STORIA ROMANA


10. NERVA, TRAIANO E GLI ANTONINI
L'APOGEO DELL'IMPERO

1. Introduzione

Il periodo di storia romana trattato in questo articolo si estende dagli ultimi anni del primo secolo agli ultimi del secondo, comprendendo un lasso temporale che, partendo dal principato di Nerva (96…), giunge al termine di quello di Commodo (…192).
Un tale periodo, di particolare splendore economico e di grande stabilità politica, è ricordato come l'età d'oro dell'Impero, felice combinazione di diversi fattori che ne fanno non solo l'apogeo del mondo romano ma, in un certo senso, quello della stessa civiltà antica.
In esso, se da un lato assistiamo al definitivo affermarsi delle strutture politiche e burocratiche dell'Impero su quelle più antiche d'origine repubblicana, non vediamo tuttavia ancora l'inizio del loro deteriorarsi e del loro degenerare nell'anarchia e nel disordine.

Sul piano socio-economico si afferma sempre di più un "modus vivendi" aperto, fatto di scambi commerciali e di capitali monetari (cosa che entra in stridente contrasto con l'antica economia rurale, risalente ancora alle remote origini di Roma, nelle quali vigeva una netta separazione tra patrizi e plebei, tra patroni e clienti - un'economia basata cioè sul latifondo, che non verrà mai definitivamente scalzata, tanto meno sul finire della civiltà romana imperiale, con l'inizio del Medioevo.)

In questi anni quindi, vengono alla luce tutti i lati 'positivi' dell'idea di Impero: il definitivo tramonto del predominio politico-economico dell'antica aristocrazia terriera (non a caso si afferma sempre più la 'nuova aristocrazia' della terra, di nomina imperiale); lo svilupparsi di una consistente 'classe media', o di una 'media borghesia', in tutte le regioni imperiali; la capacità del nuovo stato di permeare e controllare un po' tutti gli aspetti della vita civile dell'Impero; la graduale parificazione di tutti i suoi sudditi, attraverso - quantomeno tendenzialmente - lo smantellamento dei privilegi dei cittadini romano-italici.
Assistiamo dunque alla formazione di una grande 'ecumene' di popoli e di culture, il centro della quale si trova, dal punto di vista decisionale, nella figura dell'Imperatore e della sua corte.

L'Impero diviene dunque sempre di più una realtà globalizzata, caratterizzata cioè da una forte mobilità interna e da una sempre maggiore parità di diritti (e doveri) tra i sudditi.

2. Nerva, imperatore municipale (96-98)

Dopo l'assassinio di Domiziano nel 96, a opera di varie forze dell'Impero e in primo luogo del Senato (da Domiziano osteggiato in tutti i modi, compresi provvedimenti di natura giudiziaria, secondo la modalità - istituita da Claudio e espressione del potere dell'imperatore - chiamata intra cubicolo), viene eletto imperatore M. Cocceio Nerva.

E' costui un uomo già anziano e piuttosto debole, anche per ragioni caratteriali, appartenente all'antica nobilitas italica (per la precisione a quella umbra), 'messo su' dal Senato e dalle forze del tradizionalismo italico sfruttando il vuoto di potere creatosi con la fine della dinastia dei Flavi, per assecondare i propri progetti di restaurazione e di arginamento dei cambiamenti in atto, sempre più favorevoli a un indirizzo assolutistico e monarchico.
I due anni del principato di Nerva sono caratterizzati da: una ripresa della politica filo-italica (mirante cioè a riaffermare la centralità della penisola tra le regioni dell'Impero); misure di riparazione delle azioni legali sostenute da Domiziano contro i senatori romani (ovvero il ripristino dei loro antichi privilegi, la restituzione di gran parte delle ricchezze loro estorte con misure giudiziarie, ecc.); ripresa di una politica di donazioni - monetarie e frumentarie - alle popolazioni municipali italiche (si ricordi che la penisola italiana attraversa un momento di grande crisi economica, quindi di impoverimento).

Ma ciò che caratterizza maggiormente il principato di Nerva è l'attenzione alle esigenze della classe nobiliare italica e quindi l'alleanza con il Senato.
Sarà questo atteggiamento a guadagnargli l'ostilità delle forze politiche filo-imperiali, in particolare dell'esercito dei pretoriani (la guardia imperiale) che si vede messa in secondo piano, e si sente quindi tradita dal proprio princeps.
A ciò si deve un tentativo di congiura, fortunosamente sventato, in seguito al quale Nerva - preoccupato dalla possibilità di un'involuzione politica e di una nuova frattura tra 'partito repubblicano' e 'partito imperiale', dall'inizio cioè di un nuovo periodo di guerre civili - decide di eleggere come suo successore Ulpio Traiano, uomo politicamente da lui molto distante in quanto legato all'esercito e capo, all'epoca, delle truppe di stanza nella Germania Superior.
Già anziano quando viene eletto, Nerva muore dopo soli due anni di governo, nel 98.
3. Traiano, 'optimus princeps' (98-117)

