Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa


Marco Palmezzano, Cristo portacroce con un manigoldo (part.), Cesena
Marco Palmezzano, Cristo portacroce con un manigoldo (part.), Cesena

Libro primo

I Vangeli e il loro retroterra storico-culturale

15. LA RESURREZIONE (parte seconda)

Il corpo trasfigurato del Signore

Codesto Risorto è corporeo, e appare tuttavia incorporeo, perché questa sua corporeità si mostra quale corporeità d'altro genere rispetto a quella caratterizzata dalla carne e dal sangue; ciononostante non si tratta di incorporeità, bensì di autentica, effettiva corporeità.
(Il teologo Vittel, Die Auferstehung Jesu, 150)

La figura del Risorto costituì un bel problema non soltanto per i moderni teologi (come dimostra la profondità concettuale della frase citata), ma anche, evidentemente, per gli Evangelisti stessi.

Il Signore non poteva risorgere col corpo umano e innalzarsi, quindi, allo Spirito-Padre, ma d'altra parte non gli era consentito d'essere un vacuo fantasma: ci volevano le prove! Per cui la sua figura nel Vangelo giovanneo è già un miracolo a sé stante: da un lato è tanto solida che l'incredulo Tommaso poté ficcare le dita nelle sue ferite; dall'altro è così etereo da penetrare attraverso porte sigillate ed esclamare "Non toccarmi!" 1 davanti a una esterrefatta Maria Maddalena, la quale ha scambiato per il giardiniere il trasfigurato figlio di Dio.

Come è noto, il grandioso evento (per altro neppur citato in molti scritti neotestamentari 2 secondo Marco e Giovanni si verificò in primo luogo nella testa di questa donna (Mc. 16, 9; Jh. 20, 11 sgg.). A giudizio di Renan, nessuno più di Maria Maddalena ha contribuito alla nascita del Cristianesimo: non bisogna dimenticare in proposito che Gesù ne aveva scacciato "sette spiriti maligni" (Lc. 8, 2; Mc. 16, 9), vale a dire, in altri termini, che era isterica fino alla follia. E già nel II secolo Celso, alquanto scettico, si domandava: "Ma chi vi ha assistito? Una donna mezzo pazza!" (Orig., cels. 2, 55). E anche a Porfirio a ai suoi discepoli il ruolo delle donne, e specialmente quello di Maria Maddalena, fino a qualche tempo prima posseduta dai demoni, apparve sospetto.

Nel Vangelo di Luca, poi, Cristo sottolinea di bel nuovo la propria fisicità: non più il Noli me tangere!, con cui aveva respinto Maria Maddalena, bensì l'esortazione chiara e tonda ai Discepoli "Palpatemi e guardatemi!", per ribadire espressamente ch'era fatto di carne e d'ossa. Non solo, ma si tien su anche con un buon arrosto di pesce 3, benché, come Ignazio ci rassicura, "congiunto spiritualmente col Padre". Ci sono teologi conservatori, che vorrebbero appoggiare apertamente la "storicità" di questa scena, constatando che allora a Gerusalemme i pesci si potevano procurare facilmente!

Nel XXI capitolo del Quarto Vangelo, aggiunto in un secondo tempo, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il Trasfigurato comincia già da lontano a gridare: "Ehi, ragazzi, non avete per caso un po' di pesce?". E il Signore ne ebbe, e tuttavia ordinò "portatene degli altri"; dopo di che Pietro gli presentò 153 pesci, né uno in più né uno in meno, e belli grossi per sovrapprezzo 4.

E infine, la corporeità "autentica ed effettiva" del Risorto viene rafforzata dalla notizia che "secondo tradizioni attendibili" all'atto dell'Ascensione si lasciò dietro le divine impronte dei piedi com'era avvenuto - per altro - già a Eracle e a Dioniso. Gerolamo, onorato dalla Chiesa col titolo un po' raro di "Dottore della Chiesa", ci assicura che era possibile vederle ancora ai suoi tempi, nel V secolo. Il Venerabile Beda, il "Dottore del Medioevo", attesta la presenza delle medesime persino nell'VIII secolo. Tutto questo, poi, nonostante i cristiani da quel suolo avessero in fretta e furia portato via enormi quantità di terriccio.

