C'era una volta, lontano lontano, un mercante che aveva tre figli.
Quando furono cresciuti ed ebbero ricevuto la loro istruzione da maestri famosi,
il padre volle vedere come si sapessero arrangiare nei misteri della mercatura.
Li chiamò a sé, diede a ciascuno cento zecchini e li mandò nella capitale a
comperare merci da rivendere.
I due più grandi viaggiarono insieme verso la capitale, lasciando al suo destino
il fratello più piccolo, perché lo credevano più stupido e temevano che facesse
far loro brutta figura.
Giunti in città, comprarono merci d'ogni genere; quando le portarono a casa, il
padre fu molto soddisfatto dell'affare ed ebbe per loro parole di lode.
Anche il fratello più piccolo si diresse verso la capitale, ma vicino a un
villaggio trovò in mezzo alla strada un cadavere intorno al quale ormai si
aggiravano i corvi.
Si affrettò ad entrare nel villaggio e chiese ai primi contadini che incontrò
perché mai non seppellissero il cadavere e lo lasciassero imputridire.
"Eh", gli risposero con disprezzo "il morto non ha neanche un parente che paghi
al prete le spese delle esequie... Lo sai bene che di un povero nessuno si
cura."
"Pagherò io!", rispose il giovane e seppellì coi dovuti onori i resti mortali
dello sconosciuto.
Il funerale gli costò cinquanta zecchini; coi soldi rimasti si affrettò verso la
città per investirli in merce.
Tornato a casa, disse a suo padre come aveva speso il denaro; ma quello, anziché
rallegrarsi per la bontà d'animo del figlio, gli rivolse parole di rimprovero,
dicendogli che, se si fosse comportato ancora in modo tanto sconsiderato e non
fosse stato capace di apprezzare il denaro come si conviene, lo avrebbe
scacciato di casa.
Non passò molto tempo e il mercante mandò di nuovo i suoi tre figli a comprare
merci in città, dando a ciascuno di loro, stavolta, duecento zecchini.
I due più grandi andarono da soli anche stavolta; arrivarono a destinazione e
comprarono la merce a buon mercato, sicché il padre rimase molto soddisfatto
della loro avvedutezza.
Il più piccolo, arrivato in città. mentre andava per una strada vide il bel viso
di una fanciulla dietro le sbarre di una finestra del carcere; in strada c'era
una folla di curiosi che discutevano sul perché e il per come del suo arresto.
Appena vide la fanciulla, si rivolse verso la finestra del carcere e le domandò:
"Perché ti hanno messo in prigione?". "Che ne so? In città hanno rubato cento
zecchini e le forze dell'ordine pensano che li abbia rubati io. Ma io sono
innocente e di quei soldi non ne ho alcun bisogno; però non voglio dire chi sono
e da dove vengo. Per questo motivo si sono arrabbiati e mi sospettano
ingiustamente, tenendomi qua dentro."
Il figlio del mercante, misericordioso com'era, non poteva sopportare che un
essere umano innocente subisse una così grande ingiustizia. Andò di corsa dai
giudici e versò la somma di cento zecchini, pregandoli di lasciar andare la
ragazza che era innocente. Il danno lo avrebbe rifuso lui, finché non si fosse
trovato il ladro.
I giudici esaudirono la sua richiesta e scarcerarono la ragazza. Essa era
nientemeno che la figlia dell'imperatore, alla quale piaceva andare a passeggio
tutti i giorni per la città, vestita in abiti sempre diversi, per vedere le
ingiustizie cui erano sottoposti i poveri. Così era stata arrestata al posto del
ladro ed era stata messa in prigione. Quando la fecero uscire, si sfilò dal dito
l'anello d'oro e lo diede al giovane di buon cuore, dicendogli: "Ti riconoscerò
da questo anello...". Poi si diresse verso il palazzo imperiale, felice di non
essere stata costretta a rivelare la propria identità.
Il figlio più piccolo acquistò mercanzie con i cento zecchini che gli erano
rimasti; poi, tornato al focolare paterno, raccontò a suo padre che cosa gli era
capitato e come aveva liberato dal carcere la giovane innocente.
"Non combinerai mai niente di buono, cretino! Raccogli i tuoi stracci e
sparisci! Non voglio vederti mai più!", gli urlò suo padre infuriato. Gli diede
qualche zecchino per le necessità del viaggio e gli proibì di dire a chicchessia
che era suo figlio.
