Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa


Caravaggio, Deposizione nel sepolcro, Pinacoteca Vaticana, Roma
Caravaggio, Deposizione nel sepolcro, Pinacoteca Vaticana, Roma

Libro primo

I Vangeli e il loro retroterra storico-culturale

11. IL CULTO DI MITRA E IL CRISTIANESIMO

L'adorazione del Sole

Quel che c'era di bello e di sublime nel mito del Sole venne fatto proprio dal Cristianesimo, Helios divenne Cristo.
(Il teologo Carl Schneider, Geistesgeschichte, 1, 258)
La Eliolatria, cioè l'adorazione del Sole, cui si rifà il culto mitraico, occupa una posizione di grandissimo rilievo nella storia delle religioni. Già gli antichi Persiani invocavano l'astro diurno, e da un'epoca più tarda, tuttavia ancora nell'Avesta, il Sacro Libro composto fra il V e il VI secolo a.C., ci è stata tramandata la seguente invocazione di Zarathustra al Sole:
La possente, la regale aura dell'etra solare, ricca di promesse,
quella che è stata creata da Dio, veneriamo in preghiera,
colei che trascorrerà sul più vittorioso dei Redentori, e gli altri,
i suoi apostoli, che il mondo sospinge,
cui fa superare vecchiaia e morte, dissoluzione e corruzione,
che soccorre alla vita eterna, all'eterno guadagno, alla libera volontà.
Quando i morti risorgeranno,
quando il vivente trionfatore della morte sopraggiunge
e con la volontà il mondo innanzi viene sospinto 1.

In Egitto, lo sposo della bella e intelligente Nefertiti, il re Amenofis IV (1375-1358), grande riformatore religioso, tentò di introdurre l'adorazione del Sole come unica forma di culto. "Tu sei la vita medesima", pregava il re rivolto alla divinità solare (Roeder, 65. Cfr. anche Freud, 120). Anche Mosè coltivava stretti rapporti col dio del Sole. Il suo monoteismo, come mostra Sigmund Freud nell'opera Mosè e la religione monoteistica, era uguale al culto solare di Amenofis IV (Freud, 118 sgg.). Al dio del Sole di Babilonia un Inno in caratteri cuneiformi risalente ad età prebiblica attribuisce tutte le qualità, che in seguito formeranno nella Bibbia l'oggetto dell'esaltazione di Dio (cfr. Garden). Anche il profeta Isaia pensa non a Jahvè, ma al dio del Sole, quando scrive:

"Vedi come la tenebra copre la terra e il buio avvolge i popoli; ma sorge su di te il Signore, e la sua magnificenza appare in te. I popoli camminano nella tua luce, e i re nello splendore, che è sorto per te" (Jes. 62, 2 sg.).

Tutta una serie di dèi quali Giove, Apollo e Baal ebbero gli attributi della divinità solare; nell'Impero Romano, prima con Eliogabalo (218222), sacerdote di questa divinità ancor prima dell'ascesa al trono, e in seguito con Aureliano (270-275), la cui madre era sacerdotessa del Sole, questo dio fu venerato come Summus Deus.

Ma anche molti cristiani adoravano il Sole. Nel 354 o 355 il vescovo Pegasio confessò al principe Giuliano di pregare segretamente il Sole. E ancora nel V secolo c'erano fedeli cristiani che si prosternavano davanti all'astro nascente, dicendo: "Abbi pietà di noi!" (Leo, serm. 27, 4). Papa Leone I dovette mettere in guardia la comunità romana da un aperto culto del Sole (ibid.). E ben presto Cristo fu proclamato "l'Onniveggente", l'"Invitto" e il "Sole della giustizia", titolo proprio del dio del Sole, diventando "il vero Helios" 2.

Ancora nel secolo XVII l'innografo cristiano Paul Gerhardt scriveva: "Il sol che mi sorride/è il mio signor Gesù,/ciò che cantar vi fa/è quel che in cielo sta". E anche oggi la raffigurazione del Sole, l'eterna luce, si trova negli edifici sacri degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, dopo essere stata in uso assai prima come "Eterna Luce" nei templi persiani, e quindi accolta dai pagani di Roma e di Grecia. L'adorazione del Sole è viva tutt'oggi nel Cristianesimo nelle Chiese e negli altari esposti a Oriente o nella forma solare di numerose suppellettili sacre, usate per la conservazione delle ostie. Un'eco dell'antica concezione è presente addirittura nella Messa: l'Antifona del 21 dicembre, giorno del solstizio invernale, recita:

O Sole che sorgi
splendor d'eterna luce
e sole di giustizia,
vieni ad illuminarci,
ché siamo nella tenebra
e all'ombra della morte 3.