L'ipotesi della visione

L'ipotesi che le apparizioni del Risorto siano state un'esperienza soggettiva, un evento puramente spirituale nelle anime dei discepoli, è molto antica, perché è già presente nella cristianità primitiva, anche in ambiti sicuramente ecclesiastici. Dopo David Friedrich Strauß tale supposizione viene sostenuta nella sua versione moderna da molti teologi 5, i quali affermano che non fu il Risorto a originare la credenza nella Resurrezione, bensì la ben più antica credenza nella Resurrezione a generare le visioni del Risorto. In effetti, il N.T. contiene numerose attestazioni della disposizione visionaria dei Discepoli (ancor oggi è noto il fenomeno delle visioni di massa, ed è un fatto che l'uomo antico non sempre era in grado di distinguere fra il reale e l'immaginario e che persino le visioni oniriche avevano per loro il valore di una realtà effettuale e oggettiva).

I fautori dell'ipotesi della visione, inoltre, possono contare su un "testimone della corona" del calibro di Paolo, che nella già citata paradosis della Prima Lettera ai Corinzi, la più antica notizia cristiana dell'evento, parla della Resurrezione di Cristo nel terzo giorno, dell'apparizione a Pietro, ai Dodici Apostoli e ai Cinquecento fratelli, quindi così prosegue:

"Poi è apparso a Giacomo, quindi a tutti gli Apostoli. Infine è apparso a me, ultimo di tutti, come a un aborto" (1 Cor. 15, 3 sgg.).

Dunque, Paolo annovera se stesso, senza una precisa distinzione, fra gli altri testimoni: egli parla delle apparizioni a Pietro, a Giacomo e agli Apostoli con le stesse parole, con le quali descrive l'apparizione da lui avuta sulla via di Damasco, equiparando l'esperienza personale, di natura sicuramente visionaria, a tutte le altre esperienze della Resurrezione. Gli Apostoli, dunque, secondo Paolo, videro il Signore solo in modo visionario, come era accaduto a lui stesso (1 Cor. 15, 3 sgg.).

La seguente osservazione di Maurice Goguel mostra quanto appaiano pressoché penose agli occhi della teologia critica le notizie evangeliche della Resurrezione di Gesù e dell'Ascensione, tanto che sarebbe forse meglio che vi sorvolassero:

"Miracoli di tal fatta rivestono un'importanza fondamentale per la storia della Cristianesimo, ma non ne hanno alcuna per la storia di Gesù" (Goguel, 127).

L'ipotesi della morte apparente

è sostenuta soprattutto dai medici, anche se venne difesa da teologi del XVIII secolo come K.F. Bahrdt e K.H. Venturini, e non mancano neppure oggi coloro che la ritengono verisimile.

Giuseppe Flavio ci informa che chi veniva affisso alla croce poteva sopravvivere dopo la deposizione. Non mancava una vasta esperienza in proposito, giacché la morte sulla croce, secondo Cicerone "la più crudele e la più obbrobriosa", era frequente nell'antichità e in uso già in Persia 6, da dove Alessandro Magno la diffuse nel suo vasto impero, e a partire dal II secolo a.C. fu introdotta anche in Palestina. Nell'88 a.C. Alessandro Janneo, re degli Asmonei, in occasione di un banchetto celebrativo d'una sua vittoria, fece crocifiggere in presenza delle sue amanti 800 Farisei ribelli, ordinando che i figli e le mogli venissero uccisi ai piedi delle croci (Joseph., ant. jud. 13, 14, 2). Nel 71 a.C. sulla Via Latina, fra Roma e Capua, M. Licinio Crasso fece crocifiggere seimila schiavi.

