altra natura da quello per esempio di formiche e topi, notiamo qui alcune cose. L’uomo condiziona più di tutti gli altri animali la propria sopravvivenza. L’uomo non ha nemici naturali. Quando la terra verrà arrostita dall’espansione del Sole morente, noi con ogni probabilità saremo partiti e si può prevedere che avremo approntato una bella Arca-astronave di Noè per tutti i coinquilini del moribondo pianeta. Ma allora solo gli animali che noi decideremo (speriamo tutti), potranno vivere. Insomma mi sembra evidente che la natura del successo dell’uomo è completamente diversa dal pur mirabile adattamento di insetti e altri ordini e specie. Questo significa forse che c’è, lassù nei cieli, un qualche essere che veglia su di noi? Ovviamente no. D’altra parte, non si sfugge alle eventuali pretese dei creazionisti esaltando il caso e i batteri. Semplicemente si ipotizza che la divinità abbia più a cuore i batteri o forse che, essendo i suoi figli fatti a sua immagine e somiglianza, sia una sorta di divinità batterica.

[53] Sarebbe anche interessante studiare come, accanto alla coscienza sia nato l’inconscio. Come già il termine sottintende, solo un animale cosciente ha due livelli di comportamento, uno conscio e uno inconscio. Mentre ogni altro animale “segue l’istinto”, ovvero degli schemi di comportamento innati, qualcosa di necessario, rispetto a cui l’essere non ha scelta, l’uomo eredita dalla sua evoluzione delle pulsioni che spingono a certi comportamenti ma vengono mediate dall’organizzazione sociale. Per altro il rapporto tra animali e istinto non è uguale per tutte le specie. E' ovvio che i mammiferi, soprattutto i primati, sebbene non coscienti, hanno una plasticità e un’adattabilità di comportamento infinitamente superiori a un pesce, per non parlare di un insetto. Tuttavia la coscienza fa sì che ci sia più differenza tra uomo e scimpanzé, che pure condividono il 98% di patrimonio genetico e si sono staccati dal ramo evolutivo comune un attimo fa, su scala biologica, di quanta ce ne sia tra lo scimpanzé ed ogni altro animale. Il fatto che tra pulsioni e modo di soddisfacimento vi sia un legame sociale e non biologico è un processo di lunga data ed è legato a tutta l’organizzazione sociale umana da millenni. Non è un caso che le femmine di homo sapiens sono le uniche tra i primati a non avere un estro visibile. Un estro visibile non serve a nulla ad animali coscienti. Lo stesso vale per altri simboli esteriori che costringono l’animale a certi comportamenti. Che poi vi siano tratti comuni nel comportamento dell’uomo e di altri animali è ovvio, l’uomo deve soddisfare le stesse condizioni. E' il modo con cui lo fa, conseguenza della sua evoluzione, che lo distingue dagli altri animali. L’inconscio è una questione spinosa perché non è un concetto accettato da tutte le scuole psicologiche, né è inteso nella stessa maniera da quelle che pure lo accettano. Non si può evidentemente entrare in questa sede in tali diatribe. Mi interessa solo segnalare due problemi interessanti:

a) il legame tra inconscio e processo produttivo: come la coscienza è legata allo sviluppo delle forze produttive, l’inconscio è legato, anche se molto meno direttamente, allo sviluppo sociale umano;

b) l’idea di un inconscio collettivo, un “mare” di esperienze, atteggiamenti, comportamenti, un legame inconsapevole tra gli uomini. Anche se spesso questa idea è utilizzata ideologicamente per difendere filosofie mistiche, ha un nocciolo razionale. Anche la coscienza è sociale, perché essendo legata allo sviluppo delle forze produttive, è legata a una certa organizzazione sociale. Vi è infine da notare come l’idea di una conoscenza innata comune a tutti gli uomini è diffusa in molte discipline, basti pensare alla teoria degli universali di Chomsky per quanto attiene allo sviluppo del linguaggio nelle diverse popolazioni umane.

[54] Come scrisse Engels: "L’animale arriva al massimo a raccogliere; l’uomo produce, allestisce i mezzi necessari all’esistenza nel senso più vasto della parola, che la natura senza di esso non avrebbe prodotto." (Dialettica della natura, pag. 316)

[55] Questa è la ragione per cui ho proposto il termine di riproduzione insieme a quello di riflessione come i due poli del processo conoscitivo. Anche se rappresentazione è forse più generale, riproduzione è molto più legato al modo con cui concretamente la specie umana è giunta alla coscienza e alla conoscenza.

[56] Anche se il processo non è così meccanico. Spesso i peggiori sfruttatori e carnefici riflettono il fatto che sono pur sempre esseri umani con un insospettabile buon cuore per alcuni aspetti della vita. Hitler per esempio, amava enormemente gli animali, e mentre si apprestava a massacrare milioni di persone con guerre, torture e lager, faceva passare leggi in difesa degli animali migliori di quelle in vigore oggi. Una forma estrema di alienazione: odiare gli ebrei e amare i cani.

[57] Questo cammino non assomiglia certo al cammino che Hegel espone nelle sue opere e che ha come protagonista un’entità astratta, l’Idea, che sviluppandosi arriva all’autocoscienza. E' semplicemente la presa d’atto, a posteriori, dello sviluppo della società in tutte le sue forme materiali e ideologiche.

[58] Il famoso scritto di E. Barone “Il ministro della produzione nello stato collettivista”, del 1908, è il classico scritto in cui con le equazioni al posto di una analisi concreta, e con un po’ di astuzia algebrica, si può trarre qualsiasi conclusione. In particolar modo, qui il punto centrale è la dimostrazione che, da un punto di vista analitico, un’economia pianificata e un’economia di mercato, sotto certi assunti, si comportano allo stesso modo. Perché dunque trasformare la società? Ci si accontenti di far funzionare al meglio quella che c’è.

  1. Appunti personali
  2. Opere di “scienziati” (psicologia, neurofisiologia)
  3. Opere dei fondatori del marxismo e di autori riconducibili al marxismo
  4. Opere di “filosofi” (teoria della conoscenza, epistemologia, scienze sociali)
  5. La pratica

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018