Mitra

Mitra, il dio della Luce celeste, è una personificazione del Sole. Il suo culto, originario della Persia e dell'India, nel III secolo a.C. era già diffuso in Egitto. Quasi contemporaneamente al Cristianesimo, penetrò poi nell'Impero Romano, facendo numerosi proseliti con grande rapidità soprattutto fra i soldati, i mercanti e gli schiavi, estendendosi in Nordafrica, in Spagna, in Gallia, in Germania e persino in Britannia. Il punto di irraggiamento della religione di Mitra fu la Cilicia, patria di Paolo, dov'era penetrata quasi cent'anni prima di lui. Gli studiosi hanno accertato tutta una serie di corrispondenze fra la sua predicazione e i culti mitraici (ibid. 58 sg.).

Mitra discese dal cielo e si racconta che alla sua nascita fu adorato dai pastori, che gli recarono in dono le primizie dei greggi e dei frutti della terra. In seguito ascese in cielo, venne posto sul trono accanto al dio del Sole, cioè, divenne partecipe della sua onnipotenza, e infine fu parte di una Trinità. Si credeva, inoltre, che un giorno sarebbe tornato a suscitare e a giudicare i morti 4.

Mitra era il demiurgo fra cielo e terra, fra dio e l'umanità: era l'Uomo-dio, il Redentore del mondo e il Salvatore. Era anche "colui che nacque dalla pietra" 5, come Cristo, a sua volta definito "la Pietra" 4, concomitanza già notata dai più antichi apologeti della Chiesa (Just. Tryph. 70, 1 sgg.; 78, 15), e come Pietro, sempre accostato all'immagine del gallo e delle chiavi, entrambi simboli del dio del Sole.

Il giorno consacrato al dio del Sole era il dies solis (ted. Sonntag; ingl. Sunday), celebrato in modo particolare nel culto di Mitra come primo giorno della settimana, e in seguito definito "il giorno del Signore" (dies dominica) dai cristiani, per i quali in origine tutti i giorni della settimana erano egualmente dedicati al Signore. Intorno alla metà del III secolo, Origene insisteva sul fatto che per il perfetto cristiano tutti i giorni sarebbero dovuti essere giorni del Signore. E ancora nel IV secolo, nel Cristianesimo la domenica non conosceva la cessazione dell'attività lavorativa, nemmeno nei monasteri di più stretta osservanza: la Domenica fu introdotta da Costantino con una legge del 321.

L'origine del Natale

Il giorno della nascita di Mitra, il dies natalis Solis, era il 25 dicembre, che, come tutti sanno, è oggi il giorno della nascita del Cristo; ma nella cristianità primitiva si celebrava solo una festa, la Pasqua, e fino al IV secolo la Pasqua e la Pentecoste furono le uniche festività ufficiali della Chiesa. A quanto pare, allora si ricordava ancora che Gesù non aveva mai predicato l'introduzione di feste!

Per molto tempo la nascita del Cristo non fu celebrata, e in seguito, per altro, venne determinata in modo estremamente diverso, dato che non era certa neppure la determinazione dell'anno della nascita, per non parlare poi della storicità dell'evento. Intorno al 200, secondo quanto sappiamo da Clemente Alessandrino, per alcuni era il 19 di aprile, per altri il 20 di Maggio, mentre lo stesso Clemente credeva che la data esatta fosse il 17 Novembre (Clem. Al. strom. 1, 21, 147)

Il Natale sorse in Egitto nel II secolo, festeggiato il 6 di gennaio (11 Tybi), giorno della nascita del dio Eone ovvero Osiride (Cfr. Plutarco, Is. e Osir. 12, 355 E). Ma fu solo a partire dal 353 che la Chiesa indicò il 25 dicembre quale data della nascita del Cristo, quel 25 di dicembre, nel quale ricorreva la festività di Mitra, l'invitto dio del Sole, e tale scelta si proponeva soltanto di cancellare dalla coscienza popolare la ricorrenza pagana. L'Avvento, festa preliminare alla celebrazione del Natale, venne introdotto addirittura solo nel VI secolo.