I crocifissi spesso sopravvivevano interi giorni, contorcendosi nelle convulsioni della sofferenza, abbandonati alla fame e alla sete, al sole e alla pioggia, alle mosche e ai rapaci, torturati poi dai dolori orribili causati dai chiodi che ne trapassavano i polsi. I fautori dell'ipotesi della morte apparente si appellano soprattutto al fatto che la morte sulla croce sopravveniva non per dissanguamento ma per esaurimento fisico, che Gesù, a causa del Sabato, restò appeso alla croce soltanto sei ore (dalle nove del mattino fino alle tre del pomeriggio), che nessun Evangelista dice esplicitamente che Gesù fosse morto e, infine, che il colpo di lancia viene menzionato solo da Giovanni, e non dev'essere stato mortale.

"... disceso all'Inferno"

Qui fu fornito un tema fatto a bella posta per influenzare le masse.
(Joseph Kroll, 58)

I cristiani del I secolo non si posero ancora il problema di che cosa fece Gesù dopo la morte sulla croce. Nessuno degli Evangelisti vi fa riferimento 7, e tace in proposito la maggior parte dei restanti autori neotestamentari. Solo un'Epistola falsamente attribuita a Pietro - costituisce la prova biblica fondamentale del dogma - accenna di sfuggita alla permanenza del Signore nell'Inferno per alcuni giorni, per procedere all'esecuzione di ciò che fino ad allora si era trascurato di fare a pro di tanti, vale a dire alla salvazione delle loro anime 8.

Il descensus ad inferos, oltre che dalla Chiesa ufficiale insegnato esclusivamente da Marcione (Secondo Iren., adv. haer. 27, 3), nacque, dunque, nel II secolo, e fu a partire dal IV secolo che i Sinodi si preoccuparono di inserire nella professione apostolica di fede la postilla "discese all'Inferno"!

Al contrario, l'idea del dio che discende nel mondo sotterraneo era corrente da molto tempo nella tradizione religiosa pagana, nella quale svolgeva un ruolo decisivo per la determinazione della fede nell'immortalità (la incontriamo, ad esempio, nei miti egizi, babilonesi ed ellenistici).

Nell'antico Egitto, Rê e Osiride combatterono le forze dell'oltretomba, a Babilonia si conosceva un viaggio infernale di Istar già nel III millennio, ed esiste un testo del XIV secolo a.C. che racconta il viaggio sotterraneo del dio Nergal, il quale prende d'assalto il mondo ctonio, sconfiggendone gli eserciti e suscitando un terremoto, come accadrà in occasione nell'analoga catabasi di Cristo (Kroll, 220).

Per la discesa del dio Marduk è attestato il motivo dell'apertura violenta del carcere sotterraneo, e sono descritti i prigionieri che guardano al loro Salvatore pieni di gioiosa speranza. Per gli studiosi le coincidenze col viaggio sotterraneo di Cristo sono talmente vistose, che avanzano come sicura l'ipotesi di un intimo legame fra loro (ibid., cit. 238; 4 sg; 183 sgg; 205 sgg.). E anche la discesa infernale di Eracle, descritta da Seneca, mira a sconfiggere le potenze del mondo sotterraneo, a infrangere le leggi dei demoni: Eracle intende recare la luce ai pallidi defunti e liberarli dal carcere, non diversamente da quanto farà Cristo.

Ma dopo aver adattato anche a lui tale mito, era necessario trovarne le prove nel V.T., che verso la metà del II secolo era ancora l'unica scrittura sacra autorevole dei cristiani; e siccome non ve n'era traccia, si provvide a crearla, falsificando un nuovo versetto di Geremia, che dissero essere stato cassato dal testo per mano degli ebrei 9. Il dottore della Chiesa Ireneo fa riferimento a questa falsificazione cristiana non meno di sei volte 10.

Il viaggio infernale di Cristo divenne ben presto un tema popolare nel mondo cristiano, anche se in luogo del motivo edificante subentrò via via il carattere pugnace della lotta col demonio, che fu il modo di esplicitare il mondo concettuale dei battaglieri pagani, che ci si proponeva di convertire. Il racconto subì ulteriori arricchimenti esornativi e assunse anche caratteristiche drammatiche, e non pochi autori cristiani inviarono m quel luogo spaventoso anche gli Apostoli in veste di predicatori e di battezzatori 11.

