Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa


Volto sindonico
Volto sindonico

Libro secondo

Paolo

APPENDICE II

L'antifemminismo della Chiesa antica e le sue conseguenze

Questo tema così importante, già accennato a proposito di Paolo, sarà ora oggetto di un'analisi di massima fino ai nostri giorni.

L'ascesi, qua e là condannata anche nelle Epistole neotestamentarie (1 Tim. 4, 3; 4, 8), ben presto si impose ampiamente nel Cristianesimo 1, adeguandosi a una tendenza molto viva e diffusa nell'atmosfera di stanchezza culturale e mondana della tarda antichità.

Ai primi del III secolo grandi Teologi come Tertulliano, Origene o Cipriano fanno già a gara nell'esaltazione della vita ascetica. Nel IV secolo le esortazioni dei Padri della Chiesa divennero ancor più pressanti: quanto più la Chiesa si mondanizzava, tanto più predicava la rinuncia al mondo. Basilio proibì ai fedeli non solo ogni divertimento, ma persino il riso. Il lutto per l'infelice esistenza terrena dev'essere espresso già dallo sguardo obliquo dei cristiani, dai capelli incolti, dalle vesti miserabili ecc. Gregorio di Nissa paragona la vita intera a un «letamaio». Lattanzio scorge nel profumo d'un fiore un'arma del demonio (Lact., div. inst. 6, 22). E per Zeno di Verona il maggior vanto della virtù cristiana consiste nel «calpestare la natura».

Il Teologo Harnack, tuttavia, vede nel disprezzo della donna la peggiore conseguenza dell'ascesi cristiana.

La diffamazione della donna nella Chiesa antica

Le donne, da Gesù equiparate agli uomini, presto prevalsero numericamente fra i cristiani, e proprio a ciò si deve la penetrazione della nuova religione nei ceti più colti. L'autore degli Atti una volta definisce «discepola» la cristiana Tabitha, con ciò riconoscendo implicitamente la posizione elevata delle donne nella cristianità più antica 2, le quali per lungo tempo esercitarono un'attività assai vasta all'interno del Cristianesimo: le profetesse cristiane sono forse più antiche dei profeti, non poche donne fondarono comunità o ne furono a capo, già in epoca apostolica esisteva un'organizzazione delle vedove e l'ufficio delle Diaconesse, corrispondente in parte a quello dei Presbiteri, ma poi soppresso dalla Chiesa cattolica (Linton, 115; Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt, 201 sgg.,).

All'inizio del IV secolo le donne erano ancora prevalenti, anche se già nel III secolo era stata loro interdetta qualsiasi funzione sacerdotale durante il servizio divino e nel II secolo un eminente Dottore della Chiesa dichiarò che le profetesse erano esseri posseduti dal demonio (Iren., adv. haer. 1, 13, 3).

La subordinazione della donna potrebbe risalire alla Comunità primitiva, evidentemente per l'influsso determinante della tradizione giudaica; ma poi non mancò di esercitare la sua influenza l'avvento dell'ascetismo, nonché, l'atteggiamento di Paolo.

Nella nascente Chiesa cattolica alla fine del II secolo la donna appare ormai soltanto come una creatura volgare, carnale e seduttrice dell'uomo: è Eva, la peccatrice per antonomasia.

Tertulliano presenta la donna come una «breccia, attraverso la quale s'insinua il demonio» e le attribuisce la colpa della morte di Gesù

«Sei proprio tu - prosegue la requisitoria tertullianea - che hai aperto la porta la demonio, tu hai spezzato il sigillo di quell'albero, tu hai violato per prima la legge divina, sei ancora tu che hai affascinato coloro ai quali il demonio non era capace di accostarsi. Tu hai facilmente gettato a terra l'uomo, che è immagine di Dio: a causa della tua colpa, cioè in nome della morte, dovette morire anche il figlio di Dio; e ciononostante ti viene anche in mente di applicare monili e ornamenti sopra la tua veste di pelli!?» 3.

Ma non bastava che la donna fosse disadorna: Gerolamo avrebbe desiderato raderle il capo a zero (Hier., ep. 93); molti sostenevano che dovesse astenersi anche dal canto. C'erano cristiani che evitavano di recarsi nella casa di Dio al fine di evitare «tentazioni», il che alla Chiesa apparve un po' eccessivo, così che uno scrittore ordinava: «Ama le donne nelle sante festività, ma odiale nella vita privata!».