A. Origini di Traiano

A conferma della volontà di Nerva di assecondare le forze legate al partito imperiale, possiamo dire che il suo successore - da lui stesso appositamente scelto - è un uomo d'armi la cui carriera è legata essenzialmente all'esercito, e le cui origini inoltre - primo fra tutti gli imperatori romani - non sono né romane né italiche, ma spagnole.
La sua elezione al principato è dunque una chiara riscossa delle forze provinciali, della nobilitas di nuova nomina, degli eserciti e in generale delle forze politico-sociali favorevoli a un orientamento imperialistico e in lotta con quelle tradizionaliste filo-repubblicane.

Traiano passerà alla storia come l'Optimus princeps, ovvero come il migliore imperatore conosciuto da Roma nell'arco di tutta la sua lunga storia.

Con lui infatti (anche se, ovviamente, non soltanto per merito suo) l'Impero conoscerà un'impennata nei traffici interni e un periodo di notevole rigoglio economico.
Inoltre, anche grazie all'impegno da lui portato avanti nell'opera (iniziata in realtà molto tempo prima, da Augusto e da Vespasiano) di rinnovamento nella composizione del Senato, si inaugurerà in questi anni un periodo caratterizzato da un atteggiamento di concordia e di riappacificazione tra le istituzioni dell'Impero e la nobilitas senatoria, una sorta di riconciliazione (fittizia) tra i valori dell'universalismo monarchico e quelli della libertas senatoria e nobiliare.

Un altro motivo di prestigio prima e di gloria poi, così presso i contemporanei come presso i posteri, sarà costituito per Traiano dalle molteplici imprese belliche. Il suo periodo coincide, infatti, con l'ultima fase espansiva dell'Impero romano, quella nella quale esso tocca i suoi confini estremi, giungendo perfino a comprendere al proprio interno i territori partici della Mesopotamia.
E anche se in realtà, tali imprese avranno più un valore simbolico (legato cioè al prestigio delle loro tali vittorie militari) che reale (Roma difatti non riuscirà a mantenere a lungo molti dei nuovi territori), esse contribuiranno comunque a consolidare la fama di Traiano come di un eccellente condottiero, e a far ricordare il suo principato come il più "glorioso" dell'intera storia romana.

B. La politica interna

Attraverso la propria politica interna Traiano persegue essenzialmente due finalità: quella del rafforzamento dell'ordine imperiale (sia a livello sociale, sia a livello amministrativo) e quella del mantenimento della centralità politica delle regioni occidentali all'interno della compagine imperiale, in particolare (nonostante le sue origini spagnole) dell'Italia.

Non che una tale politica filo-occidentale sia, in assoluto, una novità. Come noto, essa era divenuta una costante tra gli imperatori dopo il fallimento della linea orientalista di Caligola e Nerone.
Lo stesso vale per la politica monarchica e anti-repubblicana (volta cioè all'indebolimento degli antichi poteri e delle strutture d'origine arcaica) in atto fin dai tempi di Augusto, seppure con le dovute riserve e i dovuti 'camuffamenti'.

Tuttavia nel periodo traianeo, la centralità e il dirigismo dello Stato si spingono a un livello mai raggiunto prima: egli infatti, avendo il vantaggio di partire nella propria azione dalle riforme e dalle conquiste già raggiunte dai suoi predecessori, riuscirà ad infliggere dei duri colpi ai sostenitori della linea tradizionalista e repubblica.
Ciò non deve tuttavia indurre a credere che Traiano, nelle sue manifestazioni pubbliche, manchi in alcun modo di rispetto al Senato.
Nonostante le proprie origini, provinciali e militari, egli dimostra infatti grande deferenza nei confronti di tale istituzione, e più in generale delle tradizioni patrie, sulla base di un programma di riappacificazione (concordia) tra il vecchio e il nuovo ordine: programma reso possibile in realtà anche dal profondo rinnovamento - avvenuto sotto l'Impero - della classe nobiliare, ovvero dalla sostituzione di molte delle più antiche famiglie nobiliari con altre di nuova nomina, molto spesso di origini provinciali ed equestri.

Accanto a tali trasformazioni di carattere politico (miranti a rafforzare la centralità dello Stato e dell'Imperatore), sono in atto già da tempo all'interno dell'Impero anche delle profonde trasformazioni di carattere sociale, trasformazioni il cui elemento caratterizzante è essenzialmente lo sviluppo di una vasta classe media.