Ma, a dir la verità, nei Vangeli manca qualsiasi traccia di tutto ciò, anzi il dogma della discesa agli inferi è contraddetto da Luca, secondo il quale Gesù trascorse in Paradiso già i primi giorni dopo la sua morte. In effetti, al "buon" ladrone egli non si perita di dire: "In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso", frase che presuppone l'attesa di Gesù di un'ascensione in cielo direttamente dalla croce 12; ed è questa la ragione per cui, onde evitare la contraddizione con altre parole di Gesù, questo brano venne talvolta cancellato e dichiarato un falso operato dagli eretici (ibid.).

Nella comunità primitiva l'idea di una Resurrezione e di un'Ascensione al cielo direttamente dalla croce svolse un ruolo essenziale. Ma poiché la cristianità esigeva prove più concrete dell'evento, l'idea dell'Ascensione dalla croce ha ceduto a poco a poco alla credenza nella Resurrezione dal sepolcro (ibid., passim, soprattutto 215 sgg.).

Ci limitiamo qui ad accennare al fatto che molti Padri della Chiesa sostennero espressamente che Gesù sconfisse gli spiriti maligni proprio durante la sua Ascensione al cielo 13. Infatti, nel Cristianesimo primitivo molti fedeli credevano che l'Inferno non si trovasse nel mondo sotterraneo, bensì in quello celeste; e la fede in un inferno ultraterreno si trova persino nel N.T., se è vero che anche la Lettera agli Efesini lo localizza nell'etere 14. Il che, fra l'altro, rendeva più agevole agli abitanti del Paradiso la piacevole contemplazione delle sofferenze dei peccatori e degli anticristiani, un'esigenza mostruosa tipicamente cristiana, come avremo modo di mostrare almeno en passant, tanto più che il problema dell'inferno agita gli animi ancora in pieno secolo XX.

"Non resta altro che l'Inferno"

E dunque esiste forse l'Inferno? Chi si pone questa domanda? Chi sono coloro che negano l'Inferno? Guardateli bene! L'Inferno non esiste: questo afferma la maggior parte dei professori. Parlano così i viveurs, fra arrosti di capriolo e champagne.
(Wetzel, L'aureo libro dei Cattolici, 1914)
Un proverbio spagnolo tradotto da Schopenhauer recita: "Dietro la croce c'è il diavolo", e tutta la storia della Chiesa sta lì a dimostrare che per essa la vendetta è ben più dolce dell'amore pel prossimo; una vendetta nel tempo e nell'eternità. Già il N.T. esorta alla rivalsa contro l'umanità infedele con le parole: "Restituitele quello che ha dato agli altri, e datele il doppio secondo le sue opere" (Apc. 18, 6). Simili pii auguri ritornano spesso nella letteratura neotestamentaria 15.

Dalla produzione cristiana successiva si evince addirittura l'impressione che la vera e propria felicitas in regno caelorum, il culmine dell'eterna beatitudine, sia la contemplazione dei dannati.

La Seconda Epistola di Clemente assicura ai cristiani che potranno vedere gli infedeli e gli atei

"nel fuoco inestinguibile fra i terribili dolori delle torture; e il loro tarlo non perirà, e il fuoco non si spegnerà, ed essi saranno ludibrio della carne".

Nella Apocalisse di Pietro, ritenuta scrittura sacra dalla maggior parte del Cristianesimo occidentale ancora intorno al 200, nella quale significativamente il cielo fa una fuggevole apparizione, la rappresentazione inebriata dei tormenti infernali sembra non aver fine: "si brucia, si tortura, si arrostisce". L'Inferno si trova "immediatamente di fronte al cielo", evidentemente per facilitare la contemplazione dei dannati, che sembra l'attività più proficua degli abitanti del Paradiso.