La nuova solennità ecclesiastica divenne ben presto assai popolare proprio perché altro non era se non la trasformazione e l'adeguamento della festa pagana del solstizio, della festività dell'Eone, cioè della mitica rappresentazione della nascita del nuovo sole. In tale circostanza, nella notte fra il 24 e il 25 dicembre gli iniziati si raccoglievano in un adyton sotterraneo, per compiere i riti iniziatici intorno alla mezzanotte. All'alba i fedeli lasciavano in processione il luogo sacro, portando con sé la statuetta d'un bambino, simbolo del figlio del dio del Sole appena nato dalla Vergine, la Dea Caelestis, e non appena sorgeva il sole recitavano in coro la formula liturgica:

"La Vergine ha partorito, la luce cresce".

è stata tramandata anche la formula seguente: "Il Grande Re, il Benefattore Osiride è nato". Pare anche che alla nascita del dio risuonasse dal cielo una voce: "Il Signore dell'universo è venuto alla luce" 6. In Luca l'Angelo dice: "Oggi è nato per voi il Redentore" (Lc. 1, 11).

Il racconto cristiano del Natale è talmente popolare, che molti credono ch'esso si trovi in tutti i Vangeli, mentre, al contrario, è presente soltanto in Luca, il quale ha rielaborato una tradizione veterotestamentaria e più ancora un patrimonio culturale pagano. Gli studi teologici anche di recente hanno sottolineato la profonda influenza pagana sulla narrazione di Luca:

"1) La descrizione, così piena di sentimentalismo, della madre errante, che non trova un luogo dove partorire la propria creatura. Qualsiasi lettore greco non poteva non ricorrere col pensiero alla madre di Apollo, che non riesce a trovare un luogo per partorire, e che i poeti descrivono in modo analogo. 2) Come in Callimaco il figlio di Zeus viene avvolto in fasce e Dioniso bambino giace dentro un crivello, così in Luca il Geù bambino giace dentro una mangiatoia, avvolto in fasce. 3) Il racconto bucolico dei pastori viene riferito pressoché identico a proposito della nascita di Ciro e di Romolo, nonché nelle storie dell'infanzia di Mitra; esso non ha nulla a che fare con i racconti analoghi dei V.T., dove manca proprio l'elemento essenziale, cioè l'omaggio alla divina creatura. 4) La luce nella notte è parte della natura dei Misteri: "Nella notte io vidi risplendere il Sole in luce accecante", così suona il racconto della cerimonia iniziatica dei Misteri di Iside. 5) Dalle celebrazioni misteriche proviene il grido: "Oggi vi è nato il Salvatore". L'esclamazione di giubilo degli Ierofanti in Eleusi suona: "La Signora ha generato un sacro fanciullo"; e nelle feste ellenistiche dell'Eone, influenzate da questa tradizione, risuonava il grido: "In quest'ora, oggi la Vergine ha partorito l'Eone" e "La Vergine ha partorito, la Luce cresce". Per Osiride il grido suona: "Il Signore di tutte le cose viene alla luce... un Grande Re e Benefattore, Osiride, è nato" e nel culto dei re: "Vi è nato un Re e lo ha chiamato Carilao, perché tutti divennero felicissimi". 6) Dalla pietas verso i sovrani derivano le locuzioni "annunciare una grande gioia", "Salvatore", "a tutto il popolo". 7) L'annuncio d'una grande gioia in occasione della nascita di un redentore è motivo tipico della storia delle religioni, del quale non sappiamo con certezza se abbia le proprie radici nel sorriso del cielo e del mondo quando nacque Buddha oppure nel giubilo cosmico per Zarathustra o se i due motivi videro la luce solo nell'Ellenismo. Forse possiamo presumere in Luca le medesime fonti ellenistiche della IV Ecloga di Virgilio. 8) Le schiere celesti in Luca derivano da concezioni veterotestamentarie, ma ci riportano alla memoria anche i Cureti vestiti da soldati e i Coribanti intorno alla culla di Zeus, o le schiere che circondano il fanciullo Dioniso" 7.

Le concezioni intorno alla nascita dell'Eone quali ricorrono nei Vangeli erano, come si vede, ben note al mondo precristiano; lo attestano, fra l'altro, anche gli eloquenti Dialoghi religiosi alla corte dei Sassanidi:

"Signora - disse una voce - il Grande Helios mi ha a te inviato come messaggero della generazione che in te si compirà... Diventerai madre di un bimbo, il cui nome è "Principio e Fine"" (cit. da Norden, Geburt des Kindes, 50).

