LA "VECCHIA" RELIGIONE NELLA "NUOVA" ELEMENTARE

PER LA RIFORMA DELLA SCUOLA
pubblica laica territoriale


LA "VECCHIA" RELIGIONE NELLA "NUOVA" ELEMENTARE

Nei nuovi programmi della scuola elementare (dpr 12.2.85), il capitolo dedicato all'insegnamento della religione è quanto di più equivoco e contraddittorio si possa leggere.

Già nel titolo lo si nota. Laddove infatti nel testo preparato dalla commissione Fassino si parlava di "conoscenza dei fatti religiosi", qui invece si parla di "religione" tout-court.

Non crediamo di sbagliarci affermando che, mentre la prima ipotesi lasciava aperta la possibilità che la religione potesse essere studiata anche in maniera non-religiosa (cioè scientifica), la soluzione definitiva invece, considerando la religione in sé e per sé, cioè non in rapporto alla scienza, costringe lo studio a una stretta compatibilità con i principi appunto religiosi e a rinunciare a un'impostazione scientifica. (Ricordiamo qui, tra parentesi, che nel settembre del 1984 persino al Consiglio nazionale del ministero della Pubblica istruzione si era appoggiata la soluzione di un corso specifico di religione obbligatorio e scientifico per tutti).

Ma che la legge sia indirizzata verso una confessionalità unilaterale ed esclusiva lo si comprende sin dalle prime battute: la scuola - vien detto - ha il compito di riconoscere il "valore" della realtà religiosa. In che senso? Da quale punto di vista? Essendo esclusa la possibilità di una lettura scientifica del fenomeno, la risposta non può che essere una: dal punto di vista religioso. La scuola deve riconoscere la religione come un valore "religioso".

Il che contraddice, come noto, il carattere laico che la scuola dovrebbe avere. La quale, proprio in quanto istituzione statale, non dovrebbe essere tenuta a riconoscere alla religione in sé alcun valore. Al massimo dovrebbe riconoscerne la presenza, cioè il fatto. Ma per poi chiarire, subito dopo, che l'interpretazione di valore di questo fatto sarà tutt'altro che "religiosa".

Avremmo comunque un bel daffare cercando di ricavare da questo capitolo dei suggerimenti pratico-teorici per interpretare scientificamente la religione. I contenuti di tale insegnamento - com'è noto - saranno successivamente definiti con apposito dpr, ma già si prevede l'orientamento verso una maggiore "scientificità del confessionalismo".

Mentre la commissione Fassino, in questo senso, qualche spunto lo dava, seppur ambiguo, qui il buio s'infittisce a oltranza. Soprattutto resta avvolto nel mistero il criterio con cui si debbono "rispettare" le "varie" posizioni che le persone possono prendere nei confronti della religione. Il pluralismo "delle" scelte nella scuola italiana pare stia diventando assoluto, cioè al di fuori di qualsiasi regola.

Ma la cosa più assurda sta al punto C. E' qui che si presenta l'incongruenza più stridente con quanto affermato nel prologo. Da un lato infatti si riconosce alla realtà religiosa un valore storico, culturale e (purtroppo si aggiunge anche) morale per la realtà sociale in cui il fanciullo vive (purtroppo nel senso che se il valore storico-culturale può essere studiato scientificamente, a prescindere dal proprio atteggiamento verso la religione, l'aspetto "morale", se inteso in senso "coscienziale", non può certo prescindere dall'esperienza della fede); dall'altro lato si afferma che la disciplina può essere anche non scelta dal genitore, dando cosi per scontato che essa debba essere svolta in maniera assolutamente confessionale, smentendo ampiamente l'importanza del "fenomeno storico-culturale" riconosciuta poco prima, o comunque subordinando nettamente tale importanza a quella ch'esso può avere sul piano "morale" (che è poi quello che maggiormente interessa alla chiesa, perché è poi su questo che può esercitare un'ingerenza di tipo politico).

Delle due insomma l'una: o alla religione si riconosce un valore storico-culturale, da studiarsi obbligatoriamente e scientificamente; oppure si abbia il coraggio di affermare che, essendo ognuno libero di credere nella religione che vuole, la scuola, aperta a tutti e pagata anche con le tasse di chi credente non è, rinuncia a impartire qualsiasi insegnamento confessionale.