Tra i due fenomeni inoltre - quello sociale e quello politico-istituzionale - sussiste anche una profonda interrelazione.
Se infatti a livello amministrativo assistiamo al fiorire di una vasto ceto medio, impegnato in mansioni di carattere burocratico e amministrativo, e di un esercito professionale (le cui funzioni sono prevalentemente di carattere difensivo), si assiste anche parallelamente all'emergere e all'affermarsi di una vasta fetta di popolazione - che si affianca a quella precedente - impiegata in attività affaristiche e commerciali.

Tale concomitanza poi non è certo casuale: lo sviluppo di un efficiente apparato statale è difatti condizione imprescindibile per quello di una vasta rete di traffici interni, sia attraverso la sicurezza delle rotte marittime e terrestri, sia attraverso un'organizzazione complessiva dei territori a livello amministrativo. D'altronde, l'esistenza di una tale rete richiede e consolida a sua volta quella degli apparati statali.
In questi anni diviene dunque sempre più evidente - toccando al tempo stesso i suoi apici - un processo, le cui origini risalgono ancora al periodo di Ottaviano e della tarda repubblica, di reciproco sostegno tra lo Stato e le classi medie, una sorta di "circolo virtuoso" che sarà una delle basi della solidità dell'Impero.

Possiamo schematizzare così un tale meccanismo:

----> Stato : burocrazia e eserciti [= ceti medi] --->
|-------------------------------------------------------------------|

RICHIEDE <---- circolo virtuoso !!! -----> ALIMENTA
|
-------------------------------------------------------------------|
<---------------- Commercio : ceti medi <--------------


Un altro elemento amministrativo e organizzativo che, sebbene già introdotto precedentemente, viene da Traiano ulteriormente consolidato, è l'utilizzo di esponenti equestri (anziché quello più tradizionale dei liberti) nelle sfere più alte dell'amministrazione pubblica.

In un unico frangente Traiano si mostra refrattario ad assecondare i nuovi orientamenti politici, laddove decide - in contrasto con la tendenza al decentramento che da sempre caratterizza la politica imperiale - di conservare all'Italia una notevole centralità politico-amministrativa. Ma quest'ultima deve essere intesa, molto probabilmente, come una misura finalizzata essenzialmente al rilancio economico della penisola.
Egli recluta difatti i quadri amministrativi imperiali prevalentemente tra gli esponenti della borghesia municipale italica, nonostante sia in atto - già da tempo - un processo di parificazione politica tra i cittadini dell'Impero (processo che va ovviamente a scapito delle popolazioni romano-italiche, attraverso lo smantellamento graduale dei loro privilegi).

Un ultimo problema con il quale Traiano deve fare i conti è, appunto, la crisi economica e demografica italiana.
Per arginare un tale fenomeno egli prenderà essenzialmente due provvedimenti: la promulgazione nel 108 di un provvedimento che costringe i nobili senatori (in gran parte ormai latifondisti provenienti dalle province) ad investire almeno un terzo dei propri patrimoni in terre italiane; e l'istituzione delle alimentationes, istituzioni statali di carattere assistenziale il cui scopo è di fornire agli orfani italici l'opportunità di studiare e, in età adulta, di entrare a fare parte dei quadri più bassi dell'amministrazione imperiale, nonché - attraverso un meccanismo di prestiti - di favorire e aiutare la ripresa dell'economia italiana.

Bilancio della politica traianea

Gli anni di Traiano conoscono il definitivo decollo dell'economia di scambio, di contro alle antiche resistenze dell'economia (nonché della mentalità e delle tipiche concezioni politiche) del capitalismo fondiario le cui origini risalgono ancora al periodo della monarchia (si ricordi ad esempio, la situazione della Roma monarchica, segnata da una netta contrapposizione tra i nobili latifondisti, o patrizi, e i loro clienti, o plebei).

Ma un tale decollo è favorito e reso possibile - oltre che dalle molteplici opere pubbliche (quali strade, acquedotti, ecc.) portate avanti sia in questi che negli anni precedenti - dal definitivo affermarsi di un nuovo assetto sociale e istituzionale, un fenomeno le cui premesse sono state poste nel corso della lunga trasformazione di Roma in potenza internazionale e imperiale.

L'Impero dunque, nonostante la centralità politica delle zone occidentali, si sviluppa sempre più secondo un modello politico di tipo ellenistico-orientale, essendo caratterizzato da: 1) un forte potere centralistico dello stato ("dirigismo statale"); 2) un notevole sviluppo dei settori amministrativi e dell'economia di scambio: quindi, sul piano sociale, dei ceti medi, 3) il prevalere dell'economia monetaria (cioè dei capitali mobili) su quella terriera (dei capitali immobili).

E' da ricordare, inoltre, l'attenzione riservata da Traiano (ma anche dal suo predecessore, Nerva) ai problemi economici e sociali che funestano la penisola italiana, e il suo tentativo di conservare a essa un ruolo di centralità sul piano amministrativo e politico.