Non sempre veniva loro consentito l'ingresso in chiesa: gravidanza e mestruazione le rendevano inadatte al rapporto con Dio. Per Dionisio di Alessandria (m. 265) era cosa assolutamente ovvia che le donne non dovessero entrare in Chiesa, per evitare «di toccare il corpo e il sangue di Cristo» nei giorni della mestruazione. La pensa allo stesso modo anche Timoteo di Alessandria (m. 385). La Chiesa siriaca puniva le donne mestruate, che avessero frequentato la chiesa, con una penitenza settennale; i sacerdoti che avessero distribuito loro la Comunione in taluni casi venivano allontanati dall'ufficio.

I Canones Hippoliti, un importante regolamento ecclesiastico del III secolo, vietavano l'amministrazione del Battesimo alle donne quando «su di loro giunge l'impurità» e proibivano la partecipazione «ai Misteri» a coloro che avessero assistito una partoriente, precisamente per venti giorni se era nato un maschio, quaranta se era nata una femmina. Il tempo per la purificazione della madre era di quaranta giorni se aveva partorito un maschio, di ottanta se aveva dato alla luce una femmina. Ancora nella seconda metà del V secolo i preti si rifiutavano di battezzare puerpere morenti, prima della scadenza del tempo prescritto per la purificazione.

A giudizio di uno studioso cattolico del N.T. (Meinertz) «col Cristianesimo la donna conobbe una dignità del tutto nuova», ma si tratta di una valutazione che capovolge la realtà dei fatti, benché non si debba sottacere che non pochi «eretici» preferissero ricordare apertamente l'alta stima di Gesù per le donne. Marco, gnostico e discepolo di Valentino, le ammetteva al servizio divino e alla celebrazione dell'Eucaristia, e nel Montanismo potevano diventare persino sacerdoti e vescovi.

Insieme alla donna, la Chiesa svalutò fortemente anche il matrimonio

Anch'esso si basa su un identico atto di fornicazione. Perciò, la cosa migliore per l'uomo è non toccare la donna.
(Tertulliano) 4

... vivere a guisa di bestie.
(Gerolamo, adv. Jovin.)

Già nel Nuovo Testamento vengono esaltati «coloro che non si sono contaminati con femmine», dal che si evince che nel Cristianesimo esisteva una corrente di pensiero, che per principio combatteva il matrimonio.

Alcune tarde fonti cristiane sostengono che Pietro, il primo «Papa», coniugato con figli, evitava qualsiasi posto in cui si celasse una donna; non solo, ma fu anche definito «misogino» e gli fu attribuita la frase: «Le donne non sono degne di vivere». Dell'Apostolo Giovanni si sottolinea sempre e comunque la verginità. La Prima Lettera di Clemente si fa autorevole propugnatrice della rinuncia al matrimonio, e nel II e III secolo la tendenza misogina della Chiesa emerge sempre più chiaramente.

Secondo Giustino, l'apologeta più importante del II secolo, è peccato qualsiasi soddisfacimento dell'istinto sessuale, ed è illegittimo il matrimonio in qualche modo legato alla soddisfazione di un istinto maligno (Theiner, 1, 37). Nel III secolo il Padre della Chiesa Cipriano raccomanda alle fanciulle cristiane una tranquilla esistenza senza figli, contemporaneamente terrorizzandole con l'evocazione dei dolori del parto (Cypr. testim. 3, 32; hab. virg. 22).

Lo stesso farà il Dottore della Chiesa Ambrogio (Ambr. virg. 1, 6), che tenterà di persuadere le ragazze cristiane a restare nubili anche contro la volontà dei genitori: «Supera immediatamente il timore reverenziale dei genitori!» (Ambr. virg. 3, 11. Cfr. anche Hieron. ep. 5 ad Heliod.). Zeno, Vescovo di Verona, consiglia alle giovani dame di non andarsene in giro per nove mesi con un fardello addosso. Agostino promette alle figlie vergini un posto in Paradiso migliore di quello assegnato ai genitori, e si augura che nessuno più contragga matrimonio, onde affrettare la fine del mondo (August. Serm. 354 ad continentes habit. 8. De bono coniugali, 10).