"Ve n'erano appesi alle lingue: si trattava di coloro che diffamarono la via della giustizia, e sotto di loro ardeva un fuoco che li tormentava. E c'era un vasto lago colmo di melma ardente, nella quale si trovavano gli uomini che distorsero la giustizia, e gli angeli li incalzavano con le loro torture. E c'erano inoltre anche donne appese per i capelli, proprio sopra quella fanghiglia brulicante: erano coloro che si erano imbellettate per l'adulterio; e quelli che con esse avevano consumato tale turpe commercio erano appesi per i piedi, colla testa conficcata in quella mota, e dicevano: "Non credemmo che un giorno saremmo giunti in questo luogo"" (Apc. Petr. 6 sgg.).

Anche il Padre della Chiesa Tertulliano si compiace, come dice egli stesso, di guardare con occhio insaziabile la bollitura dei suoi avversari:

"Quale spettacolo avvincente ci sarà per noi?! Quale sarà l'oggetto della mia meraviglia, del mio riso?! Dove sarà il luogo della mia gioia, del mio divertimento!?... Allora i tragedi otterranno un ascolto più attento, poiché urleranno di più nella loro sventura; allora bisognerà guardare gli attori, e vedere come sono diventati più molli e più morbidi ad opera dei fuoco ...", ecc. ecc. (Tert., spect. 30. Cfr. anche patient. 8; 10).

Questi intendimenti amichevoli, che si lasciano dietro di gran lunga le punizioni minacciate dalla XIX e XXII Sura del Corano, adornano numerose opere cristiane delle origini 16. Anche Cipriano promette ai fedeli la contemplazione dei tormenti dei persecutori d'una volta a guisa di arricchimento della felicità celeste, e anche Lattanzio addolcisce la beatitudine eterna con la vista della miseria dei dannati (Lact., div. inst. 7, 26, 7): forse proprio per questo la Chiesa assicura loro la Resurrezione della carne, e in ogni caso i Padri della Chiesa dichiarano esplicitamente che i peccatori hanno bisogno di un corpo immortale per essere in grado di sentire i castighi infernali.

Quando i cristiani non furono più perseguitati, ma cominciarono a loro volta a perseguitare gli altri, la descrizione dei dolori oltremondani degli avversari si attenuò, ma ciononostante il teologo ufficiale della Chiesa Tommaso d'Aquino, anche se con entusiasmo meno intenso ("mite come un agnello", ironizza Nietzsche) attesta:

"Affinché la beatitudine sia più piacevole per i santi (magis complaceat) e costoro ringrazino ancor più Dio per questo, essi devono contemplare perfettamente (perfecte) le punizioni dei dannati" 17.

Naturalmente la Chiesa pone continuamente l'Inferno anche davanti agli occhi dei propri seguaci. E così, ad esempio, uno degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, il quale riesce a unire in sé - secondo uno dei suoi figli purtroppo perduti - umana grandezza e "azioni proprie di un mentecatto" (Tondi, Die Jesuiten, 190), e precisamente il Quinto, consiste in una profonda riflessione sull'Inferno. (Ancor oggi ogni Gesuita deve prendere parte a codesti Esercizi due volte nella vita per quaranta giorni e ogni anno per otto giorni).

Un primo esercizio preliminare deve rendere visibile all'occhio dell'immaginazione la lunghezza, la vastità e la profondità dell'Inferno; un secondo esercizio preliminare prescrive "un sentimento vivissimo dei castighi inflitti ai dannati"; quindi in un esercizio in cinque punti ogni singolo senso deve suggerire l'immagine dell'Inferno: l'occhio "quello smisurato fuoco ardente e le anime quasi come dentro corpi infuocati"; l'orecchio "il pianto, l'ululato, le strida, le bestemmie contro Cristo nostro Signore e tutti i Santi"; il naso "il fumo, lo zolfo, le pozze di putridume dell'inferno"; il gusto "le amarezze, le lacrime, la tristezza, il rimorso"; il tatto deve "provare quegli ardori infuocati che avvolgono le anime e le bruciano". Inoltre, colui che compie tali esercizi deve "richiamare alla memoria tutte le anime che si trovano nell'Inferno" e gioire perché essi (ancora) non ne fan parte. Questo quinto esercizio è raccomandato da Ignazio "un'ora prima di cena" 18.