C. La politica d'espansione

Coerentemente con le proprie origini militari, Traiano porta avanti una politica espansionistica molto aggressiva.
Essa segnerà per altro la fine della fase espansiva di Roma, giunta ormai (per ragioni come vedremo qui di seguito) ai limiti estremi di estensione e di governabilità.

Le ragioni che, molto probabilmente, spingono Traiano a perseguire un tale tipo di politica sono da ricercarsi principalmente nel desiderio di prestigio militare (fonte sicura di consensi politici in tutti gli strati della popolazione), e nella prospettiva di un ulteriore arricchimento dell'Impero e dello Stato.

Le campagne sostenute da Traiano nel corso del suo principato saranno essenzialmente cinque: due combattute contro la Dacia, una contro gli Arabi, una contro gli Ebrei della Cirenaica, un'ultima infine contro il regno dei Parti.
Tra esse le più significative sono senza dubbio l'ultima e le prime due, mentre le guerre contro gli Arabi e gli Ebrei possono considerarsi in gran parte fasi intermedie di un più ampio piano di estensione e consolidamento dell'Impero verso Est, piano culminante appunto nell'ultima grandiosa campagna contro il nemico storico di Roma: il regno dei Parti.

La guerra dacica viene portata avanti principalmente per due motivi: la ricchezza naturale delle zone danubiane, e l'esigenza di arginare le continue incursioni - guidate dal re Decebalo - dei popoli risiedenti in quella regione.
Mentre la prima campagna (101-102) si concluderà con una sottomissione parziale della Dacia, che - seppure rapidamente 'romanizzata' - non sarà ancora ridotta a provincia romana; la seconda campagna (105-106), che si deve alla ribellione dello stesso re Decebalo, dai romani conservato sul trono al termine del conflitto, si concluderà nel 106 con l'annessione definitiva di tale regione all'Impero.
Una tale annessione inoltre rimpinguerà parecchio le casse dello Stato, essendo la Dacia abbondantemente provvista, tra le altre ricchezze, d'oro (uno dei motivi peraltro alla base di queste guerre!)
Le imprese militari di Traiano in Dacia verranno infine celebrate nella celebre 'Colonna traiana', un'opera del 113.

Al termine delle campagne danubiane, Traiano inizia una nuova serie di conflitti, stavolta nelle zone orientali.
Motivo di essi è la ripresa delle ostilità tra Roma e le regioni partiche, le quali - non più funestate dalle incursioni degli Unni e dell'esercito della dinastia Han (proveniente dall'estremo oriente) - hanno interrotto la tregua bellica sui propri confini occidentali, più precisamente su quelli armeni.

In questi anni tuttavia, forse anche a causa del clima di insicurezza e di debolezza creato dalla ripresa delle ostilità in Armenia, anche altre zone orientali si mostrano irrequiete.
Traiano è costretto difatti a intervenire militarmente anche in Siria, in Arabia (fondando nel 106 una nuova provincia: l'Arabia Petrea) e in Cirenaica (dove l'esercito romano dovrà sedare una rivolta delle popolazioni semitiche).

Tali episodi d'intolleranza verso la dominazione romana dimostrano molto bene come il tempo non abbia in realtà definitivamente sedato i conflitti tra questi due diversi mondi, e come il fuoco della ribellione continui a covare sotto la cenere. [Un fatto che trova un'ulteriore conferma nella nostalgia dell'Oriente per la dominazione di Nerone, figura attorno alla quale si sono create addirittura delle leggende popolari, nonché il caso molto singolare di un 'falso' Nerone che si aggirerebbe tra esse…]

Ma la vera e propria guerra partica verrà combattuta tra il 114 e il 115 e si concluderà prima con la conquista dell'Armenia, e successivamente con quella della Mesopotamia, vero e proprio cuore dell'Impero nemico - un'annessione quest'ultima, con la quale il dominio di Roma giungerà addirittura fino al golfo Persico!
E tuttavia il mantenimento di tali regioni costituirà un'impresa troppo onerosa e irta di ostacoli, perché esse possano essere mantenute a lungo.
Se difatti già le regioni medio-orientali si dimostrano estremamente difficili da governare attraverso prassi e criteri di dominio politici romano-occidentali, una tale opera sarebbe ancora più difficile da portare avanti per regioni ancora più distanti, sia geograficamente che culturalmente.

Già nel 116 iniziano infatti le prime rivolte nei territori partici della Mesopotamia, le quali dimostrano appunto la precarietà della dominazione romana in quelle zone.
Traiano, costretto dagli eventi a riparare in Cilicia, morirà poco dopo, nell'agosto del 117.

D. Conclusioni sul principato di Traiano

Ulpio Traiano verrà ricordato - complice anche Plinio il Giovane, che tra i letterati dell'epoca ne è il principale sostenitore politico - come l'Optimus princeps, e ciò sia per le proprie gloriose imprese militari e conquiste territoriali, sia per l'impegno dimostrato nella gestione degli affari interni dell'Impero, a partire dall'assistenza ai poveri per arrivare alle questioni riguardanti la giustizia.