Gerolamo sa essere forse ancor più seducente, allorché esorta la vergine a parlare, sospirare e scherzare sul letto solo con lo sposo spirituale; non appena sarai stata colta dal sonno - sussurra allettante Gerolamo, qui ispirato forse più dai ricordi di una giovinezza scapestrata che dallo Spirito Santo - Egli verrà «e sfiorerà il tuo ventre» (et tanget ventrem tuum) (Hieron. ep. 18 ad Eustochium). Infatti, come Gerolamo premette, qualcosa bisognerà pur amare, ma «l'amore carnale viene superato da quello spirituale»!.

Del matrimonio egli valorizza solo la generazione di vergini. «Se è un bene non toccar donna -pontifica richiamandosi a Paolo -allora è un male toccarla!» (Hieron. adv. Jovin. 1, 4). I coniugi vivono, a suo dire, «a guisa di bestie», e nel rapporto sessuale gli uomini «in nulla si distinguono dai porci e dagli animali privi di ragione»! (ibid., ed ep. ad Vigilantium). Contro il monaco Gioviniano, poi, il quale verso la fine del IV secolo a Roma sosteneva con notevole successo il concetto che non essere sposati e digiunare non costituiva un merito particolare, equiparando alle vergini e alle vedove le donne maritate, il Dottore della Chiesa suddetto, segretario e amico di Papa Damaso, Santo della Chiesa Cattolica e Protettore dei Dotti, indirizzò un libello, nel quale, fra l'altro apostrofava l'avversario con queste parole:

«Tu sei ben disposto verso le prosperose, le graziose e le eleganti. Aggiungici anche tutte le scrofe e le cagne, e, dal momento che sei un amante della carne, anche avvoltoi, aquile e civette... Tutti i bei volti, tutte le ricciolute, tutte le rubiconde fan parte della tua mandria, oppure grugniscono piuttosto fra i tuoi maiali... I tuoi porcari sono più ricchi dei nostri pastori, e i capri attirano molte capre. Sono diventati come stalloni che nitriscono frementi alle giumente: basta che vedano una donna e nitriscono. Anche le povere donnicciuole intonano il canto del loro maestro: Dio non esige altro che sperma» (Hieron. adv. Jovin. cit. da Theiner, 1, 134).

Significativamente nella Chiesa romana si incontrerà un fidanzamento ecclesiastico solo a partire dal XIV secolo, e solo dal XVI secolo sarà celebrato all'interno di un edificio consacrato. Questo fatto dipende indubbiamente dal declassamento e dal disprezzo ecclesiastico della donna, la quale era tenuta, invece, a un'obbedienza incondizionata e sempiterna al marito, anche nel caso che si ubriacasse e la malmenasse. Infatti, come insegnava il Vescovo Basilio nella sua predicazione, egli è un membro di lei «e invero il più eccellente dei membri» (Basilius, 7 Hom. 5).

Conseguenze della predicazione ecclesiastica dell'ascesi

All'inizio del II secolo Ignazio dovette raccomandare al Vescovo Policarpo di esortare «le sorelle ad amare il Signore e a prendere soddisfazione dei loro mariti in carne e spirito». Qualche tempo dopo la Chiesa raccomandava di non aprire le labbra nell'abituale «bacio d'amore» dopo l'Agape «e di non ripetere il bacio, se scatena sensazioni di piacere».

Non sarà inopportuno accennare qui anche ai matrimoni spirituali, cioè alla convivenza di «santi», maschi e femmine, sotto uno stesso tetto o nello stesso letto, vale a dire alle gynài syneisaktheioi, lat. virgines subintroductae. Tale fenomeno esisteva già, a quanto pare, nella Corinto paolina e deve questa denominazione al termine col quale il Sinodo di Antiochia definì quelle attraenti signore che il Vescovo Paolo di Samosata si portava appresso come dame di compagnia (Euseb. h.e. 7, 30).

In Erma (inizio del II secolo) il profeta dorme «come un fratello» in mezzo a dodici vergini; esse lo baciano e abbracciano, ma alla fine «non facevano null'altro che pregare, e io pregavo incessantemente con loro e non meno di loro» (Herm. sim. 9, 11). All'incirca nello stesso periodo anche la Didachè menziona la strettissima convivenza con una donna, senza rapporti sessuali, considerata per lungo tempo segno della più alta forma di astinenza, mentre le seconde nozze di una vedova da molti erano sentite come scandalose e assolutamente riprovate.