Ora, un simile quadro dell'Inferno incontra un pudico atteggiamento scettico anche fra i credenti, tant'è che molti ecclesiastici vorrebbero volentieri farla finita con tali concezioni "barocche", perché "dandone una descrizione evocativa tanto crudele e precisa, quasi ne fossimo stati già ospiti, non lo rendiamo affatto più credibile" (Winklhofer, 72 sgg.). I Gesuiti oggi desidererebbero estinguere quel fuoco infernale, che il fondatore e primo generale dell'ordine pretendeva fosse incessantemente oggetto di rappresentazione realistica addirittura attraverso evocazioni tattili.

A parere dei missionari à la page tutti "gli ingredienti antichi, medievali e barocchi, che hanno conferito al dogma cristiano dell'Inferno una veste adeguata per quei tempi, ma non sono in grado di abbellirlo", devono essere abbandonati! Tuttavia, dev'essere consentito di

"trasformare le concezioni sull'aldilà suscettibili di mutamento, adeguandole ai cambiamenti della concezione del mondo, come è pur avvenuto con ogni evidenza nel corso dei secoli".

Il nostro informatore, che ci ha pur or ora offerto il capitolo Basta con le concezioni barocche!, evoca l'Inferno in maniera consona ai tempi:

"L'Inferno è la morte... è una disposizione interiore piena di radicale disperazione e di odio metafisico, né potrebbe essere altrimenti".

La colpa terrena, dopo che sono caduti i limiti del corpo,

"si sarebbe impadronita senza più alcun ostacolo, come un incendio nella steppa, della più intima sostanza dell'anima, così che essa è ancor più malvagia... Persiste in eterna contemplazione di sé. Niente impedisce già più lo sguardo dell'ormai definitivo peccatore mortale, per così dire diretto verso il puro Nulla, del peccatore che ha perduto l'involucro del corpo; non esistono più valori alternativi, come sulla terra ...".

Alla fine il nostro cattolico scomoda anche un romanziere, e ci scodella quindi il capitolo Il fuoco eterno, benché considerato, diversamente dall'insegnamento dell'Aquinate, "una dolorosa punizione supplementare" più che altro simbolica.

Ma in ogni epoca ci sono stati cristiani che non si sono lasciati sadicamente inebriare dai tormenti infernali, che anzi se ne sentivano continuamente turbati e hanno finito col negare tout court l'esistenza di un Inferno eterno, anche richiamandosi all'autorità della Bibbia. Infatti, è vero che il N.T. insegna, seppure, come al solito, in modo estremamente contraddittorio, l'eternità del castigo infernale, "il fuoco inestinguibile" (Mc. 9, 43 sgg. Cfr. anche Mt. 25, 46; 18, 8), ma è altrettanto vero che afferma che tutte le creature, persino il diavolo, prima o poi, torneranno a Dio 19.

A questi concetti neotestamentari della totalità della salvazione, dell'universalità della riconciliazione si ricollega soprattutto la celebre dottrina origeniana dell'Apokatastasis, della ricostituzione di tutte le cose in Dio, che è lo scopo ultimo della storia 20, tesi sostenuta in forme un po' diverse anche dai Padri della Chiesa Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa, dai più accesi seguaci della Riforma, da molti Pietisti, Gottfried Arnold, Jung-Stilling, Schleiermacher e, infine, da tutta una serie di teologi moderni.