Lo sviluppo che egli è riuscito a imprimere alle strutture politiche e istituzionali di Roma ha poi delle ripercussioni molto favorevoli anche sui commerci e sulla mobilità interna, essendone poi a sua volta alimentato.
Tutto sommato, dunque, quella traianea è una delle epoche più felici della storia imperiale, l'inizio di quella che viene definita "Età aurea", e che proseguirà con gli Antonini.

4. Gli Antonini

A. L'Età Aurea

Il periodo degli Antonini (schiera di imperatori il cui nome deriva per convenzione storica da Antonino Pio, il secondo di essi) è un periodo storico "perfetto".
Perfetto, perché in esso l'Impero - rinunciando a ulteriori mire espansionistiche - si ripiega su se stesso e sulle proprie strutture interne, vivendo per così dire una 'vita propria', il più possibile autonoma e indipendente rispetto all'esterno, e raggiungendo inoltre un'armonia e una pace sociale che rimarranno per sempre insuperate.

In questi anni Roma raggiunge infatti un notevole equilibrio tra le sue differenti componenti sociali, ovvero essenzialmente: a) i ceti latifondistici, coloro cioè che producono le basi stesse della ricchezza e del benessere economico dell'Impero; b) i commercianti, coloro che le rivendono; c) le città, sedi dell'attività commerciale e amministrativa; d) gli eserciti, strumenti indispensabili per la pace e la sicurezza interne e esterne; d) le grandi masse dei poveri (sia quelli delle campagne sia quelli delle città), la cui sussistenza dipende - in gran parte - dalla generosità e dalle elargizioni dei ceti più ricchi.
Si instaura insomma - soprattutto a causa della grande mobilità che si è sviluppata sia a livello sociale che a livello commerciale - un clima di positiva collaborazione, reso possibile inoltre dalla pace e dall'ordine interni, e da una (relativa) facilità a livello di comunicazioni e di scambi tra le diverse regioni.

Una tale congiuntura inoltre, positiva innanzitutto da un punto di vista economico, garantirà - grazie alla generosità sia dei ceti nobiliari e in generale di quelli più ricchi (secondo la pratica detta dell'evergetismo), sia dello Stato (con Adriano infatti tolleranza e magnanimità, valori essenzialmente 'umanitari', diverranno un punto fermo nella condotta di quest'ultimo) - un più alto livello di esistenza alle classi più povere, sia proletarie che sotto-proletarie.

Ovviamente una simile situazione sarà resa possibile essenzialmente dalla condizione di grande rigoglio economico, la quale permetterà ai ceti più ricchi l'accumulo di un surplus produttivo da destinare a un tale tipo di attività, le quali svolgeranno peraltro un ruolo essenziale nel mantenimento della pace sociale, allontanando lo spettro di conflitti e agitazioni tra le classi più povere!

Ma appena una tale congiuntura - lunga sì, ma anche inevitabilmente destinata a finire - verrà a incrinarsi, anche il clima di collaborazione e armonia (che è poi l'essenza stessa dell'Impero) che ha caratterizzato questi anni, finirà per deteriorarsi irreparabilmente, e diverranno evidenti i primi segni di una crisi che culminerà con la caduta stessa dell'Impero.

Con gli Antonini, in ogni caso, il livello della vita sociale rimarrà tutto sommato molto alto, anche se già con Marco Aurelio e ancor più con suo figlio Commodo si cominceranno a intravedere i principi della futura crisi.

B. Elio Adriano, imperatore "ellenizzante" (117-138)

Sarà il senatore Elio Adriano, imparentato alla lontana con Traiano, nonchè come questi di origini spagnole, a ereditare il titolo di princeps.

Al momento della morte di Traiano, nel 117, egli si trova in Oriente impegnato in azioni militari, per incarico del suo predecessore.
Solo nell'anno successivo, il 118, Adriano raggiungerà Roma per farsi incoronare ufficialmente dal Senato, cosa che - assieme ad altre manifestazioni, ad esempio la sua costante lontananza dalla capitale e il suo continuo girovagare per l'Impero - mostra da subito quale scarsa considerazione egli nutra sia per Roma che per le sue antiche tradizioni.

In effetti con Adriano l'Impero subisce una svolta in senso decisamente orientalista, non solo - come già presso i suoi predecessori - dal punto di vista politico (in direzione cioè di una maggiore centralità dello Stato, ovvero di un controllo più capillare sulle sue regioni), ma anche da un punto di vista culturale.
Se la maggior parte dei precedenti imperatori, da Vespasiano fino a Traiano, si erano infatti guardati bene dall'assumere atteggiamenti che potessero suonare in qualche modo offesa al tradizionalismo occidentale, ciò si doveva soprattutto al timore di suscitare dissensi e lotte intestine (quali ad esempio quelli suscitati da Nerone o, in tempi più recenti, da Domiziano). Anche per questa ragione essi avevano mantenuto il più possibile un atteggiamento di rigoroso rispetto nei confronti del Senato e dei valori delle sue tradizioni.