Il povero ragazzo vagò lungamente, ma non trovò un'occupazione da nessuna parte.
Un giorno, mentre camminava stanco e addolorato, incontrò un vecchio. "Perché
sei triste, giovanotto?", gli chiese il vecchio.
Il giovane vagabondo raccontò al vecchio la sua disgrazia; questi cercò di
rasserenarlo e, quando si separarono, gli disse: "Promettimi che tra sette anni
dividerai con me tutto il tuo avere e io ti aiuterò ad avere fortuna sulla
strada che hai preso>>.
"Sono ben lieto di prometterlo!" rispose il giovane.
"Allora vai alla corte dell'Imperatore, ché sua figlia ti aspetta", gli disse il
vecchio e scomparve in un batter di ciglio, come se la terra lo avesse
inghiottito.
Il giovanotto si diresse verso la città. Qui venne a sapere che l'Imperatore
voleva dare un marito a sua figlia; ma lei voleva sposare solo uno che avrebbe
potuto amare, anche se fosse stato un popolano.
Suo padre non la voleva scontentare in nulla, perché era figlia unica e accettò
volentieri che si scegliesse da sola il marito.
Vennero pretendenti a centinaia, tutti principi e figli di imperatori, di conti,
di nobili; ma tutti dovevano tornarsene indietro, perché non ce n'era uno che
piacesse alla ragazza.
Allora anche il figlio del mercante tentò la sorte. Appena la fanciulla vide il
proprio anello al dito di lui, lo prese sotto braccio e andò con lui
dall'Imperatore per ricevere la benedizione.
L'Imperatore fece celebrare uno sposalizio di favola; e alla sua morte, non
essendoci un altro erede al trono, gli succedette suo genero.
Passarono gli anni e un bel giorno, improvvisamente, si presentò alla corte
imperiale il vecchio, a chiedergli di fare a metà con lui tutto il suo avere,
così come erano rimasti d'accordo.
L'Imperatore fece due parti di tutto il suo avere e si preparava a dare una metà
al vecchio. Ma questi pretendeva di avere la sua parte anche dei bambini, che
erano due, belli e con i capelli d'oro.
Con il cuore a pezzi, disse al vecchio: "Uno è tuo".
"Dobbiamo fare a metà anche di tua moglie!", disse allora il vecchio.
"Ma come è possibile?", chiese stupito l'Imperatore.
"Tagliala in due con la spada e dammene metà!"
"Amo troppo mia moglie, per vederla soffrire. Ma, siccome ti ho promesso di fare
a metà con te di tutto quanto, voglio tener fede alla mia parola, anche se mi
sanguina il cuore. Porta via con te mia moglie, ma tutta intera, senza che le
dobbiamo togliere la vita."
"Conserva tutto per te", rispose allora serenamente il vecchio "ché io non ho
bisogno di nulla. Ho solo voluto vedere come sai mantenere la parola data. Sappi
che la parola di un uomo è la cosa che vale più di ogni altra al mondo."
Poi scomparve in un batter di ciglio. L'Imperatore visse ancora molti anni,
felice con la sua famiglia; e, essendo uomo del popolo, seppe proteggere il
popolo e rendergli giustizia.
Commento
L'autore di questo racconto odia i mercanti, gli affaristi, che
evidentemente ai suoi tempi dominavano la vita sociale, rendendo difficile
l'esistenza a quelli che invece volevano conservare i buoni sentimenti.
Fa passare il padre dei ragazzi come una persona cinica, avida,
che non usa scrupoli quando si tratta di cacciare il figlio di casa solo perché,
rispetto ai suoi gusti, si era comportato in maniera troppo altruista.
Il padre voleva la felicità dei figli ma secondo i suoi criteri,
ch'erano quelli del guadagno, della ricchezza legata ai commerci, e non
accettava che ognuno scegliesse da sé la propria strada.
L'autore di questo racconto è un ingenuo che sta dalla parte del
figlio altruista, il quale riceve un premio eccezionale per la sua bontà.
S'illude, l'autore di questo racconto, di poter avere la meglio
senza sottostare alle dure leggi della borghesia. E fa passare il nuovo
imperatore come uno che, siccome proveniva dal popolo, era in grado di stare
dalla parte dei poveri! Come se nella vita non fosse del tutto naturale cambiare
sentimenti, opinioni, stati d'animo in base agli interessi che si hanno, alle
funzioni o al ruolo che si svolge, alle circostanze che si vivono.