Ma questi sponsali «spirituali» divennero progressivamente sospetti: Tertulliano racconta di gravidanze di vergini consacrate, e ritiene che per molti Dio sia il ventre. Cipriano Vescovo esige che le vergini che si rifiutano di lasciare i loro preti siano visitate da levatrici, benché sappia troppo bene che si può peccare anche con organi non suscettibili di indagini: fu necessaria una battaglia secolare per sopprimere siffatti matrimoni «spirituali».

Il celibato

Non preoccupavano Gregorio VII gli amorosi sospiri di suore ammalate, i secreti calli dei frati, i peccati silenziosi o sonori dei chierici, i matrimoni rovinati da loro... e ogni altra turbativa che ne doveva scaturire; ma nel libro della storia i suoi risultati sono sotto gli occhi di tutti.
(Il teologo J. G. Herder, Ideen zur Philosophie der Geschichte, Libro II, 4)

La proibizione del matrimonio dei sacerdoti risale all'idea, un tempo ampiamente diffusa nel Paganesimo e presente in ogni forma di culto dell'età imperiale, che il rapporto sessuale rendesse inadatti al servizio divino. In Oriente, dove l'Eucaristia veniva celebrata solo in giorni determinati, in quegli stessi giorni ai preti veniva proibito il coito; in Occidente, invece, dove si celebrava quotidianamente, si impose un'astinenza matrimoniale totale.

Il celibato è affare esclusivamente cattolico. Nella Chiesa ortodossa d'Oriente il matrimonio dei sacerdoti è rimasto fino ai nostri giorni un fatto assolutamente ovvio. Nella Chiesa romana, a partire dal III secolo, Vescovi e Preti rimanevano scapoli dopo l'ordinazione, perché ciò avrebbe dovuto accrescerne il prestigio agli occhi del popolo, il quale cominciava a percepire il matrimonio come condizione peccaminosa.

Ma accanto al motivo cultuale ebbe un suo ruolo importante anche quello economico, perché i parroci erano obbligati a consegnare tutte le entrate ai Vescovi, ai quali i sacerdoti scapoli erano quindi ben più graditi di quelli con mogli e figli. Nel IV secolo molti preti venivano ricompensati con tanta parsimonia, che potevano intraprendere le usuali pratiche religiose solo grazie al contributo dei fedeli.

Ma fu solo a partire dal VI secolo che si iniziò a dichiarare nulli i matrimoni di chierici contratti dopo l'ordinazione. Il Terzo Concilio di Toledo (539) prescrisse ai Vescovi di vendere le donne sospettate di usare commercio sessuale coi preti, e di distribuire ai poveri il ricavato! E così anche il Quarto Concilio sempre di Toledo del 633.

Tuttavia solo il decreto sul celibato di Gregorio VII del 1074 proibì ai preti sposati l'esercizio di funzioni ecclesiastiche e definì «concubine» le loro mogli legittime: da allora vige nel mondo cattolico il Celibato, quantunque in diretto contrasto col Nuovo Testamento, che pretende dai Vescovi e dai Diaconi che siano mariti di una sola donna e guidino correttamente i propri figli (1 Tim. 3, 2 sgg.; 3, 12). Il basso clero si oppose appassionatamente al Papa, chiamandolo pazzo, eretico, ignorante le Sacre Scritture e fautore di lussuria.

Le conseguenze furono enormi: l'ipocrisia, definita da Richard Wagner il tratto caratteristico assoluto e il vero e proprio stigma dei secoli cristiani, e il meretricio crebbero in misura quasi inimmaginabile. La libidine dei chierici era talmente generalizzata, che, secondo Isidoro, non veniva più considerata un vizio, ma veniva tollerata. Per tutto il Medioevo un gran numero di ecclesiastici si trascinava dietro veri e propri sciami di concubine; le loro dimore e le abitazioni vicine, nelle quali si sistemavano siffatte femmine, brulicavano di marmocchi.

In una missiva a Papa Zacaria, Bonifazio, l'Apostolo dei Tedeschi, tratteggia un quadro molto vivace della Chiesa franca dell'VIII secolo: da più di ottant'anni i Franchi non tenevano assemblee ecclesiastiche, non nominavano Arcivescovi o rinnovavano i regolamenti della Chiesa; gli Arcivescovadi erano nelle grinfie di laici avidi di denaro o di preti adulteri; c'erano Diaconi che vivevano nella lussuria fin dalla giovinezza;

«così sono pervenuti al Diaconato e ancora mantengono di notte nei loro letti quattro, cinque o più concubine, né si vergognano di leggere il Vangelo e di definirsi Diaconi. E in siffatte condizioni diventano sacerdoti, anzi persino Vescovi».