Ma oramai, al tempo di Adriano, il predominio politico dell'Imperatore è tale (anche vista la mutata situazione sociale: l'accentramento cioè dei maggiori poteri istituzionali attorno alla sua figura politica) che egli può tranquillamente permettersi di abbandonare un certo 'conformismo dei costumi', ovvero un adeguamento forzato agli stereotipi della tradizione occidentale, ed esprimere più liberamente il suo personale punto di vista.

Il fatto poi che quest'ultimo imperatore sfidi il 'perbenismo occidentale' (come prima di lui avevano già fatto Caligola Nerone e Domiziano), assumendo atteggiamenti da poeta e da filosofo, e manifestando un gusto ellenizzante che mal si sposa con i costumi della nobilitas senatoria, non deve farci credere che egli sia (come invece i suoi predecessori) un tiranno sanguinario.
Se infatti Nerone e Caligola avevano regnato su una Roma nella quale l'autorità del Senato, anche sul piano culturale, era ancora preponderante, e avevano quindi usato la violenza come strumento di coercizione e di imposizione, Adriano si trova a regnare invece in un contesto già fortemente emancipatosi da una tale egemonia.

Tra le varie manifestazioni dell'orientalismo di Adriano possiamo annoverare - come già si è detto - la sua costante lontananza da Roma; ma anche la linea politica decisamente liberale assunta nei confronti delle regioni orientali dell'Impero, cui egli concede - rispetto a Traiano - maggiori autonomie; come anche, infine, la tolleranza dimostrata nei confronti dei culti orientali che si infiltrano nelle regioni occidentali (tra i quali non dobbiamo però annoverare né il cristianesimo né l'ebraismo, da lui perseguiti duramente).

Il periodo del suo regno è forse, tra tutti, quello di maggiore benessere. Né sono presenti in esso eventi particolarmente significativi o eclatanti, anche perché egli non propende per nuove guerre di conquista, bensì al contrario si impegna in un'opera generale di consolidamento del vastissimo territorio imperiale.
Il suo principato è caratterizzato da un riassestamento delle strutture statali (ad esempio, attraverso la riforma dell'amministrazione finanziaria dell'Impero, ovvero con l'istituzione dei curatores fisci), e dalla rinuncia non soltanto a velleità di natura espansionistica, ma anche al mantenimento di province particolarmente onerose, quali l'Armenia e la Mesopotamia.

Celebre è inoltre il vallo adrianeo in Britannia, che delimita i territori romani da quelli ancora in mano ai barbari; analoghe manovre di delimitazione egli le compie poi in Germania e in Dacia.

Un altro elemento caratteristico del suo governo - in forte contrasto con la linea di governo traianea - è la propensione verso la parificazione di tutti i cittadini e verso lo sviluppo civile (anche attraverso opere di carattere pubblico) delle province imperiali.
Nei suoi anni difatti, queste ultime conoscono una vera e propria esclation a livello urbano, tanto che Adriano verrà ricordato come il maggior 'urbanizzatore' della storia dell'Impero.

Se quindi Traiano si è impegnato prevalentemente in un'opera di consolidamento di Roma verso l'esterno, il suo successore Adriano ha portato avanti invece una simile opera verso l'interno, migliorando ulteriormente l'organizzazione della grande macchina imperiale e rinunciando pragmaticamente a conservare quei territori che, pur dando lustro all'Impero, ne risucchiano energie sia umane sia finanziarie.

C. Antonino Pio (138-161)

Adottato da Adriano quasi in punto di morte, T. Aurelio Antonino (passato alla storia come il Pio, per l'immagine da lui fornita di se stesso come di un Imperatore interamente dedito al bene dei propri sudditi) ascende al principato nel 138, a quarantadue anni.
Fondamentalmente Antonino non apporta modifiche all'orientamento di Adriano: persegue infatti una politica di pace sia all'interno che all'esterno, e di consolidamento dell'Impero a livello organizzativo.
Se Adriano ha 'sistemato' l'organismo imperiale, portando così virtualmente a termine quel lungo processo di consolidamento strutturale che era iniziato con imperatori quali Ottaviano, Vespasiano, ecc., Antonino il Pio invece lo irrigidisce in una forma che aspira in qualche modo a essere eterna.

Una differenza del suo governo rispetto a quello di Adriano starà però in un maggior interesse per i diritti e i privilegi degli Italici. Egli difatti restituirà a questi ultimi, nonché al Senato, parte delle prerogative che il suo predecessore aveva loro tolte.
Un'attenzione particolare infine viene da lui dedicata all'assetto degli eserciti sulle frontiere, quasi a voler separare ancor più rigidamente Roma dal resto dei territori confinanti, secondo un progetto di tipo isolazionistico già perseguito da Adriano.