Anche la celeberrima Ecloga Quarta di Virgilio, composta intorno al 40 a.C., preannuncia la nascita di un bambino inviato dal cielo sulla terra, per portare la pace tanto desiderata: "Il tempo è ormai giunto - si legge nella poesia - già regna Apollo... Verrà generato un figlio dell'altissimo Signore". Analogamente Paolo scrive: "E quando fu giunta la pienezza dei tempi, Dio inviò suo figlio" (Gal. 4, 4). Anche la concezione prediletta da Paolo di "una nuova creazione", "di una nuova umanità" (2 Cor. 5, 17), si può cogliere nel componimento virgiliano espressa in modi assai simili: nel verso 7 vi si parla della nova progenies, cioè di una nuova schiatta. E anche Marco dice: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (Mc. 1, 15).

Il culto e la sua storia

La religione di Mitra era seguita da una comunità suddivisa in modo strettamente gerarchico, le cui propaggini si estendevano a tutto l'Impero Romano (Cumont). Il capo si chiamava Pater patrum (padre dei padri), come il Sommo Sacerdote del culto di Attis e poi il Papa romano (Brückner, 25). I Sacerdoti portavano spesso il titolo di "Padri" e i fedeli si chiamavano "Fratelli", definizione usuale anche presso altre forme di culto, come, ad esempio, in quello di Juppiter Dolichenus, i cui componenti si chiamavano fratres carissimi assai prima che i cristiani si servissero della medesima terminologia (Hyde, 66).

Il culto mitraico conosceva sette sacramenti, come ancor oggi la Chiesa cattolica, nella quale, a dire il vero, tale numero ha conosciuto numerose oscillazioni lungo i secoli. Attestati per la prima volta nel XII secolo presso Pietro Lombardo, i 7 sacramenti furono elevati a dogma nel 1439, durante il Concilio di Ferrara-Firenze (Bertholet, 415).

Il culto di Mitra possedeva un Battesimo, una Cresima e una Comunione consistente in pane e acqua o in un miscuglio d'acqua e di vino, celebrata, come nel Cristianesimo, in memoria dell'ultima cena del Maestro coi suoi discepoli 8; le ostie erano poi contrassegnate da una croce.

Ai Sacerdoti spettava soprattutto la dispensazione dei Sacramenti e la celebrazione del servizio divino: la messa veniva celebrata quotidianamente, ma la più importante era quella domenicale (nel dies solis): l'officiante pronunciava le sacre formule sul pane e sul vino, nei momenti particolarmente solenni si faceva squillare una campanella e in generale risuonavano lunghi canti accompagnati dalla musica. Sugli altari dei templi di Mitra era accesa una sorta di Luce Perenne. Le iniziazioni avevano luogo in primavera, come molti Battesimi nella Chiesa antica, e in particolari festività cultuali i peccati venivano purificati col sangue. I Padri della Chiesa videro in codeste analogie nient'altro che invenzioni diaboliche (Just., Apol. 1, 66. Tert., bapt. 5).

I seguaci di Mitra si richiamavano a una Rivelazione, ponevano un diluvio all'inizio della storia e un giudizio universale alla fine; non solo credevano nell'immortalità dell'anima, ma anche nella resurrezione della carne 9.

Le istanze morali del culto di Mitra, il "Dio Giusto" e il "Dio Santo", non avevano nulla da invidiare a quelle dei cristiani: come i cristiani dovevano imitare il modello del loro padre celeste, allo stesso modo il fedele del vero, giusto e santo Mitra era tenuto a condurre una vita attivamente governata dalla morale. La sua religione, definita da precisi "comandamenti", perseguiva un rigoroso ideale di purezza; la castità e la temperanza erano annoverate fra le virtù più alte, e anche l'ascesi vi svolgeva un ruolo non secondario.

L'evoluzione delle due religioni presenta non poche analogie: il Mitraicismo, come il Cristianesimo, esercitò dapprima una forte attrazione soprattutto sui ceti più umili della società, conoscendo, per contro, il disprezzo dei Greci e dei Romani colti, finché, come al Cristianesimo, anche al culto mitraico si volsero ben presto le cerchie più influenti della società imperiale romana. Molti signori furono guadagnati alla nuova fede ad opera dei loro schiavi, proprio come accadde al Cristianesimo, e non era raro il caso in cui le più alte cariche religiose venivano ricoperte da schiavi, come nella Chiesa primitiva. "In questa confraternita - scrive il Cumont nella sua classica monografia sul culto di Mitra - spesso gli ultimi erano i primi, e i primi erano gli ultimi, perlomeno esternamente" (Cumont, 72 sgg. Cit., 74. Si veda in particolare 178 sgg.).