Tra questi ultimi Bonifazio trova anche personaggi che «scendono in campo armati, e con le proprie mani versano sangue umano di Pagani e Cristiani».

La lotta innaturale della Chiesa contro il matrimonio dei preti fece sì che il clero privato di un tal diritto si abbandonasse al concubinaggio; si verificarono persino casi di stupro dentro le Chiese, e non mancarono congressi carnali con parenti stretti, se il Concilio di Metz del 753 si sentì in dovere di proclamare:

«Qualora i preti intrattengano rapporti sessuali con monache, madri (!), sorelle ecc., se occupano posizioni gerarchiche elevate saranno deposti, se appartenenti al basso clero, saranno fustigati».

Alla fine del secolo VIII il Vescovo Teodulfo di Orleans minacciava severe sanzioni contro coloro che coltivassero relazioni sessuali con animali (già la Bibbia è costretta a ribadire continuamente ai figli di Dio, anche di sesso femminile, l'intimazione contro i rapporti sessuali con le bestie, anche con la minaccia della punizione capitale 5; in tal caso dovevano essere uccise insieme alle persone anche le bestie «depravate»!).

La Chiesa inglese previde forme di castigo per Vescovi e Preti, che usassero commercio sessuale con animali quadrupedi, con le madri e con le sorelle oppure con le monache per instrumentum. Ancor oggi, del resto, la regola 32a del Regolamento Generale della Compagnia di Gesù, che impone di «non toccare altri nemmeno per gioco» per la conservazione della castità, viene estesa da eminenti Gesuiti italiani anche ai contatti con animali.

Fino al secolo XVI inoltrato molti membri del clero conducevano una vita dissoluta alla luce del sole: per esempio, durante la Guerra dei contadini, i cittadini di Würzburg si rifiutarono di scendere in campo, perché ritenevano che le donne rimaste a casa non fossero al sicuro dalle grinfie dei preti. In una lettera pastorale del 1517 il Vescovo Hugo di Costanza lamentò il gioco d'azzardo, l'ubriachezza e la sregolatezza sessuale di tutti i parroci della Diocesi. A Zurigo alcuni preti si picchiarono nella pubblica piazza per contendersi una bella puttana. I cittadini di Regensburg, che nel 1513 avevano catturato il Canonico Zenger perché nottetempo e con grandi clamori tentava di penetrare in un bordello, e gli abitanti di Augsburg, che spedirono in catene al Vescovo il prete Frischhans, perché aveva stuprato un bambino, subirono l'interdetto dei loro Vescovi.

In molti conventi fioriva la fornicazione: verso la fine del Medioevo il monastero di Lipsia veniva definito una delle meraviglie del mondo, perché conteneva tanti bambini e nemmeno una donna; il convento svevo di Gnadenzell si chiamava «La casa aperta», perché le suore lo avevano trasformato in un pubblico bordello. Alla fine del XV secolo erano rinomati come veri propri e bordelli anche i conventi di suore di Interlaken, Frauenbrunn, Brun, Gottstadt presso Berna, Ulm e Mülhausen. Il Consiglio Comunale di Lausanne prescrisse pubblicamente alle suore di non fare concorrenza sleale ai bordelli, e quello di Zurigo emanò una severa ordinanza «contro l'immondo andirivieni nel convento delle suore».

La lotta dei Concili contro questo comportamento era destinata a rimanere lettera morta, tanto più se si tien presente che spesso vi contribuivano massicciamente le più alte gerarchie ecclesiastiche, e non solo nel periodo della pornocrazia, cioè del regime fornicatorio dei Papi. Nel secolo X il Papa Sergio III mise al mondo con Marozia, moglie del Margravio Alberico, un bambino, che salì poi al soglio di Pietro col nome di Giovanni XI (931-936). Giovanni XII (955-963), che divenne Papa a 18 anni e nominò Vescovo un bambino di 10 anni (Giovanni X aveva fatto di meglio, nominando Arcivescovo di Reims un fanciullino di 5 anni), visse incestuosamente con le sorelle e fu ammazzato in flagrante adulterio.