Come al solito, purtroppo, anche questa legge è il frutto di un compromesso politico, in cui però, chissà perché, chi ci rimette è sempre il valore dell'umanesimo laico e dello studio scientifico dei fenomeni, e mai la religione. Anche se poi, è vero, si cerca d'insistere sul fatto che tale religione, benché insegnata secondo contenuti confessionali, deve adeguarsi alle "finalità della scuola".

Che significhi poi "adeguamento alle finalità della scuola" nessuno lo sa. S'intende forse che quando di tratterà, ad esempio, di spiegare il senso dei miracoli di Gesù ci si dovrà appellare, pur continuando a darne per scontata la storicità, alle cosiddette scienze etno-antropologiche, psico-sociali, esegetico-filologiche e via dicendo, mettendo in secondo piano i riferimenti più propriamente catechetici ed evangelizzanti, di competenza parrocchial-comunitaria?

Cioè significa che la confessionalità deve in qualche modo rendersi conto, se vuole sopravvivere come tale, che sta operando in un terreno, quello scolastico, che non è esattamente quello della parrocchia?

Solo di una cosa al momento siamo sicuri: l'estrema artificiosità di questa legge sta a indicare quanto oggi siano contestate, a livello sociale e quindi parlamentare, le giustificazioni che nel passato avevano retto la confessionalità. Lo dimostra il fatto che per motivare l'assurdità del punto C (rispetto alla premessa) il legislatore è costretto a elencare ben quattro principi:

  1. riconoscimento dei valori religiosi nella vita dei singoli e della società (il che spiega la confessionalità);
  2. rispetto e garanzia del pluralismo religioso (questo spiega la facoltatività, ovvero il diritto di non avvalersi dell'insegnamento per gli a-cattolici);
  3. rispetto e garanzia della libertà di coscienza dei cittadini (questo dovrebbe spiegare il diritto di non avvalersene per i non-credenti. Dico "dovrebbe" perché, a voler essere pignoli, solo questo principio poteva bastare per motivare il dovere di studiare in modo laico-scientifico la religione da parte degli studenti di tutte le scuole, prescindendo dal loro atteggiamento di coscienza nei confronti della religione o da quello dei loro genitori. Detto altrimenti: basterebbe secondo me appellarsi alla libertà di coscienza per non volere la confessionalità della religione nelle scuole. Ma come tale libertà sia interpretata dal nostro legislatore resta veramente un'incognita);
  4. il quarto principio, messo ingiustamente per ultimo, fa riferimento al recente concordato fra Stato e chiesa cattolica e alle Intese fra Stato e altre eventuali confessioni. In pratica, l'insegnamento confessionale della religione è voluto per motivi esclusivamente politici: questa la motivazione di fondo che spiega tutte le altre. E per far vedere che sul piano politico lo Stato è democratico e pluralista, cioè imparziale nei confronti di tutte le religioni, il legislatore fa capire d'essere disposto ad accettare, tramite intese, qualsiasi insegnante di religione nelle scuole pubbliche. 

Una vera fortuna che, in questo senso, i valdesi abbiano già declinato l'offerta, preferendo coinvolgere nel compito educativo-religioso solo le famiglie e la loro chiesa. Ma se gli ebrei fossero più esigenti? E se ci fosse da qualche parte una buona percentuale di protestanti e/o ortodossi pronti a rivendicare il diritto all'istruzione religiosa per i propri figli? Quanti preti e laici di religione in più dovrebbe stipendiare lo Stato? 0 forse lo Stato pensa che, a conti fatti, fra esonerati e non, le spese resteranno invariate? E se non lo fossero, sarebbe forse questo un motivo valido per chiedere che l'onere sia sostenuto dalle comunità locali?

Ecco, adesso abbiamo veramente raggiunto il fondo, il fondo appunto di una laicità che non ha la forza di concepirsi in maniera autonoma, "separata", ma che, al contrario, per viltà o debolezza, è pronta a servire tutti i credo religiosi e tutte le ideologie. Prima l'ora di religione era un privilegio ingiustificato, adesso -offrendo quest'ora a tutte le confessioni che la richiedono - diventa un diritto sacrosanto, il fiore all'occhiello dello Stato laico.

Sia come sia, io credo che almeno, per ora, su due aspetti sia necessario lottare: 1) garantire che il fanciullo dei genitori atei o acattolici non resti in classe quando viene insegnata la religione cattolica, ma che gli si trovi un'opportuna collocazione altrove; 2) garantire che non resti in classe neppure l'insegnante non-credente.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Formazione
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Aggiornamento: 10/02/2019