Elemento di novità del suo principato - non ascrivibile però alla sua volontà - sono i tentativi di penetrazione nell'Impero da parte di alcune popolazioni barbariche, che premono sui confini settentrionali.
Essi costituiranno le prime avvisaglie di più ampi movimenti migratori che si verificheranno - come vedremo tra poco - sotto il regno del suo successore, Marco Aurelio.

D. Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, e la prima invasione barbarica (161-180)

Il principato di Marco Aurelio ruota nella sua interezza attorno al problema della sicurezza interna, conoscendo lungo l'arco di tutta la sua durata delle continue invasioni territoriali: prima da parte dei Parti, e successivamente da parte di alcuni popoli germanici (tra cui Quadi, Marcomanni, Jazigi…).
Il suo è dunque (quantomeno nei suoi aspetti più significativi e appariscenti) un periodo di governo essenzialmente militare, anche se ciò non va ascritto all'indole dell'Imperatore (essendo egli al contrario, come tutti sanno, il prototipo stesso dell'Imperatore-filosofo) bensì ad esigenze di carattere difensivo dettate dalle circostanze storiche.

Le campagne militari del periodo di Marco Aurelio sono fondamentalmente due: una prima combattuta contro i popoli partici orientali, per l'esattezza sul fronte siriano e armeno; l'altra invece contro i Germani sul fronte occidentale e interno (l'Italia).

(a) Guerre contro i Parti

Nel 163, il re dei Parti Vologese III, approfittando di una momentanea debolezza dei confini orientali di Roma (dovuta peraltro ad alcune incursioni barbariche sulle frontiere britannica e renana), attacca l'Armenia - stato sotto l'influenza romana - imponendovi un proprio sovrano. Dopo ciò, invade la Siria, vicina provincia dell'Impero.

Lucio Vero, fratello di Marco Aurelio, da questi designato coreggente, parte per una spedizione militare nelle zone orientali, ove (163) riconquisterà i territori perduti, comprese Armenia e Mesopotamia.

Sembrerebbe una ripresa della politica imperiale e coloniale di Traiano, ma in realtà è espressione di un bisogno di sicurezza sui confini a est.
Sul piano della propaganda culturale poi, tali guerre verranno giustificate con i concetti di "restitutio imperii" e con l'esigenza di tutelare gli interessi delle regioni ellenistiche, piuttosto che con l'idea della potenza romana.

(b) Guerre contro i Quadi e i Marcomanni

Nel 167, un anno dopo la stipula della pace con il regno partico, sarà la frontiera romano-danubiana a essere invasa, questa volta dall'ondata migratoria di alcuni popoli barbarici occidentali.
Alla base di tali movimenti migratori vi sono dei 'rimescolamenti' tra le tribù residenti nelle zone dell'estremo oriente: rimescolamenti che, partendo dall'odierna Russia, giungono a farsi sentire - attraverso diversi contraccolpi - fino presso le regioni barbariche sui confini romani occidentali.

Si verifica così in questi anni la prima invasione nei territori romani occidentali da parte di popoli germanici, tra cui principalmente vi sono i Quadi e i Marcomanni. Essi giungono a insediarsi fin nelle regioni della Venetia (l'attuale Veneto) e di Aquileia.
Ben più grave della prima invasione, poiché giunge a toccare il cuore stesso dell'Impero, essa impegnerà per alcuni anni (167-175) Marco Aurelio il quale - anche a causa di una disastrosa pestilenza scoppiata tra le sue truppe - dovrà ricorrere alla pratica di nuovi arruolamenti, ammettendo tra le fila dell'esercito anche schiavi, gladiatori e soldati mercenari germanici. In questi anni si inaugura così la politica (che avrà un enorme seguito nei secoli della vera e propria decadenza) dell'alleanza con i barbari al fine di combattere i barbari stessi!

E' facile immaginare come tali cambiamenti comportino per lo Stato romano un considerevole sforzo finanziario, dovuto ad un consistente aumento delle spese (soprattutto per gli eserciti), al quale fa inevitabilmente seguito un inasprimento della pressione fiscale e un aumento dell'attività di monetazione con l'abbassamento del potere d'acquisto della moneta (fenomeni entrambi che conosceranno nei prossimi decenni un aumento costante e inarrestabile).

Nel 180, Marco Antonio muore a Vienna, e il principato passa nelle mani di suo figlio Commodo, allora diciannovenne, e che già da anni lo affiancava per altro nella conduzione dell'Impero.