Durante la permanenza a Lione nel secolo XIII i Papi, come attestano i teologi, trasformarono la città in un bordello. I Vescovi tenevano come concubine badesse e suore. Il Papa Giovanni XXIII (1410-1415), poi cassato dagli elenchi papali perché Antipapa di Gregorio XII (e di Benedetto XIII), ebbe una relazione con la moglie del fratello, e sembra che a Bologna (ma la cosa appare un po' esagerata) abbia reso felici duecento fra vedove e verginelle. Innocenzo VIII (1484-1492), che si portò dietro in Vaticano due figli, criticò aspramente l'ordinanza di un Vicario apostolico, che prevedeva l'allontanamento delle concubine dei preti. Alessandro VI (1492-1503), giunto in Vaticano con quattro figli, diede il cappello cardinalizio al diciottenne figlio Cesare, ebbe una relazione con la figlia Lucrezia (che a sua volta se la intendeva coi fratelli) e fece dipingere una delle sue amanti, la bella Giulia Farnese, come Madonna, e se stesso ai suoi piedi in pompa papale.

Dopo il Concilio di Trento (metà del secolo XVI) almeno in apparenza tali fenomeni diminuirono, ma ancora nel 1883 il Teologo cattolico Curci poteva scrivere:

«Ora però io credo d'avere sufficienti informazioni per assicurare che, prescindendo dalla circospezione un po' più attenta comprensibilmente adoperata, dovuta al progresso della cultura, in alcune provincie oggi le cose non vanno meglio che nel secolo XVI prima dell'introduzione delle riforme tridentine, quando le concubine dei Prelati, accompagnate dai servi in livrea dei loro protettori, scorrazzavano per le vie di Roma. Tempi passati davvero ignominiosi! Ma essi non fanno altro che mostrarci quanto incerto sia sempre stato l'atteggiamento del Vaticano riguardo a tali problemi: durante gli ultimi anni del pontificato di Pio IX in una provincia meridionale c'era una piccola Diocesi, nella quale per alcuni anni non ci fu prete, né il Vescovo faceva eccezione, che non mantenesse pubblicamente la sua donna».

Questa notizia riguardava l'Italia, ma anche nella Spagna del secolo XIX la Chiesa ritenne di dover conservare intatta la severità dell'Inquisizione, onde impedire «che il confessionale venisse trasformato in un bordello».

Sempre nel secolo scorso, si diceva che l'amoralità del clero cattolico sudamericano superasse quella di tutte le altre categorie sociali, comportandosi «come se solo ad esso competesse l'esercizio della lussuria e dovesse illuminare col proprio esempio i laici non meno corrotti».

Nel 1889 un Teologo cattolico ammette a proposito dei preti cattolici del Perù:

«Sono pochi coloro che non sono pubblici concubini... Un colono assolutamente degno di fede scrisse all'autore d'essere costretto a superare molte esitazioni prima di mandare a confessarsi una ragazzina di dodici anni».

Anche dei Cardinali romani si diceva che si facessero prestare le donne dai loro mariti:

«In nome dell'ordine - ritiene Rousseau - era lecito che solo le maritate avessero dei figli da uomini di religione» 6.

Eppure queste sono le conseguenze più innocue dell'obbligo al celibato del clero cattolico: i Teologi cattolici Johann Anton e Augustin Theiner raccolsero, sempre per il XIX secolo, un materiale probatorio schiacciante sulla seduzione di bambini, pratiche sadiche, aborti, delitti compiuti da preti e monaci per gelosia e lussuria. Particolarmente raccapricciante appare il caso di quel parroco bavarese, che battezzò i suoi due figli prima che la cuoca li assassinasse.

D'altro canto i religiosi che prendevano seriamente il dovere all'astinenza conducevano una battaglia logorante, si mortificavano giorno e notte in modo assurdo o addirittura si castravano.

Ma fino a tempi assai recenti ci fu un'aperta opposizione del clero cattolico alla costrizione celibataria dei Papi, come testimoniano, ma non sono i soli, i sopra citati fratelli Theiner nell'opera in tre volumi L'introduzione dell'obbligo al celibato per i preti cristiani e le sue conseguenze. La Chiesa cattolica fece tutto il possibile per acquistare e distruggere il libro; Anton Theiner fu privato della sua cattedra universitaria, fu assegnato a una parrocchia e morì, alla fine, in estrema povertà come segretario della Biblioteca Universitaria di Breslau: lo stipendio bastava appena a non farlo morire di fame. Il fratello minore Agostino si riconciliò con la Chiesa e diventò Prefetto dell'Archivio Vaticano, ma durante il Concilio Vaticano, sospettato di fornire ai Prelati dell'opposizione indicazioni e fonti bibliografiche, fu licenziato; la porta che conduceva dalla sua abitazione all'Archivio venne murata. Il Teologo Friedrich Nippold curò la riedizione della loro opera nel 1893.