Fra il III e il IV secolo la religione mitraica godette presso la corte del medesimo prestigio del Cristianesimo: Diocleziano, Galerio e Licinio consacrarono a Mitra, quale protettore dell'impero, un tempio a Carnuntum, sul Danubio, e Massimiano gli innalzò un Mitrèo in Aquileia. I suoi seguaci erano sparsi dappertutto, dalla Spagna al Reno, dalla Britannia alla Gallia, dove gli furono innalzati dei templi a Londra e a Parigi. La fede mitraica lasciò le proprie tracce addirittura in Scozia. Allora per numero di adepti e per influenza sembrò sul punto di superare il Cristianesimo, cui fu particolarmente inviso, del quale, per altro, fu da un lato l'avversario più irriducibile, dall'altro il più importante precursore.

Come tutti gli altri culti, anche il Mitraicismo dovette poi soccombere al divieto degli imperatori cattolici: istigati dalla Chiesa, ancora nel IV secolo i suoi fedeli vennero perseguitati dai cristiani, i suoi templi saccheggiati, i suoi sacerdoti assassinati e sepolti nei sacrari rasi al suolo 10. Fra le rovine dei Mitreo di Saalburg è stato ritrovato lo scheletro incatenato del sacerdote pagano, il cui cadavere era stato sepolto in quel luogo per dissacrarlo in perpetuo (Hyde, 62 con rinvio a Cumont).

A parere di molti studiosi la distruzione di questa religione ebbe successo proprio perché i cristiani innalzavano le proprie Chiese sulle rovine degli antichi luoghi di culto; infatti, secondo un'antica credenza, in questo modo la divinità precedente era per così dire resa impotente o addirittura annichilita. Una cripta mitraica pressoché intatta si trova, ad esempio, sotto la chiesa di S. Clemente in Roma, e l'altare è collocato quasi esattamente sopra quello pagano.

La maggior parte dei Mitrei, non meno di quaranta (di cui circa una dozzina solo a Francoforte), sono stati scoperti in Germania, dove il culto di Mitra - dopo le province danubiane - aveva uno dei suoi più importanti punti di forza (Cumont, 47 sgg; 180. Schütze, 15).

La fede mitraica si mantenne fino al V secolo solo sulle Alpi e sui Vosgi, ma poi fu eliminata anche qui e quasi totalmente dimenticata fino al XIX secolo.

Una delle raffigurazioni più belle di Mitra si trova in San Miniato, a Firenze, sulla tomba di un principe della Chiesa, il Cardinale Giacomo di Portogallo (morto nel 1459).

Asclepio, Eracle, Dioniso, Mitra sono figure mitiche, mentre Gesù, come sostiene trionfalmente la Chiesa, è un personaggio storico e quindi sarebbe tutto veritiero ciò che di lui narra la Bibbia. Ma forse che i miti non possono trapassare anche su personaggi storici? E Buddha, figura storica, non venne divinizzato quasi mezzo millennio prima di Cristo e altrettanto rapidamente? E non ci sono altre figure storiche, che godettero di venerazione religiosa dopo la morte o addirittura quando erano ancora in vita?

continua


Note

1 Cit. da A. Schütze, 80.
2 Straub, 131; Schneider, Geistegeschichte, 1258.
3 A. Schütze, 115.
4 Cummont, Die Mystrien des Mithras, 116 sgg. A Schütze, 36 sg.
5 1 Cor. 10, 4. Inoltre, M. Brückner, 30. Cfr. anche Staerk, II, 388 sgg.
6 Epiphan., haer. 51, 22, 8 sgg. Plutarco, Is. e Osir. 12, 355 E. Inoltre Norden, Geburt des Kindes, 28 sgg.; 91 sg.
7 Schneider, Gesteschichte, I, 49 sg. Cfr. anche Drews, Marienmythe, 102 sgg.
8 Just., Apol. 1, 66. Tert., praescr. haer. 40. Cumont, Die Mysterien des Mithras, 124; 146 sg. Bammel, 92; Bertholet, 315
9 Tert., de praescr. haer. 40. Inoltre, Cumont, Die Mysterien des Mithras.
10 Cfr. Zosimus, 4, 13. Ammian, 29, 1, 2. Hieron., ep. 107 ad Laetam.


Web Homolaicus

Si ringrazia l'Editore Roberto Massari per averci concesso di riprodurre parzialmente questo testo.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Antica - Storia critica della chiesa - Nuovo Testamento
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Aggiornamento: 01/05/2015