Il nobile Origene, uno dei pochi cristiani, ai quali il pensiero che gli uomini dovessero soffrire in eterno appariva non solo inaccettabile, ma anche inconciliabile con la Buona Novella di Gesù e con l'amore e l'onnipotenza di Dio, proprio a causa del rifiuto dell'eternità dell'Inferno venne condannato dalla Chiesa: e in effetti, dove sarebbe andata a finire senza la fede in un Inferno perpetuo!? Proprio per questo anche la Chiesa protestante, per così dire fin dal primo giorno della sua esistenza, condannò gli Anabattisti nell'articolo 17 della Confessione di Augsburg del 1530 "perché insegnano che i diavoli e i dannati non subiranno una punizione eterna".

L'ascesa in Paradiso

Secondo Luca, l'Ascensione di Cristo avvenne il giorno della Resurrezione, nella sera della domenica di Pasqua, secondo gli Atti, invece, quaranta giorni dopo 21. Per evitare la contraddizione, molti testi biblici (soprattutto siriaci e antico-latini) hanno fatto finire la notizia di Luca con le parole "e mentre li benediceva si separò da loro", passando sotto silenzio la frase che seguiva "e venne elevato al cielo" (Lc. 24, 51).

Ma anche secondo altri documenti protocristiani Cristo ascende in Paradiso il giorno stesso della Resurrezione. La Lettera di Barnaba ammette:

"Perciò trascorriamo in gioia anche il primo giorno (della settimana), nel quale anche Gesù resuscitò dai morti e, dopo essersi manifestato, ascese al cielo".

Sulla base del racconto di Luca, l'Ascensione di Cristo avvenne in Betania, secondo gli Atti dal Monte degli Olivi: una evidente contraddizione 22.

Il Vangelo di Matteo non solo ignora l'Ascensione, ma secondo taluni esperti addirittura la esclude.

Nel Vangelo di Marco, poi, l'Ascensione si trova in un'appendice stiracchiata (Mc. 16, 9-20), che manca nei manoscritti più antichi, e viene respinta come spuria 23 anche da studiosi conservatori. Persino un esperto cattolico (Wickenhauser) ammette che quell'appendice conclusiva non deriva dall'Evangelista, ciononostante anche quel testo sarebbe "parte integrante della Sacra Scrittura", cosa di cui nessuno, per altro, dubita. Il testo originario di Marco arriva solo fino a 16, 8, quel che seguiva nel testo originale venne cassato dalla Chiesa proprio perché contraddiceva in modo troppo stridente le narrazioni dell'Ascensione contenute negli altri Vangeli. La conclusione che noi oggi possediamo fu interpolata già nel II secolo.

Ma del resto parecchie ascensioni al cielo erano ben note non solo ai pagani, presso i quali divinità come Cibele, Eracle, Attis, Mitra e sovrani come Romolo e Cesare o poeti come Omero erano scomparsi tanto misteriosamente; anche Henoch, Mosè ed Elia erano saliti in cielo ben prima di Gesù 24. Certo, il suo rapimento era stato "profetizzato" nel V.T., ad es. in Salmi 23, 9: "Sollevate, porte, i vostri battenti; alzatevi, voi porte eterne, in modo che entri il re della gloria!"; oppure in Salmi 18, 7: "Il suo sorgere è da un'estremità del cielo, e il suo ritorno si estende fino all'altra estremità del cielo".

Ingegnosi Padri della Chiesa come Giustino, Ireneo e Tertulliano evinsero da questi passi la profezia dell'Ascensione del Cristo; e con ciò cogliamo l'occasione per passare alla trattazione della cosiddetta Prova delle Profezie.