E. Commodo e la ripresa della tradizione autocratica (180-192)

Ancora di più di quello di suo padre, il principato di Commodo segna una notevole svolta nella politica romana: il termine cioè di quella linea tendenzialmente pacifista e 'non-violenta' portata avanti dagli Imperatori-filosofi (Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio), attraverso la ripresa di uno stile di governo di tipo autocratico e a tratti delirante, quale era stato ad esempio quello di Nerone.

Mettendo da parte i motivi psicologici e le inclinazioni personali dell'Imperatore (il quale, come coloro che lo hanno preceduto in un tale stile di governo, è forse troppo giovane per portare avanti responsabilmente la propria missione), vi sono evidentemente anche altri motivi - più concreti e tangibili - alla base di una tale svolta.
Le recenti invasioni barbariche difatti hanno messo in luce la debolezza strutturale dell'Impero, prospettando chiaramente con essa la necessità di un mutamento radicale sul piano politico e militare, in direzione ovviamente di una linea maggiormente difensiva, quindi anche maggiormente militarista e autoritaria.

Non che quello di Commodo sia un periodo denso di eventi bellici - egli anzi, non appena eletto, si affretta a stipulare una pace con i Germani e a tornare a Roma, dopo di che non vi saranno più fatti d'armi particolarmente significativi durante il suo regno.
Tuttavia una tale condotta di governo è indissolubilmente legata alla fine per l'Impero della certezza della propria inviolabilità territoriale, e all'esigenza quindi di un potenziamento ulteriore dell'apparato statale e degli eserciti, a scapito per altro delle frange aristocratiche (ovvero del Senato e della nobiltà terriera) da sempre, anche per motivi di carattere ideologico, latentemente ostili ad una politica di eccessivo dirigismo statale.

Punti chiave della politica di Commodo sono: un atteggiamento fortemente autoritario nei confronti del Senato e dei ceti nobiliari (con la ripresa delle persecuzioni in stile domizianeo e delle confische di molti dei beni immobili della nobiltà, attraverso i quali lo Stato viene arricchito e potenziato); un'ulteriore indebolimento della presenza senatoria negli apparati statali (con l'assegnazione del comando degli eserciti provinciali ai cavalieri, anziché ai senatori); un'eccessiva attenzione per gli spettacoli pubblici, e in generale verso ogni manifestazione di grandezza e magnificenza dello Stato (anche in concomitanza con avvenimenti gravi, quali l'ondata della peste o le invasioni della Britannia nel 185).

Non si può certo dire - come si evince anche da quest'ultimo punto - che la condotta di governo di Commodo sia responsabile e realistica.
Egli morirà difatti a causa di una congiura perpetrata dagli eserciti provinciali e dal Senato, stanchi di subire la sua condotta priva di regole e gravitante attorno alle sue manie di grandezza. (Commodo si farà ribattezzare 'Ercole romano' e trattare come un dio, secondo una linea teocratica di governo, e ribattezzerà Roma 'Colonia commodiana').
Tuttavia, infondo, si può scorgere nelle sue scelte anche l'espressione di una mutata temperie culturale, ora più inquieta e quindi anche più violenta, risultato appunto di una situazione di maggiore instabilità interna all'Impero.

Commodo morirà nel 192, per una congiura di palazzo. Tale evento aprirà le porte a una nuova fase di Roma, inaugurata peraltro da una nuova guerra per il principato tra rivali militari (la prima era stata nel 68, in seguito alla morte di Nerone).

CONCLUSIONI (96-192)

Il periodo qui analizzato - essenzialmente il secondo secolo - vede avvicendarsi ben sei imperatori, ognuno dei quali scandisce una differente fase della trasformazione della compagine imperiale romana:
- Nerva il periodo di riassestamento dopo la morte di Domiziano;
- Traiano l'ultima fase espansiva, forse l'ultima manifestazione di esuberanza militare da parte dell'Impero;
- Adriano (e Antonino il Pio) quel momento che, costituendo l'apice della parabola storica di Roma, costituisce inesorabilmente anche l'inizio del declino;
- Marco Antonio e Commodo, infine, i primi segni della crisi e dell''implosione' della compagine imperiale, nonché due differenti modi di rapportarsi a una tale situazione: il primo quello di un distacco filosofico di fronte alla caducità delle cose (si pensi ai suoi "Ricordi"!), il secondo invece quello di una reazione violenta e irrazionale davanti alla catastrofe imminente.

Dal punto di vista socio-culturale poi, tale periodo vede la definitiva affermazione delle classi filo-imperiali su quelle senatorie e nobiliari, e un ulteriore assorbimento di queste ultime nelle fila dei poteri del princeps.
Economicamente, invece, si assiste a un'ulteriore crescita dei traffici e delle comunicazioni interne, nonché al definitivo affermarsi delle classi medie nell'economia sociale dell'Impero: sia di quelle impiegate nelle attività commerciali, sia di quelle impiegate nell'amministrazione statale.

Adriano Torricelli


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014