Breve rassegna di teologia morale cattolica e di medicina pastorale

Si sarebbe tentati di annoverare fra la pornografia numerose produzioni di teologia morale.
(Il teologo Heiler)

... sono sorprendenti l'ampiezza e lo scrupolo dedicati da studiosi eminenti alla trattazione di tali questioni... Si può affermare senza tema di smentite che non c'è libro sconcio che, sotto questo aspetto, sia peggiore di un trattato di teologia morale.
(Il teologo Alighiero Tondi)

Quanto il celibato sia una condizione contro natura, oltre che contro il Nuovo Testamento, si evince dalla produzione letteraria di molti maestri di Teologia morale. Un Prelato romano così si esprime sulla Teologia morale del secolo XVII:

«Quanta sporcizia contengono i trattati di teologia morale, quante sconcezze diffondono! Dov'è possibile trovare tanti luridi cenci, quanti si ritrovano nelle loro pagine! Al confronto, qualsiasi bordello della Suburra potrebbe definirsi pudico. Io stesso, che pure ho condotto una giovinezza scapestrata, disonorandola con ogni sorta di azioni lussuriose, confesso d'essere arrossito non poco alla lettura del Gesuita Sánchez, dal quale ho appreso più turpitudini di quante me ne avrebbe potuto insegnare la più svergognata delle puttane... Ma perché mi limito solo a Sánchez?» 7.

Il Gesuita Sánchez viene ancor oggi citato come un'autorità nel campo della Teologia morale.

Nei paragrafi che seguono faremo alcune citazione dettagliate, traendole dall'opera di un noto esperto cattolico, composta con la collaborazione dei Gesuiti, e la cui 19a edizione venne diffusa nel 1923.

Già nelle prime righe del capitolo dedicato al sesto comandamento si legge «che piccoli fanciulletti iniziano a masturbarsi fra le braccia della madre», dopodiché la masturbazione viene definita un tactus impudicus teso direttamente a scatenare la polluzione. La sezione dedicata alla perversione sessuale si occupa ancora della masturbazione con i capelli caduti a una donna, «i ben noti tagliatori di trecce» [espressione gergale n.d.t.].

Molti luoghi sono davvero ridicoli, come, ad esempio, gli excursus sulla polluzione: quella che si verifica durante il sonno non è peccaminosa, a patto che non sia stata favorita da fantasie sensuali. Ma cosa fare, se ci si sveglia e si è lì lì per emettere il seme o se la cosa è già iniziata? Il nostro esperto cattolico si domanda: «In tal caso si è tenuti a evitare la emissio seminis». Il revisore dell'edizione più recente entra a questo punto in contrasto con l'autore della precedente: quest'ultimo ritiene un dovere morale impedire l'evento imminente, soprattutto mediante energici esercizi della volontà «legati, ad esempio, a una elevatio cordis ad deum (!)». Inoltre ritiene «cosa ragionevole cercare nel letto un cantuccio più freddo, oppure saltarne fuori».

Il revisore, al contrario, consiglia l'impedimento della polluzione solo se è presente «un alto rischio di consentimento al piacere», diversamente non scorge nulla di male (come si affretta ad aggiungere con formula addirittura classica) «nel consentire il corso spontaneo di un evento puramente fisiologico e nel dominio di qualsivoglia pericolo di consentimento della volontà, rivolgendosi a Dio con atti di devozione religiosa». Per il resto anche questo espertissimo pastore di anime raccomanda di attenuare l'eccitamento connesso cercando un angolino più freddo del letto ecc. Tuttavia conclude rassegnato: «Però, in ultima istanza, è tutto inutile».