continua


Note

1 Cfr. Jh. 20, 24 sgg. con Jh. 20, 15 sgg. Lei lo riconosce solo quando la chiama per nome, e si discute se Maria di Magdala abbia riconosciuto Gesù dal suono della voce - così Schlatter, Der Evangelist Johannes, 1930 I.c. - oppure per un modo particolare di pronunciare il suo nome, come sostiene Heitmüller, Die Schriften des N. Ts., I.
2 2 Thess. Tit. Philem. 3 Jh. 2 Petr. Jak. Jud.
3 Ign., Smyrn. 3, 3. Lc. 24, 39 sgg. Cfr. anche Atti, 10, 41.
4 Jh. 21, 4 sgg. Sul numero di 153 cfr. ad es. W. Bauer, Das Johannesevangelium, 230 sg.
5 Werner, Die entstehung, 75. Idem, Glaube u. Aberglaube, 180. Idem, Der Einflußpaulinischer Theologie, 17. Idem, Der protenstantische Weg, 129 sg. Bousset, Kyrios Christos, 17. Bultmann, Offenbarung u. Heilsgeschehen, 66 sg. Grundmann, Geschichte Jesu Christi, 20, anche nota 99.
6 Cic., Verr. 5, 64. Cfr. su quanto segue Klausner, Jesus v. Nazareth, 484 sg. Stauffer, Jerusalem u. Rom, 123 sgg. Zehren, 78 sgg.
7 Mt. 12, 40 citato talvolta come unica eccezione, può altrettanto bene, anzi ancor meglio, riferirsi al sepolcro.
8 1 Petr. 3, 19 sg.; 4, 6. Cfr. Justin., Tryph. 72, 4. Ev. Petr. 41 sg. Ep. apost. 27. Per il tutto vedi Kroll.
9 Justin., Tryph. 72,4. In proposito Werner, Die Entstehung, 255 sg.
10 Iren., adv. haer. 3, 20, 4; 4, 22, 1; 4, 27, 2; 4, 33, 1; 4, 33, 12; 5, 31, l.
11 Hermas, sim. 9, 16, 5 sgg. Cfr. anche Clem. Al., strom. 2, 9, 44; 6, 6, 48.
12 Così Bertram, Die Himmelfahrt Jesu, 202.
13 Justin., Tryph. 36, 5 sg. Iren., epid. 83. Cfr. anche già 1 Cor. 2, 6 sgg.; Kol. 2, 15. Inoltre: Tert., idol. 5; Orig., Comm. 5, 10 sull'ep. ai Rom.
14 Eph. 4, 7 sgg.; 2, 14 sgg. In proposito Schlier, Christus u. die Kirche, specie i primi due capp. L'ascensione in cielo del Redentore e La divina muraglia.
15 Cfr., ad es., Apc. 16, 5 sgg.; 18, 20; Lc. 9, 52 sgg.
16 Cfr., ad es., L'Ep. di Giuda V, 5 sgg.; 2 Petr. 2, 1 sgg.; Apc. Petr. 22, 27, 28.
17 La frase di Tommaso, Summa Theologica III Suppl. q. 94 a. 1, viene citata non nel senso letterale da Nietzsche, Zur Genealogie der Moral 1, 15.
18 Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, ed. F, Weinhandl, 1921, 24 sgg.
19 Atti 3, 21. Cfr. anche 1 Kol. 1, 19 sg.; 1 Tim. 2, 4; Mt. 18, 14; 2 Petr. 3, 9; Jh. 12, 47; 3, 17. Sul tutto, Schuhmacher, Nigg, Buch der Ketzer, 56 sgg.
20 Orig. princ. 1, 6, 1 sgg.; 3, 1, 14; 3, 6, 1 sgg.
21 Cfr. Lc. 24, 36 sgg., specie 24, 51 (anche 23, 43) con Atti 1, 1 sgg. In proposito Lohmeyer, Galiläa u. Jerusalem, 99. Grundmann, Das Problem des hellenistischen Christentums, 46 sg. Werner, Die Entstehung, 99. Bertram, Die Himmelfahrt Jesu, 204 sg. Benz, 119. Trillhaas, 67 sg.
22 Cfr. Lc. 24, 50 con Atti, 1, 12. Inoltre Conzelmann, Mitte der Zeit, 79 sg.
23 Hauck, 195. Jülicher, 309 sgg.
24 1 Mos. 5, 24. Hebr. 11, 5; 2Re 2, 1 sgg.


Web Homolaicus

Si ringrazia l'Editore Roberto Massari per averci concesso di riprodurre parzialmente questo testo.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Antica - Storia critica della chiesa - Nuovo Testamento
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Aggiornamento: 01/05/2015