Accenniamo adesso brevemente alla Theologia moralis in lingua latina (come è proprio delle opere cattoliche sull'argomento) dei Teologi pontifici Aertnys e Damen, pubblicata in due volumi a Roma nel 1944. Basta menzionare solo pochi problemi di cui si occupano costoro: si chiedono:

«se sia lecito a una donna pregare un uomo dedito all'onanismo affinché abbia luogo il coito»; «se la donna possa assolvere ai doveri coniugali qualora il marito eserciti l'onanismo tramite strumenti preservativi»; «se il marito debba prestare il dovere coniugale, qualora gli sia noto ch'essa ha occluso artificialmente con un pessario la propria vagina in prossimità dell'orifizio dell'utero»; «se sia lecito emettere il seme proprio all'ingresso della vagina»; «se i coniugi commettano peccato mortale qualora durante il rapporto trattengano il seme volontariamente, perché non si sono ancora molto eccitati»; «se la moglie commetta peccato mortale, quando, mentre il marito emette il seme, lei trattiene il proprio»;
e così via. Nell'opera cattolica si può ancora leggere ad esempio:
«Si ha un coito contro natura se si adopera un organo inadeguato o si fa uso contro natura dell'organo deputato al rapporto, onde evitare la fecondazione. Nel primo caso si ha sodomia impropria, nel secondo si tratta di onanismo. La sodomia impropria è il coito compiuto nell'organo posteriore della donna, a prescindere dal fatto che l'uomo emetta il seme fuori o dentro»;
o ancora, come scrivono i due Teologi pontifici:
«L'introduzione del membro virile nella bocca della donna, nella misura in cui avviene rapidamente e senza pericolo di emissione dei seme, a seconda dei casi non viene considerato un peccato mortale, poiché la bocca non costituisce organo adeguato al rapporto sodomitico e l'atto in questione, quindi, rappresenta un tactus impudicus... Sant'Alfonso (de' Liguori), in accordo col giudizio generale, ritiene un peccato mortale l'introduzione del membro virile nella bocca della donna soprattutto perché quasi sempre sussiste il rischio dell'eiaculazione».

L'ex professore dell'Università Gregoriana Alighiero Tondi racconta che i cervelli dei cattolici, soprattutto dei preti, vengono torturati con una specie particolare di mania sessuale, di natura chiaramente psicoanalitica. I Teologi si intrattengono assai spesso e con evidente soddisfazione sulle cose più ripugnanti:

«Tutti i professori di morale della Pontificia Università Gregoriana, fatta una o due eccezioni, ne parlano incessantemente e si occupano della "soluzione morale" dei casi più strampalati e più rari, purché rigurgitino di accadimenti piccanti. Davanti a un simile atteggiamento mentale e alla struttura della dottrina cattolica ci si può facilmente immaginare il carattere delle lezioni di Teologia morale. L'aula traboccava. Un pigia pigia di preti, di seminaristi imberbi che bisbigliavano estasiati, con le gote roventi e le orecchie aguzze. Lo spettacolo mi dava la nausea. Taluni insegnanti tengono nelle loro camere raffigurazioni anatomiche e modelli in gesso per illustrare privatamente ai discepoli che facciano richiesta di spiegazioni ulteriori la struttura degli organi genitali e l'atto sessuale».

Sono queste alcune delle conseguenze che i Cattolici traggono dall'insegnamento di Gesù.

continua


Note

1 Cfr. 1 Clem. 38, 2; 48, 5; 2 Clem. 8,4; 14, 4 sg.; 15, 1; Did. 6, 2 sg.; 11, 11; Herm., vis. 2, 2, 3; sim. 9, 11; Tert., resur. carn. 61; cultu fem. 9, 11; Orig., Hom 9 in Levt.; Hom 13 in Exod.
2 Atti, 9, 36. Leipoldt, Der soziale Gedanke, 155 sg.
3 Tert., cultu fem. 1, l. La polemica contro gli adomarnenti femminili si trova già nei Pitagorici.
4 Tert, exh. cast. 9. Cfr. anche monog. 3; exh. cast., 10.
5 2 Mos. 22, 18; 3 Mos. 18, 23; 20, 15; 5 Mos. 27, 21. Inoltre Henry, passim, soprattutto 28.».
6 J.J. Rousseau, Confessioni, Ed. H. Bühler, 1948, 172.
7 Cit. da Heiler, Der Kathoizismus, 250, nota 10.


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Si ringrazia l'Editore Roberto Massari per averci concesso di riprodurre parzialmente questo testo.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Antica - Storia critica della chiesa - Nuovo Testamento
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Aggiornamento: 01/05/2015